Gigi Riva
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Luigi Riva, detto Gigi (1944 – 2024), calciatore e dirigente sportivo italiano.
Citazioni di Gigi Riva
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- Ho vissuto con Facchetti cento e più partite in azzurro, io attaccante lui capitano. Giorni belli e meno belli ma comunque con una costante: Giacinto era una persona straordinaria, pulita, onesta. Per noi tutti era un esempio, un punto di riferimento costante, era il nostro angelo.[1]
- Francesco [Totti] mi è piaciuto subito. Non solo come calciatore ma anche come persona. È un fenomeno, giocatore raro. Sembra quasi che quando è nato, il Padreterno gli abbia detto: vai giù e gioca a pallone e basta. E lui ha fatto quello che gli è stato ordinato.[2]
- Quando vedevo la gente che partiva alla 8 da Sassari e alle 11 lo stadio era già pieno, capivo che per i sardi il calcio era tutto. Ci chiamavano pecorai e banditi in tutta Italia e io mi arrabbiavo. I banditi facevano i banditi per fame, perché allora c'era tanta fame, come oggi purtroppo. Il Cagliari era tutto per tutti e io capii che non potevo togliere le uniche gioie ai pastori. Sarebbe stata una vigliaccata andare via, malgrado tutti i soldi della Juve. Dopo ogni partita spuntava Allodi che mi diceva "Dai, telefoniamo a Boniperti". Ma io non ho mai avuto il minimo dubbio e non mi sono mai pentito.[3]
- [Su Fabrizio De Andrè] Aveva appena scritto Preghiera in gennaio, in una notte. Volevo sapere come gli veniva l'ispirazione, mi raccontò che di giorno dormiva e di notte usciva e ascoltava i rumori della campagna.[4]
- [Sull'arbitraggio di Concetto Lo Bello in Juventus – Cagliari 2-2 del 15 marzo 1970] Cominciò con un rigore per la Juventus, del tutto inesistente. Protestammo a lungo, lui fu irremovibile, andò sul dischetto Haller e Albertosi parò. Mentre correvamo ad abbracciarlo, l'arbitro tornò a indicare il dischetto: il rigore era da ripetere. E lì perdemmo tutti quanti la testa, a cominciare da me. Mentre Albertosi piangeva di rabbia aggrappato al palo, io andai da Lo Bello e incominciai a riempirlo di parole, parolacce, insulti. Gli urlai che noi avevamo fatto sacrifici per un anno intero, e non era giusto che un coglione come lui li buttasse all'aria. Gli dissi anche di peggio, lui fingeva di non sentire e continuava a dirmi di pensare a giocare. Anastasi segnò il secondo rigore [...]. Rientrando a metà campo tornammo a dirgliene di tutti i colori [...]. Pensa a giocare, mi disse ancora un istante prima di far riprendere la partita. E a Cera, che era il nostro capitano, con quell'aria furba che sapeva fare: e voi pensate a buttar la palla in area su Riva. Il rigore per noi arrivò a qualche minuto dalla fine, per un contatto in area non meno discutibile di quello precedente. Stavolta furono loro a protestare a non finire, io ero così stravolto che non calciai benissimo e Anzolin in tuffo riuscì a toccare la palla, per fortuna senza prenderla. Tornando a metà campo dopo abbracci interminabili perché quel gol valeva praticamente il titolo, Lo Bello mi fissò a lungo e la sua espressione diceva: «Allora, hai visto?». Gli risposi ancora un po' secco: «E se lo sbagliavo?». La parola fine la pretese lui: «Te lo facevo ripetere».[5]
Intervista di Marino Bartoletti, Corriere della Sera, 1º maggio 2002.
- Al contrario di Mazzola e di Rivera, che da lui vennero coccolati moltissimo, non ho mai ritenuto Fabbri un grande Commissario Tecnico: tutt'al più un buon preparatore. Ma con me si comportò da galantuomo: il giorno dopo [l'uscita dal mondiale 1966], benché distrutto, mi prese in disparte e mi chiese scusa. "Se avessi avuto il coraggio di farti giocare, ora non saremmo qui". E le stesse scuse me le ripeté qualche anno dopo quando, per uno strano caso della vita, diventò il mio allenatore al Cagliari.
- [Sulla nazionale del mondiale 1966] In una delle ali dormivano i "potenti", quelli che facevano il bello e il cattivo tempo (Mazzola, Rivera, Bulgarelli, Albertosi, Pascutti...), quelli che Fabbri "subiva". Dall'altra parte c'erano, oltre a me e a Bertini, coloro che contavano poco o nulla. L'unica maniera che avevamo di sfogarci era quella di umiliare i nostri "rivali" in allenamento: le partitelle le vincevamo sempre noi della "seconda" Nazionale. E io segnavo, segnavo, segnavo: ero tanto in forma, quanto imbestialito.
