Rudolf Borchardt
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Rudolf Borchardt (1877 – 1945), scrittore tedesco.
Citazioni di Rudolf Borchardt
[modifica]- Bisogna scendere giù verso l'Era, risalire i colli sull'altra sponda verso la vecchia magione del Castagno, allo spartiacque dell'Elsa, e seguire l'onda delle verdi colline fino a San Gimignano, quasi castello del Graal, per trovare all'ombra delle sue dodici torri ancora in piedi, nella schiva cerchia di un comunello di Toscana, una visione tutta opposta, al cui cospetto Volterra sembra ridursi a scheletro: il luogo di culto di un gran santo miracoloso, germe di rigogliosa storia, fontane, melodia d'acqua, tintinnar di catenelle per la danza dei secchi; cappelle piene della mestizia appassita di vecchi affreschi votivi; sulle pareti delle chiese le scene della Bibbia, raccontate alla maniera di Siena, e su quelle del comune le sequenze della vita dolce nei giorni; le corone di sonetti di Folgore con l'innocente, abbandonata gioia di vivere delle brigate giovanili nella giostra dei mesi: dovunque c'è aria viva, c'è spazio per respirarla, e la vita ha un senso.[1]
- [...] il Medioevo [...] ancora sapeva perfettamente che il mondo della visibilità dev'essere costruito secondo un ordine che non trae origine dall'anima umana, per non correre il rischio di naufragare ineluttabilmente contro la propria «compiutezza»; e che il principio di quest'ordine, appunto perché l'anima umana appartiene al mondo degli spiriti, non può essere compreso nel mondo visibile, ma si trova invece nel mondo degli spiriti, dal quale esso irrompe e agisce nel visibile. Con questo la totalità dell'essere diviene una cosa librata fra due mondi, e, in ciascun caso singolo, fra un problema formale e un problema drammatico, in cui è innata la trasposizione da forme corporee e spaziali a forme spirituali, dall'essere al significare, dall'esistenza all'espressione: appassionatamente, insaziabilmente, ardentemente, in maniera fantastica. (da Pisa, solitudine di un Impero, Il Camposanto, p. 172)
Scritti italiani e italici
[modifica]- Augusto, di fatto, non ha lasciato solo quel suo testamento di Ancara, inciso sulla pietra: il suo testamento secondo è L'Eneide. È ben giusto che l'Impero spento nei suoi signori rimanga, unico e antico, fin dove e fin tanto che la voce del suo cantore resiste in mezzo ai mortali. È tempo anche per noi, dacché gli antichi appelli guerieri sono rimasti senz'anima, guardare, in compagnia del Tennyson che viaggia oltre Mantova, verso le cime dei pioppi di Andes: «I salute thee, Mantovano, I that loved thee since my day began, wielder of the stateliest measure ever moulded by lips of man» (da Virgilio-Saggio, pp. 91-92)
- L'Eneide è l'opera di un uomo dedicato alla morte ed è – secondo il simbolismo demonico di cui la storia si serve per illuminare tutto un complesso di rapporti – rimasta incompiuta, interrotta ad un passo dalla meta. È sorta nell'ultimo euforico barbaglio di una cultura vecchia di secoli a cui si è spezzato il cuore. Il suo sguardo estremo e illuminato nell'attimo in cui muore si volta intorno e in un momento magico rivive ancora una volta, l'ultima, tutto il passato mentre le porte del futuro già si spalancano e ne fiotta l'oro dell'eternità. (da Virgilio, orazione, pp. 99-100)
- [Sull'Eneide] Qui si tratta di una creazione che è una creatura, la figlia del mondo occidentale, un poema. Essa è custode di un'infinita attesa di qualcosa che è più di una fede o di una dottrina; è una dolce immensa distesa di tempo riservata alle messi e alle speranze di tutti i tempi [...]. (da Virgilio, orazione, p. 108)
