Carlo Dossi

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Carlo Dossi

Carlo Alberto Pisani Dossi (1849 – 1910), scrittore italiano.

La desinenza in A[modifica]

Incipit[modifica]

O Pubblico, o solo mio Re, si fa porta. Due lire e tu sei in teatro. Animo! Risparmia un paio di guanti, un nastro, un fiore, un sacchettino di dolci, e ardisci di non scroccarmi il biglietto. Chi è mai, che con cinque centesimi in tasca, avrebbe tanta impudenza di domandare, per grazia, a un panettiere un panuccio? Non si paga, fors'anche, una sbornia che ti fa misurare la terra tre le fratellèvoli risa del prossimo? Non si paga un amplesso che ti lascia un rimorso? Non si paga perfino un rimedio che ti assassina il palato, e, peggio ancora, lo stomaco? Pubblico-Re, trattami almeno, ti prego, come tratti il tuo cuoco, il tuo sarto, il tuo erotico araldo. Né ti rattenga la pietosa paura di rivedermi, tua mercé, a tiro di quattro e col battistrada. Lo spirito costa molto olio. Siamo poi troppo signori per diventare mai ricchi.

Citazioni[modifica]

  • Grassa cucina, malanno e medicina.
  • Il vino, quanto più si fà vecchio, tanto più si fà buono, mentre, se lo si beve, più non diventa né l'uno né l'altro.
  • Per quanto cupa una vita, rado è che non abbia due luminosi momenti, come appunto succede nel matrimonio, cioè l'entrata e l'uscita.
  • Uomo e donna complètansi vicendevolmente, come il bottone e l'occhiello, come il violino e l'archetto, come il seme e la terra.
  • Uniche gioje del matrimonio, ch'egli conosca, son quelle che gli vendette, salate, l'orefice.[1]
  • Noi, la lingua che Natura ci ha dato, noi la vogliamo vibrare come meglio ci sembra. Stolti voi che credete, coi dizionari e le scuole, d'immobilizzarla, quando il pensiero, suo sangue, né le manette né il boja non arrestàrono mai, né Cristo né il Diàvolo.[2]
  • Oh fuori dalle ipocrisie! Tutte le donne sono una stessa sonata.[3]
  • Oh il primo amore pàlpita bene, ma quanto più l'ùltimo! Delle sole due volte in cui si ama davvero, l'una all'A della vita, l'altra alla Zeta, se il primo amore può dirsi il paradiso di Adamo, cioè dell'inscienza, l'altro lo è della scienza; è il paradiso di Epicuro e Gorini. [...] Il primo amore ci apre insomma una via; l'ùltimo ce la chiude; il primo sottintende un secondo, l'ùltimo... nulla. Ed è perciò che ci attacchiamo a quest'ùltimo come alla tàvola estrema il nàufrago.[4]

Goccie d'inchiostro[modifica]

Incipit[modifica]

– Sempre diritto – rispose al conte Rinucci il vetturino, indicàndogli colla punta della frusta la bianca strada che, dinanzi a loro, montava, montava, internàvasi in un folto pineto e, serpeggiante ricompariva nell'interrotto fogliame – sempre diritto, voi non potete sbagliare.
Rinucci consultò l'orologio. Fra una mezz'ora la vettura doveva raggiùngerlo: proprio il solo tempo, stretto e necessario – come aveva già tartagliato nel suo gergo gallo– tedesco il camiciotto azzurro – di affettare una pagnotta alle pòvere bestie, di rinfrescarsi gli arrì! e di attaccare un cavallaccio di rinforzo.
Il conte approvò col gesto. D'un gran passo poi superata la larga striscia di fanghiglia che, nudrita da una sorgentella di aqua, traversava la strada, fermossi all'asciutto, si volse e stette aspettando la giòvine moglie che apparecchiàvasi a smontare dalla carrozza.

