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Gilberto Oneto

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Gilberto Oneto (1946 – 2015), architetto, giornalista e scrittore italiano.

Citazioni di Gilberto Oneto

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Citazioni in ordine temporale.

  • L'identità italiana è una invenzione letteraria senza alcuna radice nella storia e nei fatti: è stata costruita dopo l'unità per trovare una giustificazione "morale" a un processo politico attuato con la forza e in spregio a ogni forma di legalità, ma anche contro la volontà popolare. È giusto per chi voglia davvero cambiare radicalmente le cose smascherare l'inconsistenza e la falsità degli idoli sostituendoli con riferimenti più sicuri e concreti. [...] Il Risorgimento ha riempito le nostre città di dediche a gente non sempre commendevole, la cui pochezza contrasta con un passato storico straordinario che è spesso invece dimenticato. In provincia di Varese è stata eretta la prima statua a Garibaldi, a Luino, quando il biondo eroe era ancora vivo e vegeto: sarebbe significativo che da qui partisse la "pulizia" del paesaggio civile. [«Sta dicendo che è giusto abbattere, ho capito bene?»] Non serve abbattere le statue, soprattutto se hanno qualche valore artistico: si possono spostare, ritirare in qualche museo magari evidenziandone con chiarezza i significati e le ambiguità.[1]
  • [«Si dice che l'unità d'Italia fosse voluta dagli interessi economici degli Stati stranieri»] Francesi e inglesi dovevano controllare il Mediterraneo in vista dell'apertura del canale di Suez. La Francia mirava a estromettere l'Austria e diventare il tutore del nuovo Stato o di una confederazione di Stati: il modello era quello del primo Napoleone. Gli Stati Uniti cercavano di inserirsi nel nuovo mercato mediterraneo. A prevalere sono però stati gli inglesi che, cinquant'anni dopo avere liquidato Genova, Venezia e Ragusa, hanno annientato anche la concorrenza marittima di Napoli, assicurandosi anche il controllo dello zolfo siciliano, una sorta di protettorato sull'economia italiana e la fedeltà politica dei Savoia, fatto valere nel 1915 e nel 1943. Sono stati gli inglesi a dirigere Garibaldi nel 1860, a finanziarlo e proteggerlo.[1]
  • La prima guerra mondiale è servita per salvare l'unità dello Stato [italiano]. Ma a che prezzo? Un numero drammatico di morti, feriti e lo sterminio di un'intera generazione. L'Italia ha esasperato le proprie tensioni sociali interne, attentando al libero mercato e condannandosi a un'economia fortemente condizionata allo Stato, preparando la strada al fascismo e a un'altra guerra. Mi rendo conto che la mia è un'analisi politicamente scorretta tuttavia la storia va raccontata e studiata recuperando tutti gli avvenimenti accaduti, analizzandone le date e i dati. La storia d'Italia gronda di plebisciti raggiunti con maggioranze bulgare e con furbizie di infimo livello.[2]

Da la Padania; citato in Gian Antonio Stella, Corriere della Sera, 28 agosto 1997, pp. 1-11.

  • Noi siamo la Chiesa cattolica padana. Roma non ci piace, Roma è la prigione del cristianesimo, vi sono accumulate tutte le putrescenze della storia, non è posto per attività spirituale.
  • [Il cristianesimo] si celtizzò [...] è diventato trinitario, ha fatto suo il culto della Vergine, ha riproposto con i santi antiche devozioni per tutte le divinità sacrali collaterali.
  • Albino Luciani, che ha pagato con la vita la sua voglia di pulizia.
  • [...] profondo monoteismo di fondo [dei celti].

Dall'intervista di Elisabetta Reguitti a il Fatto Quotidiano, 22 giugno 2011; citato in ilfattoquotidiano.it.

