Pseudo-Dionigi l'Areopagita

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Pseudo-Dionigi l'Areopagita (V – VI secolo), pseudonimo usato da un anonimo teologo e filosofo bizantino.

Citazioni di Dionigi l'Areopagita[modifica]

  • Io desidero che la tua icona, Madre di Dio, si rifletta continuamente nello specchio dell'anima e la conservi pura fino alla fine dei secoli. Rialzi coloro che sono curvi verso terra e doni la speranza a coloro che considerano e imitano l'eterno modello della bellezza.[1]
  • La causa perfetta ed unitaria di tutte le cose è al di sopra di ogni affermazione; e l'eccellenza di colui che è assolutamente staccato da tutto e al disopra di tutto è superiore ad ogni negazione.[2]

I nomi divini[modifica]

  • Il Bello è principio di tutte le cose in quanto causa efficiente, che muove tutte le cose e le tiene insieme con l'amore verso la propria bellezza; e il Bello è il fine di tutte le cose. (IV 704 A; 2009, p. 414)
  • Il Medesimo è soprasostanzialmente eterno, invariabile, rimane sempre in se stesso, è sempre nella stessa maniera e si mantiene ugualmente presente a tutte le cose, collocato egli stesso per se stesso e da se stesso stabilmente e interamente nei bellissimi confini di un'Identità soprasostanziale, senza cambiamento, senza perdita, inflessibile, invariabile, non mescolato, immateriale, semplicissimo, senza bisogno, senza crescita, senza diminuzione, senza nascita: non nel senso che non sia ancora creato o che sia incompiuto [...] ma congiunge gli esseri gli uni con gli altri, in quanto abbondante e causa di identità che contiene in antecedenza in sé, alla stessa maniera, anche le cose contrarie secondo una sola ed unica Causa sovraeminente di tutte l'identità. (IX, 4, 912 B-C; 2009, p. 497)
  • Dio è Alterità per il fatto che mediante la sua provvidenza è presente a tutti e si fa tutto in tutti per la salvezza di tutti, rimanendo in se stesso e fermo nella sua propria identità, mantenendosi secondo un'azione unica e ininterrotta e dandosi con una forza che non viene mai meno per la deificazione di quelli che si rivolgono a lui. Bisogna credere che la diversità delle figure varie di Dio secondo le multiformi apparizioni indicano qualche cosa di diverso da ciò che appaiono per coloro ai quali appaiono [...]. Ora guardiamo la stessa Diversità divina, non come un mutamento entro l'Identità inconvertibile, ma come Unità di lui capace di moltiplicarsi e procedimenti della fecondità che produce tutti gli esseri. (IX, 5, 912 D – 913 B; 2009, p. 497)

La gerarchia celeste[modifica]

  • Gli esperti delle cose divine ricorrono al fuoco per raffigurare le essenze celesti, e così mettono in luce la loro tendenza a rassomigliare a Dio e ad imitarlo per quanto possibile. Essi le rappresentano anche sotto forma di uomo giacché l'uomo possiede l'intelligenza, una facoltà visiva orientata verso l'alto, una forma dritta ed eretta e l'attitudine naturale al comando ed alla guida [...].[3]
  • In realtà la nostra intelligenza non può elevarsi all'imitazione ed alla contemplazione immateriale delle gerarchie celesti se non si serve di una guida materiale adatta ad essa. Solo così può considerare le bellezze visibili imitazioni della bellezza invisibile.[4]
  • L'aspetto di bue indica la forza, l'età fiorente, la capacità di aprire solchi dell'intelligenza alla ricezione delle piogge celesti e fecondatrici, mentre le corna simboleggiano la loro funzione protettrice e la loro invincibilità [...].[3]
  • L'aspetto di aquila è indice della loro regalità, della loro capacità di elevarsi e di volare velocemente, della prontezza, vigilanza, velocità e destrezza con cui afferrano il nutrimento fortificante e della contemplazione priva di ostacoli, diretta ed indefettibile.[3]
  • Nell'ultimo stadio, la stessa distinzione fra soggetto e oggetto scompare ed è proprio la Mente Quello che essa contempla. Viene trasceso anche il pensiero, e svanisce l'intero regno degli oggetti. A questo punto, in quanto soggetti, ci si conosce come parte, e ci si conosce come tutto.[5]
  • Nella trattazione delle cose divine le negazioni sono più veritiere, mentre le affermazioni non appaiono adeguate alla natura segreta dell'ineffabile. (II, 3[6])
  • Per quanto riguarda la sembianza di leone, bisogna ritenere che essa indichi il dominio, la forza, l'indomabilità e la somiglianza, nei limiti del possibile, all'arcano della divinità ineffabile [...].[3]

