Rita Levi-Montalcini

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Rita Levi Montalcini nel 2007
Medaglia del Premio Nobel
Medaglia del Premio Nobel
Per la medicina (1986)

Rita Levi-Montalcini (1909 – 2012), neurologa e senatrice a vita italiana.

Citazioni di Rita Levi-Montalcini[modifica]

  • A me nella vita è riuscito tutto facile. Le difficoltà me le sono scrollate di dosso, come acqua sulle ali di un'anatra.[1]
  • A rovinare l'uomo è il servilismo, il conformismo, l'ossequio, non l'aggressività che è nell'ambiente più che dentro di noi.[2]
  • Bisogna dire ai giovani quanto sono stati fortunati a nascere in questo splendido Paese che è l'Italia.[3][4][5]
  • Chi ha la fortuna di possedere la fede si avvale di un sostegno impareggiabile in tutte le fasi del percorso vitale. Se si sostituisce a un Dio antropomorfo, che premia i buoni, l'imperativo inciso nel programma genetico dell'Homo sapiens che il bene ha un premio in se stesso, e il male ha il suo castigo, il laico e il credente troveranno la risposta.[6]
  • Ho perso un po' la vista, molto l'udito. Alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso più adesso di quando avevo vent'anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente.[1]
  • Il corpo non importa, ciò che conta è la mente.[7]
  • La mia intelligenza? Più che mediocre. I miei unici meriti sono stati impegno e ottimismo. [...] L'assenza di complessi psicologici, la tenacia nel seguire la strada che ritenevo giusta, l'abitudine a sottovalutare gli ostacoli – un tratto che ho ereditato da mio padre – mi hanno aiutato enormemente ad affrontare le difficoltà della vita. Ai miei genitori devo anche la tendenza a guardare gli altri con simpatia e senza diffidenza.[4][8]
  • Le donne che hanno cambiato il mondo non hanno mai avuto bisogno di mostrare nulla, se non la loro intelligenza.[9]
  • [Riferendosi a Francesco Storace] Mi rivolgo a chi ha lanciato l'idea di farmi pervenire le stampelle per sostenere la mia "deambulazione" e quella dell'attuale Governo, per precisare che non vi è alcun bisogno. Desidero inoltre fare presente che non possiedo "i miliardi", dato che ho sempre destinato le mie modeste risorse a favore, non soltanto delle persone bisognose, ma anche per sostenere cause sociali di prioritaria importanza. A quanti hanno dimostrato di non possedere le mie stesse "facoltà", mentali e di comportamento, esprimo il più profondo sdegno non per gli attacchi personali, ma perché le loro manifestazioni riconducono a sistemi totalitari di triste memoria.[10]
  • Nel momento in cui smetti di lavorare, sei morto.[4][5]
  • Non sapeva nulla di me, per lui [Giuseppe Moruzzi] ero una perfetta sconosciuta, cacciata per questioni razziali e costretta a rifugiarmi in Belgio. Quel giorno di settembre i giornali annunciarono l’invasione di Danzica, fu l’inizio della guerra. Passammo tutto il giorno insieme, eravamo entrambi disperati per la piega che l’Europa stava prendendo.[11]
  • Purtroppo, buona parte del nostro comportamento è ancora guidata dal cervello arcaico. Tutte le grandi tragedie – la Shoah, le guerre, il nazismo, il razzismo – sono dovute alla prevalenza della componente emotiva su quella cognitiva. E il cervello arcaico è così abile da indurci a pensare che tutto questo sia controllato dal nostro pensiero, quando non è così.[5][12]
  • Sono stata, in tutto, una donna fortunata. Non ho rimpianti.[4][5]
  • Tutti dicono che il cervello sia l'organo più complesso del corpo umano, da medico potrei anche acconsentire. Ma come donna vi assicuro che non vi è niente di più complesso del cuore. Ancora oggi non si conoscono i suoi meccanismi.[4][5]
  • Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bensì uscire da quella zona grigia in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva, bisogna coltivare il coraggio di ribellarsi.[13]
  • Rare sono le persone che usano la mente, poche coloro che usano il cuore e uniche coloro che usano entrambi.[14]
  • Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita.[15]

