Camillo Boito

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Camillo Boito

Camillo Boito (1836 – 1914), architetto e scrittore italiano.

Citazioni di Camillo Boito[modifica]

  • Il dolore fa il poeta; ma la gioia fa il pittore.[1]
  • [...] io preferisco i restauri mal fatti ai restauri fatti bene. Mentre quelli, in grazia della benefica ignoranza, mi lasciano chiaramente distinguere la parte antica dalla parte moderna, questi, con ammirabile scienza ed astuzia facendo parere antico il nuovo, mi mettono in una sì fiera perplessità di giudizio, che il diletto di contemplare il monumento sparisce, e lo studiarlo diventa una fatica fastidiosissima.[2]
  • La città [di Genova] era divisa in due fazioni, in due eserciti. Si gridava: – Viva il palazzo di San Giorgio, morte all'avancorpo del palazzo di San Giorgio ! – Si raccoglievano migliaia di firme per mantenere l'edificio tutto quanto in piedi, o per gettarne a terra la parte anteriore, su cui ferveva la mischia. Si tenevano discorsi, conferenze, concioni, comizi pro e contro. Si minacciava di mandare all'aria il sindaco, la Giunta e di fare le nuove elezioni comunali con le bandiere di San Giorgio restaurato o di San Giorgio distrutto. Dall'una parte i negozianti, i mercanti, i banchieri, gl'ingegneri, i sensali, tutti gli uomini d'affari, tutti gli uomini positivi; dall'altra tutti gli artisti, tutti gli archeologi, tutti gli uomini di studio, tutti gli idealisti. Qualcuno, a vero dire, stava coi Bianchi che avrebbe dovuto schierarsi fra i Neri; qualche altro disertava nel campo nemico; pochissimi, a cagione della natura pronta e risoluta del Ligure, si mostravano indifferenti o dubbiosi.[3]
  • Que' napoletani hanno la benedizione di unire in sé l'impeto e la pazienza: sono pieghevoli e tenaci. Piglieranno tutta in mano la politica e l'arte d'Italia, se gli altri italiani non s'affannano a emularli.[4]
  • [Il popolo napoletano] [...] rapido, immaginoso, facile ad infiammarsi e pur sottilissimo e studiatore.[5]

Il critico[modifica]

  • [I napoletani] Cavano l'arte dal sole. (p. XIV)
  • [Fine dell'arte figurativa] Destare nell'animo con la finzione del naturale un sentimento non ignobile. (VIII)
  • I musicisti, gli artisti moderni specializzano, personalizzano (oh che brutte parole!) i fatti, i personaggi, persino i sentimenti e le idee; ed in queste grette operazioni v'è qualcosa di severo che fa malinconica persino l'allegria. (p. XI)
  • [Nei piemontesi] L'amore della verità domina la maniera che o svanisce o si mostra timida e impacciata. (p. IX)
  • L'arte non è una cosa di numeri e di compasso: è soggetta alle passioni, ai pregiudizi, alla voga del dì, alla influenza di alcune piccole circostanze estrinseche e materiali, e a due bisogni umani, che all'apparenza si contraddicono: il bisogno di stupirsi della novità e il bisogno di riposarsi nel consueto. (p. X)
  • La mente dell'artista non abbraccia più le grandi scene della storia, i fatti complessi della vita umana, le ampie vedute del creato ma si ferma ad una piccola parte della verità studiandola, ricercandola senza scrupolo e senza rispetto nel fondo delle viscere. (p. XIX)
  • [Osservazione formulata durante la Mostra Nazionale di Roma, 1880] La passione cieca del nuovo da cui deriva lo sparpagliarsi, lo sminuzzarsi dell'arte, trova un pretesto nel bisogno che gli artisti hanno di richiamare a sé l'attenzione del pubblico. Le Esposizioni, in fondo, sono mercati. (p. XX)
  • La poesia è inconscia di sé: l'uomo non la domina, né è dominato. Scorga dall'anima o soave ruscello o furioso torrente nel vedersi ritrarre matematicamente soffra e si lagni. (p. IX)
  • [Nei lombardi] La verità resta spesso vinta dalla fattura che ora è piena di spiritosissimo brio, ora va vagando in istudiati vapori. (p. X)
  • [Risposta alla domanda formulata dall'Accademia di archeologia, lettere e belle arti di Napoli: se nella pittura l'imitazione del vero basti a raggiungere il fine dell'arte] Nella pittura la limitazione del vero non può bastare a raggiungere il fine dell'arte; perché anche dove il fine dell'arte sta semplicemente nel rappresentare il naturale, bisogna, copiandolo, interpretarlo e animarlo. (p. IX)
  • [...] quanto all'indirizzo, allo spirito dell'arte, noi vorremmo che il Governo se ne impacciasse anche meno di quello che fa, e lasciasse dipingere e scolpire a' cervelli dei pittori e degli scultori, e secondo il gusto del pubblico [...] O che s'ha ad avere un'arte moderna, ministeriale, di centro destro, di centro sinistro [...] L'arte officiale sarebbe la rovina dell'arte [...]. (p. XV)
  • Si attribuisce all'opera d'arte la virtù che nasce in noi stessi, di modo che diventa molto grave il pericolo per il critico, il quale non creda alla infallibilità delle teorie estetiche e delle tradizioni del'arte, né presti troppa fede alle compassate sentenze del raziocinio. (p. XVII)
  • Siamo eclettici e scettici. (p. XIII)

