Yasser Arafat

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Yasser Arafat
Medaglia del Premio Nobel
Medaglia del Premio Nobel
Per la pace (1994)

Muhammad Abd al-Rahman ar-Rauf al-Qudwah al-Husayni (1929 – 2004), politico palestinese, premio Nobel per la pace.

Citazioni di Yasser Arafat[modifica]

  • La differenza tra il rivoluzionario e il terrorista risiede nella ragione per cui combatte. Per chi sta da una causa giusta e combatte per la libertà e la liberazione della sua terra dagli invasori, i coloni e colonialisti, non può essere chiamato terrorista, altrimenti gli americani nella loro lotta per la liberazione dai colonialisti britannici sarebbero stati terroristi; la resistenza europea contro il nazismo sarebbe stato terrorismo, la lotta dei popoli asiatici, africani e latino-americani sarebbe terrorismo, e molti di voi che sono in questa Assemblea sono stati considerati terroristi.[1]

Dall'intervista di Oriana Fallaci

in Intervista con la storia, Rizzoli, Milano, 1974.

  • Di me c'è solo da dire che sono un umile combattente palestinese. Da molto tempo. Lo divenni nel 1947, insieme a tutta la mia famiglia. Sì, fu quell'anno che la mia coscienza si svegliò e compresi quale barbara invasione fosse avvenuta nel mio paese. Mai una simile nella storia del mondo.
  • È probabile invece che io sia molto più utile da morto che da vivo. Eh, sì: la mia morte servirebbe molto alla causa, come incentivo. Aggiungerò anzi che io ho molte probabilità di morire: potrebbe accadere stanotte, domani. Se muoio, non è una tragedia: un altro andrà in giro pel mondo a rappresentare Al Fatah, un altro dirigerà le battaglie... Sono più che pronto a morire.
  • Ciò che lei chiama Israele è casa mia.
  • Siamo soltanto all'inizio di questa guerra. Incominciamo solo ora a prepararci per quella che sarà una lunga, lunghissima guerra. Certo una guerra destinata a prolungarsi per generazioni.
  • Lei chiede quanto potremo resistere: la domanda è sbagliata. Lei deve chiedere quanto potranno resistere gli israeliani. Giacché non ci fermeremo mai fino a quando non saremo tornati a casa nostra e avremo distrutto Israele.
  • Continueremo a far guerra a Israele da soli, finché non riavremo la Palestina. La fine di Israele è lo scopo della nostra lotta, ed essa non ammette né compromessi né mediazioni.
  • Conosciamo le intenzioni di alcuni capi arabi: risolvere il conflitto con un accordo pacifico. Quando questo accadrà, ci opporremo.
  • Non vogliamo la pace. Vogliamo la guerra, la vittoria. La pace per noi significa distruzione di Israele e nient'altro.
  • Noi non ci poniamo il problema dei confini. Nella nostra Costituzione non si parla dei confini perché a porre i confini furono i colonialisti occidentali che ci invasero dopo i turchi. Da un punto di vista arabo, non si può parlare di confini: la Palestina è un piccolo punto nel grande oceano arabo. E la nostra nazione è quella araba, è una nazione che va dall'Atlantico al Mar Rosso e oltre. Ciò che vogliamo da quando la catastrofe esplose nel 1947 è liberare la nostra terra e ricostruire lo Stato democratico palestinese.
  • Civili o militari, sono tutti ugualmente colpevoli di voler distruggere il nostro popolo.
  • I civili sono i primi complici della banda che governa Israele. Perché se i civili non approvano i sistemi della banda al potere, non hanno che dimostrarlo.
  • [Su Moshe Dayan] Diciamo così: io spero che un giorno egli sia giudicato come criminale di guerra: sia che si tratti di un leader geniale sia che la patente di leader geniale se la sia attribuita da sé.
  • [Sugli israeliani] Bisogna ammettere che alcune delle loro tattiche di guerra sono rispettabili, intelligenti. Ma come persone, no: perché si comportano sempre da barbari, in essi non c'è mai un goccio di umanità.
  • [Sugli israeliani] Non hanno mai vinto pei loro lati positivi, hanno sempre vinto pei lati negativi degli arabi.
  • [Sugli israeliani] Corpo a corpo, faccia a faccia, non sono neanche soldati. Hanno troppa paura di morire, non dimostrano alcun coraggio.
  • È sempre la solita storia con gli israeliani: attaccano bene con gli aerei perché sanno che non abbiamo aerei, coi carri armati perché sanno che non abbiamo carri armati, ma quando trovano una resistenza faccia a faccia non rischiano più. Scappano. E cosa vale un soldato che non rischia, che scappa?
  • [Sugli israeliani] Non si muovono mai se non sono certi che andrà tutto benissimo e, se li cogli di sorpresa, non s'impegnano mai fino in fondo. Tutte le volte che hanno attaccato in forze i fedayn, gli israeliani sono stati sconfitti. Con noi i loro commandos non passano.
  • Non c'è differenza fra palestinesi ed egiziani. Entrambi facciamo parte della nazione araba.
  • Le perdite per noi non contano, a noi non importa di morire.
  • [Sugli europei e gli ebrei] Voi dovete pagare i vostri conti con loro. E volete pagarli col nostro sangue, con la nostra terra. Continuate a ignorare perfino che noi non abbiamo nulla contro gli ebrei, noi ce l'abbiamo con gli israeliani. Gli ebrei saranno i benvenuti nello Stato democratico palestinese: gli offriremo la scelta di restare in Palestina, quando il momento verrà.
  • Se ci tenete tanto a dare una patria agli ebrei, dategli la vostra: avete un mucchio di terra in Europa, in America. Non pretendete di dargli la nostra. Su questa terra noi ci abbiamo vissuto per secoli e secoli, non la cederemo per pagare i vostri debiti.

