Irene Brin

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Irene Brin nel 1945

Irene Brin, all'anagrafe Maria Vittoria Rossi (1911 – 1969), giornalista e scrittrice italiana.

Citazioni di Irene Brin[modifica]

  • [Su Fari nella nebbia] Il giovane regista Gianni Franciolini ha dedicato tutto il suo impegno alla realizzazione, aiutato anche da quattro attori estremamente popolari: questo spiegamento di forze ci sembra assolutamente giustificato, se non, forse, dal risultato almeno dall'assunto, e difatti la difficoltà di ricomporre con semplicità ed aderenza un'atmosfera tanto ruvida e popolare ci appare assolutamente eccezionale. [...] le leggi della letteratura e del cinema imponevano ai sette autori e a Franciolini di presentarci dei "carnera" e delle rimesse, dei lavandini sbrecciati, delle case modeste, dei parafanghi scrostati e delle spose innervosite, sfidando, anzi, ricercando, ogni pericolo di monotonia, che doveva valere a dar l'esatta sensazione di un'esistenza rischiosa ed apparentemente monotona.[1]

Citazioni su Irene Brin[modifica]

  • Irene Brin, una donna che con i suoi articoli ha fatto solo del bene alla moda italiana. (Elda Lanza)

Gaia de Beaumont[modifica]

  • Da quel giorno [dopo l'incontro con il giovane pittore Renzo Vespignani] Irene si manifestò non solo una brillante scrittrice ma anche una straordinaria donna d'affari. A guerra conclusa, ideò insieme al marito la galleria d'arte romana al 146 di Via Sistina, "L'Obelisco", che attirò le avanguardie culturali del momento bersagliando le retroguardie e divenne, in poche parole, una delle più eccezionali imprese artistiche e culturali del Ventesimo secolo. Contribuì ad aprire la via a quella che oggi chiameremmo "mondo dell'arte", ai nuovi media, agli artisti emergenti e a sistemi inediti e anticonvenzionali di valutazione.
  • Lavoratrice instancabile, [la Brin] scriveva ovunque buttandoci anima e corpo; anche a letto, in tassì e nella vasca da bagno come la fotografò Karin Rodkai nel 1951 per Harper's Bazar e come la ritrasse, scherzosamente, Steinberg.
  • Lo stile di Irene Brin era famoso, deplorato dal moralismo marxista, irriso dal populismo dell'epoca, imitato negli anni Sessanta della sprovincializzazione italiana: un linguaggio asciutto, condensato, esatto e insieme brillante, eccentrico, spiritoso; una scrittura chiara, bella, nervosa con riferimenti culturali precisi. Un'informazione non provinciale, cosmopolita e lo sguardo analitico capace di cogliere nelle persone e nei dettagli l'eloquente esemplarità del tempo, di conservare il costume per la Storia.
  • Un pomeriggio del 1950, Irene Brin passeggiava tranquillamente per Park Avenue a New York con indosso un cappello di Fath e un tailleur di Fabiani. «Dove l'ha preso, di chi è?» le chiese un'anziana signora fermandola, con aria distaccata e una certa sfacciataggine. Era Diane Vreeland, direttrice di Harper's Bazar.
    Fu così che cominciò la fortuna della moda italiana negli Stati Uniti e l'ironica collaborazione di Irene Brin, giocatrice di talento e coraggiosa scommettitrice sulla vita, a quella rivista le cui firme erano – tra l'altro – Truman Capote, Carson McCullers, Cartier Bresson e la cui influenza era decisiva per la mescolanza dell'alta moda con l'avanguardia culturale, tra costume elitario e innovazione anticonformista.

Indro Montanelli[modifica]

  • Anche Irene Brin se n'è andata. Mi avevano detto che era malata di un cancro; ma era una notizia vaga e incerta, ch'essa aveva fatto di tutto per smentire. Fino in fondo ha lavorato e ha partecipato ai riti della mondanità: sfilate di moda, ricevimenti, eccetera.
  • In mano a Longanesi, che le aveva regalato anche lo pseudonimo d'Irene Brin, aveva rivelato autentiche qualità di scrittrice. I profili che pubblicò su «Omnibus» erano deliziosi. Fosse rimasta fra biografia e memorialismo, poteva diventare qualcosa di mezzo fra Saint-Simon e Strachey con un tocco alla Sévigné. Altro che la Bellonci! Era un'osservatrice attenta (sebbene non ci vedesse da qui a lì) e penetrante, nutrita di vastissime letture: la sua prosa aveva ritmo, calore, l'aggettivazione precisa, l'ironia tagliente. Ma era un cavallo che aveva bisogno del fantino. Chiuso «Omnibus» e cessata la regia di Longanesi, Irene infilò la pista sbagliata – quella della cronista mondana –, e non è più uscita.
  • Quando Ansaldo la scovò e cominciò a farla scrivere sul «Lavoro» di Genova, sua città natale, era soltanto Mariù Rossi: una ragazza timida e incerta, molto provinciale, figlia di un Generale e di un'ebrea austriaca. L'unica fama di cui godeva era quella, equivoca e velata sotto un nome d'accatto, che le aveva procurato Vittorini prendendola a protagonista, con sua sorella, di un racconto: Le figlie del Generale in cui entrambe erano presentate come lesbiche. Se lo fossero veramente, non so. Il sesso è uno dei tanti capitoli misteriosi di questa donna.

Note[modifica]

  1. Da Cine Illustrato, n. 15, 12 aprile 1942; citato in Fari nella nebbia, cinematografo.it.

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