Incidente del K-141 Kursk
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Citazioni sull'incidente del K-141 Kursk.
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[modifica]- Fin dagli esordi del suo primo mandato, Putin comprese che era fondamentale controllare il Quarto potere per riuscire a controllare gli altri tre. Questa lezione fu appresa quando, nell'agosto del 2000, il pasticciato salvataggio dell'equipaggio del sottomarino nucleare Kursk, affondato a causa di un'esplosione durante un'esercitazione nel mare di Barents, scatenò le proteste dell'opinione pubblica. Invece di strigliare i vertici militari o fare pulizia nella nostra pachidermica burocrazia, Putin se la prese con la stampa indipendente. (Garri Kasparov)
- I media russi, in particolare la televisione di Boris Berezovskij, criticarono duramente l'intervento del governo, giudicandolo spietato oltre che inadeguato, il che corrispondeva a verità. Le immagini dei familiari in lutto che inveivano contro Putin e gli altri insensibili funzionari fecero capire a Putin quanto potessero essere pericolosi i mezzi d'informazione per la sua popolarità, ancora tutta da costruire. Manifestando istinti totalitari ben più radicati dell'amore per le riforme, Putin perseguitò le testate che avevano seguito la notizia invece di riorganizzare l'apparato militare che aveva causato quel disastro e pasticciato i soccorsi o di punire pubblicamente gli ufficiali incompetenti. (Garri Kasparov)
- In altre sciagure Putin sarà al suo posto, ma in questo caso è costretto a difendersi e lo fa dicendo che la sua presenza non sarebbe stata d'aiuto. Ha ragione, ma un presidente a volte deve esserci perché deve esserci. (Demetrio Volcic)
- In una normale cancelleria della presidenza di uno Stato, il minuto dopo l'arrivo della notizia sarebbero cominciati i preparativi per la visita di cordoglio del presidente. Il giorno stesso dell'incidente, Putin parte per una vacanza a Soči. Dirà poi di essere stato informato della tragedia soltanto il giorno dopo. Facile immaginare l'impatto emotivo provocato dalle immagini trasmesse dalla televisione russa: da una parte la comunità internazionale che si mobilita nel tentativo di salvare ventitré uomini, dall'altra la famiglia presidenziale che a Soči si diverte con lo sci acquatico. (Demetrio Volcic)
- Khattab che è uno degli altri capi della resistenza cecena avrebbe dichiarato in interviste che in realtà l’incidente del sottomarino di Kursk che noi abbiamo visto in televisione sarebbe stato causato da appunto dei kamikaze daghestani ceceni proprio come provocazione. Infatti, l’esplosione sarebbe capitata nel primo scompartimento del sottomarino dove erano questi tre kamikaze che avrebbero poi innescato l’esplosione interna per quanto riguarda il motore nucleare con cui funziona ovviamente il sottomarino. [...] Sembra strano come la dichiarazione di Khattab sia stata mandata nelle stampe internazionali. Io ho chiesto verifica e mi hanno detto che se Khattab ha fatto una dichiarazione del genere questo significa che l’ipotesi è credibilissima, anche in quanto Khattab nella sua tradizione ha il credito appunto di essere una persona che non dichiarare il falso così in maniera gratuita. (Antonio Russo)
- Quando Boris venne a sapere del Kursk, era in Francia, nella sua residenza di Cap d'Antibes. Cominciò subito a telefonare a Putin, ma riuscì a raggiungerlo solo il 16 agosto, il quinto giorno dello sviluppo della tragedia.
«Volodja, perché sei a Soči? Dovresti interrompere le tue vacanze e andare alla base dei sommergibili o almeno a Mosca. Tu non capisci come vanno le cose e questo ti danneggerà.»
«E tu, perché sei in Francia? Te la sei meritata la vacanza o no?» Putin era sarcastico.
«Prima di tutto, non sono il padre della nazione e a nessuno importa niente di dove sia. Secondo, in mattinata volo a Mosca.»
«Bene, Boris, grazie per il consiglio.»