- A casa di Orazio si sente di casa lo statista fallito, l'ambizioso ritiratosi a vita privata, l'esuberante deluso e la fede non delusa in un bene modesto di chi ha sperimentato l'amarezza dell'escursione nell'infinito. In lui rivive, in lirica scorciatura, lo stato in tutta la gamma delle sue possibilità; la società con l'enormità dei suoi vizi e un germe, rimasto in vita, di tenera resipiscenza, il labirinto di ricchezza percorso dal filo aureo di una povertà volontaria. Questa poesia è un mondo reale; il vero lirico di Roma non si chiama Orazio ma Virgilio: L'effettiva epopea di Roma, quella della vera Roma italiana, coi suoi veri uomini, non si chiama Virgilio ma Orazio. (da L'Orazio di Schröder, p. 112)
- In frasi e formule vuote finiscono soltanto vuote frasi e formule più vecchie e stantie; ma le culture dei popoli grandi e i loro grandi cicli di pensiero s'inarcano via via da uno spirito a un altro, suo più fresco successore e custode, erompono nel genio con l'impeto della vita stessa e non sono mai tanto vivi come quando i saccenti li danno per spacciati; dall'alto della loro misteriosa grandezza scherniscono l'idiozia di chi crede di averli nel sacco solo perché ha strologato la formula per cui dovrebbero sparire o crepare. (da Benedetto Croce, p. 122)
- Il concetto della progressione dal buono al migliore non appartiene alla poesia ma alla letteratura. La poesia originale è compiuta fin dalla sua scaturigine. (da I grandi trovatori, p. 135)
- Gli antenati di un grande popolo non sono sepolti tutti entro la cerchia dei suoi confini nazionali. Fin dove arrivano le loro tombe, una sacra meravigliosa frontiera di spiriti recinge lo spazio della sua ultima e più grande patria di anime, la gran cerchia culturale dei suoi più antichi parenti. (da I grandi trovatori, p. 137)
Il giardiniere appassionato
[modifica]- Il fiore allude agli esseri umani, per questo fiorisce solo per l'uomo. E per questo soltanto il «compendio dell'umanità», il poeta, è il perfetto giardiniere. (da L'uomo e il fiore, p. 37)
- La critica è il verbo natale dei popoli liberi. La critica è il primo passo verso il rispetto di qualunque cosa. Se sottoponiamo a critica una cosa, significa che l'abbiamo presa in seria considerazione. Tutto ciò che lasciamo indiscusso ci è, in fondo, indifferente. L'entusiasmo è una forza propulsiva immortale, il cui valore può essere misurato, però, soltanto dalla forza opposta, che cerca di contenerlo. In noi non c'è un inno, ma un dramma, perché lo spirito umano vuole sentire due voci. (da Il fiore e il nuovo giardino, pp. 169-170)
- Il giardino dell'uomo è una grande democrazia: non ha bisogno di nessuno per diventare più popolare di quanto già non sia. E non è l'unica democrazia che per colpa di maldestri sostenitori corra il pericolo di essere disumanizzata. E una democrazia senza umanità è, all'inizio, plebea e, in seguito, volgare. (da Poscritto, p. 222)
Note
[modifica]- ↑ Da Volterra, in Città italiane, a cura di Marianello Marianelli, traduzione di Marianello Marianelli e Marlis Ingenmey, Adelphi, Milano, 2013, p. 134. ISBN 978-88-459-0692-3
Bibliografia
[modifica]- Rudolf Borchardt Scritti italiani e italici, a cura di Marianello Marianelli, traduzione di Marianello Marianelli e Marlis Ingenmey, Riccardo Ricciardi Editore, Milano; Napoli 1971.
- Rudolf Borchardt Pisa, solitudine di un Impero, introduzione di Marianello Marianelli, traduzione di Manfredo Roncioni, Nistri-Lischi Editori, 2001 ISBN 8883813901
- Rudolf Borchardt Il giardiniere appassionato. Con otto tempere di Iacopo Ligozzi, traduzione di Manfredo Roncioni, Adelphi 2003 ISBN 8845917835.
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