Filippo Corridoni

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Filippo Corridoni

Filippo Corridoni (1887 – 1915), sindacalista, militare, politico e giornalista italiano.

Citazioni di Filippo Corridoni[modifica]

  • [Nel messaggio inviato da Corridoni a Benito Mussolini] Carissimo, fra pochi istanti partiamo per la linea del fuoco. Viva l'Italia! In te bacio tutti i fratelli delle battaglie di ieri sperando nell'avvenire.[1]
  • Chi fa mercato di sé non lo fa per morire, ma per vivere. Siete voi disposti a dare la vita per la vostra idea, come io sono pronto a gettarla per la mia?
  • Con la pratica della democrazia diretta anche i partiti perdono gran parte della loro onnipotenza. Fino a che la politica è per l’umile cittadino una cosa misteriosa, complicata e lontana esso subisce facilmente l’ascendente dei suoi rappresentanti, di coloro che hanno “le mani in pasta” e che il cui giudizio è accettato come il responso di un oracolo; ma quando con l’uso del referendum, del diritto all’iniziativa ecc. diventa indispensabile far conoscere ad ogni cittadino gli ingranaggi del meccanismo misterioso, che serve alla fabbricazione delle leggi, esso comincerà a famigliarizzarvisi, ne vedrà la banalità e comincerà a giudicare con la propria testa senza contentarsi più di delegare un dato individuo a pensare per lui.[2]
  • Diranno che è inutile sprecare tante energie e tanti sacrifici in scioperi, boicottaggi, sabotaggi ecc. quando basta conquistare con la propaganda la metà più uno dei cittadini “attivi”, per proporre una legge di socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio, legge che risolverà definitivamente la questione sociale. E i ceti medi, fra i quali il partito ha reclutato sempre il nerbo maggiore delle sue truppe, si lasceranno corteggiare e faranno gli oci teneri; e la borghesia dirà che quello è il modo di ragionare, e che così si procede in una società civile ove sono state realizzate le più solide conquiste democratiche. E, chissà forse i proletari si lasceranno prendere nuovamente nella rete e conteranno, elezione per elezione, l’aumento dei voti, come ora contano i collegi conquistati e in base a ciò calcolano fra quanti anni si avranno duecentocinquantacinque deputati socialisti. Ma poi? Quando tornerà la nuova ubriacatura? Non facciamo calcoli inutili. Quel che sappiamo è che di pari passo a quest’ultimo disperato tentativo del socialismo elettorale, per non lasciarsi sfuggire il gregge, e della borghesia, per non essere obbligata a battaglie disperate, procederà inesorabile la violenza proletaria per opera di coloro che amano combattere.[3]
  • E pur noi non vorremmo la ribellione della fame. A chi gioverebbe? Un uomo che impugna un coltello o un fucile per satollarsi è una forza puramente negativa: ficcategli nello stomaco una pallottola ed egli ritornerà nella cuccia. La rivoluzione non deve essere fatta da cani arrabbiati. La rivoluzione non deve essere opera di un ventre vuoto o di uno stomaco stiracchiato, ma bensì di un cervello sano e fresco, che medita una vita di giustizia e di equità e che vi vuol giungere a tutti i costi, anche attraverso alla violenza, ma organizzata e intelligente.[4]
  • Il popolo non crede ai cultori delle cedole bancarie. Crede all'azione, a chi gli indica le vie del destino. Crede soprattutto a chi gli aprirà le strade vere della giustizia sociale.[5][6]
  • Il proletariato d'Italia non vuol saperne di guerre. Ne ha avute abbastanza di quelle di Eritrea e di Libia e non sente il bisogno di prendersi nuove gatte da pelare per i begli occhi di Guglielmo di Wied o di Essad pascià.[7]
  • I proletari di Germania hanno dichiarato di essere prima tedeschi e, poi socialisti. Ecco un fatto nuovo che noi ignoravamo e che abbiamo avuto il torto di non intuire.[8]
  • La grande guerra sta per scoppiare anche per noi: l'agitazione dei gassisti potrebbe trascinare in piazza tutto il proletariato milanese. Il dovere nostro dunque è di non complicare la situazione. Ma questo dovere deve esser sentito e rispettato anche dall'Unione del Gas. In caso contrario riprenderemo la battaglia.[9]
  • La politica coloniale può essere permessa alla Francia, all’Inghilterra e al Belgio. Nazioni sviluppatissime e afflitte da congestione finanziaria. Nazioni dove ogni risorsa naturale viene religiosamente sfruttata e dove le industrie sono arrivate ad un così alto grado di perfezione tecnica da sentirsi il diritto di dettar legge, con la sola concorrenza, sui mercati mondiali; ma l’Italia, l’Italia che ha un’agricoltura arretratissima, che è tributaria in tutto di altre nazioni, che ha delle industrie così rachitiche, così miserocce e viventi una vita anemica da fior di serra e solo in grazia dell’alta protezione doganale, l’Italia non deve, non può darsi delle arie di grandezza, non può fare la colonizzatrice, non può far delle guerre senza cader nel ridicolo prima, senza rovinarsi irrimediabilmente poi.[10]
  • La rivoluzione si farà non contro l'esercito ma con l'esercito.