Quando il 17 Boris atterrò a Mosca, Putin era ancora in vacanza. (Aleksandr Goldfarb) - Tutto ciò che riguarda la perdita del Kursk nel 2000 prefigura l'invasione dell'Ucraina del 2022: la mancanza di interesse del Cremlino per il proprio popolo, l'equipaggiamento scadente e obsoleto, il disprezzo per un attento scrutinio, il silenziamento delle opinioni oneste. La lezione che Putin imparò dal naufragio del Kursk è interamente di stampo fascista. Aveva ricevuto numerose critiche dai media russi liberi e indipendenti per la sua risposta lenta e spietata. La soluzione fu silenziarli. (John Sweeney)
- Una volta, per il quindicesimo anniversario del Kursk (che «è affondato»), ho scritto che, grazie al cielo, era una fortuna che fosse andata così: perlomeno un lanciamissili da crociera sottomarino a propulsione nucleare, come minimo, non avrebbe preso parte all'omicidio di ucraini. Santo Dio, cosa si è scatenato all'epoca nel campo liberale russo...
Come osavo insultare la memoria di quegli innocenti marinai russi, dei nostri ragazzi prematuramente scomparsi, che non avevano la minima colpa?
Be', a sentire loro, nessuno ha mai colpa di nulla.
Un membro dell'equipaggio di un sottomarino nucleare di una dittatura schizzata, pronto a premere un pulsante e a distruggere Seattle?
Non è mica colpa tua, ragazzo! Vieni qui che ti bacio il culo. (Arkadij Babčenko)
- Come confermano gli orgogliosi rifiuti degli aiuti offerti, solo smentiti in ritardo da Putin dopo il colloquio telefonico con Clinton – in mezzo allo sfacelo, forse proprio perché lo sfacelo è evidente e doloroso, spunta la pianta della rivincita, della speranza indomabile di una rinascita autarchica, estranea e ostile ai valori esterni. Così la tragedia di quelle centosedici gioviani vite diventa motivo di dolore e recriminazione. Il riscatto e la salvezza, se verranno, debbono essere russi. Anche questo è segno di malattia e di tormento.
- [Su Vladimir Putin] Il disastro del Kursk gli ha fatto compiere tre errori che potrebbero essergli fatali. Il primo errore è stato di non interrompere la sua vacanza. Un autogol d'immagine che gli costerà caro in patria, ma soprattutto all'estero. Non si resta sul Mar Nero, anche se si ha il telefono in mano 24 ore su 24, mentre 116 uomini del tuo esercito stanno morendo sul fondo del mare. Un tale comportamento potrebbe apparire sbalorditivo se non sapessimo quale abissale distanza continua a rimanere tra chi siede al Cremlino e i cittadini della Russia. [...] Il suo secondo errore è stato più grave del primo: fidarsi dei militari. [...] Purtroppo l'80 per cento dei marescialli, dei generali, degli ammiragli russi è ormai composto da burocrati corrotti nominati da Boris Eltsin e a lui fedeli. Come aspettarsi onestà e competenza da «quadri» di questa tempra? [...] Il terzo errore potrebbe rivelarsi fatale. Vladimir Putin è oggi sotto il fuoco concentrico di tutta la stampa russa. Le critiche che gli muove il mondo intero, insensibilità, disprezzo per la vita umana, superbia del potere e via di questo passo, rimbalzano sui media russi con addirittura maggiore ferocia. Situazione apparentemente sana – direbbero gli entusiasti che, negli anni scorsi, scambiavano per libertà di stampa le campagne propagandistiche del Cremlino eltsiniano. Da paese libero e moderno. Se non fosse che tutti i media sono in mano ad un gruppetto ristrittissimo di oligarchi, che fanno parte di quel vasto ceto di Quisling russi cui Vladimir Putin avrebbe dovuto garantire, appunto, l'«uscita di sicurezza».
- Il Kursk è solo il sintomo finale di un terribile errore politico. E il problema che evidenzia non è risolvibile con le sole forze di questo gigante malato. Proprio come Cernobyl.
- Una Cernobyl subacquea in tutti i sensi. [...] Sono passati gli anni, i leader, i regimi, e di nuovo l'informazione giunge con analogo ritardo, di nuovo la dittatura del segreto, la stupidità dei burocrati (in questo caso militari) ingigantiscono la tragedia, moltiplicando il disastro.
