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Marino Bartoletti

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Marino Bartoletti (2021)

Marino Bartoletti (1949 – vivente), giornalista e conduttore televisivo italiano.

Citazioni di Marino Bartoletti

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  • Lasciando perdere le passioni, se la Juventus sta bene il calcio italiano sta bene.[1]
  • Una cosa da dire a Morgan, che è una persona che stimo, di cantare di più e di parlare di meno, perché ogni volta che parla e fa delle interviste fa dei danni a se stesso; è un grande artista, digli di prendere un pianoforte e fare quello che sa fare. Io ho conosciuto Morgan [...], ed è un ragazzo di una sensibilità e di un'intelligenza superiore, oltre che un grande talento artistico. Fermatelo, impeditegli di fare quelle interviste che gli fanno del male! Veramente, non lo deve più fare.[2]
  • [«Due parole sulle scomparsa del Chievo...»] Verona aveva regalato al calcio italiano il quinto derby e quello era stato, più che una favola, un vero miracolo. Ma come tutti i miracoli evidentemente non era destinato a durare.[3]

Calcio 2000

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Prima Pagina – editoriale

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  • Si può amare o non amare Roma, ma la si deve rispettare: per quello che è stata nella storia del mondo e per quello che di fondamentale rappresenta nella storia d'Italia. Si può amare o non amare la Roma sportiva, ma la si deve ammirare: per quello che – a volte contro se stessa – è comunque riuscita a conquistare, sfidando potentati economici dall'appeal evidentemente più forte dei presunti potentati politici.[4]

Ora forse la Juve ha capito...

Calcio 2000 nº 6 (31), giugno 2000, p. 5.

  • Il vecchio Papa non ce l'ha raccontata giusta: il terzo, vero mistero di Fatima nascondeva l'apocalittica conclusione dello scudetto del Giubileo. [...] e non parlo tanto delle angosciose bizzarrie dell'ultima, interminabile giornata quanto degli sconquassi che l'avevano preceduta. Una cosa è certa: l'esito sportivo di questo campionato è stato di gran lunga superiore al contorno malato nel quale si è svolto. Nessuno ha rubato nulla: caso mai qualcuno ha gettato via qualcosa. E se Dio vuole, il risultato del campo – esaltante per la Lazio, bruciante per la Juventus – ha incenerito tutto quello che di esplosivo e di spregevole era stato vomitato prima dell'atto decisivo. [...] Per fortuna, ai primi due posti sono salire due squadre, due Società che meritavano egualmente di vincere e che solo una crudele inezia ha preteso di mettere in fila. [...] ha vinto [..] la Lazio e io voglio ringraziare la Juve, i suoi giocatori, il suo tecnico per la prova di valore professionale e di senso di responsabilità che hanno offerto fino all'ultimo minuto dell'ultima crudele domenica.
  • Non pensavo [...] che la Vecchia Signora avrebbe vinto il campionato: c'era la Lazio [...]. Ma non pensavo neppure che la Juventus sarebbe arrivata così in alto, finendo evidentemente col pagare negli ultimi turni un peccato di moderna ingordigia che vado a spiegare. Quale è stata la ragione principale che ha fatto la differenza fra le due grandi protagoniste? Fatalmente la stagione più "lunga" (più lunga di quasi due mesi) affrontata dalla Juve con un organico meno imponente rispetto a quello avversario. E perché la Juve ha fatto questo sacrificio che alla fine, come si è visto, le è costato lo scudetto? Solo per avidità: per non disertare – invece di trarre vantaggio dalla forzata assenza dalle Coppe – quella vetrina europea che è la prima "cassaforte" della ricchezza del calcio di oggi. Le sono rimasti i soldi: ma ha tagliato il traguardo con la stessa freschezza di Dorando Pietri alle Olimpiadi di Londra.
  • Personalmente sono felice che lo scudetto sia finito a Roma [...]. Perché era giusto che il calcio italiano uscisse da una "monotonia" probabilmente legittima, ma pericolosa e ripetitiva. E soprattutto perché non ci è finito per caso, ma alla fine di un percorso imprenditoriale impeccabile. [...] Alla Lazio, al suo grandissimo presidente, al suo straordinario tecnico va la gloria di uno scudetto che era maturo da parecchio tempo e che era stato corteggiato e "costruito" con straordinaria e determinata professionalità.

