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Haruki Murakami

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Haruki Murakami nel 2009

Haruki Murakami (1949 – vivente), scrittore, traduttore, saggista e maratoneta giapponese.

Citazioni di Haruki Murakami

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  • Akutagawa Ryūnosuke ancor oggi esiste e agisce nella realtà in quanto «scrittore di statura nazionale». Non ho altro da aggiungere. Akutagawa continua a vivere nella letteratura giapponese, punto di riferimento fisso e parte delle nostre comuni fondamenta intellettuali. (p. XXVI)[1]
  • Anche quando narra eventi vicini alla sua vita privata, Akutagawa mantiene un forte controllo stilistico, la sua scrittura rivela una premeditazione sufficiente a mettere in guardia il lettore, cui sembra voler dire: non potrai mai sapere quanto vi sia di vero e quanto di falso. (p. XX)[1]
  • L'esperienza mi ha insegnato una chiara lezione: è molto più dura scendere che salire.[2]
  • La forma letteraria dei racconti brevi funziona in questo modo. Su cento racconti, se dieci sopravvivono per le generazioni seguenti, si può parlare di un grande successo. Non è possibile che ogni opera sia un capolavoro, né si può criticare uno scrittore per aver scritto opere mal riuscite. La vita è un lungo percorso, le cose a volte vanno bene, a volte no. Succede anche di scrivere in fretta per necessità. Quello che conta è soltanto il valore dei dieci capolavori che restano. Ed è per questo che sia Fitzgerald che Akutagawa sono tutt'oggi considerati dei grandi, e le loro opere sono ancora lette. (pp. XI-XII)[1]

1Q84

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Nel taxi la radio trasmetteva un programma di musica classica in FM. Il brano era la Sinfonietta di Janáček. Non esattamente la musica più adatta da sentire in un taxi bloccato nel traffico. E del resto nemmeno l'autista sembrava ascoltarla con troppa attenzione. L'uomo, di mezza età, era impegnato a guardare in silenzio la fila interminabile di auto che aveva davanti, come un pescatore provetto che, ritto a prua, scruta un minaccioso gorgo di correnti. Aomame, sprofondata nel sedile posteriore, gli occhi leggermente socchiusi, ascoltava la musica.

Citazioni

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  • A volte la luce nel suo sguardo si faceva affilata, come lo scintillio di una stella nel cielo di una notte d'inverno. Se per qualche ragione si chiudeva nel mutismo, poteva restare in silenzio per un tempo infinito, come una di quelle rocce sull'altro lato della luna. Il suo viso perdeva quasi ogni espressione, e si poteva pensare che anche il suo corpo avesse perso ogni calore.
  • Alzandosi lentamente, Tamaru disse:
    – Cechov ha scritto: «Se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari».
    – Che significa?
    Tamaru si mise in piedi di fronte a Aomame. Era più alto di lei solo pochi centimetri.
    – Vuol dire che in un racconto non si devono introdurre oggetti se non sono necessari. Se in un racconto spunta una pistola, è necessario che a un certo punto della narrazione venga fatta sparare. Cechov amava scrivere racconti privi di fronzoli.
    Aomame si sistemò le maniche del vestito, e mise in spalla la borsa a tracolla.
    – È questo che ti preoccupa. pensi che se la pistola appare in scena, sicuramente farà fuoco.
    – Assumendo il punto di vista di Cechov, sì.
    – Quindi potendo vorresti evitarti di procurarmi la pistola.
    – È un'arma pericolosa e illegale. Inoltre, aggiungerei che Cechov è uno scrittore attendibile.
    – Ma questo non è un romanzo. Stiamo parlando del mondo reale.
    Tamaru socchiuse gli occhi e guardò fisso il volto di Aomame.
    – Chi può dirlo?
  • Amare qualcuno dal profondo del cuore è comunque una grande consolazione. Anche se si è soli e non si riesce a stare con quella persona.
  • Le cose sono diverse da come appaiono. [...] Ma non si lasci ingannare. La realtà è sempre una sola.
  • Ma poiché quella promessa non metteva vere radici nella sua coscienza, alla prima pioggia veniva trascinata via dalla corrente e si perdeva chissà dove.
  • Mi sono stancato di vivere odiando qualcuno, disprezzandolo, portandogli rancore. Mi sono stancato di vivere senza amare nessuno. Non ho un amico, nemmeno uno. E soprattutto non posso amare me stesso. Sai perché? Perché sono incapace di amare gli altri. Ed è soltanto amando gli altri, ed essendo amati, che si impara ad amare se stessi. Ma non sto dicendo che è colpa tua se sono così. Penso che anche tu sei vittima come me. Penso che nemmeno tu sappia cosa significa amare se stessi. Sbaglio? (libro 2)
  • Quello che apprezzo di più, soprattutto per quanto riguarda i romanzi, è non riuscire a comprenderli completamente. Non nutro alcun interesse per le opere di cui mi sembra di capire tutto.
  • La vita non è altro che il risultato naturale di un'assurda, e talvolta persino triviale, concatenazione di eventi. (libro 2)
  • Nella prima metà del XVIII secolo Telemann godeva, come compositore, di un'ottima reputazione in ogni paese d'Europa, ma col passaggio al XIX, a causa di una eccessiva prolificità, le sue opere vennero guardate con derisione e disprezzo. Ma di questo Telemann non aveva nessuna responsabilità. Il fatto che insieme ai cambiamenti nelle società europee si modificassero anche gli obiettivi della composizione musicale, provocò un simile rovesciamento della sua reputazione.

A sud del confine, a ovest del sole

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  • - Ci sono diversi cocktail originali. Il più apprezzato è quello che porta il nome del locale, il "Robin's Nest". E' una mia invenzione, è a base di rum e vodka. Scende giù come niente, ma è molto forte.
    - L'ideale per far cadere una donna fra le proprie braccia!
    - Tu non lo sai, Shimamoto, ma i cocktail sono fatti proprio per quello.
    Scoppiò a ridere e disse: - Allora ne assaggerò uno.
  • Non avrebbe dovuto dirmi che forse sarebbe tornata. Le promesse, seppur vaghe, rimangono per sempre scolpite nell'animo.
  • Le asciugai la bocca con un fazzoletto. Lei lo prese tra le mani e lo fissò. - Tu sei sempre così gentile con tutti? - mi chiese.
    - Non con tutti, - risposi. - Con te sì. Non potrei esserlo con tutti, la mia gentilezza ha dei limiti. E anche nei tuoi confronti non posso fare tutto quello che vorrei. Vorrei che la vita non mi imponesse questi limiti, ma purtroppo non è possibile.