Citazioni[modifica]

  • L'amore o a dir meglio l'abitudine all'isolamento noi l'acquistiamo e si accentua in noi invecchiando. (da Natale in solitudine)
  • Vi ha un giorno nell'anno in cui il vae soli [Guai a chi vive solo!] della Bibbia ci è in viso buttato, come ingiuria, dalla rossa vampa del caminetto e ci soffia gelato alle orecchie, come minaccia, dalla terra nevata. È il Natale. (da Natale in solitudine)
  • Oggi è Natale, il dì degli affetti, il dì dei ricordi, eppure non orma d'uomo s'imprime sull'umida zolla del cimitero, né un fiore adorna le croci, fuorché il nostro. (da Natale in solitudine)
  • Che è dunque colle sue piccine passioni l'umanità? anzi – «fra il lampo di vita e il tuono di morte» ov'è l'uomo? (da Il conforto della filosofia)
  • Chi non procede per una sol via, di nessuna va a capo; chi l'arco non tende del proprio intelletto ad un unico scopo, nulla colpisce. (da Il conforto della filosofia)
  • Di desiderio più che di soddisfazione cibasi Amore. Eternamente si amano gli ideali perché non raggiungonsi mai. (da Il conforto della filosofia)
  • Filosofia, dammi se non il sorriso, l'indifferenza almeno del saggio. Menti, ma consolami. (da Il conforto della filosofia)
  • Non c'è male [...] donde bene non sorga. (da Il conforto della filosofia)

Citazioni su Goccie d'inchiostro[modifica]

  • Tutta l'autobiografia è piena di bozzetti e raccontini che, staccandosene, costituirono poi, con qualche aggiunta, il volume: Goccie d'inchiostro. Alcuni sono bozzetti di bambini dove il Dossi, da un niente, sa trarre una pagina indimenticabile: come nella scenetta che s'intitola Le caramelle e che bisogna leggere piano, assaporando. (Benedetto Croce)

L'Altrieri[modifica]

Incipit[modifica]

I mièi dolci ricordi! Allorché mi trovo rincantucciato sotto la cappa del vasto camino, nella oscurità della stanza – rotta solo da un pàllido e freddo raggio di luna che disegna sull'ammattonato i circolari piombi della destra – mentre la gatta pìsola accovacciata sulla predella del focolare, ed anche il fuoco, dai roventi carboni, dal leggier crepolìo, sonnecchia; oppure quando, seduto sulla scalèa che dà sul giardino, stellàndosi i cieli, sèntomi in faccia alla loro sublime silenziosa immensità, l'ànima mia, stanca di febbrilmente tuffarsi in segni di un lontano avvenire e stanca di battagliare con mille dubbi, colle paure, cogli scoraggiamenti, strìngesi ad un intenso melancònico desiderio per ciò che fu.

Citazioni[modifica]

  • – Solite scuse! Il calamajo! La penna, che rende grosso!... Come, se noi, i rè del creato, le copie autèntiche di Dio, dovèssimo ubbidire a de' materialìssimi oggetti! Cangiate scrittura, Bandinelli mio caro. Non sapete forse che nel caràttere calligràfico s'intravede anche il morale? Questo che voi possedete, sporco, ingarbugliato, è da arruffapòpoli, da testa balzana... già, guardate... non un puntino alle i, non una spranghetta alle ti! Bandinelli, procuràtevene uno, pieno, rotondo, cicccioso come la vostra presenza... (da Panche di scuola, p. 42, 1988)
  • Al che, se tu aggiungi un pajo di occhi che mi guardàvano fisi fisi, neri, biricchini, come quelli della vedovella contessa di Nievo uno degli astri della città se... Dio! quando ci penso. Con mé, essa, avèa ballato la maggior parte de' valzi, polche, quadriglie, a mé chiedeva il braccio perché la scortassi alla cena – e le recài io medèsimo lo sgabellino, poi un'ala di quaglia – per mé, in quella sera, le lusinghiere frasette, le stralucenti zolfanellate. Pensate dunque quanto se ne dovesse tenere un giovanottino fuggito appena dal materno capèzzolo, sentèndosi il favorito di un ìdolo dei meglio incensati, vedèndosi su la di lui nera mànica il più rotondo sodo avambraccio che mai portasse smaniglie! Sarèbbene, fin un dei sette, impazzito… E proprio ci avèa motivo: né più né meno che per certe tosuccie della corta vestina, le quali, in quella stessìssima veglia, èrano – da un bel luogotenente degli Ussari, dai mostacchi biondi arricciati – tolte, non so perché esclusivamente a piroettare.
    Da parte mia, m'abbandonavo a una éstasi tale che sono sicuro di aver commesso a quel ballo, e sùbito dopo, le più majuscole farfallonerìe. Bàstimi ricordare come dimenticài affatto, partendo, di riverire gli òspiti, e come, accompagnata la contessina, giusta il suo desiderio, fino a' pie' della scala e sospirato all'ùltima languidìssima occhiata di lei e vìstala scomparire, ravvolta in un bianco scialle, nella carrozza, presi a camminar verso casa sotto una folta neve senza nemmeno aprire il paraqua.[...] Dunque, pazienza. Vi accennerò solo che, alla fin fine, schiacciata entro lo staccio, tutta la biribara de' mièi pensieri non la filava altro di questo: che l'ingattimento della contessa di Nievo per mé – quantunque mezza-bottiglia – era fuori del forse e che io riamàvala alla spietata. (da La principessa di Pimpirimpara)

