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Pietro Rava

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Pietro Rava alla Juventus nella stagione 1935-1936

Pietro Rava (1916 – 2006), calciatore e allenatore di calcio italiano.

Citazioni di Pietro Rava

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Citazioni in ordine temporale.

  • Qualsiasi cosa accada mi sentirò sempre juventino. Ho i colori bianconeri nel sangue.[1]

Pietro Rava, Marco Pastonesi (a cura di), La Gazzetta dello Sport, 13 novembre 1999.

  • Io ero uno che giocava deciso, ma non falloso. A essere sinceri, calci non ne ho mai dati, pugni invece sì.
  • Con Foni m'intendevo a occhi chiusi. Sul campo, con la Juventus e in nazionale, ma non all'università. Ci eravamo iscritti a Economia: però, mentre lui non è mai andato fuori corso, io, ch'ero geometra, non ho mai dato un esame.
  • [Su Giuseppe Meazza] [...] giocava in una maniera, aveva tutto, compreso uno scatto sui 3-4 metri che bruciava qualsiasi difensore. Ma non era merito suo, perché era nato così. Bello, simpatico e allegro, correva dietro a tutte le ragazze, e la notte, certe volte, fuggiva, così Pozzo lo controllava a vista.
  • C'era Colaussi, taciturno: le uniche scappatelle le faceva nella porta degli avversari.

Intervista di Corrado Sannucci, la Repubblica, 6 gennaio 2003.

  • Sono l'unico italiano che abbia mai vinto Olimpiadi e Mondiali. Ma sono un uomo dimenticato, e con il passare del tempo, in questi anni, ho cominciato anch'io a dimenticare la gente che ho visto. Meritavo un poco più di rispetto, soprattutto dalla squadra che ho tanto amato, la mia Juventus.
  • [...] ne avevo venti quando Vittorio Pozzo mi chiamò per la squadra di universitari che doveva andare ai Giochi [di Berlino 1936], io da un anno ero titolare nella squadra [la Juventus] che veniva dopo i cinque scudetti del '30-'35. All'esordio contro gli Stati Uniti, la mia prima maglia azzurra, fui subito espulso dall'arbitro tedesco per un fallo veniale su un americano dal cognome tedesco: ma giocai quella dopo, a quei tempi non c'era la squalifica automatica. Dopo la vittoria non fu Hitler a premiarci, era annunciato, poi cambiarono programma, forse per motivi di sicurezza.
  • Ero nelle giovanili [della Juventus] quando giocavo contro Mumo Orsi, girava lontano da me, sembrava un guardalinee, aveva paura che lo colpissi con qualche calcio. Giocatore raffinato, dribblava con il pallone sempre incollato al piede. Lui e Renato Cesarini erano allegri, nottambuli, donnaioli. Ecco perché Cesarini, da allenatore, capì Sivori. Ma erano anche generosi, quante volte Cesarini ha pagato le donne per qualche compagno.
  • Quando Hitler invase la Polonia cominciò il campionato, per la prima volta avevamo i numeri sulla maglia. L'anno dopo l'Italia entrò in guerra, avevo 24 anni, avevo vinto già tutto, ma la mia carriera fu troncata, persi sei anni. Un po' come Coppi, che conobbi più tardi, mi venne a trovare nel negozio di articoli sportivi che avevo con Parola a via Bertola. Nel '42 partii volontario per il fronte russo, avevo perso degli amici in combattimento, pensai che dovevo fare qualcosa anch'io. Ma dopo sei mesi in Ucraina approfittai di una licenza per tornare in Italia. [...] Uscii dalla guerra rovinato. Non avevo voluto investire i miei risparmi, quasi 500mila lire, una cifra notevole per quei tempi. "Comprati un palazzo a Grugliasco" mi diceva mio padre. "E così una bomba me lo distrugge" gli rispondevo. Quando venne la pace avevo ormai quasi trent'anni e neanche una lira.
  • Sarei potuto tornare anche in nazionale nel '48, nella famosa partita contro l'Inghilterra a Torino. Maroso era infortunato, come gli capitava spesso, ma Pozzo non volle chiamarmi, preferì il fiorentino Eliani. La spiegazione fu questa: avrei dovuto essere capitano, togliendo la fascia a Valentino Mazzola. Non si poteva negli anni del Grande Torino. La partita fu una disfatta, 0-4, e fu l'uomo di Eliani, Mortensen, a segnare subito il gol impossibile da fondo campo. Fu uno choc per il calcio italiano, che credeva di essere più competitivo. Vidi dalla tribuna Stanley Matthews che si pettinava mentre giocava, con un pettinino che teneva nei pantaloncini.
  • [...] il gioco inglese non mi è mai piaciuto molto, noi siamo stati sempre più fantasiosi. Ero un giocatore potente, mancino, in campo non mi sono mai tirato indietro. In un Inter-Juve, dell'ottobre '47, tirai un gran pugno a Quaresima, ma volevo colpire Lorenzi, che aveva sputato addosso a Boniperti. Presi solo tre giorni di squalifica, oggi con le moviole ne avrei presi dieci.
  • [Su Virgilio Maroso] [...] potente e preciso negli interventi, mai saputo che avesse dato un calcio all'avversario.