L'artista[modifica]

  • Il sorriso ironico di Didimo [traduzione foscoliana del Viaggio sentimentale di Laurence Sterne] giunge a proporre in una diversa prospettiva le antiche passioni del 'liber'uomo'. (XXVI)
  • [Da una lettera al fratello il 16 dicembre 1861] Se tu chiedessi che cosa è questo pesantissimo masso ch'io mi sento legato a' piedi, ond'io batto le ali e mi dimeno senza poter volare, non ti saprei chiaramente rispondere: forse nella mente mi difetta la fantasia, forse nel cuore mi manca la volontà prepotente, ardita, disprezzatrice e vincitrice di ogni ostacolo, dalla quale possono uscire le opere grandi e durature. (p. XXVIII)
  • [L'arte veneziana] È una ghirlanda di fiori olezzanti; è una collana di pietre preziose. È una cosa lasciva e imponente. È una fata col sole per nimbo, che attrae, che ammalia ma che, a lungo fa venir le traveggole. (p. XXXI)
  • L'architettura è in Oriente una forma d'oppio. (p. XXXII)

Gite di un artista[modifica]

Incipit[modifica]

L'OSSARIO
Il sole pareva la luna. Era piccolo e tondo, e si poteva guardarlo in faccia con gli occhi spalancati. Aveva, come si dice della luna, i raggi d'argento. Il suo lembo inferiore toccava la linea quasi retta dei colli; e l'intiero disco sembrava bagnato in una atmosfera trasparente, ma vaporosa, la quale, invadendo tutto il campo del cielo, dava al sereno candore innocente, dolcissimo. Non si vedeva una nuvola volare per l'aria; non c'era un colore in quel tramonto biancastro. Solo, quando la strada, sulla quale correvo in carrozzella, piegava a un tratto, e innanzi al cerchio mezzo nascosto dal sole passavano in un attimo i rametti fitti, nodosi, nudi di un olivo morto, quel sole scialbo prendeva nelle rifrazioni della luce un colore strano rossigno, come di fiamma pallida o di sangue annacquato.