Il pallone racconta – rubrica

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Citazioni in ordine temporale.

Coppa delle Fiere, figlia della ricostruzione

Calcio 2000 nº 4 (29), aprile 2000, pp. 21-22.

  • La "Coppa Internazionale delle città di fiere industriali" [...], meglio conosciuta come Coppa delle Fiere, è la progenitrice della Coppa Uefa. Nacque nel 1955, ma il suo ideatore, lo svizzero Ernst B. Thommen, vicepresidente della Fifa, ne aveva elaborato il progetto sin dal 1950, per poi venire costretto dalla mancanza di un valido supporto organizzativo a tenerlo a lungo nel cassetto. Thommen aveva pensato a una competizione a invito, cui partecipassero selezioni miste di club delle città ammesse. L'obiettivo era tra l'altro la raccolta di fondi per il rilancio economico delle grandi città, prostrate dalla guerra. Il piano Marshall di aiuti statunitensi all'Europa prevedeva l'allestimento di fiere campionarie internazionali per favorire l'influenza del mercato a stelle strisce e neutralizzare quella sovietica. La nuova competizione avrebbe dovuto inserirsi nel meccanismo [...]. Il calcio andava crescendo anche sul piano istituzionale in quegli anni febbrili e nel 1954, con la nascita dell'Uefa [...], il progetto tornò d'attualità. Mentre [...] l'iniziativa privata portava avanti nella freddezza generale l'idea della Coppa dei Campioni, Thommen propose che la sua Coppa [...] rappresentasse il trofeo "ufficiale" dell'Uefa, ergendosi a contraltare della competizione continentale dei privati. Ma il nuovo organismo sembrava refrattario a mettere in piedi nuove manifestazioni. Thommen si rivolse allora alla propria istituzione, la Fifa, il cui presidente, sir Stanley Rous, avallò l'iniziativa, allestendo un comitato organizzativo con sede a Basilea. Anche in questo caso l'Uefa restava fuori.
  • Il progetto originario prevedeva che la competizione si svolgesse a invito [...]. La macchina però faticò a mettersi in moto. [...] solo in alcuni casi (come Londra e Zagabria) in quella prima edizione giocarono selezioni cittadine. Negli altri, la rivalità tra i club rese necessaria la partecipazione di singole squadre. Il Milan disputava la Coppa dei Campioni e allora fu l'Inter la prima squadra iscritta alla neonata Coppa delle Fiere. L'altro grande problema fu dato dal collegamento con le manifestazioni fieristiche. Si era stabilito [...] che le partite si giocassero preferibilmente in occasione delle Fiere, diluendo ogni edizione in una durata pluriennale [...]. Alla prova dei fatti il progetto si rivelò macchinoso e di scarsissima presa. La durata così rarefatta nel tempo toglieva ogni interesse alla competizione e fu un mezzo miracolo che quella prima edizione, partita nel 1955, riuscisse a toccare il porto nel 1958 [...]. Vennero apportati dei correttivi, stabilendo che la seconda non sarebbe durata più di due anni. Al termine del biennio, nel 1960, il Barcellona fece il bis. Si stabilì a quel punto che ogni edizione non dovesse superare l'arco di una sola stagione e la partecipazione prese quota.
  • Man mano cadevano i capisaldi del progetto iniziale. Il collegamento con le Fiere divenne sempre più labile, complice l'esclusione delle squadre già impegnate in Coppa dei Campioni e Coppa delle Coppe. [...] Siamo alla fine degli anni Sessanta. Le richieste di partecipazione sono sempre più numerose, difficile il lavoro del comitato chiamato a vagliarle. Indispensabile allora pensare alla fissazione di criteri precisi per disciplinare l'ingresso nella competizione. Fu allora che molto opportunamente l'organizzazione passò all'Uefa. La confederazione europea decise innanzitutto di attribuire il trofeo in via definitiva, in una sfida tra la squadra detentrice (il Leeds United [...]) e quella che aveva vinto il maggior numero di edizioni (il Barcellona [...]). La "finale delle finali" fu giocata il 26 maggio 1971 a Barcellona e vide i blaugrana di casa prevalere per 2-1 [...]. Dalla stagione successiva [...] avrebbe lasciato il posto alla Coppa Uefa [...], competizione ufficiale della confederazione europea, riservata alle squadre di vertice non detentrici nè del titolo nazionale nè della Coppa dei relativi Paesi.