Intervista di Piergiorgio Odifreddi

in Incontri con menti straordinarie, TEA, Milano, 2007. ISBN 978-88-502-1523-2

  • L'arte è idealista: si crea dal nulla un mondo fantastico. La scienza invece è empirista: cerca di ricreare il mondo com'è, copiando la natura. (p. 125)
  • […] io considero l'imperfezione come la molla darwiniana della selezione naturale. Ad esempio, gli insetti di seicento milioni di anni fa sono identici a quelli di oggi: erano già perfetti, e non c'era motivo che cambiassero. L'uomo invece era imperfetto, e questo ha dato la molla per il suo sviluppo e la sua evoluzione. (p. 126)
  • Sono femminista nel senso di voler ridare alle donne la dignità umana, e la capacità di utilizzare il cervello. Ma non nel senso del motto «l'utero è mio e lo gestisco io»: quella è una stupida frase, che non ha senso. Io credo che l'utero sia sì della donna, ma che il suo frutto sia anche dell'uomo che sta con lei. (p. 128)
  • Sono atea: non so cosa si intende per credere in Dio. (p. 129)
  • Io sono sempre stata spinoziana: da piccola mi vantavo persino di essere sua parente, visto che il mio nome è Rita Benedetta. (p. 129)

La clessidra della vita[modifica]

  • Malgrado l'età io non vivo nel passato, ma nel futuro!
  • Credo nelle donne, ma non credo nei movimenti femministi.
  • [Riferendosi a Giuseppe Levi] La scelta di un giovane dipende dalla sua inclinazione, ma anche dalla fortuna di incontrare un grande maestro.
  • Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bensì uscire da quella "zona grigia" in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva, [...] bisogna coltivare [...] il coraggio di ribellarsi.[5]

Elogio dell'imperfezione[modifica]

