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Hugo Riemann

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Hugo Riemann (1889)

Karl Wilhelm Julius Hugo Riemann (1849 – 1919), musicologo, critico musicale e insegnante tedesco.

Storia universale della musica

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  • [...] mentre la musica degli Egizi e degli Ebrei si poneva a servizio della religione per abbellire il culto ed elevare i cuori, mentre la musica dei popoli dell'Asia minore serviva ad accrescere lo sfarzo e il lusso delle corti principesche e veniva eseguita da musici pagati, presso i Greci invece la musica si elevò per la prima volta alla dignità di arte libera, e la coscienza nazionale la ammise a far parte del più prezioso patrimonio ideale della nazione. (Libro I, cap. II, p. 20)
  • I Greci ponevano al disopra di tutto la musica vocale. I loro poemi epici (Iliade, Odissea) e le loro leggende degli Dei venivano cantati o almeno recitati musicalmente da rapsodi con accompagnamento d'istrumenti, ovvero con preludi, interludi e postludi istrumentali; le odi di un Pindaro, di un Anacreonte, di una Saffo venivano cantate, e la tragedia dell'epoca aurea della Grecia (Eschilo, Sofocle, Euripide) era una associazione di poesia, mimica e musica, affine al moderno dramma musicale. (Libro I, cap. II, p. 21)
  • Il medio evo della storia degli strumenti musicali va dalla decadenza dell'antica musica istrumentale artistica fino all'epoca dell'origine della musica istrumentale artistica moderna; in altre parole, esso comprende il periodo dell'origine e dello sviluppo degli strumenti ad arco ed a tastiera. La nuova epoca incomincia a un dipresso nel momento storico, in cui viene inventata la costruzione degli odierni strumenti ad arco, e in cui il cembalo e l'organo hanno raggiunto un grado tale di sviluppo, da essere atti a rappresentare una parte importante nella vita musicale. (Libro I, cap. III, p. 27)
  • I vantaggi del clavicembalo sul clavicordo erano un suono più forte e la possibilità di tenere e di prolungare qualsivoglia nota, per quanto lo permetteva il suono acuto e di breve durata dello strumento; per contro il clavicordo con traversine costringeva spesso ad abbandonare un tasto prima di percuoterne un altro, quando ambedue corrispondevano alla stessa corda. Ma sul clavicordo era possibile un'esecuzione più espressiva; uno speciale effetto di questo strumento era il vibrato un molle ondeggiamento del suono, che si otteneva facendo oscillare il dito sul tasto [...]. (Libro I, cap. III, p. 33)
  • Il fatto che la scrittura coi neumi era chiamata «Nota Romana», cioè «notazione romana», non fornisce alcuna prova dell'origine di essa, e tutto al più dimostra che Roma fu il centro di diffusione di questa sorta di notazione nell'Occidente. (Libro II, cap. VI, p. 121)
  • Disgraziatamente non siamo più in grado di decifrare con sicurezza assoluta il significato musicale dei neumi. L'unica cosa che si sappia con certezza è che il salire e il discendere dell'altezza dei suoni era reso direttamente visibile dai segni; ed è a questa sua prerogativa che tale scrittura musicale va debitrice di avere acquistato, in forma più perfetta, un'importanza duratura, e di essere divenuta un componente essenziale della nostra notazione attuale. (Libro II, cap. VI, p. 122)
  • I neumi in generale dovevano certo indicare con esattezza gli intervalli del movimento ascendente e discendente, ma la conoscenza del loro preciso significato andò perduta assai presto. Già Hucbald (secolo X) lamenta che i neumi siano solo una guida malsicura e costituiscano piuttosto un sussidio mnemonico (rememorationis subsidium) che una vera notazione musicale; e Giovanni Cotto (vissuto dal X all'XI secolo) dice senz'altro che fra i neumi anteriori a Guido d'Arezzo la Virgula, il Podatus e la Clinis non esprimevano in modo preciso alcun intervallo ascendente o discendente. Non v'è dunque da meravigliarsi che si siano fatti alcuni tentativi per trovare un modo più preciso di notazione. (Libro II, cap. VI, p. 123)
  • Finora non si sono rinvenute notazioni di musica egiziana antica, cosicché dobbiamo limitarci a trarre conclusioni dalle figure di quei tempi e dalle notizie date in proposito dagli scrittori greci, notizie che naturalmente datano da epoche posteriori. A quanto sembra, la musica serviva allora sopratutto per dare maggiore solennità al culto: le processioni solenni lungo i viali delle sfingi e delle statue di Osiride, fino al «Sancta Sanctorum» del tempio, erano precedute da cantori e suonatori; nelle esequie solenni, i cantori enumeravano le gesta ed i meriti del defunto, con accompagnamento di musica e di danze pantomimiche: la musica infine serviva pure ad accrescere la pompa delle processioni guerresche, delle feste d'incoronazione, dei conviti. La musica si trova però sempre associata alla poesia ed alla danza, e, a quanto sembra, la supposizione, che questi popoli abbiano avuto una musica istrumentale indipendente, non ha alcun fondamento. (Libro III, cap. VIII, pp. 188-189)