L'avo di Bogdani che piaceva alla Signora

Calcio 2000 nº 8 (33), agosto 2000, p. 22.

  • Non è morto ricco, Riza Lushta, ma anzi povero e dimenticato dal mondo del calcio, come spesso capita alle vecchie glorie il cui ricordo ingiallisce nella memoria dei tifosi. Ma, almeno in Italia, aveva vissuto alla grande una breve stagione della sua vita, la stagione del pallone e dei calci alla sfortuna e alla cattiva sorte.
  • Era nato [...] nella terra [...] del Kosovo. La famiglia era ben presto emigrata a Tirana e quando il talento per il calcio emise i primi vagiti venne tesserato dallo Sportul Tirana. Agile e secco, dribbling e tiro come calcio comanda, gli bastò poco per imporsi nel campionato albanese, di cui divenne in breve la stella, il migliore. Quando nel 1939 l'occupazione lampo decisa dal Regime fascista fece dell'Albania una provincia dell'Italia, i migliori calciatori del Paese entranono nel mirino dei club italiani. Nell'estate di quell'anno, il Bari giocò un'amichevole con lo Sportul, rimanendo [...] impressionato da quella punta mancina e scattante e lo ingaggiò. Gli inizi non furono facili: [...] appena 3 gol. Uno di questi, però, pesò in modo decisivo sulla carriera di Lushta. Lo segnò alla Juventus, nell'ambito di una partita giocata alla grande, che convinse i dirigenti bianconeri ad acquistarlo [...]. E nelle successive tre stagioni, dal 1940 al 1943, gli ultimi tre campionati mentre già infuriava la guerra, Riza Lushta si dimostrò all'altezza della situazione, dando spesso grandi soddisfazioni ai tifosi, in un crescendo molto promettente [...]. Qui la sfortuna si prese la rivincita, visto che l'interruzione bellica ne fermò l'ascesa tra i migliori attaccanti del campionato, quando veniva considerato ormai secondo solo al grande Piola.
  • Nel 1954 andò a spremere gli ultimi frutti agonistici in Francia [...], dopodiché chiuse definitivamente col calcio. [...] si tagliò ogni ponte alle spalle ed emigrò negli Stati Uniti, dove lavorò come operaio ascensorista. La nostaglia per l'Italia tuttavia era grande, e lo convinse a tornare alla fine degli anni Sessanta. Si stabilì a Torino: aveva il passaporto statunitense e la pensione minima del Paese a stelle e strisce (una miseria), ma soprattutto contava ancora molti amici dei bei tempi e una famiglia di tifosi che lo ospitò per vent'anni [...]. Visse anni sereni, per parecchio tempo seguendo il calcio direttamente (rammentava con gratitudine che la Juventus non si era dimenticata di lui e finché la salute glielo aveva permesso aveva sempre trovato in sede un biglietto per la partita). Il 4 febbraio 1997 andò a schiacciare un pisolino dopo pranzo e non si svegliò più. [...] Al suo funerale, qualche vecchio compagno della Juve e pochi amici. Se ne era andato il più grande giocatore albanese di ogni epoca.

Guerin Sportivo

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Citazioni tratte da articoli

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Citazioni in ordine temporale.

Brindisi amaro

Guerin Sportivo nº 26 (444), 29 giugno – 5 luglio 1983, pp. 7-11.

[Sulla Juventus Football Club 1982-1983]