  • La mancanza di complessi, una notevole tenacia nel perseguire la strada che ritenevo giusta e la noncuranza per le difficoltà che avrei incontrato nella realizzazione dei miei progetti, lati del carattere che ritengo di aver ereditato da mio padre, mi hanno enormemente aiutato a far fronte agli anni difficili della vita.
    A mio padre come a mia madre debbo la disposizione a considerare con simpatia il prossimo, la mancanza di animosità e una naturale tendenza a interpretare fatti e persone dal lato più favorevole. Questo atteggiamento, che si manifestò anche più spiccatamente in mio fratello Gino, mi colpì sin dall'infanzia e determinò, almeno in parte, l'incondizionata ammirazione che avevo nei suoi confronti. (p. 17)
  • Considerando in retrospettiva il mio lungo percorso, quello di coetanei e colleghi e delle giovani reclute che si sono affiancate a noi, credo di poter affermare che nella ricerca scientifica, né il grado di intelligenza né la capacità di eseguire e portare a termine con esattezza il compito intrapreso, siano i fattori essenziali per la riuscita e la soddisfazione personale. Nell'una e nell'altra contano maggiormente la totale dedizione e il chiudere gli occhi davanti alle difficoltà: in tal modo possiamo affrontare problemi che altri, più critici e acuti, non affronterebbero. (pp. 17–18)
  • Il fatto che l'attività svolta in modo così imperfetto sia stata e sia tuttora per me fonte inesauribile di gioia, mi fa ritenere che l'imperfezione nell'eseguire il compito che ci siamo prefissi o ci è stato assegnato, sia più consona alla natura umana così imperfetta che non la perfezione. (p. 18)
  • I processi evolutivi che nei discendenti di «Lucy», una nostra antenata vissuta tre milioni e mezzo di anni fa, hanno trasformato quell'ominide di sesso femminile, alto un metro e cinque centimetri e dal teschio non più grande di una noce di cocco, nell'Homo Sapiens, non si sono attuati in base a un piano prestabilito, ma a mutazioni casuali. (p. 18)
  • La creatività del cervello dell'Homo Sapiens si esprime elaborando congegni meccanici semplici e perfetti, così rispondenti allo scopo da non richiedere modifiche, o congegni più rozzi e imperfetti che, per la loro stessa imperfezione, si prestano a essere ristrutturati. (p. 19)
  • Nel secolo scorso e nei primi decenni del Novecento, nelle società più progredite [...] due cromosomi X rappresentavano una barriera insormontabile per entrare alle scuole superiori e poter realizzare i propri talenti. (p. 43)
  • La scelta della professione medica maturata in quegli anni era infatti più consona al mio temperamento e alle mie attitudini. Nell'autunno del 1930 entrai per la prima volta nel lugubre e solenne anfiteatro dell'Istituto anatomico della facoltà di medicina a Torino, che ha sede nel viale alberato di corso Massimo d'Azeglio. (p. 59)
  • Il 14 luglio 1938 era uscito su tutti i quotidiani il manifesto firmato da dieci scienziati italiani. Di questi due soli godevano di una certa notorietà: il fisiologo Sabato Visco e l'endocrinologo Nicola Pende [...] Nel manifesto degli scienziati razzisti, che si diceva vergato o comunque ideato da Mussolini, si dichiarava che gli ebrei non appartenevano alla razza italiana. «Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria, nulla in generale è rimasto...» (p. 107)
  • Mi sono molte volte domandata come potessimo dedicarci con tanto entusiasmo all'analisi di questo piccolo problema di neuroembriologia, mentre le armate tedesche dilagavano in quasi tutta l'Europa disseminando la distruzione e la morte e minacciando la sopravvivenza stessa della civiltà occidentale. (p. 121)
  • Malgrado le condizioni proibitive, dovute alle difficoltà di procurarmi le uova fecondate e alle continue interruzioni dell'energia elettrica da cui dipendeva il funzionamento del mio termostato e lo sviluppo degli embrioni, portai a termine alcune ricerche che avrei proseguito alcuni anni dopo, negli Stati Uniti. Il tema centrale era lo studio dell'interazione tra i fattori genetici e ambientali, nel controllo dei processi differenziativi del sistema nervoso nelle prime fasi dello sviluppo. (p. 123)
  • Il fatto di osservare per la prima volta fenomeni naturali, ignorati da chi vive in città, come il risveglio della natura in primavera, mi rallegrava e stimolava nello studio del sistema nervoso in via di sviluppo ed esso mi appariva in una luce diversa da come lo conoscevo attraverso i libri di neoroanatomia. (p. 123)
  • Mi mancava [...] il distacco che permette al medico di far fronte alle sofferenze del malato, senza un coinvolgimento emotivo dannoso a entrambe le parti.[5] (p. 138)