Dall'intervista di Igor Man

in Arafat: Caschi blu a Gaza, La Stampa, 16 febbraio 1988

  • La intifhada (l'insurrezione) ha dimostrato, per l'ennesima volta, come esista un solo popolo palestinese: noi della diaspora e i fratelli sotto occupazione. Siamo tutti figli della stessa ingiustizia storica.
  • La nostra posizione non è cambiata, altro che distruggere Israele! Sono loro, i centurioni sionisti truccati da bempensanti uomini politici, che vogliono distruggere la nazione palestinese. Noi vogliamo una Patria là dove e come ho detto. Non basta: per calmare le supposte apprensioni di Israele (che possiede uno dei più forti eserciti del mondo, con atomiche, missili a lunghissima gittata, etc.) e dei suoi benefattori, dico d'esser pronto ad accettare il controllo delle forze dell'Onu non solo ai confini tra Israele e il nostro futuro Stato ma financo entro i nostri territori, all'interno del futuro Stato!
  • Il mio cuore è gonfio di ira dolorosa tuttavia mi soccorre la fiducia: per fare la pace ci vogliono uomini coraggiosi, non mediocri ex spioni sanguinari. Siamo al punto di non ritorno: prima o poi anche in Israele si leveranno i coraggiosi e in Medio Oriente rifiorirà, in coesistenza pacifica tra arabi palestinesi ed ebrei.

Citazioni su Yasser Arafat[modifica]