After Dark

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  • Una civilizzazione in cui non si riesce a tostare del pane al punto desiderato, che valore può avere?
  • La memoria umana è veramente qualcosa di strano: c'è conservata dentro un sacco di roba inutile, un sacco di cianfrusaglie, come in un cassetto. Mentre le cose importanti, quelle realmente necessarie, svaniscono una dopo l'altra.
  • Sai, – riprende – i ricordi sono solo un combustibile per alimentare la vita. Che un ricordo sia importante o meno, in pratica fa lo stesso, è soltanto combustibile. La vita va avanti comunque. Un foglio di giornale, un libro di filosofia, una stampa erotica, una mazzetta di biglietti da diecimila... è uguale, quando finiscono nel fuoco, diventano semplici fogli di carta. Non è che il fuoco mentre brucia pensa "toh, questo è Kant" o "ecco l'edizione serale dello Yomiuri Shinbun" oppure "ma guarda che belle tette!". Per il fuoco sono soltanto fogli di carta, niente di più. Bè, con i ricordi è la stessa cosa. Quelli importanti, quelli così così, quelli completamente inutili, sono solo combustibile, tutti quanti senza distinzione, – dice Korogi, annuendo sulle proprie parole. Poi continua: – E se per caso quel combustibile non ce l'avessi, se il cassetto dei ricordi dentro di me non esistesse, penso che già da un bel po'sarei stata spazzata in due di netto. Sarei morta sul ciglio della strada, raggomitolata in qualche miserabile buco. Che si tratti di cose importanti o di cavolate, è perché riesco a pescare nel cassetto tanti ricordi, uno dopo l'altro, che posso continuare a modo mio a tirare avanti, anche se questa esistenza mi sembra un brutto sogno. Quando penso di non farcela più, quando sto per gettare la spugna, in qualche modo riesco sempre a venirne fuori.
  • È passata attraverso un lungo tempo buio, ha scambiato molte parole con le persone della notte che nella notte ha incontrato, ma ora finalmente è tornata al luogo a cui appartiene. Attualmente, almeno per il momento, attorno a lei non vi è nulla che la minacci. Ha diciannove anni ed è protetta dal tetto e dalle pareti. È protetta dai giardini tenuti a prato, dai sistemi d'allarme, dalle station wagon tirate a lucido, dai grossi cani intelligenti che passeggiano nel vicinato.

Dance Dance Dance

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  • Proverò a parlare di me. A presentarmi con parole mie. L'ho fatto tante volte quando ero a scuola. Ognuno di noi a turno doveva mettersi di fronte alla nuova classe e presentarsi. Era una cosa che odiavo. O meglio, piú che odiarla non ne vedevo il senso. Che potevo saperne io di me stesso? Ero proprio io quel personaggio che riuscivo a percepire con la mia coscienza? Proprio come quando uno non riconosce la propria voce incisa su un registratore, mi chiedevo sempre se l'immagine che percepivo di me stesso non fosse un'immagine distorta che mi ero fabbricato su misura. Ogni volta che ero costretto a presentarmi davanti alla classe, mi alzavo in piedi con una sensazione di disagio. Mi sembrava di essere un truffatore. Per questa ragione cercavo sempre di dire solo fatti oggettivi, evitando interpretazioni o commenti: Ho un cane, mi piace nuotare, non mi piace il formaggio eccetera. Malgrado ciò provavo lo stesso la sensazione di star parlando dei fatti immaginari di una persona immaginaria. Anche quando ascoltavo gli altri, mi sembrava che parlassero tutti di qualcuno che non erano loro. Tutti vivevamo respirando l'aria irreale di un mondo irreale. (I, p. 9; 1998)
  • Se tendi le orecchie, ascolterai. Se aguzzi la vista, vedrai. (II; 1998)
  • Sono momenti che capitano a tutti, – dissi. – Siamo esseri umani, non progressioni geometriche. (II; 1998)
  • Triste come un cagnolino nero senza una zampa sotto la pioggia di dicembre. (II; 1998)
  • Anche quando apriamo un libro, siamo sempre in cerca di compensazioni. (IV, p. 35; 1998)
  • È strano ma ognuno di noi nella propria vita tocca un apice. Una volta raggiunto, non può che scendere. È inevitabile. Nessuno però sa dove sia il proprio apice. La linea di confine può presentarsi all'improvviso, quando si crede di essere ancora al sicuro. Nessuno lo sa. Alcuni possono raggiungere quel culmine a dodici anni. Da quel momento in poi la loro vita scorrerà nel più monotono tran tran. Alcuni continuano a salire fino alla morte. C'è chi muore nel suo massimo splendore. Molti poeti e musicisti hanno vissuto in modo febbrile e sono morti a trent'anni per aver bruciato i traguardi troppo in fretta. Picasso a ottant'anni passati realizzava ancora quadri pieni di vigore, ed è morto serenamente senza sperimentare il declino. È impossibile conoscere il proprio destino senza averlo percorso fino in fondo. (XXV; 2013)
  • Mi sembrava di non aver mai toccato l'apice. Se mi voltavo indietro, mi sembrava di non aver avuto nemmeno una vita. Un po' di vicissitudini. Progressi e regressi. Ma niente di piú. Non avevo fatto niente, prodotto niente. Avevo amato qualcuno, ed ero stato amato. Ma non mi restava niente. Il paesaggio era stranamente piatto. Mi sembrava di muovermi all'interno di un videogame. Come Pac-man, avanzavo mangiando i puntini che componevano il labirinto. Senza scopo. Ma con la certezza, prima o poi, di morire. (XXV, p. 259;1998)
  • Il tempo può risolvere molti problemi. Ma quelli che il tempo non può risolvere, li dobbiamo risolvere da soli. (1998)
  • L'immaginazione non ha problemi di costi e preventivi. È libera. Mettiamo da parte ogni preoccupazione piccolo borghese e sogniamo. (1998)
  • Mah, riconosco di aver avuto fortuna, – disse. – Però, se ci penso, mi sembra di non aver mai scelto niente. A volte di notte mi sveglio all'improvviso con questo pensiero, e vengo preso dal panico. Esiste qualcosa di concreto che corrisponde a questa parola, io? Se c'è, perché non la trovo da nessuna parte? Mi sembra di non aver mai fatto che recitare, uno dopo l'altro, tutti i ruoli che mi venivano offerti. Di non aver fatto mai una scelta personale, nemmeno una volta. (1998)
  • Non so se quello che faccio si possa chiamare «scrivere». Più che altro confeziono dei brani che servono a riempire dei buchi. Va bene qualsiasi cosa, purché il numero delle righe sia sufficiente. Ma bisogna pure che qualcuno faccia questo lavoro, e io lo faccio. È un po' come spalare la neve. Ma è la neve della cultura. (1998)
  • Quello che voglio dire è che una condizione del genere dopo un po' diventa cronica. La ferita è riassorbita nella quotidianità e non ci si ricorda più dov'è. Ma rimane. Non è una cosa che si può tirare fuori e mostrare. Se si può, vuol dire che è una ferita da poco. (1998)
  • Sentivo che il mondo continuava a muoversi. Anche chiuso in casa, immobile, l'eco di quel movimento mi arrivava lo stesso. Ma non riusciva in nessun modo a interessarmi. Tutto mi sfiorava come un vento leggero, silenzioso. (1998)

Flipper 1973

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  • [Il protagonista parla con un flipper]
    Sai, penso spesso a te, le dissi. E ogni volta mi sento terribilmente solo.
    Quando non riesci a dormire?
    Già, quando non riesco a dormire, ripetei. Lei continuava a sorridermi.
    Non hai freddo?, mi chiese.
    Be', sì. Si gela.
    Meglio che non ti fermi molto. Qui fa di sicuro troppo freddo, per te.
    Probabile, dissi. [...]
    Non vuoi giocare?, fece lei.
    No, non gioco, risposi.
    Perché?
    Il mio record è stato 165000, ricordi?
    Certo che lo ricordo. È stato anche il mio.