- [Riferito al mondiale 1966] Ma quella nazionale, mi creda, non sarebbe andata comunque lontano: se avessimo passato il turno ci saremmo scontrati col Portogallo di Eusebio e credo proprio che il nostro Mondiale, viste le premesse, sarebbe finito lì. Troppe divisioni, troppe incomprensioni, troppe inimicizie.
Dall'intervista di Giorgio Pisano, L'Unione Sarda, 10 maggio 2004; ripubblicato in unionesarda.it, 24 gennaio 2024.
- [...] la Sardegna deve smetterla di nascondersi dietro il mito della Costa Smeralda. Tanto più che la Costa Smeralda non è neanche roba nostra. È solo nata nel nostro mare. [«Ce l'ha col turismo formula extralusso?»] No. Anzi penso che l'arcipelago della Maddalena sia il posto più bello del mondo. [...] noi ci mascheriamo dietro il miracolo del mare e facciamo finta che la Sardegna sia quella fotografata sui depliants azzurri che spediamo in tutto il pianeta ricco.
- [«Per molti sardi le sue parole sono sentenze di Cassazione»] Lo so, ne sono felice e non voglio deluderli. Simpatizzo per chi sbaglia, per chi vive in un certo modo.
- Dovessi fondare un partito mi muoverei tra Oristano, Macomer, Nuoro, Mamoiada, Lanusei... mi spiego? Possibile che nessuno si renda conto? [«Di cosa?»] Che quella è una Sardegna viva, vera, autentica. Una Sardegna che ha solo la sfortuna di stare a cento chilometri dai luoghi dove si fanno le feste con lo champagne.
- [«Il popolo degli stadi è massa di manovra?»] Oggi nel calcio si sono infilati molti interessi: sponsor, business, televisioni. Dietro, ci trovi il politico. Che protegge una squadra perché, attraverso i tifosi, può attirare voti.
- [«Servono dieci Aga Khan per cambiare la nostra sorte?»] Più che dieci Aga Khan sarebbe meglio avere cinquanta fabbriche in più. Occupazione, lavoro. L'Aga Khan ha fatto molto per una certa immagine della Sardegna ma occorre anche sottolineare un altro aspetto: ha creato un mondo che non è a dimensione di sardo. Quello che ci serve, oggi, è fermare la fuga dei figli con la valigia, la nuova emigrazione. L'Aga Khan, con tutto il rispetto, non è il nostro futuro.
- Sono arrivato qui che avevo diciassette anni, nel '63. Dicevano: poverino, è finito in Sardegna. Ovvio che col tempo ho acquisito il modo di pensare e di essere dei sardi. A cominciare dalla diffidenza, che tuttavia fa parte della nostra storia. I sardi sono stati sempre maltrattati e quando dicono che dal mare non arriva buona gente, mica sbagliano. [«Invidia»] Invidia e gelosia. È vero, fanno parte di noi ma sono sentimenti che trovi con frequenza nelle città e nei grandi centri piuttosto che nei paesini.
- [...] vorrei dire di un traguardo che la politica non ha mai raggiunto. Sono orgoglioso di quello che ho fatto, che abbiamo fatto, negli anni d'oro del Cagliari, tra il '68 e il '72. Oltre che un'affermazione sportiva importante, la nostra è stata una vittoria sociale. Allora della Sardegna si parlava solo come terra di banditi. [...] battendo a San Siro l'Inter o il Milan sapevamo di rendere meno depressi e un po' più orgogliosi migliaia di emigrati. Abbiamo ricevuto tante lettere anche dall'estero: operai, minatori, commercianti sardi sparsi per l'Europa ci scrivevano per dirci che si sentivano riscattati. Sono felice di aver contribuito a quella stagione. [...] negli anni della storia autonomistica, la politica sarda non ha mai fatto nulla di simile, non ci ha mai fatto sentire riscattati, orgogliosi.
Dall'intervista di Gianni Mura per il 60º compleanno, la Repubblica, 2004; ripubblicato in repubblica.it, 15 giugno 2020.
- [«Se avrà incubi, da adulto, riguarderanno i giorni in collegio e più tardi quelli in divisa militare, sempre obbligato a obbedire»] E il peso, l'umiliazione di essere poveri, le camerate fredde, il mangiare da schifo, il cantare ai funerali anche tre volte al giorno, il dover dire sempre grazie signora grazie signore a chi portava il pane, i vestiti usati, e pregare per i benefattori, e dover stare sempre zitti, obbedienti, ordinati, come dei bambini vecchi.
