Divorzio all'italiana
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Divorzio all'italiana
Ferdinando Cefalù (Marcello Mastroianni) in una scena del film
Titolo originale |
Divorzio all'italiana |
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Lingua originale | italiano |
Paese | Italia |
Anno | 1961 |
Genere | Drammatico, commedia |
Regia | Pietro Germi |
Sceneggiatura | Ennio De Concini, Pietro Germi, Alfredo Giannetti |
Produttore | Franco Cristaldi |
Interpreti e personaggi | |
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Note | |
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Divorzio all'italiana, film italiano del 1961 con Marcello Mastroianni, Stefania Sandrelli e Lando Buzzanca, regia di Pietro Germi.
Frasi
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- Le serenate del Sud... le calde, dolci, snervanti notti di Sicilia... durante tutto il tempo che ne ero stato lontano, il ricordo di quelle notti, o meglio di una notte, aveva popolato le mie ore di rimpianti di nostalgia. (Ferdinando) [voce fuori campo]
- Ma eccoli già ritornati al loro argomento preferito: le donne. Era un discorso inesauribile. Nell'accesa fantasia dei miei concittadini le donne si tingevano dei colori del mito. Le favolose, invisibili donne di Agramonte che celavano la loro bellezza e il loro ardore dietro le grate... pardon... dietro le stecche di vereconde persiane. (Ferdinando) [voce fuori campo]
- Ma alle spregiudicate trombe proletarie rispondevano altrettanto sonore le campane di San Firmino. (Ferdinando) [voce fuori campo]
- E perciò, miei cari fedeli e amati concittadini, io vi esorto a dare il vostro suffragio ad un partito che sia popolare, e cioè democratico e quindi rispettoso della nostra fede cristiana: un partito, per concludere, che sia democratico e cristiano. (Parroco)
- Mi spiego Fefé, è come un'intima insoddisfazione che tengo dentro. Per esempio tu sai quanto mi piace l'uva, ah? Be', a me l'uva mi piace più quando non ci sta che quando ci sta. Quando ci sta l'uva, Fefé, io tengo voglia di pere. Mi spiego? [...] Per me non è tanto importante l'uva in sé stessa, quanto la voglia che ho d'uva, un po' come quella poesia che mi piace tanto, Fefé, dove dice che il sabato è meglio assai della domenica.[1] (Rosalia)
- Anima mia santa, percorsa, umiliata, visitata... il sorriso di quella orribile megera quando si presentò da suo padre a dire "illibata"... "illibata". Povera Angela mia, un fiore, un giglio delicato sei. (Ferdinando) [voce fuori campo]
- Signori della corte. "Bocca baciata non perde ventura."[2] Ma io vi dico, parafrasando un testo ben più alto e ben più sacro: "Chi guarda una donna con desiderio, ha già commesso peccato nel cuor suo."[3] Perciò, mentre il treno trasportava Mariannina Terranova verso la sua tragica meta, mentre la trasportava inarrestabile come inarrestabile era il fato che la spingeva, lei, piccola e povera creatura del sud, avvolta nell'antico scialle scuro, simbolo del pudore delle nostre donne, le mani congiunte a torturarsi in grembo, quel grembo da Dio condannato... sacra condanna, ai beati tormenti della maternità, mentre il treno correva, così, come un incubo incessante, dove risuonava il mistico fragore delle ruote e degli stantuffi, e alle orecchie deliranti della povera Mariannina Terranova, [imitando un treno] disonorata, disonorata, disonorata, disonorata, disonorata, disonorata, disonorata... Ma l'onore, signori miei, l'onore, che cos'è l'onore? Terremo ancora per valida la definizione che di esso dà il Tommaseo, nel suo monumentale dizionario della lingua italiana, quando lo definisce come "il complesso degli attributi morali e civici che rendono un uomo rispettabile e rispettato nell'ambito della società in cui vive", o lo butteremo noi tra il ciarpame delle cose vecchi, inutili, sorpassate? [mostrando poi le lettere anonime ricevute da Mariannina] Lettere, lettere vergate da anonime ma simboliche mani, lettere illeggibili, che offenderebbero l'attività di quest'aula, tacitiane tal'altre come questa, in una sola parola compendio la sorte dell'infelice Mariannina: "cornuta!" O come questa, che addirittura affida alla icasticità di un'immagine l'espressione del pensiero. [mostrando il disegno di una mano che fa il gesto delle corna] (Avvocato De Marzi) [arringa]
- Sì, nobile. Signori della corte, viviamo anni oscuri permeati di arida e a volte cinica materialità scientifica, ma i nobili non sono nobili per caso, signori miei. Nossignore! Oddio, non voglio certo parlarvi ora delle Sante Crociate...[4] (Avvocato De Marzi) [voce fuori campo]
- E chi? Chi, signori della corte? Chi, in questa frettolosa disamina dei fatti potrebbe oggi baldamente rievocare l'orrore da cui fu invasa la vista dell'imputato a quello spettacolo? I due amanti giacevano lì, immondamente abbracciati, nell'espressione più turpe del loro peccato, lì sul divano della sua casa onorata. Egli restò impietrito. Egli cercava, sì, cercava una spiegazione, forse cercava addirittura un miracolo che cancellasse quella terribile visione ai suoi occhi. O forse cercava le parole... le parole che potessero esprimere il suo pianto, il suo dolore. E invece trovò un'arma, una vecchia pistola dimenticata chissà da quanto tempo in un vecchio mobiletto... [Ferdinando cambia idea sul luogo dove nascondere la pistola] E invece trovò un'arma, una vecchia pistola dimenticata chissà da quanto tempo in una vecchia console rococò, Settecento napoletano, forse rifatto nell'Ottocento.[4] (Avvocato De Marzi) [voce fuori campo]