La colonia felice: utopia lirica[modifica]

Incipit[modifica]

Stàvano i deportati – una quarantina – uòmini e donne, sulla nuova spiaggia tra le cataste di roba e le pacìfiche forme degli agnelli e de' buòi; stàvano, chi in piedi in una èbete immobilità, chi a terra accosciato, le palme alla faccia; tutti affranti da un viaggio lunghìssimo col non sequente ànimo e dal dubbio della lor meta, dubbio peggiore della più amara certezza, e dalla brama cupa, senza speranza, della vendetta.

Citazioni[modifica]

  • Che è un matrimonio, in tutti i paesi del mondo, per quanto premeditato, se non un getto di dadi?
  • È meglio non comandare del non venire obediti.
  • L'animo del malvagio è impervio all'alfabeto di Dio.
  • Per quanto stolta una donna, un uomo c'è sempre che la vince in stoltizia – il suo amante.
  • Tutto al bene fluisce: dove non può la virtù, giova il vizio.
  • Umanità vanitosa, che, non potendo della virtù, ti glorii del vizio!
  • Un uomo io lo stimo quanto insaccoccia. L'anima umana sta nella borsa. Vuota la borsa, addio anima!
  • Una colpa non è cancellata finché si rammenta.

Note azzurre[modifica]

Incipit[modifica]

I. Vi ha risposte che sono insieme una domanda – ottime a protrarre un discorso. E io invece, nelle mie risposte, pongo sempre punti; mai virgole né punti e virgola –.
3. strigosus (Gellius) = magro, il nostro milanese "striaa" da strix, strige (strega) vampiro succhiasangue.
5. Per la Satira a Roma. V. Gellio – notti attiche (L. IV cap. V.) – (Lib. XV. IV).
6. Antichi dii Romani – v. Gellio (C. v. – C. XII).
7. Aurum in Gallia effutisti (Svetonio) – scialaquasti, il nostro mil. te mandaa a fass fôtt. -

Citazioni[modifica]