  • Ci sono voluti quasi undici mesi dall'inizio dell'anno più lungo, perché la Vecchia Signora facesse onore al suo prestigio, alla sua tradizione, alla sua golosità. Ci sono voluti quasi undici mesi, insomma, perché la Juve vincesse qualcosa. La Coppa Italia, finita in mani tanto degne, riacquista persino dignità: la sua consegna suggella il risveglio della Bella Addormentata del calcio italiano. Vien quasi da pensare che per la Juve, ovvero per tutti i suoi uomini che costituiscono il nerbo della Nazionale campione del mondo, bisognerebbe studiare ogni anno una proroga del campionato: alla fine del giugno '82, infatti, i bianconeri-azzurri iniziarono la volata che li avrebbe portati al trionfo di Madrid. Alla fine del giugno '83 i bianconeri-azzurri e i loro soci di complemento hanno regalato ai propri tifosi l'unico alloro della stagione. Con grinta, con volontà con determinazione, con cattivera, con coraggio. Tutte doti che la sbornia mondiale sembrava aver irreversibilmente raso al suolo. La Juve, insomma, ha acciuffato per i capelli e ai limiti del tempo massimo l'ultimo obbiettivo – sarebbe meglio dire l'obbiettivo minimo – che si era prefissa.
  • Boniperti – e non fa niente per non farlo capire – ha probabilmente vissuto una delle stagioni più amare da che è presidente: il rammarico è proporzionale a quelli che erano stati i sogni. Vedere la Coppa [dei Campioni], la «sua» Coppa, a venti metri da lui, sotto quella maledetta tribuna d'onore d'Atene, e poi lasciarla portar via dalle manone di Hrubesch gli ha procurato uno choc che la pur bellissima vittoria contro il Verona non ha potuto lenire. [...] È davvero il caso di dire che il mondo, per Boniperti, s'è fermato il 25 maggio.
  • [...] la bella, «voluta», cercata, vittoria in Coppa Italia acuisce – se possibile – il rammarico. Un rammarico che [...] non deve aumentare la severità nei confronti di questa squadra, che ha perso molto ma che, cifre alla mano: 52 partite ufficiali [...] (alle quali potremmo tranquillamente aggiungere anche gli impegni della Nazionale), 93 gol fatti [...], 45 subiti, 28 vittorie, 17 pareggi, appena 7 sconfitte. È sulla carta, un'annata da campioni, persino superiore sul piano statistico a quella dell'ultimo scudetto. Eppure i numeri sono stati mortificati dai fatti. È bastata una sconfitta – pensate, una sola – in tutta la Coppa dei Campioni per fare lo sgambetto a 9 mesi di lavoro. Certo gli albi d'oro c'ignoreranno per sempre, ma quante altre squadre quest'anno, in Europa, hanno ottenuto... una medaglia d'oro e due d'argento?
  • [...] se può essere certo che la Coppa Italia non assolve la stagione, è altrettanto vero che la Coppa dei Campioni non la deve «condannare» per forza.

Coq bello

Guerin Sportivo nº 27 (496), 4-10 luglio 1984, pp. 102-108.

[Sul campionato europeo di calcio 1984]