  • Gli Stati Uniti allora e per molti anni a venire apparivano agli europei la Mecca della scienza; la proposta di Hamburger agì come un salutare antidoto allo stato di sfiducia e depressione che mi faceva giudicare con un eccesso di lucidità, e di pessimismo, i risultati che avevo ottenuto e che avrei potuto sviluppare perseguendo la stessa linea di ricerche. (p. 142)
  • In questi ultimi tre decenni, i progressi realizzati nella conoscenza della natura dei neurotrasmettitori e dei neuromodulatori, della pluralità di mezzi di comunicazione delle cellule nervose tra di loro e dei meccanismi preposti alla crescita e alla differenziazione delle popolazioni neuronali, hanno aperto illimitate possibilità di indagine della struttura e funzione del sistema nervoso. (p. 165)
  • Malgrado il mio pessimismo sul futuro delle ricerche in corso, il sistema nervoso continuava a esercitare su di me un tale fascino, che mi era difficile prendere la decisione di abbandonare definitivamente gli studi intrapresi. (p. 172)
  • La perplessità sui possibili sviluppi delle mie ricerche che aveva spinto a consultare Salva, ed era stata causa di tante notti insonni, non durò tuttavia a lungo. Da un giorno all'altro, e in modo del tutto imprevedibile, ritrovai la fiducia e l'entusiasmo che temevo di aver definitivamente perduti. (p. 173)
  • Le cellule nervose acquistavano ai miei occhi una individualità che non siamo soliti attribuire loro. (p. 174)
  • Nella profonda ignoranza dei meccanismi che intervengono nella neurogenesi e determinano la formazione di quel formidabile complesso di circuiti tra popolazioni nervose che costituiscono il sistema nervoso centrale, mi parve che la scoperta degli imponenti processi di migrazione e di degenerazione che colpiscono alcune di queste popolazioni in incipienti stadi differenziativi, offrisse un tenue ma valido filo di Arianna per inoltrarsi in quel labirinto affascinante e misterioso che è il sistema nervoso. (p. 176)
  • Sebbene negli anni successivi avrei assaporato la gioia di scoperte molto più importanti, la rivelazione di quel giorno lasciò una traccia incancellabile nella mia memoria e segnò non soltanto la fine fine di un lungo periodo di perplessità sul significato delle ricerche che perseguivo da tanti anni, ma sigillò un patto di alleanza a vita tra me e il sistema nervoso. Non l'avrei rotto, né me ne sarei pentita. (p. 177)
  • Nel marzo del 1959, a un simposio a Baltimora dedicato a «The chemical basis of development», Stan e io riscuotevamo per la prima volta una grande successo riportando i risultati degli esperimenti che dimostravano la presenza del NGF non soltanto nei tumori, ma anche nel veleno di serpenti e nelle ghiandole salivari di topo e la natura proteica e apparentemente identica del fattore isolato da queste tre sorgenti così differenti l'una dall'altra. (p. 207)
  • Stan estrasse una sostanza nucleoproteica che possedeva l'attività biologica presente nei tumori. Questa frazione fu designata come Nerve Growth Factor e in seguito, più semplicemente, con la sigla NGF. (p. 203)
  • I tessuti di topo – se pure in misura molto inferiore delle ghiandole salivari – sono ricchi di NGF, che sintetizzano e rilasciano in modo facilmente evidenziabile con il test in vitro. (p. 207)
  • In questo lungo periodo gli incontri «veri» sono stati del tutto casuali e imprevedibili, e come tali sono impressi nella mia memoria non avendo mai avuto l'abitudine, né me ne pento, di scrivere appunti e di redigere un diario. Se infatti la memoria non ha registrato in modo indelebile un evento, è inutile e superfluo tentare di farlo rivivere attraverso la documentazione scritta. (p. 212)
  • Non le fibre nervose, ma le idee germogliavano nel mio cervello, e in modo così tumultuoso da non lasciarmi il tempo di seguire altri pensieri. (p. 214)
  • Era tale l'entusiasmo generato in me dalla scoperta che ogni mio pensiero, di giorno e di notte, era fisso su questo fenomeno. (p. 214)
  • Dopo tanti anni di lontananza, sentivo vivo il desiderio di ricongiungermi con la mamma e Paola, con Gino, Nina e le loro famiglie. (p. 232)
  • Tutte e due, fin dall'adolescenza, abbiamo scartato l'idea di farci una famiglia, considerando questo impegno difficilmente compatibile con la dedizione a tempo pieno alle attività da noi scelte. Né io né lei lo abbiamo mai rammaricato. (p. 234)
  • A Roma la mansione per me più difficile fu provvedere di persona all'amministrazione dei fondi e a tenere in ordine la corrispondenza. A St. Louis questi compiti erano svolti dall'amministrazione del Dipartimento e da una segretaria. (p. 247)
  • Il problema più delicato al mio rientro in Italia fu adattarmi al clima di ossequio tributato dagli inservienti e dai giovani laureati a me come ad altri anziani. Abituata da tanti anni al cordiale «Hi Doc» dei tecnici e degli studenti americani, m'imbarazzava il cerimoniale che, all'inizio degli anni Sessanta, regolava ancora i rapporti tra subalterni e superiori. (p. 247)