  • Se l'acqua si vendesse a bottiglie come parrebbe buona! (Gorini) (n. 34)
  • Il gatto di nonno Quinterio, che, dalla finestra, stava guardando in istrada se il padrone veniva. Il nonno usava comperargli tutti i giorni un biscottino. Un dì il povero gatto cadde dal tetto; lo si bendò e lo si pose nella sua cuccia che stava in solajo. Ed egli dopo qualch'ora scese tutto bendato e andò a leccare la mano al padrone in segno di riconoscenza. – Come non sia vero che il gatto ami la sola casa. Certo che il carattere del gatto è più indipendente, è più nobile di quello del cane: egli ama rimanere in un luogo, perché vi ha già fatto le sue relazioni coi gatti circonvicini ecc. (n. 47)
  • Il diavolo ha reso tali servizi alla Chiesa, che io mi meraviglio com'esso non sia ancor stato canonizzato per santo. (n. 318)
  • Ogni dovere e diritto nasce e procede dall'istinto della propria conservazione. (n. 369)
  • Vi ha gente che è sempre del parere dell'ultimo libro che legge. (n. 501)
  • L'uomo che sa leggere parla cogli assenti, e si mantiene in vita gli estinti. Egli è in comunicazione con l'universo – non conosce la noia – viaggia – s'illude. Ma chi legge e non sa scrivere è un muto. (n. 520)
  • A molti non mancano che i denari per essere onesti. (n. 521)
  • Ci sono generi nelle donne, ma non caratteri. (n. 543)
  • Date agli altri molta libertà se volete averne. (n. 665 b)
  • Il falso amico è come l'ombra che ci segue finché dura il sole. (n. 691)
  • Dante, come ogni altro grand'uomo, era pieno di sé – chè senza intima fiducia a nulla di sommo si arriva – e non solo tradisce questo in molte frasi della sua Divina Comedia, ma lo confessa francamente nel C. XIII del Purgatorio (dal v. 133 al 138) dove dice che non ha tanto paura di passare un po' di tempo nel luogo degli invidiosi, quanto in quello de' superbi. (n. 1085)
  • Dicono che la filosofia è la medicina dell'anima. Ammettiamolo. Ma insieme, ammettendone anche le sue conseguenze, diremo che la filosofia come la medicina è pei malati e non per i sani. Come la medicina poi è un veleno – e ogni veleno, se in breve quantità, giova, in grande uccide. (n. 1194)
  • I sonatori di organetto si possono definire «un accattonaggio con accompagnamento di musica». (n. 1196)
  • Dicesi età dell'oro quella in cui oro non c'era. (n. 1316)
  • Dicono delitto uccidere un uomo e non dicono uccidere una formica. Eppure l'anima è una – innalzatevi, guardate l'uomo dall'alto, e vi parrà una formica. Che è dunque l'ucciderlo? (1408)[5]
  • Chi molto dice – pensa poco. (n. 1587)
  • Tutti gli uomini sono corruttibili: è questione di somme. (n. 1604)
  • Un libro indegno di essere letto una seconda volta è indegno pure di essere letto una prima. (n. 1873)
  • I bibliofili possessori di biblioteche di cui non volgono una pagina, si possono paragonare agli «eunuchi in un harem». (n. 1860)
  • Il corpo – la vagina dell'anima. (n. 1929)[5]
  • Che è l'onestà se non la paura della prigione? (n. 2008)
  • La legge è uguale per tutti gli straccioni. (n. 2023)
  • L'umorismo non poteva sorger completo che in un'epoca di scetticismo. – Nell'Um. la ingenuità infantile della frase colla senile profondità del pensiero. (n. 2172)
  • Ci fu data la lingua, sì, per parlare; ma anche i denti per tenerla assiepata. (n. 2239)
  • Göthe fu l'ultimo eco di una letteratura che ricadeva in silenzio: Richter il primo di una che cominciava a parlare. (n. 2309)
  • Io non scrivo mai il mio nome sui libri che compro se non dopo di averli letti, perché allora soltanto posso dirli miei. (n. 2334)