Kafka sulla spiaggia

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- E così il denaro sei riuscito a trovarlo? – chiede il ragazzo chiamato Corvo. Il modo di parlare è il solito, un po' strascicato. Come di uno che si è appena svegliato dopo una lunga dormita e ha i muscoli della bocca ancora intorpiditi. Ma il suo è solo un atteggiamento: in realtà è perfettamente sveglio. Come sempre.
Io annuisco.
– Quanto?
Rifaccio un'altra volta il calcolo a mente, quindi rispondo: – Circa quattrocentomila yen in contanti. Poi c'è ancora qualcosa che posso prelevare con la carta. Naturalmente non credo che basti, ma almeno per ora dovrei farcela.

Citazioni

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  • Cammino lungo la riva della coscienza, dove le onde si muovono in un flusso e riflusso continuo. Quando arrivano, lasciano dietro di sé delle scritte che subito l'ondata successiva cancella. Cerco di leggerle in fretta, nel breve intervallo fra un'onda e l'altra. Ma non è facile. Prima che faccia in tempo a leggere, arriva una nuova onda a cancellare tutto. Nella coscienza rimangono solo indecifrabili frammenti di parole.
  • Ciò che è fuori di te è una proiezione di ciò che è dentro di te, e ciò che è dentro di te è una proiezione del mondo esterno. Perciò spesso, quando ti addentri nel labirinto che sta fuori di te, finisci col penetrare anche nel tuo labirinto interiore. E in molti casi è un'esperienza pericolosa.
  • Sono al sicuro nel contenitore del mio io. I bordi coincidono perfettamente: un piccolo clic e scatta la serratura. Così va bene. Sono nel mio rifugio di sempre.
  • C'è solo una cosa che devo fare: riuscire a vivere con questo involucro che è il mio corpo. Un compito facile, difficile? Dipende da come lo si guarda. Quello che so è che, anche se ci riuscirò, nessuno penserà che ho compiuto qualcosa di importante. Nessuno si alzerà per applaudirmi commosso.
  • Guardare troppo lontano è un errore. Se uno guarda lontano, non vede quello che ha davanti ai piedi, e finisce per inciampare. Ma anche concentrarsi troppo sui piccoli dettagli che si hanno sotto il naso non va bene. Se non si guarda un po' oltre, si va a sbattere contro qualcosa. Perciò è meglio sbrigare le proprie faccende guardando davanti a sé quanto basta, e seguendo l'ordine stabilito passo dopo passo. Questo, in tutte le cose, è il punto fondamentale.
  • In quale assurda situazione sei venuto a trovarti! Innamorato di una ragazza che non esiste, e geloso di un ragazzo che è morto. Eppure questo amore è più reale e lacerante di qualsiasi sentimento tu abbia mai provato. Però non ci sono vie d'uscita. Impossibile pensare di trovarne. Ti sei perso nel labirinto del tempo. Ma il problema più grave è che il pensiero di uscirne non ti sfiora nemmeno. O sbaglio?
  • La felicità è sempre uguale, ma l'infelicità può avere infinite variazioni, come ha detto anche Tolstoj. La felicità è una fiaba, l'infelicità un romanzo.
  • Non capisco come sia possibile che amare profondamente qualcuno voglia dire ferire quella persona in modo tanto crudele. Perché se così fosse, che significato avrebbe amare?
  • Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c'è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato.
  • Può darsi che avere in mano il simbolo della propria libertà dia una felicità superiore a quella di possedere la libertà vera.
  • Tanto, non serve a migliorare nulla. Non è che chiudendo gli occhi si spenga qualcosa. Anzi, se lo fai, quando li riaprirai nel frattempo le cose saranno decisamente peggiorate. Questo è il mondo in cui viviamo, Nakata. Devi tenere gli occhi bene aperti. Chiudere gli occhi è da rammolliti. Evitare di guardare in faccia la realtà è da codardi. Mentre tu tieni gli occhi chiusi e ti tappi le orecchie, il tempo avanza. Tic-toc-tic-toc.
  • Tutti perdiamo continuamente tante cose importanti. Occasioni preziose, possibilità, emozioni irripetibili. Vivere significa anche questo. Ma ognuno di noi nella propria testa – sì, io immagino che sia nella testa – ha una piccola stanza dove può conservare tutte queste cose in forma di ricordi. Un po' come le sale della biblioteca, con tanti scaffali. E per poterci orientare con sicurezza nel nostro spirito, dobbiamo tenere in ordine l'archivio di quella stanza: continuare a redigere schede, fare pulizie, rinfrescare l'aria, cambiare l'acqua ai fiori. In altre parole, tu vivrai per sempre nella tua biblioteca personale.
  • Il tempo grava su di te con il suo peso, come un antico sogno dai tanti significati. Tu continui a spostarti, tentando di venirne fuori. Forse non ce la farai, a fuggire dal tempo, nemmeno arrivando ai confini del mondo. Ma anche se il tuo sforzo è destinato a fallire, devi spingerti fin laggiù. Perché ci sono cose che non si possono fare senza arrivare ai confini del mondo.
  • Può darsi che non sarai mai felice. Perciò non ti resta che danzare, danzare così bene da lasciare tutti a bocca aperta.
  • Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l'andatura. E il vento cambia andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo. Questo si ripete infinite volte, come una danza sinistra con il dio della morte prima dell'alba. Perché quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendente da te. È qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu. Perciò l'unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto, e chiudendo forte gli occhi per non far entrare la sabbia.

- Ti sei comportato nel modo giusto, – dice il ragazzo chiamato Corvo. – Hai fatto quello che dovevi. Nessun altro avrebbe saputo fare di meglio. Ti sei confermato ancora una volta come il quindicenne più duro e indistruttibile del mondo.
- Ma non ho ancora capito che cosa significa vivere, – dico
- Guarda il quadro, – dice lui. – Ascolta il rumore del vento.
Annuisco
- Ne sei capace.
Annuisco.
- Adesso dormi, dice il ragazzo chiamato Corvo. – E quando ti sveglierai farai parte di un mondo nuovo.
Così finalmente ti addormenti. E quando ti svegli fai parte di un mondo nuovo.