  • Arafat è un bugiardo, non fidatevi di Arafat, non confondete il sostegno a lui con il sostegno al popolo palestinese, per noi è un morto che cammina, lo vogliono morto gli israeliani, lo vogliono morto i palestinesi. (Bashar al-Assad)
  • Arafat mi ha chiesto di dargli una tv per la Striscia di Gaza. Gli manderò Striscia la notizia. (Silvio Berlusconi)
  • Ceausescu e Arafat si somigliavano in modo impressionante, non solo per ragioni politiche, o per il naturale bagaglio di antisemitismo, che in Ceausescu non era minore che in Arafat. Se non fosse stato per la barba e la pelle più scura di Arafat, non avrei potuto distinguerli: la forma della faccia era identica, atteggiavano le labbra e sorridevano allo stesso modo, entrambi avevano occhi profondamente penetranti, pensavano e agivano in modo identico, erano allo stesso modo loquaci, irascibili, impulsivi, violenti, isterici. Quella forte somiglianza li aveva colpiti reciprocamente fin dal loro primo incontro, ed aveva avuto un ruolo importante nello sviluppare la loro amicizia. (Ion Mihai Pacepa)
  • È un idiota stupido e incompetente! [...] Lo stupido idiota è un fanatico, un guerriero, e un astuto. Ma non compie niente. (Mu'ammar Gheddafi)
  • Oltre a un'organizzazione politica, Arafat amministra grossi interessi finanziari sotto le bandiere dei petrodollari, degli sceicchi e, in generale, di Stati arabi tutt'altro che democratici. Israele lo è assai di più. (Leo Valiani)
  • Ora arriva il sondaggio della Commissione europea. Che è una benedizione dal cielo. Perché dà la misura della penetrazione del pregiudizio non antisemita, ma antisionista, nell'Europa del 2003. Ma anche perché mette a nudo i retropensieri di una burocrazia internazionale che, preparando le domande, non ha neppure pensato di inserire l'Autorità nazionale palestinese fra i governi che minacciano la pace. E dire che l'Anp è presieduta da Yasser Arafat, il leader di Al Fatah che mantiene un braccio armato: le brigate Al Aqsa, protagoniste dei più feroci attentati terroristici contro civili degli ultimi anni, in diretta concorrenza con Hamas e la Jihad. Arafat è lo stesso personaggio che sabota regolarmente ogni trattativa di pace, stracciando gli accordi con Barak, defenestrando il troppo autonomo Abu Mazen e commissariando Abu Ala che minacciava di pensare con la sua testa. (Marco Travaglio)
  • Prendiamo la politica estera: per quanto riguarda la politica estera Craxi, che viene dipinto come un fedele atlantista, uno anticomunista, uno ancorato all'occidente e quindi quello che aveva fatto la scelta giusta tra l'est e l'ovest, mentre l'Unione Sovietica voleva colpire etc., gli euromissili e tutta la retorica che si fa sugli euromissili, Craxi è quello che fa entrare nel Parlamento italiano Yasser Arafat con la pistola nel cinturone, non lo disarmano neanche, non lo perquisiscono neanche prima di farlo entrare in Parlamento e, quando qualcuno protesta, lui dice che Arafat è come Mazzini e Garibaldi, Arafat come Mazzini e Garibaldi! Il capo di un'organizzazione che, in quel periodo, era ancora un'organizzazione terroristica, che faceva gli attentati negli aeroporti e sequestrava le navi, come poi successe qualche anno dopo con l'Achille Lauro, che non aveva ancora neanche riconosciuto il diritto all'esistenza dello Stato di Israele, questo sarebbe quello che le aveva azzeccate tutte! (Marco Travaglio)

Oriana Fallaci[modifica]