  • Lasciatemi esprimere tutto il mio profondo cordoglio per la bancarotta di un partito che è ormai cadavere. Alludo al socialista. Un altro cadavere è la Camera del Lavoro. Una delibera si impone per l'igiene pubblica. Il partito socialista e la Camera di Lavoro hanno firmato oggi il loro decesso: non risorgeranno più.|Discorso interventista tenuto sulle gradinate del Duomo di Milano, 16 maggio 1915[11]
  • Mai in Italia c’è stato tanto accanimento contro la folla inerme, troppo abituata alla pazienza e alla rassegnazione. E’ ora di finirla. Ma non facciamo della inutile retorica. Dobbiamo cercare di non accontentarci della piccola politica, ma di fare della politica antistatale. Dobbiamo mirare in alto perché non è soltanto contro la bastonata del poliziotto che dobbiamo reagire… ma rivoltarci contro il governo e contro la monarchia. Noi diciamo forte che il proletariato di Milano e d’Italia non riprenderà il lavoro fino a quando Casa Savoia non sarà mandata in Sardegna… Noi siamo milioni ed il governo non può contare che su 130mila soldati.[12]
  • Milano è una delle poche città d'Italia che è ricca di tutte le caratteristiche necessarie ad un completo trionfo delle nostre idealità: industrialismo sviluppatissimo, contrasti di classe netti e vivi, nessuna infatuazione elettoralistica, accentuato spirito battagliero, fusione completa tra indigeni e immigrati e quindi nessuna acredine regionalistica: purtuttavia il riformismo - e cioè: l'armonia fra le classi, l'intrigo piccolo borghese e bottegaio, il cretinismo schedaiolo, la repugnanza per qualsiasi lotta che potrebbe accentuare la lotta di classe a detrimento della pace sociale e quindi dell'iride elettorale - da dieci anni vi ha regno incontrastato, e, proprio a Milano, è riuscito ad esercitare i suoi più malsani esperimenti.[13]
  • Morirò in una buca, contro una roccia o nella corsa di un assalto ma, se potrò, cadrò con la fronte verso il nemico, come per andare più avanti ancora![14]
  • Nessun partito rappresenta genuinamente la classe operaia e quindi nessun partito può arrogarsi il diritto di parlare a nome di essa e di dichiarare di essere il difensore dei suoi interessi – in quanto il sindacato – espressione pura della classe operaia organizzata per la lotta, è l’unico elemento che possa operare, con i suoi mezzi, la trasformazione radicale della attuale società. (...) Per noi coloro che reggono il comune saran sempre nostri nemici, tanto più temibili e pericolosi se potranno fra l’altro ammantarsi di un preteso suffragio popolare e se potranno governare con in bocca la menzogna di farlo nell’interesse del popolo.[15]
  • Per guidare il proletariato alla rivoluzione, sono necessari una eccezionale forza di volontà, una fede assoluta senza ombra di dubbio e senza inquinazioni pessimistiche, ed anche e soprattutto un elevato spirito di sacrificio. Il sindacalismo non è morale di rinuncia, ed io non pretendo che si sia degli asceti o degli anacoreti – amo anch'io la vita nella sua complessità – ma sono persuaso che un gaudente non sarà mai un condottiero.[16]
  • Perché, che cos’è la rivoluzione sindacalista? Crediamo di averlo notato: è il proletariato battagliante contro la borghesia e che esce dal terreno dell’economico per invadere quello extraeconomico, conscio delle sue forze ed intuente la finalità della sua azione. Fino a che le organizzazioni proletarie combattono la propria battaglia con la mira precisa e specifica di assottigliare il margine del profitto borghese, tutte comprese dalla responsabilità di non essere al di là del profitto stesso, allora la loro azione è legalitaria e cioè economica; quando invece i sindacalisti saltano risolutamente il fosso del profitto per attentare alla vita stessa del capitale, allora esse compiono opera extraeconomica e cioè rivoluzionaria.[17]
  • Riprendiamo le pubblicazioni della nostra Avanguardia in un'ora storica. La immane catastrofe in cui è piombata l'Europa ha fatto crollare come fragili impalcature di palcoscenico tutte le costruzioni ideali ed umanitarie che i popoli avevano eretto in quarant'anni di pace e di lavoro fecondo...Ma vi sono avvenimenti che scuotono la fede più cieca ed incrollabile: la guerra europea è uno di quelli. Noi non credevamo al tradimento dei proletari tedeschi ed austriaci: s'è consumato. Quando i nostri governanti ci prospettavano la possibilità di una guerra europea che travolgesse l'Italia- e ne traevano conseguenza gli armamenti indispensabili- noi negavamo violentemente e rispondevamo trionfanti che se anche tale ipotesi avesse la possibilità di realizzarsi, lo sciopero generale insurrezionale del proletariato all'atto della mobilitazione avrebbe stroncato la guerra sul nascere. Ci illudevamo. I fatti ci hanno dato la più solenne smentita, e noi se non siamo dei caparbi, della gente che vuole avere ragione ad ogni costo, siamo in dovere di riconoscere che non vedemmo giusto, e siamo in obbligo quindi di riprendere in esame tutti i nostri piani di guerra per conformarli alle esigenze della mutata situazione.[18]