  • Se c'è una squadra che meritava di vincere gli «Europei 1984» questa era la Francia. E dunque nessuno si deve scandalizzare o risentire se proprio la Francia – come pronostico, stelle e... malizia suggerivano – si è aggiudicata i «suoi» campionati riproponendo il «latin power» e agguantando finamente quel primo titolo internazionale che inseguiva da tempi immemorabili. La Francia ha vinto tutte le partite che ha giocato, la Francia ha «divertito» più di altre formazioni, la Francia ha espresso sicuramente le stelle più grandi [...], la Francia ha evidenziato la miglior organizzazione, la Francia – perché no? – ha pure dimostrato di sapere, all'occorrenza, soffrire. E nulla può togliere ai suoi meriti, il fatto di aver disputato una finale forse al di sotto delle possibilità espresse in precedenza: ma se è vero che «Europei» e «Mondiali» si possono vincere «anche» attraverso colpi di fortuna è ancora più vero che, nelle grandi manifestazioni la bravura – alla distanza – «paga» sempre. [...] Le polemiche e le rimostranze di chi è uscito sconfitto non devono togliere nulla a quanto hanno saputo fare i ragazzi di Miguel Hidalgo. Nel campionato dei Grandi Delusi, non sono certo i vincitori a doversi sentire in colpa.
  • Certo, la Spagna – finalista occasionale – avrebbe anche potuto fare il miracolo: ma che vittoria «europea» sarebbe stata la sua, se non il frutto di una somma di piccole fortune [...] e di grandi occasioni vissute alla giornata? Allora [...] il Portogallo dovrebbe avere ancor più motivi di rammarico [...]: un po' per quanto è riuscito ad esprimere sul campo (sia a livello collettivo che a livello individuale), un po' perché è stata veramente l'unica antagonista a mettere in difficoltà la Francia, fino a spingerla sul baratro della più clamorosa delle eliminazioni. E in questo senso è anche possibile fare un paragone fra questi «Europei» e i «Mondiali» [1982] vinti dall'Italia: [...] come si disse allora che la «vera finale» era stata quella fra gli azzurri e il Brasile, è altrettanto lecito sostenere ora che la partita chiave di questi Campionati è stata [...] quella fra Francia e Portogallo. E i punti di contatto non finiscono qui, visto che la squadra di Cabrita è stata effettivamente la più «brasiliana» – ovvero la più armoniosa – delle formazioni che si sono esibite Oltralpe e la squadra di Hidalgo è stata – fra tutte – la più... italiana (ovvero [...] quella che ha offerto il gioco più redditizio e più piacevole [...]). Se a questo si aggiunge la maglia quasi uguale e l'indubbia affinità di origine latina fra noi e i francesi, vediamo che la vittoria dei «galletti» è una sorta di discorso che continua: quasi una staffetta.
  • In quanto al discorso dei centrocampisti goleador bisogna intenderci: Platini, per esempio, che cosa diavolo è? Un attaccante in incognito o un centrocampista col numero sbagliato?
  • Di «Roi Michel» [Platini] ormai è stato davvero scritto tutto. Il fuoriclasse juventino è riuscito persino a calamitare, nei suoi confronti, quella simpatia che in Francia gli era sempre stata preclusa [...]. In questi Campionati ha portato la praticità, la mentalità vincente, persino la malizia imparate in Italia: aggiungendo queste nuove doti al dono della sua classe, ha fatalmente conquistato l'Europa. La sua bravura (unita alla sua fortuna e al suo «tempismo» nel fare i capolavori giusti al momento giusto) ha ovviamente oscurato le altre – poche – vedettes degli «Europei».

Editoriali

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Sidney: 2000 buone ragioni

Guerin Sportivo nº 39 (964), 29 settembre – 5 ottobre 1993, p. 3.

[Sulla selezione della città organizzatrice dei Giochi della XXVII Olimpiade]

  • [...] stavolta gli 89 dinosauri dell'Olimpic Park non hanno «tagliato» le carte a loro disposizione coi dollari. Hanno semplicemente preferito rendere merito a chi, questo merito, ce l'ha veramente: senza sottintesi, senza «investimenti», senza forzature. Il CIO, non dimentichiamolo, viene da lustri di non sempre sincere scelte «politiche» (Mosca, Los Angeles, Seul e Atlanta: persino Barcellona era stata selezionata con criteri molto meno innocenti di quanto non si volesse pensare), forse si è semplicemente stancato di favorire questo o quel regime, ideologico o economico che sia. Forse ha semplicemente, ma anche coraggiosamente, deciso di aggrapparsi al salvagente del merito e della tranquillità. È vero che la «mano tesa» a Pechino avrebbe potuto rappresentare una potenziale accelerazione verso una più solida e sollecita affermazione dei diritti civili in quel [...] Paese, ma è anche vero che non può essere considerata una colpa il fatto di essere già in regola nei confronti del mondo: sia sul piano morale che, non dimentichiamolo, su quello sportivo.
  • «Share the spirit», condividiamo lo spirito olimpico, è stato e sarà lo slogan di Sidney: ed è certo che l'impegno verrà rispettato. «Un nuovo orizzonte olimpico» era invece l'elegante motto di Pechino: ma che garanzie effettive di buona fede avrebbero potuto offrire quei sorridenti e anacronistici burocrati fatalmente più intenzionati a fare del Grande Evento un'occasione di propaganda ripulitrice che non una festa di disincantata ospitalità? Anch'io lo confesso, irrazionalmente ed epidermicamente, avevo tifato per la «diversità» di Pechino: poi ho pensato alla sua ridotta esperienza organizzativa, all'attuale inesistenza di troppi impianti olimpici, all'incertezza politica che proprio nel 2000 culminerà con i problemi relativi a Taiwan e Hong Kong e ho concluso che i Dinomembri, questa volta, pur agendo con prudenza, hanno semplicemente fatto la scelta migliore e più civile.
  • È vero l'Australia ha già avuto i Giochi nel dopoguerra [...] ma è anche vero che la sua tenacia meritava un premio: dopo essere stata battuta per il 92 (Barcellona su Melbourne) e per il 96 (Atlanta su Brisbane) ha ritrovato il desiderio e la grinta per riprovarci. E ce l'ha fatta. In perfetta linea con la sua filosofia di nazione costruita metro per metro, zolla su zolla, sacrificio su sacrificio. E allora perché negarle questo diritto? Forse per la sua «normalità», per il modesto grado di pruderie internazionale che la sua candidatura suscitava, per il fatto che la sua industria pesante sforna più trattori e caterpillar che carrarmati? Quella di Sidney è stata una scelta «pura» e come tale va applaudita. Sidney ha l'ottanta per cento dei futuri impianti olimpici già costruiti [...], gode di una situazione climatica ideale; non conosce (al contrario di Pechino) la parola inquinamento; rappresenta una nazione la cui pace razziale e sociale sono un obiettivo raggiunto da sempre. Insomma, per essere una terra fondata... da prostitute e galeotti non si può dire che non abbia fatto discreti progressi.