- [«Gli ho chiesto se avrebbe rifatto tutto, compresi i tanti no alle squadre del Nord»] Per orgoglio, quando giocavo, ho sempre difeso la mia scelta, ma qualche dubbio l'avevo. Adesso sono convinto di aver fatto bene. La Sardegna mi ha dato affetto e continua a darmene. La gente mi è vicino come se ancora andassi in campo a fare gol. E questa per me è una bella cosa, non ha prezzo.
- La Sardegna allora non era la Costa Smeralda, l'Aga Khan, era il posto dove mandavano i carabinieri per punizione. Dall'aereo, sembrava di andare in Africa. Un aereo che non andava oltre i quattromila metri, viaggi da incubo. Sono arrivato a Cagliari massacrato dalla vita, incazzato, chiuso e anche cattivo, se mi toccavano reagivo. Ero senza famiglia e ne ho trovate tante: quella del pescatore che m'invitava a cena, quella dell'edicolante, del macellaio, del pastore. Quando giocavamo a Milano, a Torino, c'erano cinque-seimila sardi che arrivavano dalla Germania, dalla Svizzera, dalla Francia. Mi dispiace di non aver tenuto tutte le loro lettere, ne basterebbe una o due per far capire perché abbiamo amato Cagliari, la Sardegna. Tutti, non solo io. E nessuno di noi giocatori era sardo. Ma eravamo un gruppo forte, solido, senza che nessuno ci avesse mai chiesto di fare gruppo. Rappresentavamo tutta l'isola, lo sapevamo e ci piaceva.
- [«Uno scudetto: poco o tanto?»] Poco, altrove ne avremmo vinti tre, ma davamo fastidio al Nord. [...] Angelo Moratti so che mi voleva, ma Herrera preferiva Pascutti, più maturo e affidabile secondo lui. Non andò in porto. Ogni anno, sapendomi interista, Moratti mi mandava una sterlina d'oro per Natale. Una volta chiaro che non mi avrebbero preso, credo abbia dato dei soldi al Cagliari per garantirsi che non andassi altrove.
- Scopigno era intelligentissimo, ci faceva ragionare oltre il calcio e ci trattava da uomini. Pensa cos'era a quei tempi abolire il ritiro prepartita. [...] ci dava fiducia ma non dovevamo deluderlo. Se in albergo facevamo chiasso a tavola, picchiava il coltello su un bicchiere e diceva: ragazzi, non siamo a casa nostra. E non volava più una mosca. Una notte in albergo si giocava a poker in camera mia, con Albertosi, Poli e Gori, fumo da tagliare con l'accetta, avevamo fatto salire panini e bottiglie. Bussano alla porta, sarà l'una, Gori intuisce chi è e si nasconde nell'armadio. Scopigno entra e dice: "Almeno invitare gli amici, quando si fa festa". Si siede sul mio letto e fa: disturbo se fumo? Noi zitti. E lui: però è l'ultima, anche per voi. Il giorno dopo abbiamo vinto 3-0.
- Non sopporto le moviole, le frasi tipo "ecco, la maglia è leggermente tirata, c'è trattenuta, è rigore", oppure "anche se minimo un contatto con la caviglia sinistra c'è stato". Sarà che ho vissuto un calcio in cui certi liberi tiravano una riga vicino alla loro area e dicevano "se la passi ti spacco", tempi in cui per ottenere un rigore a Milano o a Torino non bastava un certificato medico di 15 giorni.
Intervista di Guglielmo Buccheri, lastampa.it, 20 ottobre 2011.
- [...] Oggi in molti pensano, e giustamente, a quanto Del Piero ha dato alla Juve. Io penso anche a quanto la Juve ha dato a Del Piero.
- Stiamo parlando di un campione che ha avuto la fortuna di incontrare una società che lo ha voluto legare al proprio destino per quasi vent'anni. Ecco, il punto è questo: Del Piero è stato fortunato a potersi allenare, vivere e giocare nel club meglio organizzato d'Italia per tutti questi lunghissimi anni.
- Se il giocatore simbolo è anche quello che guadagna il doppio dei compagni di squadra, forse qualche situazione che rafforzi il legame fra calciatore e squadra del cuore potrebbe ancora verificarsi. Ma visto che, come dicevo, ormai prevalgono altri interessi, resto molto scettico.