L'arte di correre

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Oggi è il 5 Agosto 2005, un venerdì. Isola di Kauai nell'arcipelago delle Hawai, costa nord. Il tempo è sempre così bello che quasi viene a noia.

Citazioni

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  • La regola vuole che un vero gentiluomo non parli delle sue ex fidanzate, né delle tasse che paga. No, tutto falso. Scusatemi, me lo sono inventato in questo momento.
    Ma se questa regola esistesse, forse imporrebbe anche di «non parlare di ciò che si fa per mantenersi in buona salute». Perché un vero gentiluomo difficilmente in una conversazione si dilungherebbe su un argomento del genere. Per lo meno a mio parere.
    Io però, come tutti sanno, non sono un gentiluomo, quindi del galateo me ne infischio. Tuttavia – perdonate se ho l'aria di giustificarmi – provo un leggero imbarazzo a scrivere questo libro, benché non si tratti di un manuale di igiene fisico-mentale, ma di un testo sulla corsa a piedi. (dalla prefazione)
  • Quando penso all'esistenza umana, a volte ho l'impressione di non essere altro che una zattera arenata sulla spiaggia. (p. 9)
  • In altre parole, sentirsi o meno fieri di sé una volta arrivati al traguardo per chi corre su lunga distanza, costituisce un criterio di valutazione. La stessa cosa si può dire che accada nella professione di scrittore. In questo lavoro – per lo meno per quanto mi riguarda- non c'è vittoria o sconfitta. Può darsi che il numero di copie vendute, i premi letterari, le recensioni dei critici costituiscano dei criteri in base ai quali giudicare il risultato, ma non sono l'essenziale. Ciò che conta, più di ogni altra cosa, è che l'opera compiuta corrisponda ai criteri che lo scrittore stesso ha stabilito, e in questa valutazione non gli sarà facile barare. Davanti agli altri bene o male si possono trovare pretesti, ma ingannare se stessi è impresa ben più ardua. In questo senso scrivere un libro è un po' come correre una maratona, la motivazione in sostanza è della stessa natura: uno stimolo interiore silenzioso e preciso, che non cerca conferma in un giudizio esterno. (pp. 12-13)
  • Quando corro, semplicemente corro. In teoria nel vuoto. O viceversa, è anche possibile che io corra per raggiungere il vuoto. In quella sospensione spazio-temporale, pensieri goni volta diversi si insinuano naturalmente nel mio cervello. È naturale, perché nell'animo umano non può esistere il vuoto assoluto. (p. 18)
  • La barriera tra un sana fiducia in se stessi e un malsano orgoglio è molto sottile.
  • Una delle regole fondamentali di un allenamento intensivo è che si può anche diminuire la quantità complessiva di esercizio, ma non bisogna mai riposare due giorni di seguito.
  • Le ferite spirituali non rimarginate sono il prezzo che gli esseri umani devono pagare per la propria indipendenza. (p. 20)
  • Ciò che penso, semplicemente, è che, una volta usciti dalla prima giovinezza, nella vita è necessario stabilire delle priorità. Una sorta di graduatoria che permetta di distribuire al meglio tempo ed energia. Se entro una certa età non si definisce in maniera chiara questa scala dei valori, l'esistenza finisce col perdere il suo punto focale, e di conseguenza anche le sfumature. A me non interessava avere tanti amici in carne ed ossa, privilegiavo il bisogno di condurre una vita tranquilla in cui potermi concentrare nella scrittura. Perché per me le relazioni umane veramente importanti, più che con persone specifiche, erano quelle che avrei costruito con i miei lettori. Se dopo aver posato le fondamenta della mia vita ed essermi creato un ambiente favorevole al mio lavoro, avessi scritto delle opere di un certo valore, un gran numero di persone le avrebbe accolte con gioia. E dar loro questa gioia non era forse per me, in quanto scrittore professionista, il primo dovere? Ancor oggi non ho cambiato opinione in proposito. I lettori non li posso vedere in faccia, e in un certo senso la relazione con loro è soltanto concettuale, tuttavia per me quell'invisibile relazione «concettuale» è qualcosa della massima importanza, e con questa convinzione ho vissuto finora. (pp. 35-36)
  • Gli esseri umani trovano naturale perseverare nelle cose che amano, e in quelle che non amano no, sono fatti così. In questo la volontà avrà certo un suo ruolo, ma nessuno può continuare per molto tempo a fare qualcosa per cui non è portato, nemmeno se possiede una volontà di ferro, nemmeno se per carattere non tollera sconfitte. E anche ammettendo ci riesca, non ne trarrà alcun beneficio. (pp. 40-41)
  • Se mi chiedessero qual è la qualità più importante per uno scrittore dopo il talento, direi senza esitare la capacità di concentrazione. La facoltà intellettuale di riversare tutto il talento di cui siamo dotati, intensificandolo, su un unico obiettivo. Chi non è capace di fare questo non riuscirà a portare a compimento nulla di buono. Invece usando in maniera efficace l'energia mentale, in una certa misura si compensa un talento carente. (p. 67)
  • Ognuno lascia la sua impronta nel luogo che sente appartenergli di più.

L'uccello che girava le viti del mondo

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  • Devi spendere i tuoi soldi per le cose che con i soldi puoi comprare, senza preoccuparti di perdite o profitti. Riserva la tua energia per le cose che i soldi non possono comprare.
  • Il destino della gente bisogna voltarsi indietro a guardarlo dopo che è passato.
  • Io son pessimista, ma gli adulti di questo mondo che non lo sono, sono un branco di idioti.
  • I ricordi e i pensieri invecchiano proprio come le persone. Ma ci sono pensieri che non invecchiano mai. Ricordi che non sbiadiscono.
  • Mi domando se sia realmente possibile capire perfettamente un'altra persona. Anche quando ci sforziamo di conoscere qualcuno mettendoci tutto il tempo e la buona volontà possibili, in che misura possiamo cogliere la sua vera natura? Sappiamo ciò che è veramente essenziale riguardo a quell'altro che siamo convinti di comprendere tanto bene?
  • Mi sembra che le persone a una a una vadano silenziosamente cadendo giù dal bordo del mondo sul quale mi trovo io. Tutti procendono in direzione di quel bordo che da qualche parte deve esserci, e di colpo spariscono.
  • Mi sono sempre sentito come un guscio vuoto. E quando uno vive come un guscio vuoto, per quanto lunga sia la sua vita, non si può dire che abbia veramente vissuto. Dal cuore e dal corpo di un guscio vuoto, nasce solo la vita di un guscio vuoto.
  • Non è che basti ammettere i propri errori per risolvere tutto. Che uno li ammetta o no, gli errori restano errori, di lì non si scappa.
  • Quando non si ha niente da fare, i pensieri vagano sempre più lontano. E quando si sono allontanati troppo, poi non si riesce più a seguirli.
  • Qualche volta dieci minuti non sono dieci minuti. Possono essere più lunghi o più brevi.
  • Se vuoi andartene, devi andartene. Si tratta della tua vita e devi viverla nel modo che vuoi.