- Preceduto da un gran rumore di scandalo, da echi di polemiche, proteste, anatemi ed osanna, era giunto in paese un film sensazionale. Il parroco di San Firmino aveva scagliato i suoi fulmini contro il film licenzioso ed ammonito i fedeli a boicottarlo, ma con scarso risultato. [...] Non s'era mai visto niente di simile. Anche le sedie del bar Centrale, stipate dentro la sala, risultarono insufficienti a far fronte all'afflusso del pubblico. Erano arrivati anche dalle campagne, percorrendo decine di chilometri a dorso di cavallo e creando problemi di promiscuità per gli uomini di Agramonte. (Ferdinando) [voce fuori campo, su La dolce vita]
- Un mammifero di lusso... ma senz'anima, secondo me! (Rosario) [alla fidanzata Agnese, commentando Anita Ekberg nel film La dolce vita]
- Le odiose immagini suggerite da quella infame lettera anonima gli sconvolgevano la mente. Con estrema riluttanza egli però cedette all'impulso di correre a casa per sincerarsi... gli sembrava troppo offensivo verso la diletta compagna della sua vita, ma il tarlo del sospetto si era ormai incuneato nell'animo suo dolente. I suoi passi incerti ed esitanti lo condussero fatalmente davanti alla casa. Tutto sembrava normale, quieto, caldo e riposante.[4] (Avvocato De Marzi) [voce fuori campo]
- Aveva trovato la casa vuota, il talamo disertato. Travolto dal natural impulso della vendetta era uscito come un pazzo e correva, correva verso la stazione, avanti, avanti, per uccidere... forse! Ma forse anche nella disperata speranza di raggiungere l'infedele e trattenerla, chissà? Ma quando li vide insieme, tutti e due lì, lei e il suo amante...[4] (Avvocato De Marzi) [voce fuori campo]
- I termini della questione erano addirittura matematici. "Stato d'ira" uguale "flagranza" più "onore offeso". Era chiaro perciò che venendo a mancare la flagranza, era necessario calcare la mano sull'onore offeso affinché lo "stato d'ira" raggiungesse il grado d'intensità richiesto dalla legge. (Ferdinando) [voce fuori campo]
- Se quest'uomo avesse sorpreso la moglie in flagrante adulterio, ebbene sì signori della corte, forse allora egli avrebbe ucciso, ma dopo no. A freddo no. Egli... egli non poteva inseguire gli adulteri, caricarsi d'odio, prendere un treno e partire. No, signori della corte. Egli... egli giacque lì in un ovattato deliquio che gli ottundeva sensi e pensieri.[4] (Avvocato De Marzi) [voce fuori campo]
- Intanto in città quella piccola macchia d'olio cominciava ad allargarsi: se ne dicevano di tutti i colori. Ma in definitiva l'essenza di tutte quelle chiacchiere poteva riassumersi in una parola sola: cornuto. (Ferdinando) [voce fuori campo]
- E così vediamo i tristi risultati di certi spettacoli, inique mistificazioni dall'arte, che ostentano ed esaltano il peccato, il vizio, il malcostume! (Parroco) [dal proprio pulpito, mentre sentenzia su La dolce vita]
- La lettera anonima è una forma di prezioso artigianato, si comincia da bambini con i fogli di quaderno, fino ad arrivare a esemplari pregiati, vergati da mani maestre. (Ferdinando) [voce fuori campo]
- Carmelo! Carmelino mio! (Rosalia) [ultime parole prima di essere uccisa da Ferdinando]
- In questo suggestivo angolo di Sicilia non sono pochi i defunti per motivi d'onore. Povera Rosalia, non te lo meritavi! Ma io so che adesso tu riposi in pace coi tuoi piccoli ingenui sogni. Io davvero, sai Rosalia, io t'ho anche amata, ma tu... tu eri troppo, come dire... tu mi chiedevi... "quanto mi vuoi bene?" Eri assetata d'amore, povera Rosalia, troppo assetata! Troppo! (Ferdinando) [voce fuori campo]
- Poco da dire sul processo. Tutto si svolse pressapoco come io avevo previsto. [...] L'avvocato De Marzi fu molto brillante: appassionato e sarcastico, commovente e commosso, percorse con agile sicurezza tutta la tastiera degli affetti e dei sentimenti. Non arrivò a parlare delle sante crociate ma chiamò in causa Otello e cumpari Turiddu. C'era la mamma... la mamma che piangeva, poverina. E be' sì, ero quasi commosso anch'io. Poi tirò in ballo mio padre: dissoluto, alcolizzato, corruttore di giovinette, sicuramente affetto da qualche malattia innominabile, seminatore di cambiali e di figli illegittimi. Be', era chiaro l'attenuante di gravità ereditaria poteva facilmente aggiungersi ai motivi d'onore. E infine portò in aula la vedova Patanè. Non riuscì a portare in aula i suoi figli perché data la loro tenera età, il codice di procedura penale lo proibiva, ma esibì le loro fotografie e le immagini di quei poveri orfanelli mi giovarono molto. Non saprei perché. Forse perché in Italia i figli... be', i figli sono sempre figli. (Ferdinando) [voce fuori campo]
Dialoghi
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- [I due sono nel letto, Rosalia posa un libro che stava sfogliando, Ferdinando dorme]
Rosalia: Fefé... [Ferdinando si sveglia] sai a che pensavo? Mi chiedevo: ma noi chissà perché viviamo?