- [Sull'esperienza di Del Piero in Nazionale] C'è un prima e un dopo. Il prima è il ricordo di un professionista gentile, umile, disponibilissimo che giocava con e per la squadra. Poi, una volta che non è stato più convocato in Nazionale, ho conosciuto un altro Del Piero. Stiamo parlando comunque di un ragazzo che non lascia mai niente al caso, alle sue spalle c'è un intero staff che ne segue ogni passo.
Dall'intervista di Elvira Serra, Corriere della Sera, 28 giugno 2023; ripubblicato in corriere.it, 22 gennaio 2024.
- [«È nato a Leggiuno, in Lombardia, però si considera sardo»] Io sono sardo perché sono di poche parole, spesso e volentieri ho il muso, mi preoccupo per i problemi di questa terra bellissima e reagisco a modo mio.
- [«Tutti la volevano e lei, testardo, non ha ceduto nemmeno al miliardo offerto dalla Juve»] [ride, ndr]. Quando Arrica, il mio presidente, scoprì che non andavo, non fu contento per niente. Ma non sono testone: io ero una persona chiusa, avevo avuto un'infanzia tragica, i miei genitori erano mancati presto. Poi sono venuto a Cagliari e abbiamo costruito una gran bella cosa: lo scudetto era il sogno di ogni squadra.
- [«[...] i suoi genitori li sogna?»] Sì, anche se so già che è impossibile ritrovarli in casa il giorno dopo e mi devo rassegnare. Mi spiace solo di non aver dato loro niente delle soddisfazioni che mi sono tolto io, non ho potuto farli partecipare, non hanno vissuto quel periodo, anni meravigliosi. È un vero dispiacere.
- [«In collegio la costrinsero a usare la mano destra al posto della sinistra. Ma nessuno riuscì a toglierle il tiro mancino»] Io adoperavo il piede destro solo per camminare.
- [«Se rinascesse rifarebbe il calciatore?»] Sì, sperando che il Padreterno mi dia le stesse doti che avevo: saper giocare al calcio, divertirmi in campo, sognare di fare gol prima di una partita e poi segnare per davvero. [«Sempre in Sardegna?»] Quello che ha reso per me tutto speciale è che ero sardo tra i sardi: ovunque andassi, da Alghero o Sassari a Cagliari, ero uno di loro.
Citazioni non datate
[modifica]Citato in ilpost.it, 23 gennaio 2024.
- [Sullo stadio Amsicora] Invece dell'erba c'era 'sta sabbia chiara chiara, e dove avrei scoperto col tempo che cadere non era drammatico ma nemmeno così simpatico.
- La Sardegna era considerata un'isola penale, una terra di banditi, un posto dove si veniva mandati in castigo. I sardi hanno subìto nel corso dei secoli ingiustizie e abbandono. Il nostro scudetto fu un riscatto enorme. Quando andavamo a giocare a Milano e Torino vedevo l'orgoglio dei nostri tifosi, protagonisti dopo aver subito tante umiliazioni nella vita.
- Ricordo una manifestazione per farmi restare [al Cagliari]. E ricordo un'anziana signora, lì, in mezzo ai tifosi. Non sapeva di calcio, ma sapeva che non avrei mai tradito. E fu anche quello a convincermi.
Citazioni su Gigi Riva
[modifica]- Come calciatore, beh, l'avete visto. Attaccante irripetibile, un fuoriclasse. Oggi segnerebbe cinquanta gol a stagione. Forza, tecnica, leadership. Ho sempre sostenuto che era un dio, il nostro dio. Vincere uno scudetto a Cagliari significa vincerne cinque a Milano o a Torino. Se non gli avessero spezzato due volte la gamba, avremmo vinto molto di più. [«E dietro le quinte?»] Un ragazzo semplice, alla mano, non un divo. E sì che poteva permetterselo... (Comunardo Niccolai)
- Gigi è un grande. Un simbolo di etica, coerenza, lealtà. (Comunardo Niccolai)
- Quando arrivai a Cagliari, nel '66, finii subito in camera con Gigi. Nessuno voleva starci, dato che lui all'epoca già fumava. E parecchio. Eravamo sempre insieme: a colazione, a pranzo, in giro con la sua Alfa truccata... Anni memorabili. Anche se andare in auto con lui era decisamente pericoloso: amava correre, era un "Rombo di Tuono" anche al volante. Ricordo che una volta fece un paio di curve su due ruote e gli dissi che doveva portarmi subito a fare un'assicurazione sulla vita. Quando ci fermava la polizia, lo riconoscevano e gli chiedevano l'autografo anziché farci la multa... (Roberto Boninsegna)