Facebook.com – profilo ufficiale

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Citazioni in ordine temporale.

  • [Riferito a Greta Thunberg] Non posso dire che questa ragazzina mi stia simpatica, anzi - ad essere sincero - mi inquieta parecchio. E credo sia certamente malizioso, ma anche legittimo, chiedersi chi è e che cosa ci sia alle sue spalle forse non del tutto disincantate. Ma quando all'Onu afferma con occhi cattivi davanti ai potenti della terra "siete capaci solo di parlare di denaro e di favole di un'eterna crescita economica", aggiungendo "stanno crollando interi ecositemi: ci state rubando i sogni con le vostre parole vuote" è sinceramente molto, molto difficile darle torto![5]
  • Luis Sepúlveda, con le parole, ci ha annichilito: qualunque sia stata la forma letteraria nella quale le abbia usate. Era un guerriero con la grazia di un poeta. Profondo, leggero, convincente, umano. Umile e fiero allo stesso tempo. Grintoso e mite. Averlo conosciuto è stato un privilegio. Avergli parlato (in italiano, perché la nostra lingua gli piaceva tantissimo) un dono da conservare in cassaforte. Chi ha capito il suo messaggio sa cosa vuol dire avere il coraggio di volare. Da suo coetaneo, cercherò di ricordarmelo.[6]
  • [Su Mario Balotelli] Chi non lo ama è giusto che sappia e non dimentichi che la vita non gli aveva davvero apparecchiato un percorso di rose e fiori. Ma poi quella stessa vita (che è la sua e che lui certamente può gestire come meglio crede) gli ha restituito molti segni di fortuna, a cominciare - talento calcistico a parte - da una famiglia sana e meravigliosa. Poteva essere un simbolo. Non gli è interessato. Ora che non è più un ragazzino dovrebbe però cercare di capire che si può andare avanti senza cercare sempre e solo delle sterili "vendette". Contro chi, poi?[7]
  • [Sulla Serie A 2023-2024] Lo scudetto ha cambiato proprietario per la quinta volta consecutiva, come accadeva fra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 ('85 Verona, '86 Juventus, '87 Napoli, '88 Milan, '89 Inter, '90 Napoli, '91 Sampdoria: sei squadre in sette anni e poi trittico Milan). Questa volta la sequenza – per ora – è stata: '20 Juventus (alla fine dello storico filotto), '21 Inter, '22 Milan, '23 Napoli, '24 Inter: quattro squadre in cinque anni. Rispetto a 35-40 campionati fa mancano le piccole-grandi outsider e la sensazione è che continueranno a mancare a lungo (a meno che i pianeti non si allineino in maniera perfettissima per il Bologna: vera, straordinaria rivelazione della stagione). Il merito dei nerazzurri è ampio e inconfutabile (certificato dal fatto che la pratica sia stata chiusa con sei giornate d'anticipo): come lo fu quello del Napoli un anno fa. La sensazione è che di tutte le ultime vincitrici l'Inter sia quella che – per continuità, esperienza, guida tecnica, gioco, organico e visione strategica – abbia la possibilità più concreta di mantenersi in quota di volo.[8]
  • [Sui Pinguini Tattici Nucleari] [...] ancora una volta ho toccato con mano il talento genuino e la crescita artistica esponenziale di questi sei ragazzi di Bergamo, esplosi al Festival di Sanremo di quattro anni fa, inchiodati dal Covid proprio nel momento dell'inizio del volo e poi risaliti in quota grazie alla loro tenacia, alla loro passione, alla loro originalità, alla loro bravura, alla loro creatività e alla loro profonda leggerezza. Sono ben poche le band italiane che in questo momento possono riempire i palazzetti [...]: uscendo dal loro concerto provi veramente una sensazione di benessere. Sincero, ammirato e pulito.[9]