Intervista di Emilio Marrese, la Repubblica, 20 novembre 2005.

  • [Sul pallone da calcio dei pionieri, «quello di cuoio con la cucitura e i lacci come una ferita ricucita»] Quello che faceva male quando lo colpivi di testa ma te ne accorgevi solo dopo la partita, mai durante, quello che quando giocavi nel fango dopo un po' diventava duro e pesante come una pietra, ma era proprio allora che serviva tutta la mia forza e ce n'erano pochi che riuscissero a calciarlo tanto lontano come me. Anche venti o trenta metri, che ora sono niente ma con quei palloni lì erano tanti, davvero.
  • Non mi ricordo il mio primo pallone perché non ne ho mai avuto uno. Lo portava sempre qualcun altro in piazza Marmolada a Borgo San Paolo dove andavamo a giocare da ragazzini o anche in piazza d'Armi [...]. Io e altri figli dei ferrovieri che abitavamo nelle case della Crocetta. Mio padre era capostazione. Quando dieci anni dopo tornammo dalla Francia campioni del mondo, in treno, alla stazione di Porta Susa c'era lui ad aspettarmi. Poi andammo a Palazzo Venezia da Mussolini ma nella foto ricordo a malapena mi si vede, mi nascosi dietro un compagno per timidezza. Il Duce ci regalò una pergamena e ottomila lire, mi comprai una [Fiat] Topolino.
  • Lo stadio della Juventus era vicino al nostro Polo Nord [la piazza d'Armi di Torino]. Se ogni tanto mi sembra ancora di sentire l'eco di un pallone è quello che rimbalzava su quel terriccio, non sull'erba. Gli osservatori passavano di lì e ogni tanto si fermavano a guardarci. Uno di loro, Greppi, mi portò nelle giovanili bianconere. Quando sfidavamo la prima squadra Mumo Orsi, che era il mio mito, girava alla larga da me perché aveva paura che gli facessi male. La domenica facevo il raccattapalle: il pallone per me era sempre qualcosa che apparteneva agli altri, lo stringevo un istante tra le mani prima di restituirlo ai giocatori, ne respiravo l'odore, ne palpavo i bozzi sulla pelle screpolata, sempre più numerosi man mano che la partita andava avanti. Non ci volle molto però perché mi facessero prendere il posto di Caligaris, quello dei cinque scudetti di fila in trio con Combi e Rosetta.
  • [...] per me il terzino migliore di tutti era Virgilio Maroso del Torino. Non ho mai più visto nessuno come lui, neanche Djalma Santos, Cabrini o Maldini. Come non ho mai visto nessuno trattare il pallone, quei palloni, come Giuseppe Meazza, unico ancora adesso. Aveva qualcosa di magnetico addosso, nei piedi come in quello sguardo che faceva fare la coda alle donne negli alberghi ad aspettarlo, e forse gli invidiavo più come sapeva colpire loro che il pallone.

Citazioni non datate

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  • [Sul licenziamento di Carlo Carcano dalla Juventus nel dicembre 1934] Carcano aveva tendenze omosessuali. Il fatto era risaputo e il barone Mazzonis, severissimo, ne era assai disturbato e faticava ad accettare certi atteggiamenti.[2]
  • [Su Alfredo Foni] [...] lui aveva una tecnica superiore, una grande calma, una straordinaria sicurezza.[3]

Citazioni su Pietro Rava

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  • Affronta l'avversario impetuosamente con quella sua irrompente foga così bella e suggestiva. (Ettore Berra)
  • Di Rava ricordo le metafore che usavano certi cronisti "imaginifici" per descrivere le sue volanti rovesciate: le paragonavano a grandi "cucchiaiate" nell'aria. (Giulio Nascimbeni)
  • Fisicamente prestante, forte di testa, capace di colpire con entrambi i piedi, abile nell'anticipo [...] asciutto nel gesto, spiccio nelle entrate, agile nelle incursioni offensive ma sempre con la sbrigatività dell'interdittore di vocazione. (Carlo Felice Chiesa)
  • Il più potente terzino del mondo. (Vittorio Pozzo)
  • Rava era un gigante dell'ostruzione che dal limite sganciava terribili proiettili. [...] si esaurì in una carriera venturosa e generosa, campione olimpico, campione del mondo, un guerriero dai lindi costumi. (Vladimiro Caminiti)
  • Rava piemontese figlio di capostazione, imbevuto di nozioni nazionalistiche, il suo pugno quando diventava tutto rosso faceva scappare turbe di teppisti, rappresentò e sublimò il calcio del contropiede e del tricolore sull'ultimo pennone. (Vladimiro Caminiti)
  • Un simbolo della Juventus e uno degli uomini che ha fatto la storia bianconera. (Gianni Agnelli)

Note

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  1. Citato in Anche Rava ad augurare buona fortuna alla Juventus, Nuova Stampa Sera, 17 settembre 1949, p. 4.
  2. Citato in Giuseppe Pastore, Perché abbiamo dimenticato Carlo Carcano?, ultimouomo.com, 5 gennaio 2018.
  3. Citato in Stefano Bedeschi, Gli eroi in bianconero: Alfredo Foni, tuttojuve.com, 20 gennaio 2023.

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