  • Con sollievo mi resi subito conto che i giovani italiani, meno preoccupati dei loro coetanei americani del futuro, e desiderosi soprattutto di cimentarsi ai banchi di un laboratorio, accettavano senza esitazione anche una modesta e precaria retribuzione. (p. 248)
  • Nell'atmosfera pervasa di allegria e ottimismo della prima metà degli anni Sessanta, nell'aria tersa e luminosa di Roma, ogni nuovo risultato suscitava grandi speranze, e il problema di decifrare il meccanismo d'azione del NGF si prospettava di vicina soluzione. (p. 249)
  • Se la nostra attività si mantenne a un livello molto superiore a quello consentito dalle condizioni nelle quali lavoravamo, il merito è della dedizione e della capacità di sormontare gli ostacoli che dimostrò il nostro esiguo gruppo. (p. 251)
  • In questo clima di tenace e silenziosa prosecuzione delle ricerche iniziate trent'anni prima, il NGF doveva ancora una volta stupirci con le sue sconvolgenti mosse a sorpresa. (p. 254)
  • Nell'atmosfera esuberante di vita della vigilia del carnevale a Rio de Janeiro, il NGF uscì per la prima volta dall'incognito nel tardo autunno 1952, dando prova della sua miracolosa proprietà di far crescere in poche ore una densa raggiera di fibre nervose da cellule toccate dalla sua bacchetta. (p. 256)
  • Nella vigilia del Natale 1986, il NGF apparve di nuovo in pubblico sotto la luce dei riflettori, nel fulgore di un salone addobbato a festa alla presenza dei reali di Svezia, dei principi, di dame in fastosi abiti di gala e gentiluomini in tuxedo. Avvolto in un mantello nero, il NGF s'inchinò al re e per un attimo abbassò la visiera che gli copriva il viso. Ci riconoscemmo nella frazione di pochi secondi, quando vidi che mi cercava tra la folla che lo applaudiva. Rialzò la visiera, e scomparve così come era apparso. Ritornò alla vita errabonda nelle foreste popolate dagli spiriti che di notte vagano sui laghi gelati del Nord dove ho trascorso tante ore solitarie della mia prima giovinezza? Ci rivedremo ancora, o in quell'attimo è stato esaudito il mio desiderio di tanti anni di incontrarlo e ne perderà definitivamente le tracce? (p. 256)
  • È venuta a cadere – come prospetta il noto neurobiologo Gunther Stent – l'ipotesi che la creatività che si manifesta in campo scientifico, e consiste nella facoltà di scoprire nuovi fenomeni e leggi di natura universale, differisca da quella espressa nelle opere d'arte. (p. 275)
  • La saga del Nerve Growth Factor (NGF) offre un esempio tipico di come la scoperta scientifica si differenzia dall'opera d'arte, non soltanto nell'origine, ma anche nelle tappe successive che hanno aperto all'osservatore nuovi orizzonti. Si tratta di un processo creativo in continua evoluzione. (p. 276)
  • Il NGF avrebbe aperto di fronte a noi panorami e orizzonti sempre più vasti nella ricerca della sua collocazione all'interno della scacchiera delle neuroscienze. (p. 277)
  • Alcuni decenni più tardi lo sviluppo di nuove tecnologie più elaborate di quelle inizialmente a nostra disposizione rese possibile la scoperta, da parte di altri ricercatori, che il NGF stimolava anche popolazioni neuronali del sistema nervoso centrale. (p. 278)
  • I risultati conseguiti da ricerche condotte in questi ultimi anni hanno messo in evidenza che il ruolo del NGF a livello dei sistemi endocrino, nervoso e immunitario si esplica tramite mastocita, cellula fondamentale nell'interazione dei tre sistemi omeostatici. (p. 281)
  • L'evidenza che il NGF circola senza limitazioni di organo o strutture, né confini di sistema, conferisce a questa molecola ruoli chiave nell'omeostasi globale dell'organismo. (p. 283)
  • Il NGF offre una conferma del concetto così lucidamente espresso da Medawar, e cioè della difficoltà di prevedere all'inizio di una ricerca quale sarà la sua evoluzione e il contributo che apporterà in quel campo di investigazione e in quelli contigui. (p. 284)
  • L'intera storia del NGF è paragonabile alla scoperta di un continente sommerso rivelato dalla sua sommità emergente. (p. 285)
  • Ora che il NGF è entrato nella maggiore età e la fase più avventurosa e pittoresca della sua vita è trascorsa, la sua biografa, che ha avuto il privilegio di portarlo alla conoscenza della comunità scientifica, lo affida alle giovani leve. (p. 285)
  • Il percorso del Nerve Growth Factor nei primi tre decenni offre un modello esemplare dell'alternarsi di momenti rivoluzionari e di altri, molto più estesi in termini temporali, di scienza normale. (p. 287)
  • La saga del NGF prospettata con la dovuta umiltà come paradigmatica del decorso a tappe successive delle ricerche scientifiche ha seguito un percorso tortuoso non programmato e imperfetto. Come tale avvalora il concetto che l'imperfezione e non la perfezione sono alla base dell'operato umano. (p. 289)