  • Giordano Bruno, dedicò la sua satira contro la fede e il papa (l'asino ideale) dal titolo Cabala del cavallo Pegaseo ad un vescovo – con queste parole "prendetelo, se volete, per uccello; perché è alato e dei più gentili e gai che si possano tenere in gabbia" – Il motto di Bruno era, "in tristitia hilaris, in hilaritate tristis" che potrebbe essere il motto dell'Umorismo – Per la lingua da lui usata diceva "chi m'insegnò a parlare fu la balia". (n, 2416)
  • Massimo segno della fine, è il principio. (n. 2481)
  • La ragione è a tutti comune, la volontà no. (n. 2483)
  • Italia 1870. Tempi di recrudescenza governativa. La tutela della P.S. affidata ai bricconi. Il mostruoso connubio fra Chiesa e Stato. I regolamenti, perpetua offesa alle leggi, etc. etc., l'usura. (n. 2522)
  • Il gatto potrebbe chiamarsi lo scaldamani delle poverette. (n. 2565)
  • Dopo l’inondazione. I fondi presso Po. La malta sino a metà dei gelsi - I gelsi insabbiati, con pezzi di legno, paglia, spighe, ecc. tra i rami spogli di frasche. (n. 2582)
  • Il pudore inventò il vestito per maggiormente godere la nudità. (n. 2720)
  • Nessuno mai provò compassione schiacciando una formica: pochissimi senton ribrezzo vedendo uccidere un pollo; pochi, vedendo un bue. Eppure s'inorridisce all'uccisione di un uomo. Perché?... Non è forse l'anima una, non val la formica l'uomo? – Nobile arte la caccia, che è l'uccisione delle fiere; nobilissima la guerra, che è l'uccisione degli uomini. Or perché ignobile la beccheria che è quella degli animali domestici? (n. 2730)
  • Preparazione della salma di Mazzini (dal racconto di Gorini). Gorini è chiamato a Pisa da un telegramma di Bertani. Trova una folla di Mazziniani, mezzi matti, ciascuno dei quali dà ordini e disordini, gridando «si faccia questo, si faccia quest'altro, non si badi a spesa» e inviando poi, beninteso, i conti a pagare ai tre 3 o 4 ricchi di loro. Lemmi ci spese di più di 6000 lire – e nota che i patrioti operai gli fecero pagare 800 lire una cassa di piombo che ne valeva 200. – Si domandò a Gorini in che modo avrebbe imbalsamato Mazzini. Rispose avere due modi: uno spedito ma che conservava per pochissimo tempo il cadavere; l'altro lunghissimo, ma che lo serbava indefinitavamente. Si passò ai voti. Dei mazziniani, i Nathan volevano che si seppellisse Mazzini senz'altro. Ma prevalse Bertani. Gorini si pose dunque al lavoro. IL corpo giaceva in istato di avanzatissima putrefazione. Era verde – era una vescica zeppa di marcia. Bertani assisteva all'esperimento. Dopo una notte di tentativi, Gorini avea già perduta ogni speranza di conservarlo. Arrischiò un altro mezzo – e il verde scomparve e la marcia si coagulò. Allora si pose in cassa Mazzini per portarlo a Genova. In viaggio la cassa si ruppe e ne uscì del liquido. A Genova Gorini riprese il lavoro. In due anni, ne spera un mediocre successo –. (n. 2737)
  • Il sorriso è alla bellezza, quello che il sale è alle vivande. (n. 2828)
  • Anticamente migliaja di Dei parevano pochi; oggidì uno è di troppo. (n. 2913)
  • Quanto sa, gl'impedisce di sapere quanto dovrebbe. (n. 3263)
  • Chiedete un favore, sempre al dopopranzo — non fatene se non prima di pranzo. (n. 3269)
  • Al fuoco della verità le obbiezioni non sono che mantici. (n. 3354)
  • La poesia a imagini e la poesia a sentenze. La prima è la più antica. Oggi prevale la seconda – ma già si cerca di maritarle – formando una poesia dalle imaginose sentenze, o sentenziose imagini. – L'arte magnanima di Michelangiolo. – Le cruschevoli melensaggini. (n. 3517)
  • I Missionari Cattolici, a differenza dei protestanti, invece di tentare la conversione dei selvaggi coll'insegnar loro le umane universali regole del Vangelo, s'intende, col contrafforto della pagnotta, ancor prima di parlar loro di Dio, parlano dell'Immacolata e del Purgatorio. E credono poi di averne convertite migliaja quando possono arrivarli con una secchiata di aqua benedetta. (n. 3595)