- Quando lo vedeva partire, Burgnich diceva che gli sembrava di sentire il rumore di un popolo che migrava. Fortissimo e appena squilibrato nella corsa e nell'acrobazia. Questo gli dava un anticipo quasi incomprensibile sugli avversari, ma lo ha portato anche a infortuni gravi. Era chiuso e indipendente, fumava anche davanti all'allenatore. A me giovane cronista metteva una forte soggezione. (Mario Sconcerti)
- Riva gioca un calcio in poesia, egli è un «poeta realista». (Pier Paolo Pasolini)
- Riva non ha mai amato i giornalisti. Poteva rispettarli (è il caso di Brera) o sopportarli (era il caso mio). Ma la sua specialità era dribblarli. Non essendoci telefonini, ai campioni si faceva la posta sotto casa. Per Riva, la casa di Fausta, la sorella che gli ha fatto da madre. O era in ritardo l'aereo dalla Sardegna, o Gigi era appena uscito e chissà quando sarebbe rientrato. Nell'attesa, spesso inutile, Fausta faceva un caffè, mi mostrava i quadri (paesaggi) che dipingeva suo marito, gli album di ritagli su Gigi calciatore. (Gianni Mura)
- Se uno mi chiedesse di stringere Riva (Giggirrivva) in due parole, dovrei ricorrere allo spagnolo: hombre vertical. (Gianni Mura)
- Sei stato unico e prezioso esemplare di grande umiltà. Sei stato per me un esempio bellissimo di coerenza e di attaccamento alla maglia, di sincero coraggio. Hai amato come nessun altro la terra che ti ha adottato. Hai saputo trasformare la tua sofferenza e i tuoi dolori in positivo riscatto. Sei stato un compagno di viaggio saggio e prezioso, sei stato sempre te stesso dentro e fuori dal campo. (Roberto Baggio)
- Una domenica a San Siro con una gomitata Riva mi ha buttato giù due incisivi e un premolare. Appena ho potuto gli ho reso il fallaccio, e poi mi sono scusato. (Tarcisio Burgnich)
- Un autentico eroe del nostro tempo: per me non è mai nato nel calcio italiano uno come Gigirriva da Leggiuno. L'ho soprannominato prima Re Brenno e poi, dubitando del nostro senso storico, sono sceso a una metafora più western come "Rombo di tuono". Ha avuto fortuna almeno pari a quella di Toro Seduto. (Gianni Brera)
- Lo voleva l'Inter, gli fece ponti d'oro la Juventus [...]. Rispose come Bartleby, lo scrivano di Herman Melville: «Preferisco di no». In una sorta di metaforica sindrome di Stoccolma, il carcerato si era «innamorato» dei carcerieri (Cagliari, la Sardegna). E viceversa.
- Mancino, undici di maglia e nove di vocazione, il gol come ribellione al collegio, alle nebbie, e la Sardegna non più prigione, come gli apparve quando vi finì, ceduto dal Legnano, ma residenza e resistenza.
- Riva è stato un guerriero. Sacrificò due gambe all'azzurro della patria, ebbe una vita sentimentale che lo portò in rotta di collisione con la «bigotteria» dell'epoca. Gianni Brera lo ribattezzò «Rombo di tuono»: per come tirava, per come occupava il territorio; per come, soprattutto, lo contendeva agli avversari. Non aveva paura: e se l'aveva, la nascondeva. Non era stiloso o elegante. Ne aveva passate troppe, da ragazzo, per scendere a patti con le procedure o, peggio, con le mode. I suoi duelli con Tarcisio Burgnich toccarono picchi omerici, i corpi come corazze, i piedi come clave: e vinca il migliore.
- Un lombardo che migrò in un'isola, e ne diventò il tesoro.
- Uomo tutto d'un pezzo e non tutto d'un prezzo.
Note
[modifica]- ↑ Citato in Un coro: giù le mani da Facchetti. Riva: "Giacinto era un angelo", corriere.it, 5 luglio 2011.
- ↑ Citato in Totti, 20 anni di A. L'omaggio di Buffon e Riva: "Un fenomeno mandato dal cielo", gazzetta.it, 27 marzo 2013.
- ↑ Dall'intervista di Alberto Cerruti, Riva, 50 anni di Sardegna: "E dire che non ci volevo venire", gazzetta.it, 4 aprile 2013.
- ↑ Citato in Elvira Serra, La sera ascolto De Andrè ricordando il nostro whisky. Avrei voluto il Pallone d'Oro, Corriere della Sera, 12 febbraio 2017, p. 25.
- ↑ Da Mi chiamavano Rombo di Tuono, con Gigi Garanzini, Rizzoli, Milano, 2022; citato in Gigi Riva, le mie verità: "Mi chiamavano Rombo di Tuono", lastampa.it, 22 ottobre 2022.