  • Presso gli Assiri ed i Babilonesi la musica, a quanto pare, era più che altro un articolo di lusso nei banchetti e nelle feste ed aveva un carattere più sensuale, per cui era tenuta in minor considerazione, e non era occupazione da sacerdoti o da re, ma solo da schiavi salariati. (Libro III, cap. VIII, p. 189)
  • La musica più recente dei Chinesi, quando è eseguita da un insieme di strumenti, appare agli Occidentali confusa e senza senso. Il canto isolato non manca di grazia melodica e di razionalità ritmica, ma spesso è barocco e fuor di carattere. (Libro III, cap. VIII, p. 189)
  • La musica indiana in confronto della chinese appare più spontanea, e ispirata da un sentimento più caldo e passionale. L'associazione della musica colla danza esercita un'influenza benefica sullo sviluppo della ritmica. Ma neppure riguardo agli Indiani si ha notizia dell'esistenza di una musica istrumentale indipendente; qui, come presso tutti gli altri popoli civili dell'antichità, e presso i popoli selvaggi attuali, vediamo ripetersi lo stesso fenomeno della costante associazione delle tre arti del ritmo, in quest'ordine: danza, musica, poesia. (Libro III, cap. VIII, p. 190)
  • A Sant'Ambrogio [...] è toccata la stessa sorte di molte altre personalità eminenti della storia della musica: i posteri gli hanno attribuito meriti sopra meriti, ed invenzioni sopra invenzioni, che ora la critica storica è costretta a negargli. (Libro III, cap. IX, pp. 202-203)
  • La caratteristica del canto gregoriano, o meglio del canto della Chiesa cristiana occidentale, riveduto da Gregorio, caratteristica che senza dubbio s'incontrava già nel canto ambrosiano, sta in questo, che esso non è composto sopra versi regolari (tranne pochi inni più antichi di metrica ancora corretta), non ha dunque per base metri poetici, ma bensì una vera prosa (sia pure piena di slancio poetico e di pensieri ispirati), oppure quei versi latini propri del medio evo, che si scandevano non secondo i principii della metrica antica, bensì alla moderna, distinguendo sillabe forti e sillabe deboli. (Libro III, cap. IX, p. 209)
  • Monteverdi elevò la potenzialità d'espressione del recitativo, e diede inoltre un più ampio sviluppo alla melodica dei passi «ariosi»; ma la sua più importante innovazione fu la maggiore e caratteristica partecipazione degli strumenti all'azione. Nel «Tancredi e Clorinda» egli, per caratterizzare una situazione, impiega con eccellente effetto il tremolo degli strumenti ad arco, messo in uso per la prima volta da Biagio Marini[1] nel 1617; nell'«Orfeo» egli accompagna il canto di Plutone con tromboni, il coro degli spiriti con «organi di legno» (positivi) e i lamenti di Orfeo con viole-bassi. (Libro III, cap. XII, p. 269)
  • [...] Mozart è una delle nature musicali più eminenti che siano mai esistite. Se vi era un maestro, per il quale la creazione musicale fosse veramente un bisogno del cuore, era lui; egli componeva perché non poteva fare a meno di comporre, e come l'anima gli dettava. La schietta naturalezza, la spontaneità dell'invenzione, in cui non v'ha ombra di riflessione, sono per lo meno altrettanto caratteristiche per lui che per Haydn, al disopra del quale però egli si eleva per la maggiore nobiltà del sentimento e per la più raffinata educazione psichica. (Libro III, cap. XIII, p. 360)
  • La virtuosità nell'illustrare il significato delle parole, acquistata dalla musica nella sua unione colla parola del poeta, dapprima nell'opera e poi nella canzone, condusse a poco a poco i musicisti a perfezionare ed estendere questa facoltà rappresentativa della musica, e da ultimo a cercare di produrre effetti analoghi, cioè di caratterizzare nettamente situazioni, ecc., anche senza il sussidio della parola (Berlioz, Liszt). Per tal modo la musica è divenuta effettivamente un'arte obbiettivante, di assolutamente soggettiva ch'ella era; ed è discutibile se ciò sia un bene. Infatti, mentre la musica assoluta, cioè puramente soggettiva, anche quella di Beethoven, ci costringe a provare gli stessi sentimenti del compositore, la musica a programma vuole che noi comprendiamo anzitutto ciò che il compositore cerca di rappresentare, e l'identificazione dei nostri sentimenti con quelli dell'eroe rappresentato non è per essa che una questione secondaria; quindi non si ha più effetto immediato. (Libro III, cap. XIV, p. 378)
  • [...] il più importante fra i compositori degli ultimi decenni del secolo XIX è Johannes Brahms, tanto nel campo della musica strumentale, quanto in quello della musica vocale. Il pregio delle sue sinfonie e delle sue composizioni di musica da camera è universalmente riconosciuto e lo rende degno di stare accanto ai tre grandi maestri viennesi: Haydn, Mozart e Beethoven. (Libro III, cap. XIV, p. 395)
  • Anton Bruckner [...] fu un continuatore di Liszt (almeno nel campo della musica sacra) e di Wagner ad un tempo; egli tentò di trasportare nel campo puramente strumentale la strumentazione e lo stile di Wagner. (Libro III, cap. XIV, p. 395)

Note

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  1. Biagio Marini (1594-1663), violinista e compositore italiano.

Bibliografia

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