  • Il mondo non può sostenersi senza ingiustizia. (n. 3671)
  • È il giorno di S. Giovanni. E il sacchettino della semenza dei bachi? che ne è? Si và a vederlo. Effervono i bachi. Corriamo subito a comperar della foglia. La verduraja la pesa contando i grammi e i mezzi grammi. In un atimo le prime foglie sono completamente coperte, e bucate – La foglia non è più che un ricamo – E i bachi a poco a poco s'ingrossano e si allargano pigliando posto del tavolo, del coumod, delle sedie, e invadono tutta la casa. Per mantenerli, andiamo a rubare la foglia in un campo del municipio, dove la sta inoperosa; e la laviamo frasca per frasca. Niente più studi. I bachi biancheggiano anche sui libri e i quaderni. Infine cominciano ad abbozzolarsi. Nostra emozione. Si veglia due notti. (n. 3766)
  • Molti hanno il talento di farsi odiare per poco. (n. 3796)
  • Fra gli avvilimenti di un giovane d'ingegno, massimo è quello di andare a scuola e di subire gli esami. (n. 3816)
  • Dabo tibi dorsum et non faciem! – dicono le monache parlando al diavolo e al frate confessore. (n. 3827)
  • Il salute verso chi starnuta, serve se non altro a incomincire una conversazione tra gente sconosciuta. (n. 3830)
  • Mi contava un sojatore che a Napoli, in certi alberghi, usava il servitore entrare nella camera del forastiero, la bella mattina del suo arrivo, con una guantiera sparsa di piccoli e grossi stronzi, ciascuno dei quali avea appeso un cartellino e scritto su un prezzo. I grossi costavano molto più dei piccini, ed alcuni tenevano in capo un cappellino di prete. Erano questi i prodotti degli abatini. E il forastiero sceglieva. E detto fatto si apriva la porta, e compariva ai comodi del forastiero la parte corrispondente – autrice dell'esemplare. (n. 3831)
  • L'utopia di un secolo spesso diviene l'idea volgare del secolo seguente. (n. 4069)
  • Fu un'epoca in cui ogni più piccolo villaggio avea la sua chiesa e la sua forca. Ora la forca è sparita – sparirà presto la chiesa. – Non lo disse De-Maistre? Il boja è un necessario sostegno dell'altare e del trono.
L'ingegno è fatto per un terzo d'istinto un terzo di memoria e l'ultimo terzo di volontà.
  • L'ingegno è fatto per un terzo d'istinto – un terzo di memoria – e l'ultimo terzo di volontà. (4587)
  • Scopo della burocrazia è di condurre gli affari dello Stato nella peggior possibile maniera e nel più lungo tempo possibile. (n. 4720)
  • Il libro di preghiera suppone un'assai scarsa religiosità in chi ne fa uso. Indica che il suo lettore non trova bastante calore nel suo cuore verso la divinità, per formare da sé la frase sincera della gratitudine, che le bellezze della circostante natura non bastano ad elevarne l'anima, che egli ripete non suoi sentimenti. Così, in un campo più vasto, si dica di chi ha bisogno di chiesa per adempiere il cosidetto dovere religioso e non gli par sufficiente la volta del cielo. (n. 4858)
  • Il cosidetto divertimento della caccia, spogliato dalle sue lusinghiere apparenze, non è altro che la soddisfazione del perfido istinto dell'uomo di spargere sangue e di distruggere. Esclusi i cacciatori di professione che hanno una valida scusa nel bisogno di procurarsi il vitto o quelli che caccian le bestie feroci – feroci beninteso per l'uomo –, tutti gli altri che cacciano per semplice gusto non sono che assassini. Che se si vuol scusare la caccia colle passeggiate, spec. alpine, che la caccia provoca e giovano alla salute, le passeggiate si possono fare egualmente anche senza fucile, e se si vuol scusarle come un mezzo di apprendere a colpire al segno, vi sono bersagli inanimati da tutte le parti, senza abbattere gli innocenti augellini e le timide lepri. (n. 4963)