La fine del mondo e il paese delle meraviglie

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Il paese delle meraviglie

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  • Le attività ripetitive sono il solo modo di riequilibrare le tendenze maldistribuite. (I; p. 5)
  • Perché ci sono tanti modi di essere grassi, come ci sono tanti modi di morire. (I; p. 11)
  • È perché si hanno delle aspettative che si resta delusi. (VII; p. 82)
  • L'immaginazione è libera come un uccello, vasta come il mare. Nessuno la può frenare. (XIII; p. 162)
  • Meno piacciamo alla gente, più accumuliamo pregiudizi. (XV; p. 183)
  • La maggior parte della gente non riesce a correggere i propri difetti. Le tendenze di ognuno di noi sono grossomodo definite prima dei venticinque anni, e in seguito, per quanti sforzi facciamo, non possiamo cambiare la nostra natura. Il problema vero è la reazione che il mondo esterno avrà alle nostre tendenze. Anche grazie al whisky, provai un forte senso di solidarietà con Rudin. Con i personaggi di Dostoevskij di solito questo non mi succede, ma con quelli di Turgenev sì. Provo simpatia per quasi tutti loro. Forse è perché anch'io ho un sacco di difetti. È naturale che fra simili ci si intenda. I personaggi di Dostoevskij, invece, hanno difetti che a volte non si possono nemmeno definire tali, ed è per questo che non riesco a identificarmi al cento per cento con loro. Nel caso di Tolstoj, poi, i difetti sono talmente grossi che diventano monumenti. (XV; p. 193)
  • – Perché beve tanto? – chiese lei.
    – Forse perché ho paura, – risposi.
    – Anch'io ho paura però non bevo.
    – La tua paura e la mia sono di due generi diversi.
    – Non capisco.
    – Col passare degli anni aumentano le cose che non riusciamo più ad aggiustare, – dissi.
    – Ci si stanca?
    – Sì, ci si stanca. (XIX; p. 226)
  • Il vero genio si accontenta del proprio mondo. (la nipote dello scienziato: XXI; p. 253)
  • Se ha fiducia dimentica la paura. Pensi a delle cose piacevoli, alle persone che ha amato, alle lacrime che ha versato, a quando era bambino, ai suoi sogni per il futuro, a qualunque cosa. Vedrà che la paura passerà. (la nipote dello scienziato: XXI; p. 261)
  • Quando una persona decide di perseguire un risultato, le viene naturale considerare tre cose: quanto ha già conseguito? A che punto si trova? Cos'ha ancora da fare? Se questi tre parametri vengono meno, restano solo la paura, la mancanza di fiducia in sé e la spossatezza. (XXI; p. 262)
  • Stando a lungo al buio, il buio diventa la condizione normale, è la luce che finisce per sembrarci innaturale. (XXI; pp. 267-268)
  • In tal senso, se qualcuno avesse aperto la finestra, messo dentro la testa e mi avesse gridato: «La tua vita è un fallimento!» non avrei avuto nessuna prova per negarlo. (XXXIII; pp. 432-433)
  • [Bob Dylan] È come un bambino alla finestra che sta a guardare la pioggia fuori. (l'impiegata dell'agenzia di autonoleggio: XXXIII; p. 440)
  • [Parlando de I fratelli Karamazov] È un pozzo di saggezza quel libro. (il protagonista de Il paese delle meraviglie: XXXIX; p. 495)
  • Chiunque ci può entrare. E chiunque ne può uscire. Questo è il vantaggio di una visione limitata. Basta pulirsi bene le scarpe quando si entra e chiudere bene la porta quando si esce. (il protagonista de Il paese delle meraviglie: XXXIX; pp. 495-496)
  • Esiste anche questo al mondo, la tristezza di non poter piangere a calde lacrime. È una di quelle cose che non si può spiegare a nessuno, e anche se si potesse, nessuno la capirebbe. È una tristezza che non può prendere forma, si accumula quietamente nel cuore come la neve in una notte senza vento. (XXXIX; p. 499)

La fine del mondo

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  • La gentilezza non è un sentimento. La gentilezza è una funzione indipendente. Una funzione superficiale, per la precisione. Una semplice abitudine, nulla a che fare con i sentimenti, con il cuore. Il cuore è qualcosa di più profondo, di più forte. E di più contraddittorio. (il Colonnello: XVI; p. 201)
  • Apri di più il tuo cuore, non sei prigioniero. Sei un uccello che vola nel cielo alla ricerca di sogni. (la bibliotecaria de La fine del mondo: XVIII; p. 217)
  • Quanta forza può avere, in realtà, un cuore che si è smarrito? (il protagonista de La fine del mondo: XXIV; p. 316)
  • Hai detto che in questa città non ci sono conflitti, non c'è odio, non c'è avidità. Il che è una cosa magnifica. Se ne avessi l'energia farei un bell'applauso. Me se non ci sono tutte queste brutte cose, significa che non c'è nemmeno il loro contrario. La gioia, la felicità, l'amore. Se c'è la delusione è perché c'è la speranza, se c'è la tristezza è perché c'è la sua controparte, la gioia. Non esiste da nessuna parte la felicità senza delusione. Questa è la natura di cui parlo io. E poi considera l'amore. Anche riguardo a quella ragazza della biblioteca di cui parli. È probabile che tu l'ami. Ma è un sentimento che non può avere sbocchi. Perché lei non ha un cuore. È una persona senza cuore è semplicemente un'illusione che cammina. Che senso ha riuscire ad avere una persona del genere? Desideri veramente una tale vita in eterno? Diventare anche tu un'illusione? Se adesso io muoio, tu diventerai uno di loro e non potrai andartene mai più da questa città. (l'ombra: XXXII; pp. 422-423)
  • Mi bastava abbandonare al vento il mio cuore, come gli uccelli.
    Perché non potevo buttarlo via, mi dissi. A volte era pesante e cupo, era vero, ma succedeva anche che portato in volo dal vento riuscisse a vedere attraverso l'eternità. (XXXVI; p. 466)

La ragazza dello Sputnik

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Nella primavera del suo ventiduesimo anno, Sumire si innamorò per la prima volta nella vita. Fu un amore travolgente come un tornado che avanza inarrestabile su una grande pianura. Spazzò via ogni cosa, trascinando in un vortice, lacerando e facendo a pezzi tutto ciò che trovò sulla sua strada, e dietro non si lasciò nulla.