  • Il 30 aprile [...] fu l'ultima volta che vidi Ayrton Senna. Lo salutai nel paddock da pochi metri di distanza: ricambiò con la gentilezza di sempre, scosse la testa quasi per scusarsi, certamente non aveva voglia di parlare. Era già morto Roland Ratzenberger e lui si era appena recato sul punto dell'incidente: forse per capire, forse per pregare. La cosa lo aveva segnato in maniera enorme, facendolo entrare in quel loop di tormenti che accompagnarono le sue ultime 24 ore di vita. [...] Il primo maggio ero in diretta per l'ultima puntata della prima edizione di "Quelli che il calcio": lo scudetto era già stato vinto dal Milan [...]. Aria di festa [...]: da ultimo giorno di scuola. Noi su Rai 3, il Gran Premio di Imola (San Marino) su Rai 2. Io ovviamente stavo seguendo tutto su uno dei miei tanti monitor che avevo davanti. Quando Mario Poltronieri chiuse la sua telecronaca, la nostra rimase l'unica trasmissione sportiva in onda. Ero già stato informato che l'elicottero che si era alzato dall'autodromo per andare all'Ospedale Maggiore aveva trasportato un corpo intatto, ma senza vita. Mi venne chiesto di dire una bugia. Chiudemmo alle 17,30. Alle 18,40 la dottoressa Maria Teresa Fiandri, primario del reparto di Rianimazione, annunciò non senza emozione la sua morte. E quel punto, assieme allo sgomento, nacque la leggenda: alla quale è inutile – nemmeno oggi – aggiungere parole superflue.[10]
  • [Su Ayrton Senna] Ci conoscevamo [...] da quando ci ritrovammo ospiti nello studio televisivo di un'emittente bolognese dove si scambiavano opinioni oltre che col conduttore, Nando Macchiavelli, anche al telefono con i telespettatori. Eravamo tre ospiti. Io ero... il più famoso, perché conducevo il "Processo del lunedì", lui (accompagnato dal suo fraterno e leale amico, il fotografo Angelo Orsi) era noto solo al pubblico degli appassionati e infatti non ricevette neanche una telefonata e se ne stette in disparte per tutta la puntata: il terzo era un bravo collega che si occupava del Bologna e che venne preso a (innocente) bersaglio da chi era arrabbiato per il fatto che la squadra fosse in Serie C. Alla fine della trasmissione Ayrton venne da me, e non avendo capito bene chi io fossi, mi chiese se poteva stringermi la mano. Orsi sghignazzando mi diede una pacca e mi disse (giustamente): "Fra poco tempo sarai tu a chiedergli l'autografo". Una scena surreale della quale in effetti, pochi anni dopo, io e Ayrton, campione del mondo, sorridemmo dietro le quinte della consegna dei "Caschi d'Oro".[10]
  • [Sulla strage dell'Heysel] Solo rabbia e dolore, mai sopiti. [...] vissi quella tragedia momento per momento. Vidi il sangue, la disperazione e gli occhi sbarrati verso il cielo. E purtroppo ne dovetti scrivere. Provo ribrezzo – e non riesco a trovare un'altra espressione – per chi ne parla (e addirittura ne specula) senza cuore.[11]
  • [Su Marco Lucchinelli] Al netto di tanti sbagli e di tante scelte mal riuscite, uno dei più grandi piloti di motociclismo di tutti i tempi. E in più, per quanto mi riguarda, un ragazzo a cui ho sempre voluto bene: senza sentire la necessità di puntargli il dito contro, di giudicare: ma prendendolo per quello che è con la sua ruvida bontà, con le sue fragilità, con i suoi errori.[12]

facebook.com.

