Luigi Russo

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Luigi Russo

Luigi Russo (1892 – 1961), critico letterario italiano.

Citazioni di Luigi Russo[modifica]

  • Dietro una lingua ci sta una letteratura, e dietro una letteratura c'è un gusto, una civiltà. E l'Italia è grande perché vuol essere europea, non perché vuol vivere una sua gretta vita di provincia: quando si parla di romanità, si esprime con tale parola questa aspirazione all'influenza universale, non solo nel campo politico, ma anche nel campo culturale. (dalla prefazione a La dolce stagione)
  • [Luigi Pirandello] Il teatro, succeduto nella vita spirituale dell'artista quand'egli aveva in gran parte vuotato la sua anima e dato sfogo alle sue più genuine ispirazioni, non poteva essere che una forma divulgativa o una complicazione intellettuale del primitivo problema artistico. (da Il teatro di Luigi Pirandello, Oscar Mondadori, 1976, introduzione, p. XXI)
  • Il Verga fu verista, senza sapere del verismo; e quando le dottrine veristiche conobbe, queste non lo orientarono in modo affatto nuovo, ma furono, come già osservò il Croce, una spinta liberatrice perché lo scrittore acquistasse sollecitamente una più chiara coscienza delle sue attitudini. (da Giovanni Verga, Riccardo Ricciardi Editore, Napoli, 1920, p. 46)
  • [Marco Polo è] l'inventore e il fondatore di una maniera tutta nuova, scientifica, di racconto. (da Storia della letteratura italiana[1])
  • [Sulle Operette morali di Giacomo Leopardi] La lingua e lo stile delle quali, pur moderni e impeccabili in quanto a purezza, risentono ancora del lavoro di lucerna, di un certo gusto classico un po' freddo ed arcaico, non sufficientemente sconvolto e trasfigurato dal sentimento poetico. Nei Canti c'è il poeta, qui, nella maggior parte dei casi, il letterato. (da La dolce stagione)
  • Ora il verismo era malfamato in Italia; il verismo per molti era sinonimo di trivialità e di meccanismo; il verismo era un movimento fuori delle tradizioni paesane; il verismo intonava l'arte ad uno sperimentalismo scientifico, quasi davvero essa fosse un momento anteriore dello spirito umano destinata ad essere assorbita dalla facoltà logica e scientifica della mente; il verismo insomma era la moda di oltralpe, l'immoralità zoliana[2], la vita bruta, il trionfo della fotografia, l'arte positivamente documentata! Ora il Verga era uno della setta, e il Verga doveva pur toccarne degli irosi colpi che si menavano contro la nuova moda letteraria! (da Giovanni Verga, ibid., p. 9)
  • Quando si ha una salda educazione nazionale, e si è radicati nel giusto della nostra letteratura indigena, bisogna sapersi guardare attorno e porre mente all'altro polo, così come faceva Dante per le quattro luci sante, lassù, nel suo bel Purgatorio:
    Goder pareva il ciel di lor fiammelle:
    Oh settentrional vedovo sito,
    Poi che privato se' di mirar quelle!
    (dalla prefazione a La dolce stagione)
  • Solo gli spiriti accomodanti non sono mai cinici. (da Machiavelli, Laterza, 1957)
  • Tono fondamentale del Milione [di Marco Polo] non è epico e poetico, ma scientifico. (da Storia della letteratura italiana[1])
  • [Ferdinando Petruccelli della Gattina] Rimane ancora oggi, insieme con Edoardo Scarfoglio, il nostro più grande giornalista, e l'unico giornalista italiano dell'Ottocento di tipo europeo. Fu un instancabile poligrafo: polemista animoso, corrispondente politico, romanziere bizzarro e fantastico. (da I Narratori, G. Principato, 1958)

I narratori[modifica]