- Di tutte le tragiche storie che ho dovuto raccontare e che il popolo russo ha dovuto sopportare, il disastro del Kursk è stata forse la più terribile. [...] La storia del Kursk è stata in seguito interpretata come la facile metafora della condizione post-sovietica. La sua costruzione cominciò nel 1991 contemporaneamente all'inizio del collasso dell'Unione Sovietica; venne armato nel 1994, il momento più tragico della storia militare russa, ma anche il periodo in cui le ambizioni di superpotenza del paese, messe da parte mentre l'impero veniva smantellato, cominciavano a riaffermarsi. Il sottomarino nucleare era enorme, proprio come erano state una volta quelle ambizioni – e come sarebbero state di nuovo, con Putin al potere che prometteva di ficcare il nemico nel cesso. Il Kursk, che dopo il varo non fu quasi mai sottoposto a manutenzione, venne inviato in missione per la prima volta nell'estate del 1999, quando Putin andò al potere, e avrebbe dovuto affrontare la prima esercitazione significativa nell'agosto del 2000.
- Il sottomarino prese il mare con un equipaggio senza esperienza e che non era stato addestrato, messo insieme convocando uomini da navi diverse, che non avevano esperienza di squadra. Il sottomarino era armato con torpedini da esercitazione, alcune delle quali avevano passato la data di scadenza funzionale, e le altre non erano state sottoposte alle verifiche di prassi. Alcune torpedini avevano macchie di ruggine, altre avevano anelli connettori in gomma che erano stati usati più di una volta, in violazione delle norme di sicurezza. «La morte è a bordo con noi», aveva detto un membro dell'equipaggio alla madre sei giorni prima dell'incidente, riferendosi alle torpedini.
- Per dieci giorni il paese rimase incollato ai televisori in attesa dal Kursk. O dal nuovo presidente, quello che aveva promesso che avrebbe ricostruito la potenza militare russa. All'inizio non disse nulla. Poi, sempre in vacanza, fece un commento vago lasciando intendere che riteneva più importante recuperare la strumentazione a bordo del Kursk che salvare l'equipaggio. Il settimo giorno finalmente si decise a prendere un aereo per Mosca – e venne immediatamente bloccato da una troupe televisiva a Jalta, sul mar Nero. «Ho fatto la cosa giusta», disse Putin, «perché l'arrivo di persone non qualificate e la presenza di autorità nella zona del disastro non sarebbe stata di alcun aiuto e avrebbe interferito con il lavoro. Ognuno deve stare al suo posto».
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- Cosa vi posso dire? Non ci sono parole che bastino. Viene voglia di urlare. Ieri uno dei parenti ha detto: "Sappiamo che lei è in carica da poco, ma ora ha questa croce e la deve portare". Ha ragione. Occupo l'ufficio al Cremlino da poco più di 100 giorni, ma provo tutto il senso di responsabilità e di colpa per questa tragedia.
- Hanno ragione coloro che dicono che nelle prime file dei difensori dei marinai si sono trovati proprio quelli che per lungo tempo hanno contribuito allo sfacelo dell'esercito, della flotta e dello Stato. Alcuni di loro hanno perfino raccolto un milione. Come si suol dire, un filo da tutti e il nudo si fa la camicia. Avrebbero fatto meglio a vendere le loro volle sulla costa mediterranea della Francia o della Francia. Solo che gli tocherebbe spiegare perché sono state comprate con prestanomi. E noi gli avremmo chiesto dove hanno preso i soldi. Ma lasciamoli perdere. Dobbiamo pensare ai nostri marinai, alle famiglie, al futuro.
- Mi dispiace sentir dire che insieme al «Kursk» è affogato l'onore della marina, l'orgoglio della Russia. Il nostro Paese ha vissuto momenti peggiori degli ultimi anni, ma siamo sopravvissuti a tutto. La Russia ha semopre avuto un futuro. Il momento che viviamo oggi è molto difficile. Ma sono assolutamente convinto che eventi del genere non devono dividere, ma unire la società e il popolo.