Citazioni[modifica]

  • In quella campagna tra Villafranca e Custoza c'è quasi ancora il tanfo acre del campo di battaglia. Vi sono passate sopra tre ire terribili, tre bufere della morte: il 1848, il 1859, il 1866. Tre stratificazioni di cadaveri l'una sopra l'altra, formanti una geologia nuova. (p. 4)
  • Villafranca pare fatta a bella posta perché gli eserciti la traversino in lungo e in largo. Ha tre sole contrade, che si tagliano in preciso angolo retto, formando una H maiuscola. Le case pulite, regolari, semvrano battaglioni schierati per la rivista. V'ha una certa rigidezza, una certa uggia militare.
    Già le cittaduzze del Veneto non si sa se siano melanconiche o allegre. (pp. 5-6)
  • A Villafranca, nella piazza formata dalla prima croce delle vie, s'aprono l'una contro all'altra due botteghe da caffè, le quali, naturalmente, si guardano con occho di poco amore. (p. 7)
  • Agl'Italiani si dice: Riprendo la spada di Goito, di Palestro, di Pastrengo, di San Martino; ai soldati si grida: Voi vincerete e il vostro nome verrà benedetto dalle presenti e dalle future generazioni; al Senato si annunzia: Domattina passerò il Mincio con dieci divisioni. Ciascuno si sente nel petto il cuore dell'eroe e nella testa il cervello del generale. (p. 13)
  • A Custoza l'ostinazione degl'Italiani fu epica. Sul colle, sul cucuzzolo anzi del Belvedere, s'era concentrata una tale violenza di tenacità, che chi c'era voleva starci e chi non c'era voleva andarci ad ogni costo. [...] Fu mandata alla carica persino una scorta di carabinieri. (p. 15)
  • Sotto al grande olmo, accanto alla chiesa di Custoza, mi trattenni un poco di tempo con il curato del villaggio. Bramavo vedere nel camposanto i resti disseppelliti di più di mille soldati, deposti colà aspettando la costruzione dell'Ossario monumentale...
  • [...] il giornale dei disseppellitori:
    Comune di Sommacampagna. Si esumano 77 scheletri del 1848 e 801 del 1866.
    Oggetti trovati: due orologi, due bottoni da polsini, una ricoltella, due borse in seta, un suggello con le iniziali M.F., un suggello con le iniziali N. A., sei pezzi da venti lire in oro, dei da dieci, tre da un fiorino, due svanziche, trecentosei monete di rame austriache, settantadue italiane, medaglie, Cristi e corone, venti anelli, uno con le iniziali M. D., [...]. (p. 20)
  • [A Custoza] Vidi il volto di una vivandiera uccisa nel 1848; vidi Tedeschi e Italiani, semplici soldati e ufficiali. Uno ha i suoi trentadue denti così belli, che sono un incanto: neanche un puntino bruno; non ne manca una scheggia; non ce n'è uno solo che segua leggiadramente le perfette curve della mascella; dal dinanzi vanno via ingrosando sino al fondo, simmetrici, graziosi, più candidi assai dell'avorio con il loro smalto niveo e lucido. Bocca da baci. (p. 25)
  • Il Tiepolo
    Genio strabocchevole, strapotentissimo quello di Giambattista Tiepolo: Il Tiepolo è in gran voga al dì d'oggi; il Tiepolo e il Carpaccio.[...] I contemporanei del Tiepolo, grandi ammiratori di lui, lo paragonavano a Paolo Veronese, e avevano ragione, poiché lo spirito del Tiepolo e quello del Caliari [Paolo Caliari] sono spiriti fratelli; se non che il Cinquecentista poteva entrare nella profondità del vero, ma, due secoli dopo, nell'età dei fronzoli, dei guardinfanti e de' cicisbei, il Settecentista non poteva più. [...] Io ammiro il Tiepolo e lo amo sinceramente. Quella sua insolenza di fantasia, quella sua abbondanza miracolosa nel comporree abilità prodigiosa nell'eseguire stupiscono, rallegrano e attraggono l'animo. Il suo colpo di pennello è magistrale; la sua tavolozza, sapiente nell'ombreggiare, inarrivabile nei contrasti delle tinte sporche e nette, neutre e intere, opache e lucide, cupe e soavi, è un incanto. [...] Il conte Algarotti lo chiamava nel 1760 il più gran pittore che abbia Venezia, l'emulo di Paolo Veronese e notava come mostrasse la erudizione di Raffaello e del Passino; ma, dopo morto, la sua gloria svanì. Ora torna a rifulgere. È un artista, in fatti, che deve suscitare alternativamente i grandi amori e i grandi odii. (p. 29-32, 38)