Citazioni su Filippo Corridoni[modifica]

  • Egli era un nomade della vita, un pellegrino che portava nella sua bisaccia poco pane e moltissimi sogni e camminava così, nella sua tempestosa giovinezza, combattendo e prodigandosi, senza chiedere nulla. Leviamoci un momento dalle bassure della vita parlamentare; allontaniamoci da questo spettacolo mediocre e sconfortante; andiamo altrove col nostro pensiero che non dimentica; portiamo altrove il nostro cuore, le nostre angosce segrete, le nostre speranze superbe, e inchiniamoci sulla pietra che, nella desolazione dell'Altipiano di Trieste, segnò il luogo dove Filippo Corridoni cadde in un tumulto e in una rievocazione di vittoria. (Benito Mussolini)
  • È un'infame invenzione di Mussolini, Corridoni non sarebbe mai stato fascista. Era troppo onesto, coraggioso, leale, per mettersi al servizio degli agrari! (Giuseppe Di Vittorio)
  • Egli patì fame, freddo, dileggi, vituperi, mortificazioni senza mostrare ad alcuno i suoi patimenti. Fece nella sua breve esistenza di profugo tutti i mestieri, dal manovale di muratore al venditore di castagne. Visse sempre di poco pane e di molta fede; le sue idee gli procurarono prigione e povertà, ma chi lo conobbe non poté che amarlo. Ebbe degli avversari, ma non nemici. (Cesare Rossi)
  • Il capolavoro mussoliniano in questa materia è stato però l'usurpazione dei cadaveri e la profanazione dei sepolcri. Non c'è chi possa dimenticare lo sfruttamento macabro di Corridoni, consumato dal fascismo. (Alceste De Ambris)
  • I precursori e gli iniziatori del fascismo sono quelli stessi, repubblicani e sindacalisti, che avevano per primi sollevato il popolo contro il socialismo deprimente e rinnegatore ed avevano voluto ed attuato, con Filippo Corridoni, gli scioperi generali del 1912 e del 1913. (Curzio Malaparte)