  • Egli reagì [all'intervista] quasi sempre con discorsi allusivi o evasivi, giri di frase che non contenevano nulla fuorché la sua intransigenza retorica, il suo costante timore di non persuadermi. E nessuna volontà di considerare, sia pure in un gioco dialettico, il punto di vista altrui. Né basta osservare come l'incontro tra un arabo che crede alla guerra e un'europea che non ci crede più sia un incontro immensamente difficile. Anche perché quest'ultima resta imbevuta del suo cristianesimo, del suo odio per l'odio, e l'altro invece resta infagottato dentro la sua legge dell'occhio-per-occhio-dente-per-dente: epitome di ogni orgoglio.
  • Io trovo vergognoso che tanti italiani e tanti europei abbiano scelto come vessillo il signor (si fa così per dire) Arafat. Questa nullità che grazie ai soldi della Famiglia Reale Saudita fa il Mussolini ad perpetuum e che nella sua megalomania credi di passare alla Storia come il George Washington della Palestina. Questo sgrammaticato che quando lo intervisti non riesce nemmeno a compilare una frase completa, un discorso articolato. Sicché per ricomporre il tutto, scriverlo, pubblicarlo, duri una fatica tremenda e concludi che paragonato a lui perfino Gheddafi diventa Leonardo da Vinci. Questo falso guerriero che va sempre in uniforme come Pinochet, mai che indossi un abito civile, e che tuttavia non ha mai partecipato ad una battaglia. La guerra la fa fare, l'ha sempre fatta fare, agli altri. Cioè ai poveracci che credono in lui. Questo pomposo incapace che recitando la parte del Capo di Stato ha fatto fallire i negoziati di Camp David, la mediazione di Clinton. No-no-Gerusalemme-la-voglio-tutta-per-me, Questo eterno bugiardo che ha uno sprazzo di sincerità soltanto quando (en privè) nega a Israele il diritto di esistere, e che come dico nel mio libro si smentisce ogni cinque secondi. Fa sempre il doppio gioco, mente perfino se gli chiedi che ora è, sicché di lui non puoi fidarti mai. Mai! Da lui finisci sistematicamente tradito. Questo eterno terrorista che sa fare solo il terrorista (stando al sicuro) e che negli Anni Settanta cioè quando lo intervistai addestrava pure i terroristi della Baader-Meinhof. Con loro, i bambini di dieci anni. Poveri bambini. (Ora li addestra per farne kamikaze. Cento baby-kamikaze sono in cantiere: cento!). Questa banderuola che la moglie la tiene a Parigi, servita e riverita come una regina, e che il suo popolo lo tiene nella merda. Dalla merda lo toglie soltanto per mandarlo a morire, a uccidere e a morire, come le diciottenni che per meritarsi l'uguaglianza con gli uomini devono imbottirsi d'esplosivo e disintegrarsi con le loro vittime. Eppure tanti italiani lo amano, sì. Proprio come amavano Mussolini. Tanti altri europei, lo stesso.
  • Quando un uomo ha un passato clamoroso lo senti anche se lo nasconde: perché il passato resta scritto sul volto, negli occhi. Sul volto di Arafat, invece, non trovi che quella maschera impostagli da madre natura: non da esperienze pagate. V'è qualcosa di verde in lui, di non ancora fatto. Se ci pensi bene, del resto, ti accorgi che la sua fama esplose più per la stampa che per le sue gesta: dall'ombra lo tirarono fuori i giornalisti occidentali e in particolare americani, sempre bravissimi nell'inventar personaggi o montarli.
  • Se ci pensi bene, del resto, ti accorgi che la sua fama esplose più per la stampa che per le sue gesta: dall'ombra lo tirarono fuori i giornalisti occidentali e in particolare americani, sempre bravissimi nell'inventar personaggi o montarli. [...] Della resistenza palestinese è davvero un artefice, o uno degli artefici, e uno stratega. O uno degli strateghi. Il portavoce di Al-Fatah lo fa per davvero a Mosca. A Rabat e al Cairo ci va per davvero. Ma ciò non significa, tantomeno significava, che egli fosse il leader dei palestinesi in guerra. E, comunque, fra tutti i palestinesi che incontrai, Arafat resta quello che mi impressionò meno di tutti.
    O dovrei dire quello che mi piacque meno di tutti? Una cosa è certa: egli non è un uomo nato per piacere. È un uomo nato per irritare. Avvertire simpatia per lui è difficile. Anzitutto per il silenzioso rifiuto che oppone a chiunque tenti un approccio umano: la sua cordialità è superficiale, la sua gentilezza è formale, e un nulla basta a renderlo ostile, freddo, arrogante. Si scalda solo quando si arrabbia.