  • [«[...] lei ha confermato che tra Lega Nord e Berlusconi esiste un patto firmato da un notaio in virtù del quale i dirigenti del Carroccio non potranno mai ribellarsi al Cavaliere»] Un fatto risaputo da tutti nel partito e scritto anche in diversi libri [il primo fu Leonardo Facco nel suo Umberto Magno, ndr]. Quel patto esiste. Un accordo tra due persone [...], che quindi non ha la valenza legale ma poco importa. Quel pezzo di carta per Bossi è un patto d'onore che verrà rispettato fino alla morte. [«Quanto è costato l'accordo?»] A Berlusconi, sembrerebbe, i soldi per saldare i debiti della Lega e per cancellare centinaia di querele che pendevano sul quotidiano di via Bellerio [che al tempo titolava: "Berlusconi, sei un mafioso? Rispondi", mettendo in prima pagina le foto di Riina, Brusca, Bagarella, Berlusconi e Dell'Utri, ndr]. A Bossi costa accettare e farsi andare bene le scelte più immonde.
  • [Su Roberto Maroni] [...] non sarà mai un leader semplicemente perché non ne ha le caratteristiche.
  • Il futuro è nelle Leghe quelle che, però, a Roma non ci vanno. Parlo di identità autonome siano esse liberali, ma anche cattoliche. [...] Io penso che l'autonomia farebbe bene a tutti. E guardi che in fondo i militanti della Lega sono arrabbiati perché chi è andato a Roma si è dimenticato quello che sta scritto nello statuto della Lega. [«Cioè?»] L'indipendenza della Padania. [«Secessione?»] No, quello è uno strumento e non il fine. Io parlo di autodeterminazione che, come diceva Gianfranco Miglio, significa libera scelta di stare con chi si vuole e con chi ci vuole. Quello è l'unico vero obiettivo.

Intervista di Nicolò Dal Grande, domus-europa.eu, 1º ottobre 2015.