Citazioni sul libro[modifica]

  • Gite di un artista, pubblicato nel 1884 da Ulrico Hoepli raccoglie alcuni scritti comparsi per lo più nella Nuova Antologia e che coprono i venti anni decisivi nella produzione di Camillo Boito. Contrariamente ai racconti, usciti in più di una edizione, questo testo ha visto le stampe soltanto una volta e non se ne conoscono recensioni: solo il Marangoni ne fa cenno "Quale persona colta in Italia non conosce le gite di un artista [...] pagine brevi ed indimenticabili" prima dei critici letterari a noi contemporanei ai quali, con diversa dizione, si deve un ritrovato interesse per lo scrittore.
  • Il libro di Camillo Boito si presenta con un'intonazione misurata fin dal titolo e rimanda ad una dimensione circoscritta, ad un filone che, forse, non appartiene neanche del tutto alla letteratura di viaggio, se in essa si assume come esemplare il testo goethiano, ma che ha precedenti non meno illustri.

Scultura e pittura d'oggi[modifica]

  • Il fortunato malanno de' Francesi è di portare la propria inclinazione agli ultimi limiti, facendola, se occorre, uscire da ogni confine. Strafanno la propria indole, o, al bisogno, se ne creano una di pianta. È impossibile, per esempio, che lo Ziem, pittore monotono, ma diverso dagli altri, veda così com'egli dipinge le prospettive di Venezia, nelle quali il colore dell'acqua, delle case, dell'aria non ha ombra di riscontro col vero; ma egli non ignora forse che quanto più un uomo d'ingegno si restringe ad un modo e ne cava le conseguenze estreme, tanto più afferma certe qualità speciali, che il pubblico riconosce di botto, ed alle quali, se non subito, almeno a poco a poco si avvezza ed informa il gusto. Il gusto volubile muta, ma intanto l'artefice ha avuto i suoi anni di fortuna lieta e di gloria. (p. 363)
  • In Italia, come non esiste la commedia proprio contemporanea e proprio italiana – le eccezioni non contano – così non esiste l'arte di genere proprio d'oggi, se non qua e là in certi tentativi di buoni artefici, come nelle opere del Busi, il quale, sebbene talvolta dipinga le stoffe meglio delle teste e nel garbo delle figure metta qualcosina di francese, pure ha l'indole del vero pittore famigliare odierno. (p. 367)
  • L'artista [...] ha bisogno di sentire con impeto; ma deve, nello stesso tempo, rendersi conto di ciò che sente e del modo in cui sente. Attore e spettatore di sé medesimo: sempre veridico da un lato, sempre bugiardo dall'altro.
    Senza tali avvertenze l'arte nuova delle provincie meridionali d'Italia non si potrebbe capire bene: non si potrebbe capire il più singolare, non diciamo il più bello, dipinto della Mostra di Napoli [del 1877], quello di un giovinotto abruzzese, napoletano d'arte, il Michetti; né la più singolare, non diciamo la più bella, opera di statuaria, quella di un artista affatto ignoto sinora, il D'Orsi. (p. 388)
  • [Alla Mostra nazionale di belle arti di Napoli del 1877] Fra gli Emiliani ecco il Busi bolognese, che, dopo essere piaciuto a Milano con una tela tutta gialla, vorrebbe piacere ora a Napoli con una tela, pregevole assai nel resto, tutta rosata e violetta [...]. (pp. 399-400)

Incipit di alcune opere[modifica]

Il maestro di setticlavio. Novelle veneziane[modifica]

Il maestro di setticlavio[modifica]

L'uno insisteva timidamente:
"Eppure, maestro, mi scusi. In fondo è un buon giovine. Ha un gran capitale in quella sua voce da Mirate".
L'altro ripeteva risolutamente:
"No, no e poi no. Tu non capisci niente. Gli basterebbe mangiarsi quel po' di dote. È uno scavezzacollo. Povera Nene!".
L'uno stava alla coda del pianoforte, in piedi, con la testa bassa; l'altro seduto alla tastiera. Al di là dell'uscio chiuso si sentiva una vocina soave canterellare.