Ferdinando [annoiato]: Ah... [sbuffa]
Rosalia: Ma tu mai ci hai pensato qual è lo scopo vero della nostra vita, ah?
Ferdinando [scocciato]: Eh, no... qual è?
Rosalia: È amare! È amare! Noi viviamo per amare! Se non si amerebbe noi...
Ferdinando: Amasse. Se non si amasse...
Rosalia: Sì, noi appassi... come tanti fiori in autunno noi appassiti... noi appassiressimo, Fefé, ecco.
Ferdinando: Che caldo schifoso! [alzandosi bruscamente]
- Ferdinando [voce fuori campo]: Sollecitando la sciocca vanità di Patanè, non mi fu difficile attirarlo in casa mia con la scusa di avere un suo esperto giudizio su certe vecchie croste che decoravano il soffitto del salone. [Carmelo è su una scala e sta esaminando gli affreschi del salone mentre un folto gruppo di persone, tra le quali Ferdinando e il padre don Gaetano, lo osservano]
Carmelo: Ecco, è proprio come sospettavo! Qualche sprovveduto iconoclasta dell'Ottocento allo scopo di... come potrei dire... di abbellire la propria dimora fece dipingere sopra le originali decorazioni, sicuramente del basso Seicento sono, queste... scusate... queste assurde croste riproducenti stomachevoli scene conviviali, o di caccia, o di altro... [facendo un gesto con la mano]
Ferdinando: Sì, sì, è probabile. Si dice che i Cefalù siano stati degli accaniti cacciatori, accaniti mangiatori, accaniti... accaniti insomma! [rifacendo il gesto di Carmelo con la mano]
- [A seguito della fuga d'amore di Rosalia e Carmelo, faccenda per cui tutto il paese è andato in fermento]
Funzionario del PCI: [...] perché è ormai storicamente accertato che anche qui da voi, nel vostro bel sud che io ho il piacere di visitare per la prima volta, è giunto alfine il momento di affrontare il secolare problema dell'emancipazione della donna, così come esso è stato affrontato e risolto, per esempio, dai nostri confratelli cinesi. Pertanto, io vi invito a esprimere il vostro democratico parere sul fatto, cioè a dire quale giudizio sereno ed obiettivo merita la signora Cefalù.
Gli iscritti al partito [urlando all'unisono]: Buttana! Buttana! Buttanaaa!!
- [Ferdinando sente degli spari e le urla disperate di Rosalia, poi incontra la moglie di Carmelo che si allontana dalla scena del crimine, nascondendo al contempo una pistola nella borsetta]
Ferdinando [fermando la moglie di Carmelo]: Ma che avete fatto?
Moglie di Carmelo: Nente, ho vendicato il mio onore. [scappando]
Ferdinando: Ma... e il mio?!
Eh, sì. La vita comincia a quarant'anni. È proprio vero. (Ferdinando) [voce fuori campo]
Note
[modifica]- ↑ Riferimento a Il sabato del villaggio di Giacomo Leopardi.
- ↑ Cfr. Giovanni Boccaccio, Decamerone, II giornata, novella VII: «Bocca basciata non perde ventura, anzi rinnuova, come fa la luna.»
- ↑ Cfr. Gesù, Discorso della Montagna (Matteo, 5, 28): «chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.»
- ↑ a b c d e Ferdinando immagina nella sua mente alcuni possibili passaggi dell'arringa del suo avvocato durante l'ipotetico processo per l'omicidio della moglie, delitto che Ferdinando è intenzionato a commettere.
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