- L'unica cosa che avrei potuto fare sarebbe stata sospendere tutti gli incontri in programma nel luogo in cui mi trovavo in vacanza e tornare a Mosca. Ma, lo ripeto, questo ha valenza a livello di immagine, perché dovunque io mi trovi, all'interno del paese come nel resto del mondo, ho a disposizione i mezzi per mantenermi sempre in contatto con i vertici militari. È stato un pretesto per attaccare la Russia, la mia presidenza e ciò è molto pericoloso in questo periodo. Per questa ragione, forse, sarebbe stato meglio recarsi sul posto, salire sul sottomarino di salvataggio e sorridere.
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- Mi giunse la notizia della catastrofe del Kursk una sera che mi trovavo a Venezia: ero seduta dalle parti di Rialto, sola, vicino al canale. Julja Berezovskaja mi chiamò al cellulare da Mosca e, singhiozzando, mi comunicò che in quello stesso istante molte persone stavano morendo soffocate sott'acqua, e che i militari e il presidente avevano, a tutti gli effetti, già rinunciato a salvarli. Mi allontanai istintivamente dalle onde nere del Canal Grande. Era impossibile guardarle senza provare terrore.
- [Vladimir Putin] si godeva i suoi spiedini in Soci, sulle rive del mar Nero, in compagnia della parte a lui leale del "pool del Cremlino". Oltre alla parte fissa del programma, vale a dire cibo per i giornalisti di fiducia, nella residenza presidenziale sul mare erano previsti anche altri divertimenti, come le gite in motoscafo, gli sci d'acqua e gli scooter. [...] Non c'è dunque da meravigliarsi se il presidente preferì non interrompere quella vacanza in ottima compagnia per salvare chi stava morendo dentro un sommergibile.
- Putin era furibondo perché la ORT (allora controllata ancora di Berezovskij) e altri canali televisivi, non ancora sotto il pieno controllo del Cremlino, avevano criticato l'inerzia di Putin al momento della tragedia del sottomarino Kursk. Ma questa offesa non era ovviamente che un pretesto meschino per iniziare una ridistribuzione generale delle televisioni, tesa a liquidare i canali non controllati dal Cremlino.
- Con la catastrofe del Kursk, la presidenza si è indebolita. Dovrà quindi farsi più prudente, cercare alleanze più che rese dei conti. E il primo segnale di questa necessità di cautela lo s'è già visto nei riguardi delle gerarchie militari: nella decisione, cioè, di non prendere alcuna misura nei confronti degli ammiragli e generali direttamente responsabili del ritardo nei soccorsi al sommergibile.
- Il peggio sta infatti nell'altra giustificazione fornita ieri ai russi : non essersi mosso "anche perchè" i comandi militari gli avevano prospettato da subito che le possibilità di salvare l'equipaggio del Kursk erano poco più di zero. Come a dire che, vista la quasi ineluttabilità del disastro, tanto valeva restare a prendere il sole sulla spiaggia della residenza presidenziale a Soci.
- Invece d'interpretare l'ondata d'emozione che aveva investito il paese, il presidente ha pensato - sbagliando malamente i calcoli - che potesse essere più utile per lui tenersi da parte. Invece di prendere subito le decisioni necessarie ai soccorsi dei marinai in pericolo di vita, anche a costo di dimostrare -ricorrendo all'aiuto straniero- lo stato disastroso delle Forze armate russe, ha perso tre giorni prima di ricorrere alla tecnologia della Nato: quel LR5 che mentre scriviamo viaggia verso il sottomarino schiantato sul fondo, ma ormai con scarse possibilità di riparare agli errori iniziali del Cremlino.
- La vicenda del Kursk ha bruscamente ridimensionato la figura di Putin. In pochi giorni, l'immagine di dinamismo ed efficienza, di prontezza nelle scelte e decisioni che egli era riuscito sinora a proiettare, è andata in fumo. La differenza di stile nei confronti della pachidermica lentezza e della sospettosità dei suoi predecessori, è risultata in gran parte illusoria. E adesso, agli occhi dei russi e dei non russi, Putin appare per quel che è realmente. Uno statista improvvisato, privo di vera esperienza politica.