Citazioni

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  • Dietro tutte le cose che crediamo di conoscere bene, se ne nascondono altrettante che non conosciamo per niente. La comprensione non è altro che un insieme di fraintendimenti. Questo è il mio piccolo segreto per conoscere il mondo. In questo nostro mondo, «le cose che sappiamo» e «le cose che non sappiamo» sono fatalmente inseparabili come gemelle siamesi, e la loro stessa esistenza è confusione.
  • E in quel momento capii. Eravamo stase meravigliose compagne di viaggio, ma in fondo non eravamo che solitari aggregati metallici che disegnavano ognuno la propria orbita. In lontanaza potremmo anche essere belle a vedersi, come stelle cadenti. Ma in realtà non siamo che prigioniere, ognuna confinata nel proprio spazion, senza la possibilità di andare da nessun'altra parte. Quando le orbine dei nostri satelliti per caso si incrociano, le nostre facce si incontrano. E forse, chissà, anche le nostre anime vengono a contatto. Ma questo non dura che un attimo.
  • Questa donna amava Sumire. Ma non riusciva a provare desiderio per lei. Sumire la amava e la desiderava. Io amavo Sumire e la desideravo. Sumire mi voleva bene ma non mi amava e non provava desiderio per me. Io riuscivo a provare desiderio per un'altra donna, ma non l'amavo. Era molto complicato.
  • Molto tempo fa, dopo la prima del Mucchio selvaggio di Sam Peckinpah, durante la conferenza stampa una giornalista alzò la mano per fare una domanda. – Che bisogno c'era di far vedere tanto sangue? – chiese con tono indignato. Ernest Borgnine, che recivata nel film, con un'espressione perplessa sul viso rispose: – Mi perdoni, sigona, ma quando uno è colpito da una pistola, sanguina –. Il film era stato realizzato in piena guerra del Vietnam.
  • Così continuiamo a vivere la nostra vita, pensai. Segnati da perdite profonde e definitive, derubati delle cose per noi più prezione, trasformati in persone diverse che di sè conservano solo lo strato esterno della pelle; tuttavia, silenziosamente, continuiamo a vivere. Allungando le mani, riusciamo a prenderci la quantità di tempo che ci è assegnata, e poi la guardiamo mentre indietreggia alle nostre spalle. A volte, nel ripetersi dei gesti quotidiani, sappiamo farlo anche con destrezza.
  • Però, se mi è concessa un'osservazione banale, in questa vita imperfetta abbiamo bisogno anche di una certa quantità di cose inutili. Se tutte le cose inutili sparissero, sarebbe la fine anche di questa nostra imperfetta esistenza.
  • Non smetteva mai di stupirsi della gran quantità di cose che non sapeva.
  • Con lei riuscivo a dimenticare temporaneamente il costante sottofondo di solitudine che mi accompagnava da sempre. I confini del mio mondo si dilatavano e potevo respirare più profondamente.
  • Era una vista toccante, che avrei voluto ritagliare con le forbici e attaccare con uno spillo alle pareti della mia memoria.
  • C'è sempre un momento in cui una storia va raccontata, ho insistito. Altrimenti per tutta la vita si resta prigionieri di un segreto.
  • Con tutte le persone che vivono su questo pianeta, e se ognuno di noi cerca qualcosa nell'altro, perché alla fine dobbiamo essere così soli? A che scopo? Forse il pianeta continua a ruotare nutrendosi della solitudine delle persone?

Norwegian Wood

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Avevo trentasette anni, ed ero seduto a bordo di un Boeing 747. Il gigantesco velivolo aveva cominciato la discesa attraverso densi strati di nubi piovose, e dopo poco sarebbe atterrato all'aeroporto di Amburgo. La fredda pioggia di novembre tingeva di scuro la terra trasformando tutta la scena, con i meccanici negli impermeabili, le bandiere issate sugli anonimi edifici dell'aeroporto e l'insegna pubblicitaria della Bmw, in un tetro paesaggio di scuola fiamminga. È proprio vero: sono di nuovo in Germania, pensai.