  • I pazzi aprono le vie che poi percorrono i savi. (n. 4971)
  • L'agosto 1885 lo passai a Roncegno nel Trentino. Vi ho fatto qualche bagno d'acqua arsenicale che non mi giovò. – Il Trentino è schiettamente italiano nella lingua, nel costume, nelle aspirazioni, nei prodotti stessi del suolo. Vi si odia l'austriaco come prima del 1859 in Lombardia. Nelle solennità di casa d'Austria (onomastico dell'imperatore ecc.) la popolazione, benchè di sentimenti religiosi, diserta la chiesa e lascia che i preti vi sacramentino da soli il tedeum. La popolazione è simpatica e intelligentissima. Incontrai però non pochi campioni di rachitismo e di storture. (n. 5218)
  • Tornando all'odio contro l'Austria, in Trentino quando si pronuncia il nome di Francesco Giuseppe, lo si accompagna solitamente colla frase «per la disgrazia di Dio e distruzione de' suoi popoli imperatore». Vi ha rivalità fra trentini e tirolesi. I primi non vogliono saperne dell'espressione "Tirolo orientale" con cui si battezzò il loro territorio: e negli avvisi, ecc. mettono sempre «stabilimento... tale – nel Trentino», non mai «nel Tirolo». I cacciatori così detti tirolesi che formano il nucleo della guarnigione in Trentino, sono per la metà del paese, e sarebbero pronti, alle prime fucilate cogli italiani, a far fuoco addosso all'altra metà, i tirolesi. A Borgo, il teatro è solitamente vuoto. Le compagnie comiche quando vogliono riempirlo hanno però un mezzo infallibile: dare una produzione in cui si tratti di cose italiane o il cui autore sia un patriota. (n. 5218)
  • L'idea della unificazione d'Italia e della sua costituzione a regno fu principalmente sparsa dai militari napoleonici, che, sciolto il grande esercito, tornarono ai loro focolari. (n. 5232)
  • Quando si trattasse di rivendicare diplomaticamente Trento all'Italia si potrebbe citare a sostegno della tesi nostra anche questo fatto, quasi, sconosciuto – il fatto del riconoscimento dell'italianità di Trento per parte nientemeno di un imperatore tedesco. Difatti, Macchiavelli e Vettori ebbero incarico dalla Repubblica fiorentina di recarsi dall'imperatore di Lamagna per indurlo a venire in Italia a dare una pettinata a paesi nemici di Fiorenza. Sapendo che l'imperatore era in bisogno di denaro gli dovevano offrire 25.000 fiorini con facoltà di aumentare l'offerta fino a 50 mila. La legazione riuscì. L'imperatore si mise in viaggio. Metà della somma doveva, credo, pagarsi al momento della prima entrata in campagna, e l'altra metà alla prima città d'Italia che si fosse toccata. Arrivarono a Trento. L'imperatore chiese subito il resto della somma. I legati fiorentini s'informarono accortamente se si trovassero in terra italiana: risultò loro che il confine era a parecchie miglia da Trento verso Lamagna. E allora pagarono e l'imperatore fece probabilmente la sua brava ricevuta, riconoscendo così implicitamente l'italianità di Trento. (n. 5238)
  • L'uomo che dice male delle donne dice male di sua madre. (n. 5294)
  • Il torto di molti ladri in faccia al pubblico e alla giustizia è quello di non aver rubato abbastanza per celare il furto. (n. 5446)
  • Il cardinale di Hohenlohe mi diceva: "Papa Leone incolpa sempre la massoneria delle persecuzioni contro la chiesa. È la sua minchioneria, non la massoneria". (n. 5492)
  • La virtù è come la cimice. Perché esali il suo odore bisogna schiacciarla. (n. 5513)
  • R.U. – I Papi. Non è un papa solo, cioè il successore di Pietro, il capo della cattolicità, ma molti. Persone che sentenziano sempre ex cathedra, che si reputano in buona fede infallibili, in arte, in politica, in scienza ecc. (n. 5603)
  • A spegnere il male e a fortificare il bene, più che l'opera morale, gioverà la scientifica colla selezione del germe umano. (n. 5690)