Tahar Ben Jelloun[modifica]

  • Arafat era più di un capo di truppe, più di un politico che dialoga con i grandi del mondo. Era un simbolo, cioè un'immagine in cui milioni di persone si identificano e gli delegano il potere di parlare a nome loro. Il destino del simbolo è di trasformarsi in mito. Il mito si sfasa dalla realtà ed esce dal processo razionale che fonda le relazioni tra i cittadini e i loro rappresentanti.
  • Dopo Nasser, il mondo arabo non ha più avuto un leader carismatico, amato e rispettato (Gheddafi sogna di accedere a quella posizione ma non ci riesce). Solo Arafat ha avuto il ruolo riconosciuto di guida al punto che certi palestinesi lo considerano come un profeta; il fatto che sia sfuggito a 17 tentativi di assassinio e a un incidente aereo lo rendeva intoccabile, forse perfino immortale. È per questo che lo piangono.
  • Si è adoperato per inscrivere il popolo palestinese nella Storia, per dargli un'esistenza e una visibilità. Per ottenerlo ha fatto ricorso a tutti i mezzi, anche i più contestabili. Si dice che fosse autoritario, poco democratico, scaltro e astuto. Amava il segreto e coltivava le sue relazione come un feudatario. Era un oratore eccellente, qualità che nel mondo arabo è particolarmente apprezzata. Chi possiede il verbo seduce e conquista i voti dei più esitanti.

Ariel Sharon[modifica]

  • Arafat dica quel che gli pare: non conta. Sono i fatti che contano, e gli sviluppi, le conseguenze che tali fatti avranno in futuro. Forse lui crede sul serio d'aver vinto politicamente, ma il tempo gli dimostrerà che la sua sconfitta è soprattutto politica.
  • Arafat ha detto che continuerà come prima? Al posto suo non ci proverei nemmeno. Gli ho regalato la vita, a quegli assassini. Sono vivi perché io ho scelto di lasciarli vivi. Ma tanta fortuna non costituisce affatto una garanzia per il futuro. Guai a loro se riprenderanno le loro attività sanguinose, anche in paesi lontani da Israele. Guai a loro.
  • Combattenti, soldati? Nossignora, quelli non erano combattenti e soldati. Neanche a Beirut. Chi entra nella sala chirurgica di un ospedale dove i medici stanno operando un ferito e disconnettendo i tubi dell'ossigeno ordina di buttar via il ferito, sostituirlo con quello che portano loro, non è un soldato. È un terrorista, un assassino. Chi confisca un convoglio della Croce Rossa e ruba il latte in polvere destinato ai bambini, sghignazzando, non è un soldato. È un terrorista, un ladro. Ecco come si comportava la marmaglia di Arafat a Beirut.
  • I terroristi di Arafat [...] hanno combattuto quel poco che bastava per dare l'impressione di combattere. Non hanno mai combattuto fino in fondo. Mai! Spesso non hanno combattuto per niente. [...] Per questo io non li rispetto, non rispetto Arafat. Rispetto gli egiziani per come si sono battuti in tutte le guerre contro di noi, rispetto i giordani per come si sono battuti nel 1967 a Gerusalemme, rispetto i siriani per come si sono battuti in molte occasioni e anche in questa. Ma non rispetto i terroristi di Arafat perché non si sono battuti in Libano e a Beirut.
  • Non ci si può mai fidare di lui, di loro. Vivono sulla furbizia, tradiscono sempre i giuramenti, gli impegni. Anche ora.
  • Per sviluppare il suo espansionismo l'Unione Sovietica ha bisogno dell'OLP, di Arafat. E se lei replica che Arafat non è comunista, io le rispondo: ai sovietici che importa? A loro importa soltanto che egli sia uno strumento del gioco, che rimanga nelle loro mani.