- Quando nei giorni scorsi tutta la stampa russa rimproverava a Putin d'essere rimasto in vacanza nonostante l'agonia del Kursk, il "Moscow Times", quotidiano moscovita in lingua inglese, azzardò un paragone. Paragonò l'inabissamento del Kursk alla strage del Campo Khodynka nel giugno 1896. Su quello spiazzo alla periferia di San Pietroburgo, una grande folla stava festeggiando con le bande militari e un fiume di birra gratis l'incoronazione di Nicola II. A un tratto, per ragioni mai spiegate, sullo spiazzo si diffuse un moto di panico: la folla ondeggiò, poi tentò tutta insieme di fuggire, e fu la tragedia. Nella calca morirono infatti 1.400 persone. Nicola e la moglie Alessandra lo seppero subito: e tuttavia, poche ore dopo erano ad un ballo di gala dell'ambasciata francese.
- Sembrò infatti chiaro che al vertice del governo russo era asceso un uomo senza passato, e soprattutto privo di qualsiasi esperienza politica. Un funzionario dei servizi segreti scelto dalla Famiglia eltsiniana e dai suoi accoliti non in quanto portatore d'una visione e d'una capacità di governo, ma solo in quanto "uomo di fiducia" del gruppo che l'aveva innalzato al potere. A un anno di distanza, divenuto intanto presidente della Federazione russa, Vladimir Putin ha dimostrato d'essere meno peggio di quel che s'era creduto. Putin ha ripreso in mano le redini d'un paese che andava allo sbando, si sta provando a sciogliere uno dopo l'altro i nodi dell'"anormalità russa". E se ancora una settimana fa si fosse dovuto dare un giudizio su questo suo primo anno di governo, il giudizio non sarebbe stato (malgrado le ombre che continuano ad avvolgere il personaggio) negativo. Poi, improvvisamente, ecco il dramma del Kursk.
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- Sembra un film e invece è un dramma che si sta consumando in queste ore nelle gelide acque del Mare di Barents. Un incidente gravissimo, il più serio degli ultimi anni, e ancora avvolto nel più fitto mistero. [...] Cosa sia accaduto, di preciso non si sa. Dall'andamento dell'incidente si può solo dedurre, dicono gli esperti, che si è trattato di qualcosa di talmente improvviso che l'equipaggio non ha fatto in tempo nemmeno a segnalare l'emergenza al comando.
- Qualcuno spera che l'annuncio che tutto è finito sia un'altra bugia del comando: già venerdì circolavano voci che le autorità avrebbero dichiarato l'equipaggio morto sabato, giorno dell'arrivo dei soccorritori occidentali, per non farli avvicinare al sottomarino.
- Nessun soccorso sarebbe servito, dicono le immagini della devastazione arrivate ieri sui teleschermi russi. Centotrentacinque secondi tra la prima esplosione, qualla che ha fatto perdere la rotta al Kursk, e la seconda, che ha staccatto quasi di netto la prua: non sarebbero bastati per scappare, la metà dell'equipaggio è stata disintegrata in due minuti. I sopravvissuti sono invece morti di asfissia.
- Dopo l'esplosione che ha devastato la prua del vascello facendolo precipitare sul fondo, si è sviluppato un incendio che ha divorato l'aria respirabile ancora prima dell'acqua che stava invadendo lo scafo. Otto ore di agonia: è il massimo che gli esperti russi concedono a quelli dei 118 uomini del Kursk che non sono morti subito. Otto ore in cui l'equipaggio ha lottato.
- Gli uomini del Kursk venivano da quella Russia rurale dove mandare il figlio a fare il militare è ancora un sogno e non una maledizione. I loro sono funerali di campagna, dove la scorta d'onore mandata dal comando inciampa nel fango di strade che non hanno conosciuto l'asfalto e non riesce a marciare a passo d'oca in piccoli cimiteri in mezzo ai campi.
- Fu la prima grande tragedia del ventennio putiniano e conteneva già tutti i tratti distintivi che si sarebbero poi visti al teatro Dubrovka e a Beslan, nella guerra in Cecenia, in Georgia, in Ucraina e in Siria: negazione dei fatti e disinformazione, inefficienza di un sistema obsoleto e povero, unita all'ambizione di grandeur e alla paranoia verso il mondo esterno, e singolare disprezzo verso le vite dei comuni mortali.
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