Citazioni

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  • Il cielo era così infinito che a guardarlo fisso dava le vertigini. (p. 4)
  • E mi chiedo dove siamo andati a finire noi due. Come è potuto succedere? Dove è andato a finire tutto quello che ci sembrava così prezioso, dov'è lei e dov'è la persona che ero allora, il mio mondo? (p. 5)
  • – Perché? – ripeté Naoko guardando fisso la terra ai suoi piedi. – A capire che se uno si rilassa si sente più leggero ci arrivo anch'io. Ma non capisci quanto è assurdo dirmi una cosa del genere? E sai perché? Se io provassi a rilassarmi, andrei a pezzi. Ho sempre vissuto così, da tanto tanto tempo, e anche adesso è l'unico modo in cui posso vivere. Se una sola volta mi lasciassi andare, non potrei più tornare indietro. E se andassi a pezzi, il vento mi spazzerebbe via. Perché non lo capisci? Come pensi di potermi aiutare se non riesci a capire questo? (p. 10)
  • E invece, inutile negarlo, la memoria si sta allontanando, e ho già dimenticato troppe cose. Nello scrivere seguendo i ricordi come faccio adesso, a volte vengo preso da una terribile angoscia. All'improvviso mi assale il dubbio di stare perdendo la memoria delle cose più essenziali. Il dubbio che tutti i miei ricordi più preziosi, accumulati in qualche zona buia del mio corpo, in una specie di limbo della memoria, si stiano trasformando in una massa fangosa. (pp. 11-12)
  • Quello che lei cercava non era il mio braccio, ma il braccio di qualcuno. Quello che cercava non era il mio calore, ma il calore di qualcuno. Mi sentivo quasi in colpa ad essere io a occupare quel posto. (p. 37)
  • La morte non è l'opposto della vita, ma una sua parte integrante. (p. 33)
  • Ma a partire dalla notte in cui morì Kizuki, non riuscii più a vedere in modo così semplice la morte (e la vita). La morte non era più qualcosa di opposto alla vita. La morte era già compresa intrinsecamente nel mio essere, e questa era una verità che, per quanto mi sforzassi, non potevo dimenticare. Perché la morte che in quella sera di maggio, quando avevo diciassette anni, aveva afferrato Kizuki, in quello stesso momento aveva afferrato anche me. (p. 33)
  • La lettura favorita dei miei diciott'anni era stato Centauro di John Updike, ma a furia di rileggerlo il suo splendore iniziale si era a poco a poco appannato, e aveva finito col cedere la posizione in cima alla classifica al Grande Gatsby di Fitzgerald, che poi rimase il mio libro preferito ancora per molto molto tempo. Avevo preso l'abitudine, ogni volta che me ne veniva voglia, di prenderlo dallo scaffale, aprirne una pagina a caso e di leggere per un po' a partire da quel punto, e devo dire che mai, nemmeno una volta, mi deluse. Non c'era una sola pagina che presa a sé risultasse noiosa. Lo trovavo meraviglioso, e mi sarebbe piaciuto comunicare agli altri questo senso di meraviglia. (p. 40)
  • Aveva letto talmente tanto che come lettore io non potevo neanche accostarmi a lui, ma di regola non prendeva in mano un libro se lo scrittore non era morto da almeno trent'anni. Come fai se no a fidarti? diceva.
    – Con questo non voglio dire che non mi fido della letteratura contemporanea in assoluto. È solo che non vorrei sciupare del tempo prezioso leggendo opere che non hanno ricevuto il battesimo del tempo. (pp. 40-41)
  • Sentivo di sbagliare, ma non riuscivo a fare altrimenti. Il mio corpo aveva fame e sete e chiedeva di fare l'amore. Ma quando ero a letto con quelle ragazze pensavo tutto il tempo a Naoko. Pensavo al suo corpo nudo, bianco, che sembrava galleggiare nell'oscurità, ai suoi sospiri mischiati al rumore della pioggia. E più ci pensavo, più la fame del mio corpo si faceva pressante, e così la sete. Quando salivo sul terrazzo a bere whisky da solo, non facevo che chiedermi: dove diavolo voglio andare a finire? (pp. 57-58)
  • Rilessi la lettera un centinaio di volte. E ogni volta venivo preso da una sconfinata tristezza, la stessa che provavo quando Naoko mi fissava negli occhi. Era una sensazione desolata che non potevo allontanare da me in nessun modo, di cui non potevo in nessun modo liberarmi. Come il vento che passa sfiorando la pelle, non aveva contorni né peso. Troppo impalpabile anche per avvolgermici dentro. (p. 59)
  • Anche dopo che la lucciola era scomparsa, la sua scia luminosa restò ancora a lungo dentro di me. Nel buio totale dietro i miei occhi chiusi, quella piccola pallida luce continuò a vagare molto a lungo, come uno spirito inquieto.
    In quel buio provai molte volte ad allungare la mano. Le mie dita però non incontravano niente. Quella piccola luce era sempre un po' più avanti delle mie dita. (p. 62)
  • – Ma che cosa intendi per essere un gentiluomo? Se puoi farmi un esempio te ne sarei grato.
    – Non fare quello che si vuole, ma quello che è necessario. Questo è essere un gentiluomo. (p. 74)
  • È solo che adesso sono un po' stanca. Stanca come una scimmia sotto la pioggia. (Midori, p. 78)
  • – Sai qual è il più grosso vantaggio di essere ricchi?
    – Non lo so.
    – La libertà di poter dire che non hai soldi. Per esempio se io proponevo a delle compagne di fare qualcosa insieme, capitava spesso che rispondessero: «Stavolta non posso, perché non ho una lira». Ma se accadeva il caso inverso, io non potevo rispondere allo stesso modo. Se io avessi detto «Non ho una lira» avrebbe voluto dire che veramente non avevo una lira. Sarebbe stato patetico. E così come quando una ragazza bella dice: «Oggi non posso uscire di casa perché sono un mostro». Prova a pensare l'effetto se a dire la stessa cosa è una brutta. La gente si mette solo a ridere. (pp. 83-84)
  • Ho sempre avuto fame di affetto, io. E mi sarebbe bastato riceverne a piene mani anche solo una volta. Abbastanza da dire: grazie, sono piena, più di così non ce la faccio. Sarebbe bastato una volta, una sola unica volta. (Midori, p. 102)
  • Così dicendo cominciò a suonare, benissimo, Michelle.
    – Bella questa, vero? Mi piace tanto, – disse Reiko, poi bevve un sorso di vino e fumò. – Mi fa pensare a un grande prato dove cade una pioggia leggera. (p. 144)
  • Reiko, dopo essersi sciolta bene le dita suonò Norwegian Wood. [...]
    – Quando sento questa canzone a volte divento tremendamente triste, non so perché ma ho la sensazione di vagare in una foresta profonda, – disse Naoko. – Come se fossi da sola, al freddo e al buio, e nessuno venisse ad aiutarmi. (p. 144)
  • Sognai dei salici. Ero su una strada di montagna fiancheggiata su entrambi i lati da salici. Non ne avevo mai visti tanti in una volta. Soffiava un vento forte ma i rami dei salici erano perfettamente immobili. E mentre mi dicevo: strano, chissà perché non si muovono, mi accorsi che su ogni ramo dei salici c'era attaccato un piccolo uccello. Era il loro peso che impediva ai rami di tremare. Io, con un bastone che portavo, provai a colpire un ramo vicino. Volevo cacciare gli uccelli in modo che i rami si mettessero a tremare al vento. Ma gli uccelli non si mossero. Invece di volare gli uccelli diventarono di metallo e caddero a terra con un rumore di ferraglia. (p. 171)
  • A causa dell'inclinazione della luce le sue labbra apparivano accentuate. La loro linea così fragile era agitata da un lieve tremito che sembrava in accordo col battito del suo cuore o con le vibrazioni della sua anima. Come se stesse bisbigliando parole senza suono rivolte al buio della notte. (p. 172)
  • – E se tu mi capissi, questo a cosa porterebbe?
    – Non è questo il punto, – dissi. – Non è una questione di «a cosa porterebbe». Nel mondo ci sono persone che amano sapere tutto sulle tabelle orarie, e passano intere giornate a confrontarle. O gente a cui piace fare costruzioni coi fiammiferi, capace di costruire navi di un metro fatte tutte di fiammiferi. Allora che c'è di strano se nel mondo c'è uno che è interessato a capire te?
    – Come una specie di hobby? – disse Naoko perplessa.
    – Se vuoi puoi chiamarlo così. Persone meno fantasiose lo chiamerebbero affetto, amicizia. Però se tu vuoi chiamarlo hobby, non c'è niente di male. (pp. 184-185)
  • Sono molto più paziente con gli altri di quanto lo sia con me stessa, e mi è molto più facile tirar fuori i lati positivi nelle cose degli altri che non nelle mie. Sono un tipo così. È un po' come essere quella superficie ruvida su una scatola di fiammiferi. Il che mi sta benissimo, intendiamoci. Meglio essere una scatola di prima qualità che un fiammifero scadente. (Reiko, p. 197)
  • – Mi piaci tanto, Midori.
    – Tanto quanto?
    – Tanto quanto un orso in primavera.
    – Un orso in primavera? – chiese lei sollevando di nuovo la testa. – Come sarebbe «un orso in primavera»?
    – Un orso in primavera... allora, tu stai passeggiando da sola per i campi quando a un tratto vedi arrivare nella tua direzione un orso adorabile dalla pelliccia vellutata e dagli occhi simpatici, che ti fa: «Senta, signorina, non le andrebbe di rotolarsi un po' con me sull'erba?» Tu e l'orsetto vi abbracciate e giocate a rotolare giù lungo il pendio tutto ricoperto di trifogli per ore e ore. Carino, no?
    – Carinissimo.
    – Ecco, tu mi piaci tanto così. (p. 298)
  • Cerca di pensare che la vita è una scatola di biscotti. [...] Hai presente quelle scatole di latta con i biscotti assortiti? Ci sono sempre quelli che ti piacciono e quelli che no. Quando cominci a prendere subito tutti quelli buoni, poi rimangono solo quelli che non ti piacciono. È quello che penso sempre io nei momenti di crisi. Meglio che mi tolgo questi cattivi di mezzo, poi tutto andrà bene. Perciò la vita è una scatola di biscotti. (p. 323)
  • Per quanto una situazione possa sembrare disperata, c'è sempre una possibilità di soluzione. Quando tutto attorno è buio non c'è altro da fare che aspettare tranquilli che gli occhi si abituino all'oscurità. (Reiko, p. 331)
  • Perché? – grido Midori. – Ma ti funziona il cervello? Tu capisci il condizionale inglese, le progressioni numeriche e perfino Marx, come è possibile che tu non capisca una cosa così elementare? Come puoi farmi una domanda del genere? Perché devi costringere una ragazza a dire certe cose? E va bene, l'ho fatto perché mi piaci più tu di lui. Non era abbastanza chiaro? Avrei preferito innamorarmi di uno molto più bello, sai? E invece purtroppo mi sei capitato tu. (p. 336)
  • Per quanto uno possa raggiungere la verità, niente può lenire la sofferenza di perdere una persona amata. Non c'è verità, sincerità, forza, dolcezza che ci possa guarire da una sofferenza del genere. L'unica cosa che possiamo fare è superare la sofferenza attraverso la sofferenza, possibilmente cercando di trarne qualche insegnamento, pur sapendo che questo insegnamento non ci sarà di nessun aiuto la prossima volta che la sofferenza ci colpirà all'improvviso. (p. 349)
  • A volte ho l'impressione di essere diventato il custode di un museo. Un museo vuoto, senza visitatori, a cui faccio la guardia solo per me. (p. 353)
  • – Ti scriverò.
    – Mi piacciono tanto le tue lettere. Peccato che Naoko le abbia bruciate tutte. Erano così belle.
    – Tanto, le lettere sono solo lettere, – dissi. – Che tu le bruci o le conservi, quello che deve rimanere rimane e quello che si deve perdere si perde. (p. 372)