  • [Luigi Capranica] Incerto tra il romanzo storico e il romanzo psicologico, quaerens quid scribat, optò per il primo, in seguito al consiglio del D'Azeglio, poiché attraverso le ricostruzioni storiche poteva con maggiore efficacia provvedere all'educazione politica degli italiani. (p. 47)
  • [Igino Ugo Tarchetti] Ebbe una gioventù procellosa, una sensibilità femminea, malata, un'ansia sempre insoddisfatta di esperienze amorose. (p. 68)
  • Il T. [Tarchetti] non ebbe temperamento di artista schietto; alternò nell'opera sua, dimostrazioni di tesi ed enunciazioni di filosofemi, e figurazioni assurde, malate, superstiziose, spiritistiche. I suoi protagonisti, per un gusto mistico-sensuale dell'orrido e del macabro, sono rappresentati non solo malati nello spirito ma anche nella carne; e quasi tutti finiscono tisici, pazzi, frequentano i cimiteri, convivono demonicamente con i trapassati e non tanto con le anime quanto con gli stessi corpi corrotti. (p. 69)
  • [Lucio D'Ambra] È il romanziere che, in Italia, meglio ha realizzato il tipo mondano del romanzo francese, per la leggerezza e la fatuità del racconto, per l'eleganza degli argomenti, e la blandissima ironia di «homme de monde» con cui l'A. narra le sue storie. (p. 95)
  • [Giovanni Verga] È il nostro più grande narratore che sia nato dopo il Manzoni. (p. 158)
  • La prosa dello scrittore [Virgilio Brocchi] è bolsa e opaca, enfatica senza essere impetuosa; dannunzieggiante nei suoi primi romanzi, il B. è venuto sempre più volgarizzando e ampliando il suo nativo dannunzianesimo con contaminazioni oratorie di tipo classico. E ne è venuto fuori un esemplare curioso di scrittura, in cui la rotonda frase accademica si cala di mezzo al discorso più triviale e pedestre. (p. 178)
  • La P. [Prosperi] nei suoi racconti colorisce con intensità di passione la vita umile e sognatrice delle piccole borghesi; le sue protagoniste non sono le donne peccatrici, ma neanche le donne dall'insipida onestà. Esse vivono sospese tra la realtà modesta e proba e il sogno ricco di fantasmi soavemente colpevoli; brave fanciulle o donne castigate che, nella loro vita di rinunzie e di sacrifizi, sentono con delizioso terrore il fascino della colpa e di una vita superiore e libera. (p. 248)
  • Il Moravia ha avuto un grande dono degli Dei, ma anche una grande croce: a vent'anni egli è nato uomo tutto maturo, poiché proviene da una razza vecchia e filtrata; non ci sono che i fiorentini e gli ebrei che nascono vecchi, maturi, raffinati, smagati; a venticinque anni salgono rapidamente in alto, ma poi si fermano lì e il tempo non scorre più per loro. (p. 346)

Vita e disciplina militare[modifica]

  • Gli uomini non sono mai servi di un uomo; sono servi, se loro stessi non sanno comandare a se stessi.
  • L'individualismo è dilettantismo rovinoso.
  • La libertà non è altro che un ordine, disciplina, e un uomo anarchico non è mai un uomo libero; colui che conduce una vita disordinata, si stanca presto di se stesso, si avvilisce, si sente schiavo del suo disordine, ed egli può dirsi un lento e cronico suicida della vita morale.
  • Noi, si può dire, siamo sempre in condizioni di minorità in tutta la nostra vita, e cerchiamo sempre l'alleanza di qualche autorità che rinsaldi il potere della nostra autorità interiore.

Personaggi dei Promessi Sposi[modifica]

  • Poiché la luce di Dio, per il più profondo cristiano che è il Manzoni nel suo romanzo rispetto all'opera sua più giovanile, non piove soltanto per i privilegiati ab aeterno dalla grazia, ma ce n'è per tutti, e un barlume di essa non è negato a nessuno dei suoi personaggi, anche al più reprobo di essi.
  • Se davvero di un protagonista sensibile si vuol parlare, se non altro per l'uso metaforico della conversazione, e sempre col sottinteso che il protagonista vero è il sentimento, lo stato d'animo dello scrittore, bisognerebbe pensare e sostenere che il protagonista è tutto un secolo, è tutta una civiltà, protagonista vero e immanente in ogni pagina è il Seicento.
  • Giacché sono alternati sapientemente i particolari della paura e della pompa, la paura e la pompa, due delle divinità mondane dominanti nel Seicento manzoniano.
  • Può parere perfino inclemente questa visione del secolo, che ci offre il Manzoni, ma al poeta non dobbiamo chiedere giustizia di storico, ma passione di vita morale e fantastica.

Bibliografia[modifica]

  • Luigi Russo, I narratori, Casa editrice Giuseppe Principato, Milano - Messina, 1951.
  • Luigi Russo, La dolce stagione, Officine Grafiche Principato, Milano, 1940.
  • Luigi Russo, Vita e disciplina militare, Ed. Le Monnier, Firenze, 1934.
  • Luigi Russo, Personaggi dei Promessi Sposi, Ed. Laterza, Roma-Bari, 1945.

Note[modifica]

  1. a b Citato in Antologia della critica, p. 16, Letteratura Italiana, Fratelli Fabbri Editori, Milano, 1965.
  2. di Émile Zola (1840–1902), scrittore francese, tra i massimi esponenti del naturalismo, dal quale il verismo prese ispirazione.

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