Vita di Alberto Pisani[modifica]

Incipit[modifica]

Degno di Paracèlso! È lo studio degli studi. Sente il tabacco, l'inchiostro e la citazione latina. È a tramontana, a terreno; è a volta da cui diè in fuori l'umidità. Tien le pareti, tutte a scaffali, con su spaventosi volumi in ramatina come il sospiro dei gatti. Ecco i dieci schienali arabescati di oro della rarìssima òpera «de nùmero atomorum»; presso, è la completa voluminosa sèrie delle gramàtiche (gramàtica, cioè a dire, il modo con cui si apprende a piedi il montare a cavallo); poi, raccolta delle più massiccie disputazioni... e quella sulla parola culex, e l'altra intorno alla lèttera e considerata siccome còpula, e la arcifiera «sulla natura dell'aurèola del Monte Tàbor».

Citazioni[modifica]

  • Così, Rovani, artista-scienziato, si appresta a Gorini, scienziato-artista; Rovani, dall'ingegno settèsemplice, rossiniano, che, dopo di averci, con uno stile veramente umòristico, narrato cento degli ultimi anni della vita del mondo – torna a crearsi – e con un periodare togato, dissolvendo la Roma convenzionale delle platee e dei panchi che spiega capponi non àquile, soffia potente in una Roma vera, messa già nell'antiquaria pazienza, completa forse, ma rimasta cadàvere; Gorini, altìssimo genio, che sa forzar la materia a narrar le antiche vicende e a predir le venture, e che nel sublime racconto ritrova i fili d'insospettate scoperte, nè, pago di èsser profeta di splèndidi veri, splendidamente – nuovo Galileo – li annuncia. (p. 82)
  • Poi – una volta – ei si svegliò atterrito fra abbracci che lo strozzàvano quasi, baci furiosi, morsicature e graffiate; da quella volta non vide la pallìdissima donna che da lontano e rado, quando scendeva in giardino. Un giardino, notate, alla italiana, cioè, tutto geometrìa salvo il buon senso, a soli pini e mortella, perciò sempre di un verde senza speranza. Quanto ai viali... ghiaja; i fiori, portulàca ed ortiche... Già, per fomento, non ci avea sotterra che frate. (p. 89)
  • E poi! quante làgrime gli èran gocciate alla partenza di nonna? Nessuna. [...] E il bello è, che invece avea pianto a salatìssime goccie la stiratora. Bene, che signìfica ciò? Che noi ci lasciamo pigliare, spesso dall'apparenza, rado dalla sostanza; che un brodo in tazza di porcellana ci par migliore di uno in iscudella di terra. (p. 110)
  • Già dissi; il nocco della difficoltà è il principio: che altro brama Arlecchino, quando vuol porre assieme una lèttera? Così, fatta una volta la prima, si va, ch'è un piacere, fino all'ùltima maglia; quel perioduccio, in cui abbiamo potuto, senza guastarla, accalappiare un'idea, ne invoglia a ripètere il gioco; le pàgine chìaman le pagine; la stessa oltrepassata fatica, perché non vada perduta, spìngene a nuova; e, a poco a poco, prendiamo la piega del fare; ancora un colpetto, eccoci artisti a màchina. (p. 158)

Incipit di alcune opere[modifica]

Amori[modifica]

Ben presto cominciài ad amare e ben alto posi sùbito le mie mire. La mia età non esprimèvasi ancora con due nùmeri, e già mi trovavo innamorato di una regina. Era questa — non sorrìder di mè, amica geniale, chè in amore vi ha cose assài più grottesche — la regina di cuori, una cioè delle quattro di un mazzo di tresette con cui mia nonna e i due reverendi pasciuti alla sua unta cucina, si disputàvano seralmente la lor cinquantina di centesimini.

I mattoidi: al primo concorso pel monumento in Roma a Vittorio Emanuele 2. Note di Carlo Dossi[modifica]

Èccomi a voi, pòveri bozzetti fuggiti od avviati al manicomio, dinanzi ai quali chi prende la vita sul tràgico passa facendo atti di sdegno e chi la prende, come si deve, a gioco, si abbandona a momenti di clamorosa ilarità. Chiusa la gara, attribuiti gli onori, se non del marmo, della carta bancaria a un progetto che all'arte contemporanea fà ingiuria ed è dell'antica una parodìa, menzionate con lode ufficiale la impotenza accadèmica e la mediocrità intrigante, raccomandato a qualche linea di giornale il ricordo dei cattivi e de' buoni, di voi soli – aborti forse di geni ammalati – traccia non rimarrebbe. Ma io vengo a voi, mostriciàttoli della fantasìa, vengo a raccògliervi nei baràttoli del mio spìrito, a collocarvi nel musèo patològico de' scritti mièi.

Note[modifica]

  1. Dossi, C. La desinenza in A. Atto primo, scena ottava. Ed. Garzanti (1996), pg. 82
  2. Dossi, C. La desinenza in A. Intermezzo primo. Ed Garzanti (1996), pg. 100
  3. Dossi, C. La desinenza in A. Atto secondo, scena quinta. Ed Garzanti (1996), pg. 132
  4. Dossi, C. La desinenza in A. Atto terzo, scena prima. Ed Garzanti (1996), pg. 174
  5. a b Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X

Bibliografia[modifica]

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