  • [...] chi l'ha vista ne ricorda ancora le sensazioni indelebili: mentre chi non l'ha vista, se non nei filmati, probabilmente ha capito (ma non del tutto) che notte trascorremmo quella notte. Perché Italia-Germania, è giusto rammentarlo, finì alle due abbondantemente passate. Ed è raccapricciante ricordare che, in caso di pareggio sul 3 a 3, si sarebbe tirata la monetina. Altro che algoritmi!
  • A quel match sono stati dati tanti significati. Il più importante, secondo me, al di là del valore sportivo, è che segnò agli occhi del mondo il culmine di un riscatto umano, sociale e persino politico di un Paese che era stato in ginocchio fino a qualche lustro prima e che anche nelle gioie e nella coesione dello sport aveva ritrovato la sua strada. Da Coppi e Bartali, via via fino agli eroi contadini delle prime due Olimpiadi del dopoguerra, poi la bellissima sbornia dei Giochi di Roma, per finire col [...] titolo europeo nel calcio nel 1968: quel calcio che a livello di Nazionale ci aveva visto iniziare da campioni del Mondo in carica gli anni 50 e che, per vent'anni, ci aveva riservato solo bastonate. Quei ragazzi che ci fecero sognare in Messico erano tutti "figli della guerra”: dai più vecchi (Puia e Burgnich del '38 e del '39) ai più giovani (Niccolai, Gori, Prati e Furino, tutti del '46). Si chiamavo Tarcisio, Comunardo, Angelo, Ugo, Giuseppe, Dino, Giacinto. Venivano da famiglie modestissime: quelle che si erano rimboccate le maniche per dar loro da mangiare e per farli crescere in un Paese migliore. E loro avevano ringraziato così: regalandoci un sorriso e sputando l'anima finchè avevano potuto.
  • La partita andò come andò: in un crescendo di emozioni [...] a cui contribuirono prodezze e svarioni, terzini fuori posto che andarono a far gol e svolazzi difensivi. Eppure alle due di notte di quel mercoledì, ormai giovedì, di un'estate già calda, l'Italia si ritrovò tutta "desta" come da spartito. Il gol decisivo di Rivera [...] suscitò, dalle finestre spalancate, il primo boato in mondovisione della nostra storia. Si riempirono spontaneamente le piazze: molti tirarono l'alba e andarono direttamente a lavorare. Il resto lo fece la china del tempo: e così quella palla di neve azzurra diventò prima una slavina, poi una valanga e poi un mito. Forse sovradimensionato (in fondo era solo una “semifinale” di un Mondiale [...]), forse preterintenzionale, probabilmente atteso e "necessario". Di certo, indimenticabile.
  • Io ero davanti alla tv con mio padre. Ricordo che ci abbracciammo: cosa non usuale per una generazione non esattamente cresciuta a smancerie. [...] Sì, forse fu davvero la mia partita del secolo.

Note

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  1. Citato in Marino Bartoletti fa infuriare gli interisti: "Se la Juventus sta bene, il calcio italiano sta bene", tuttojuve.com, 22 giugno 2012.
  2. Dal programma televisivo Se... a casa di Paola, Rai 1, 25 gennaio 2011; disponibile su rai.tv. [collegamento interrotto]
  3. Dall'intervista di Francesco Arioli, Marino Bartoletti: «La crisi dell'Hellas? Servirebbe ancora il caterpillar Elkjaer», larena.it, 17 novembre 2022.
  4. Da Bisogna saper vincere, Calcio 2000 nº 2 (27), febbraio 2000, p. 5.
  5. Da un post sul profilo ufficiale facebook.com, 24 settembre 2019.
  6. Da un post sul profilo ufficiale facebook.com, 16 aprile 2020.
  7. Da un post sul profilo ufficiale facebook.com, 12 agosto 2020.
  8. Da un post sul profilo ufficiale facebook.com, 22 aprile 2024.
  9. Da un post sul profilo ufficiale facebook.com, 28 aprile 2024.
  10. a b Da un post sul profilo ufficiale facebook.com, 30 aprile 2024.
  11. Da un post sul profilo ufficiale facebook.com, 29 maggio 2024.
  12. Da un post sul profilo ufficiale facebook.com, 26 giugno 2024.

Altri progetti

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