  • [Sulla guerra di secessione americana] Quella di secessione è stata la prima guerra "moderna" in senso deteriore: si è preteso allora (e dopo) che fosse uno scontro fra il bene e il male, che tutti i "buoni" stessero da una parte e i "cattivi" dall'altra. Alla guerra è stata attribuita una connotazione "morale", di liberazione degli oppressi, esattamente come per tutto il Novecento si sono giustificate guerre con la scusa dell’imposizione di libertà, democrazia, e diritti civili, collocando tutti i "cattivi" — da Guglielmo I fino a Saddam Hussein — dalla parte da sbaragliare. In realtà le motivazioni della guerra americana sono ben altre: 1) c'era uno scontro fra due concezioni economiche, quella industrialista e protezionista del Nord e quella agraria e liberoscambista del Sud; 2) c'era lo scontro fra due concezioni politiche, quella accentratrice del Nord e quella conferderalista del Sud che attribuiva agli individui e agli Stati in cui si erano liberamente associati ogni capacità di scelta politica (compresa quella sullo schiavismo); 3) c'era infine uno scontro — non meno importante — fra due mentalità, quella puritana, integralista e cupa del Nord e quella più aperta, liberale e rilassata del Sud. [...] L'inserimento della questione abolizionista è stata una cinica trovata di Lincoln per risolvere una situazione politica e militare piuttosto critica. Prima della guerra Lincoln non era mai stato un convinto abolizionista, era anzi piuttosto indifferente alla vicenda. Il suo scopo era la difesa a oltranza dell'unità e il rafforzamento del potere federale a danno di quello degli Stati. [...] La trasformazione di una brutale guerra di difesa di interessi specifici e concreti in una crociata per la liberazione dei negri è il vero capolavoro del signor Lincoln e del potente macchinario mediatico che da allora ha sostenuto — e fatto passare — questa panzana "politicamente corretta".
  • La vicenda degli afro-americani durante e dopo la guerra si è sviluppata in sintonia con l'ipocrisia dei vincitori. A Nord i progrom razzisti sono stati parecchio numerosi; nel Sud non c'è stata durante la guerra una sola rivolta di schiavi. A Nord i negri erano inquadrati in reparti a sé comandati da ufficiali bianchi; a Sud i numerosissimi soldati di colore combattevano a fianco dei bianchi. Il razzismo "ufficiale" sudista non trovava conferma nel comportamento della gente: è interessante ricordare che l'ultimo reparto sudista ad arrendersi — due mesi dopo Lee — era stata la brigata di cavalleria Cherockee di Stand Watie. Serve anche ricordare che tutte le sanguinose repressioni contro i pellerossa dei decenni successivi sono state opera di nordisti, quasi sempre reduci dalla guerra di secessione. Dopo la guerra i negri hanno ottenuto la formale liberazione (che avrebbero comunque ottenuto anche dai confederati) ma non hanno acquisito reale uguaglianza di diritti civili per un altro secolo. Strano dettaglio per un paese che aveva combattuto una guerra sanguinaria proprio per la loro emancipazione!
  • La guerra americana somiglia molto al processo risorgimentale che si stava concludendo quando in America si sparavano prime cannonate. In entrambi i casi si tratta di uno scontro impari fra la peggiore modernità e la Tradizione, fra le idee di unità e di libertà, fra il centralismo e le autonomie (in Italia rappresentate da indipendenze vecchie di secoli). È perciò piuttosto coerente che il neonato Regno d'Italia sia stato dalla parte dell'Unione e che lo Stato della Chiesa (solo Stato preunitario sopravissuto) sia invece stato uno dei pochi amici internazionali della Confederazione. A ulteriore suggello simbolico c'è la strampalata vicenda dell'offerta a Garibaldi di un comando unionista, che si è trasformata in una ridicola commedia di equivoci e ipocrisie [...]. Per contro — a sottolineare il parallelismo fra le due vicende storiche — un consistente numero di soldati napoletani, finiti prigionieri dei garibaldini, era stato mandato da Garibaldi a combattere a fianco dei sudisti con un altro dei suoi straordinari gesti di coerenza. Qualche italiano era partito per arruolarsi con i nordisti e pochissimi anche con i sudisti, nonostante il rigido blocco navale. Diversa è la situazione degli italiani e degli italo-americani residenti oltre oceano allo scoppio della guerra [...]. Non si hanno dati precisi sulla loro partecipazione ma dalle informazioni raccolte sono stati di più (sia in numeri assoluti che — soprattutto in percentuale) quelli che hanno combattuto in uniforme grigia, con percentuali superiori a quelle de molti altri gruppi etnici. Si trattava in maggioranza di piemontesi, lombardi e — principalmente — liguri residenti per la più parte in Louisiana. In molti si sono comportati piuttosto bene. Basterà citarne un paio che hanno notevole rilevanza simbolica: Giovanni Battista Garibaldi ha combattuto con il leggendario generale "Stonewall" Jackson nel 27º Virginia e ha avuto l'onore di essere sepolto vicino al generale Lee: un Garibaldi che la guerra l'ha fatta per davvero. Un altro cognome altisonante e imbarazzante per l'ortodossia risorgimentalista è quello di Giuseppe Bixio, fratello del ben più noto Nino, e a lui opposto per scelta di vita (era un padre gesuita) e di campo. È stato dalla parte dei sudisti come prima aveva aiutato gli indiani nella loro resistenza al genocidio. La sua è stata una storia di stravaganze, temerarietà, coraggio e dedizione alla Fede. Insomma in questa grande battaglia fra chi voleva l'unità e chi la libertà, dalla parte di Dixie c'erano anche un Garibaldi e un Bixio: sicuramente "buoni" per gli sconfitti ma quantomeno imbarazzanti per i vincitori sia nel vecchio che nel nuovo continente.

Note

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  1. a b Dall'intervista di Marco Tavazzi a La Provincia di Varese, 2009; citato in La battaglia autonomista e antirisorgimentale di Gilberto Oneto, varesepolis.it, 20 novembre 2015.
  2. Dall'intervista di Elisabetta Reguitti, 24 maggio, Gilberto Oneto: "La storia non ha insegnato nulla a un'Italia che decide ancora senza il consenso del popolo", ilfattoquotidiano.it, 24 maggio 2015.

Voci correlate

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