Bernardo Valli[modifica]

  • Arafat è il protagonista di una lotta tra due popoli che si contendono la stessa terra, in nome di antichi valori, avendo sullo sfondo la strage europea degli ebrei, i cui superstiti sono venuti a rifugiarsi, a recuperare i luoghi biblici degli antenati, su cui vivevano da secoli degli arabi musulmani: i palestinesi diventati vittime delle nostre vittime.
  • Corrotto? Non certo personalmente, ma pronto a corrompere gli altri per comperarne la fedeltà. Il solo ruolo che gli calzava era quello di tenace, dignitoso prigioniero, capace di resistere alle angherie e ai soprusi. Il suo potere era in larga parte formale, poiché il Paese era occupato, spezzettato o isolato. In questa veste di recluso finiva con l'incarnare, ancora una volta, la Palestina, anch'essa repressa.
    Ma era un ruolo improduttivo. Sterile. Meglio che ne sia uscito. Meglio anche per la sua gente, che ha bisogno di uomini nuovi. E speriamo che fuori, con la libertà, Arafat possa anche recuperare la salute.
  • George W. Bush, come Ariel Sharon, rifiutava di parlare con Arafat. Lo riteneva responsabile del terrorismo e non lo considerava un interlocutore valido. La scomparsa del raìs dalla scena politica e la simultanea supposta disponibilità di Bush potrebbero consentire una ripresa non solo del dialogo ma anche di veri negoziati. L' ostacolo del logoro, tenace Arafat è caduto. E i dirigenti che dovrebbero succedergli sono più che disponibili.
  • I due uomini si detestano. Arafat chiama Gheddafi principe delle chiacchiere. Gheddafi accusa Arafat di svendere a Israele la terra araba. La Palestina non è soltanto tua, è di tutti noi arabi, gli ha detto in faccia durante un banchetto ufficiale, a Tunisi, davanti agli ambasciatori occidentali, nel dicembre scorso, dopo che il capo dell'Olp aveva accettato a Ginevra l'esistenza dello Stato ebraico.
  • L'uscita dalla ribalta politica di Yasser Arafat apre un grande vuoto in Medio Oriente: spalanca uno spazio in cui possono maturare opportunità per una ripresa del dialogo, ma in cui si può anche scatenare un ciclo di violenze ancora più tragico di quello che ogni giorno insanguina una terra troppe volte santa per essere pacifica.
  • Lui è stato il creatore dell'identità palestinese. E la sua gente lo sa, lo sente. La sua malattia, la morte che lo minaccia, la sua partenza, l'eventuale non ritorno suscitano emozioni collettive. Hanno implicazioni politiche. E quindi anche questa sua ultima vicenda – che lo mette a confronto con una morte naturale, comune a tutti gli esseri umani – va analizzata con impietosa freddezza, come appunto va analizzato un avvenimento politico.
  • Nella sua lunga vita politica è stato tutto: è stato il creatore dell'identità palestinese (che prima di lui non era riconosciuta); è stato il terrorista; il premio Nobel per la Pace; l'uomo di Stato rispettato; poi di nuovo il sospettato di terrorismo; e infine il reietto, al quale Gerusalemme e Washington (e i suoi lacchè) rifiutavano di parlare. E lui stesso Arafat sembrava paralizzato, avvinghiato al potere, incapace di trasferirne almeno una parte a personaggi meno condizionati dal lungo passato.
  • Se Ariel Sharon persiste nel rifiutare al raìs una tomba a Gerusalemme, nella moschea di Al Aqsa, dove lui voleva essere sepolto, ci potrebbe essere la prima fiammata del dopo Arafat.
  • Yasser Arafat è stato – è ancora – uno dei principali personaggi pubblici dell'ultimo mezzo secolo. È stato tra i più amati e tra i più detestati. Negli ultimi tempi la sua immagine si è annebbiata, ma egli non è certamente "fuori gioco", come sostengono Gerusalemme e Washington. Nelle memorie arabe Arafat è la Palestina, e la Palestina è per loro la prova concreta dei soprusi compiuti dagli occidentali in terra araba. O musulmana.

Note[modifica]

  1. Da un discorso all'assemblea generale delle Nazioni Unite, 30 giugno 1979; citato in unispal.un.org.

Altri progetti[modifica]