Citazioni su Rita Levi-Montalcini[modifica]

  • Non sono molte le persone che raccolgono in sé intelligenza e coraggio, dolcezza e fermezza, bellezza e scienza. Rita Levi Montalcini è una di queste. (Antonio M. Battro)
  • Una piccola signora dalla volontà indomita e dal piglio di principessa, che sulla strada scelta tanti anni addietro sta tuttora proseguendo con energia geniale, e con quella rara combinazione di pazienza e d'impazienza che è propria dei grandi innovatori. (Primo Levi)

Note[modifica]

  1. a b Dall'intervista di Paolo Giordano, 100 anni di futuro, Wired, n. 1, marzo 2009.
  2. Dalla presentazione di Elogio dell'imperfezione (Garzanti, 1987), Liceo classico Massimo d'Azeglio, Torino; citato in Giovanni Berlinguer, Il leopardo in salotto, Editori Riuniti, 1990.
  3. Dall'intervista al TG1 Rai, in occasione del conferimento di una laurea honoris causa presso l'Università di Milano-Bicocca, 22 gennaio 2008.
  4. a b c d e Citato in Elisabetta Intini, Addio alla signora della scienza, le sue frasi più belle, Focus.it, 31 dicembre 2012.
  5. a b c d e f g Citato in Addio Rita Levi Montalcini, le frasi più belle di un genio gentile, VanityFair.it, 30 dicembre 2012.
  6. Dall'intervista rilasciata al giornale universitario Uniroma Network, anno 4, n. 7-8, pag. 3.
  7. Citato in Oggi, 5 maggio 2010, p. 47.
  8. Dall'intervento durante il conferimento della laurea honoris causa all'Università di Milano-Bicocca, 22 gennaio 2008.
  9. Citato in Addio a Rita Levi Montalcini, scienziata e donna straordinaria, Panorama.it, 30 dicembre 2012.
  10. Dalla lettera a la Repubblica, Le stampelle di Storace ricordano il regime, 10 ottobre 2007.
  11. Citato in Antonio Gnoli, "Neuroscienze? Un’eccellenza italiana", la Repubblica, 25 agosto 2019, pp. 36-37.
  12. Da Paolo Giordano, Rita Levi Montalcini e i due cervelli, la Repubblica, 19 febbraio 2009.
  13. [1]
  14. [2]
  15. [3]

Bibliografia[modifica]

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Opere[modifica]

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