Il demonio muto[modifica]

Nipote mio, ho compiuto quest'oggi i miei novant'anni, e ho fatto il mio testamento. Lascio quasi tutti i miei soldi, circa un centinaio di mila lire, a tua sorella Maria, che ha sette figliuoli ed è vedova, con il patto di passare tremila lire l'anno alla mia buona Menica, la quale è troppo vecchia e stanca per attendere agli affari. Vero è che la mia buona Menica mi fa arrabbiare tutte le sante sere.

Il colore a Venezia[modifica]

(Queste annotazioni sono tolte dall'albo di un artista pedante)

Il cortiletto di un'osteria sulle Zattere al ponte della Calcina, ombreggiato appena con qualche foglia di vite, e dal quale si vede il largo specchio dell'acqua verdognola, che riflette le tristi case della Giudecca, era lo scorso autunno sull'ora del mezzodì pieno zeppo di pittori francesi, tedeschi, spagnuoli, che mangiavano senza badare al tondo e bevevano senza badare al bicchiere, come trasognati in mezzo alle bellezze di quella città, con le quali lottavano dall'alba alla sera, tentando di rapire ad esse il segreto del loro colore.

Quattr'ore al Lido[modifica]

Schizzo dal vero

L'acqua era tiepida, il mare uno specchio. Nuotando ora lesto, ora tardo, m'ero allontanato bene dalla riva, sicché la barca di salvamento mi veniva dietro, e i barcaiuoli gridavano che gli Avvisi proibiscono di scostarsi troppo dai Bagni. Uomo avvisato, mezzo salvato. Vedendo che non davo retta alla legge, i barcaiuoli se ne tornarono indietro, e mi lasciarono solo. Nell'acqua profonda sentivo di quando in quando una corrente fresca, e mi scorreva sulla pelle un leggiero brivido; poi tornavo nel tepore quieto e beato.

Senso[modifica]

Il prete aveva i gomiti poggiati sul davanzale; stava immobile, con lo sguardo fisso. Era la prima volta in dieci anni che vedeva dalla canonica del villaggio (il più alto villaggio del Trentino) la tempesta sotto i suoi piedi, intanto che il sole, un sole pallido, quasi intimorito, brillava sulle case del paesello e sulle cime delle montagne circostanti.

Citazioni su Camillo Boito[modifica]

  • Camillo Boito [...] coglie nel Medioevo l'esperienza di rottura con gli schemi distributivi classici, la duttilità di fronte a compiti utilitari [...]. Anticipa così quella ricerca di un'espressione non naturalistica che incomincia a manifestarsi nel Dossi e che avrà un suo momento importante nella prosa austera e potente di Carlo Carrà critico e scrittore. (Carlo Bertelli)
  • "Siamo eclettici e scettici", la frase segna una presa di coscienza. Il superamento di tale condizione, secondo lui, è possibile attraverso la scelta di uno stile: il romanico per l'architettura e di un periodo storico: il Medioevo, perché meglio di altri rappresenta la continuità con il passato e rende possibile dare un ordine "alla molteplicità dei linguaggi". (Maria Cecilia Mazzi)

Note[modifica]

  1. Da Un corpo, in Storielle vane.
  2. Da Questioni pratiche di belle arti, Ulrico Hoepli, Milano, 1893, Restaurare o conservare. I restauri in Architettura. Dialogo primo, p. 4.
  3. Da Questioni pratiche di belle arti, Ulrico Hoepli, Milano, 1893, Questioncelle architettoniche. Il palazzo di San Giorgio in Genova, p. 267.
  4. In Francesco Protonotari, Nuova antologia, di scienze, lettere ed arti, vol. 21, Firenze, 1872, p. 967.
  5. Citato in Nuova antologia, di scienze, lettere ed arti, vol. 21, p. 966.

Bibliografia[modifica]

Voci correlate[modifica]

Filmografia[modifica]

Altri progetti[modifica]