Note[modifica]

  1. Tullio Masotti, Corridoni, Casa editrice Carnaro, Milano, 1932, p. 180
  2. F. Corridoni, Sindacalismo e Repubblica, ora in a cura di Andrea Benzi, op. cit., p. 197
  3. Filippo Corridoni, Sindacalismo e Repubblica, Milano, 1915, (prima ed. Parma, 1921) ora in Andrea Benzi, a cura di, Filippo Corridoni, Come per andare più avanti ancora. Scritti politici e sindacali, SEB, Milano, 2001, pp. 198
  4. F. Corridoni, Le rovine del neoimperialismo italico, ora in Scritti, a cura Andrea Benzi, op. cit., p.50
  5. Antonio Martino, Filippo Corridoni, cento anni dopo, su L'intellettuale dissidente, 9 aprile 2015. URL consultato il 18 aprile 2019.
  6. Massimo Visconti, Filippo Corridoni: a cento anni dalla morte il suo pensiero è sempre attuale (parte 1), su L'ultima ribattuta, 22 ottobre 2015. URL consultato il 18 aprile 2019.
  7. Tullio Masotti, Corridoni, Casa editrice Carnaro, Milano, 1932, p. 64:
  8. Ilario Fermi, Corridoni, ne La Tribuna illustrata, Anno XI, 28 maggio 1933, p. 15
  9. In Tullio Masotti, Corridoni, Casa editrice Carnaro, Milano, 1932, p. 110
  10. F. Corridoni, Le rovine del neoimperialismo italico, ora in Scritti, a cura Andrea Benzi, op. cit., p.46.
  11. Tullio Masotti, Corridoni, Casa editrice Carnaro, Milano, 1932, p. 143
  12. Corriere della Sera e Il Secolo, 11 giugno 1914, ora in L. Salsiccia, op. cit., p. 107-108.
  13. Tullio Masotti, Corridoni, Casa editrice Carnaro, Milano, 1932, pp. 51-52:
  14. Filippo Corridoni, Come per andare più avanti ancora. Scritti politici e sindacali. A cura di Andrea Benzi, Seb, 2001.
  15. F. Corridoni, A lumi Spenti, in L’Avanguardia, 1 novembre 1913, ora in L. Salsiccia, op. cit., p. 88
  16. F. Corridoni, Verità necessarie, in L’internazionale del 6 aprile 1912, ora in L. Salsiccia, op. cit., p. 38
  17. F. Corridoni, L’internazionale, dicembre 1912, ora in L. Salsiccia, op. cit., p. 43
  18. Tullio Masotti, Corridoni, Casa editrice Carnaro, Milano, 1932, pp. 87-89

Bibliografia[modifica]

  • Tullio Masotti, Corridoni, Casa editrice Carnaro, Milano, 1932
  • Curzio Malaparte, Alceste De Ambris, Tullio Masotti, V. Rastelli, Filippo Corridoni. L'"Arcangelo Sindacalista", ed. Settimo Sigillo, 1988.
  • Filippo Corridoni, Come per andare più avanti ancora. Scritti politici e sindacali. A cura di Andrea Benzi, Seb, 2001.

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