Citazioni su Dionigi l'Areopagita[modifica]

  • Ai nove cori angelici descritti un tempo dallo Pseudo-Dionigi corrispondono nove ordini comprendenti gli individui che svolgono i vari servizi. Come i cori inferiori degli angeli servono quelli superiori, così gli ordini inferiori degli uomini sono sottomessi a quelli superiori. Se nella gerarchia angelica tre cori sono i superiori, esattamente nello stesso modo tre ordini di uomini si innalzano al di sopra di tutti gli altri, poiché lo stesso Creatore li ha scelti affinché tutti gli altri ubbidiscano. Questi tre ordini sono i sacerdoti con a capo il papa, i monaci e i giudici laici, comprendendo l'imperatore, i re, i duchi, i conti e tutti i signori secolari. I primi due hanno cura delle anime dei cristiani, il terzo del loro benessere terreno, difendendo anche le vedove e gli orfani. (Aron Jakovlevič Gurevič)
  • Dionisio l'Areopagita, il Maestro Eckart e Suso e altri mistici chiamano Dio il nulla, il grande nulla. Perché Dio non è nessuna cosa, così come sono tutte le cose, ma è nulla paragonato alle cose. È un non essere. (Ernesto Cardenal)
  • Il dovere dell'uomo medievale era di restare dove Dio lo aveva collocato. Elevarsi era segno d'orgoglio, abbassarsi peccato vergognoso. Bisognava rispettare l'organizzazione della società voluta da Dio e questa rispondeva al principio della gerarchia. Modellata sulla società celeste, doveva riprodurre la gerarchia minuziosa degli angeli e degli arcangeli che aveva descritto nelle sue opere il monaco orientale del VI secolo, tradotto in seguito in latino, conosciuto sotto il nome di Dionigi l'Areopagita (per gli storici moderni lo Pseudo-Dionigi). Secondo il suo grado di cultura, sotto forma dotta o popolare, l'uomo del Medioevo si è ispirato allo Pseudo-Dionigi, inserendosi in una concezione gerarchica della struttura del mondo. (Jacques Le Goff)
  • [In merito all'inconoscibilità di Dio] Queste misteriose affermazioni di Dionigi sono confermate da Ermete Trismegisto il quale dice che Dio è nulla e che nello stesso tempo egli è tutto, che Dio non ha alcun nome e purtuttavia ha ogni nome possibile. (Marsilio Ficino)

Note[modifica]

  1. Citato in Gianfranco Ravasi, I volti di Maria nella Bibbia, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo, 2007. ISBN 978-88-215-5957-0
  2. Da Teologia mistica, cap. 5, La causa per eccellenza di tutte le realtà intellegibili non è nessuna realtà intellegibile; citato in Uberto Barbini, Teologia Mistica, ariannaeditrice.it, 10 novembre 2006.
  3. a b c d Citato in Le forme e il divino, p. 40.
  4. Citato in Le forme e il divino, p. 39.
  5. Citato in Jean Campbell Cooper, Yin e Yang. L'armonia taoista degli opposti, Roma, 1982.
  6. Citato nel Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede.

Bibliografia[modifica]

  • Daniele Corradetti e Gioni Chiocchetti, Le forme e il divino, edizioni Argonautiche. ISBN 978-88-952-9927-3
  • Dionigi l'Areopagita, Teologia mistica, traduzione di Salvatore Lilla, Città Nuova Editrice, Roma, 1986.
  • Dionigi l'Areopagita, Tutte le opere, traduzione di Piero Scazzoso rivista da Ilaria Ramelli, Bompiani, 2009. ISBN 9788845262883
  • Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, a cura di G. Tanzella-Nitti e A. Strumia, Città Nuova Editrice, Roma, 2002.

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