– Dove sei adesso? – chiese con voce calma.
Già, dove ero adesso?
Con il ricevitore in mano alzai lo sguardo e mi guardai intorno dietro i vetri della cabina. Dove ero adesso? Non sapevo dove fosse quel posto. Non ne avevo la più pallida idea. Dove diavolo mi trovavo? Quello che vedevo intorno a me era solo una folla di gente che mi passava accanto diretta chissà dove. Da quel luogo che non era da nessuna parte rimasi in linea con Midori.

Sotto il segno della pecora

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  • Perché al mondo le cose si pagano anche così. Con soldi che ti pesa possedere, che ti fa sentire malissimo spendere e che una volta finiti ti fanno odiare te stesso. E il peggio è che quando cominci a odiarti ti viene voglia di uscire a spendere un po' di soldi. Tranne che non ne hai più. E con ciò se ne va anche la speranza.
  • – E secondo te perché mi stimo così poco? – chiesi.
    – Perché vivi solo a metà – rispose lei come se fosse niente. – L'altra metà è ancora intatta da qualche altra parte.
  • [Parlando del fatto che la vecchia generazione è stata superata] La canzone è finita, ma la musica risuona ancora.

Incipit di alcune opere

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La strana biblioteca

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Nella biblioteca regnava un silenzio assoluto, piú profondo del solito. Mentre avanzavo sul linoleum grigio del pavimento, le mie scarpe di cuoio nuove di zecca scricchiolavano in maniera strana, non mi parevano neanche le mie. Ogni volta che metto delle scarpe nuove, mi ci vuole un po' di tempo per abituarmi al loro suono.

Note

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  1. a b c Haruki Murakami, La caduta di un'élite intellettuale, saggio introduttivo a Ryūnosuke Akutagawa, Rashōmon e altri racconti, traduzione di Antonietta Pastore, Einaudi, Torino, 2016. ISBN 978-88-06-20411-2
  2. In Abandoning a Cat, pubblicato sul "New Yorker". Citato in Non è la fatica, su ilpost.it.

Bibliografia

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  • Haruki Murakami, 1Q84 (Ichi-kyū-hachi-yon), traduzione di Giorgio Amitrano, Einaudi, Torino, 2011. ISBN 978-88-06-20379-5
  • Haruki Murakami, After Dark (Afutā dāku), traduzione di Antonietta Pastore, Einaudi, Torino, 2008. ISBN 978-88-06-17842-0
  • Haruki Murakami, Dance Dance Dance (Dansu dansu dansu), traduzione di Giorgio Amitrano, Einaudi, Torino, 1998. ISBN 978-88-06-17434-7
  • Haruki Murakami, Dance Dance Dance (Dansu dansu dansu), traduzione di Giorgio Amitrano, Einaudi, Torino, 2013. ISBN 978-88-06-21669-6
  • Haruki Murakami, Flipper 1973 (1973-nen no pinbōru), in Vento & flipper, traduzione di Antonietta Pastore, Einaudi, Torino, 2017. ISBN 978-88-06-23428-7
  • Haruki Murakami, Kafka sulla spiaggia (Umibe no Kafuka), traduzione di Giorgio Amitrano, Einaudi, Torino, 2009. ISBN 978-88-06-19967-8
  • Haruki Murakami, L'arte di correre (Hashiru koto ni tsuite kataru toki ni boku no kataru koto), traduzione di Antonietta Pastore, Einaudi, Torino, 2009. ISBN 978-88-06-19951-7
  • Haruki Murakami, L'uccello che girava le viti del mondo (Nejimaki-dori kuronikuru), traduzione di Antonietta Pastore, Einaudi, Torino, 2007. ISBN 978-88-06-18817-7
  • Haruki Murakami, La fine del mondo e il paese delle meraviglie (Sekai no owari to Hādo-boirudo Wandārando), traduzione di Antonietta Pastore, Einaudi, Torino, 2012. ISBN 978-88-06-19155-9
  • Haruki Murakami, La ragazza dello Sputnik (Supūtoniku no koibito), traduzione di Giorgio Amitrano, Einaudi, Torino, 2003. ISBN 978-88-06-17500-9
  • Haruki Murakami, La strana biblioteca (Fushigi na toshokan), traduzione di Antonietta Pastore, Einaudi, Torino, 2015. ISBN 978-88-06-22588-9
  • Haruki Murakami, Norwegian wood. Tokyo blues (Noruwei no mori), Einaudi, Torino, 2006. ISBN 978-88-06-21646-7
  • Haruki Murakami, Sotto il segno della pecora (Hitsuji o meguru bōken), traduzione di Anna Rusconi, Longanesi, Milano, 1992. ISBN 88-304-1097-7

Altri progetti

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Opere

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