Carlo Bo

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Carlo Bo

Carlo Bo (1911 – 2001), critico letterario italiano.

Citazioni di Carlo Bo[modifica]

  • Chi aveva accompagnato Betocchi in giro per le strade della Val di Chiana e della Siena-Grosseto ha sempre ricordato con quanto amore e passione il poeta studiasse e tenesse in mano una zolla di terra per elencare subito la natura, la qualità e la bellezza del terreno su cui passava.[1]
  • Il dato della morte è indissolubile dal quadro delle categorie di ogni vero romanziere. In fondo ogni romanziere degno di questo nome non fa altro che proporre una risposta semplice e inevitabile domanda. Sartre ha detto di volerla evitare ma la sua dichiarazione ha un valore relativo; il suo mondo era così impregnato di morte, da poterne fare a meno, da metterla per un momento in un angolo, ma i suoi personaggi in fondo non ci dicono mai se sono liberi, se tutto si giuoca qui e adesso. Anzi direi che l'uomo solo di Sartre è solo perché è di fronte alla morte, perché nessuna illusione riesce a attecchire nella sua memoria, nel registro della fantasia.[2]
  • Il destino così doloroso di Dino Campana risponde precisamente ad un problema sollevato dal giovane Victor Hugo, verso il 1834. La domanda di questo allora quasi sconosciuto Hugo era: "Jusqu'à quel point le chant appartiene à la voix, et la poèsie au poéte?". Domanda di una inesauribile novità e contro cui nulla hanno potuto le innumerevoli esperienze poetiche in più di un secolo, anzi direi che rimane confermata dalle maggiori audacie degli esempi più usati: l'autorizzano Baudelaire, Rimbaud e la storia dei surrealisti. Noi sappiamo i nomi che mancano, quello di Dino Campana va fatto senza timore.[3]
  • In un mondo minacciato, la letteratura dovrebbe essere una guida, non un rifugio.[4]
  • L'uomo di cultura, nella maggior parte dei casi, ha un coraggio che potremmo chiamare di classe e s'impegna quando tutti sono pronti a impegnarsi, quando cioè un'idea è già scarica di quelli che sono gli stimoli autonomi di vita e di interesse. Ci si allinea, e questo per un'abitudine antichissima che ormai si è trasformata in un riflesso condizionato.[5]
  • Lo scrittore [Fausto Gianfranceschi] che conosce bene e per una certa parte della sua fantasia si rifà al Buzzati ha subìto lo stesso fascino per le cose che si trasformano sotto i nostri occhi fino a diventare dei mostri.[6]
  • Non c'è dubbio che ogniqualvolta che ci troviamo di fronte a un romanzo pieno di fatti e che si svolge per mondi diversi, la prima impressione resta questa: invenzione picaresca. Con l'avvertenza però che ci sono due grandi famiglie, quella di chi cede al puro richiamo dell'avventura e l'altra di chi nel diverso e nel lontano sente la sollecitazione stilistica. [...] È per questa ragione che una storia degli scrittori picareschi non può stare dentro i confini della Spagna, certo là è nata e cresciuta ma poi si è moltiplicata all'infinito come atteggiamento e come visione del mondo reale e dell'uomo. Un grande capitolo ma [...] non soltanto letterario, nel senso che in esso convivono poesia, filosofia, storia e scienza dell'uomo: qualcosa insomma che non nasce appena dentro il fervore dell'immaginazione ma appartiene alla storia stessa dell'uomo e coglie nell'eterna contrapposizione fra fortunati e infelici, fra ricchi e miserabili, fra onesti e truffatori il tessuto stesso del nostro consorzio umano, perpetuo invito a un profondo esame di coscienza.[7]
  • [Su Salvatore Quasimodo] Non è stato un tradimento e non è stato neppure una stagione di debolezza; questi accenti nuovi, queste forme più distese e, insomma, questa voce finalmente spiegata denunciano la vitalità della sua presenza, il suo modo di resistere nella propria verità contro le suggestioni del tempo...[8]
  • [Carlo Coccioli] Scrittore alieno.[9]
  • Silone è stato escluso dal Viareggio così come sinora lo abbiamo escluso dalle nostre preoccupazioni e dalle nostre riflessioni quotidiane, un po' perché il suo caso disturba, dà noia, e soprattutto perché affrontarlo richiederebbe un altro impegno e finirebbe per investire tutta la nostra struttura intellettuale e spirituale.[5]
  • Palazzeschi è sempre stato un isolato, un indipendente, magari si potrebbe anche usare il termine di dilettante, se però la definizione non contrastasse con l'impegno e le conquiste del suo lavoro.[10]
  • [Su Biagio Marin] Vedete come nel giro di una pagina è costretto a ritornare su pochi oggetti: il lido di sabbia, il mare, la laguna. Un mondo circoscritto e nello stesso tempo infinito. Fare poesia sarebbe stato per Marin insistere fino alla disperazione e alla solitudine su quei pochi tasti; e che non si trattasse di oggetti commerciabili di poesia ce lo conferma la povertà stessa del lessico assunto. Ma ciò che la parola non gli consentiva in lunghezza, Marin lo riscattava in profondità: probabilmente a forza di riprendere, di rimasticare quelle parole, egli rompeva i limiti el suo mondo originario, restava nell'ambito della realtà, trasfigurandola.[11]

Introduzione a Canti orfici e altri scritti[modifica]

Incipit[modifica]

Campana è unico nella storia della poesia italiana del Novecento e lo è a tal punto da far pensare a un fatto irrepetibile di vocazione e di conquista immediata. Inutile insistere sulla leggenda, sul triste destino dell'uomo: nel suo caso le notizie biografiche hanno – nonostante tutte le apparenze contrarie – un valore minimo, alla fine trascurabile. Per quanto ci tocca, la follia con cui ha passato l'ultima parte della sua vita finisce per diventare una conferma della sua "diversità" e la delimitazione della sua ragione poetica.

Citazioni[modifica]

  • Il caso Campana rappresenta – a nostro avviso molto bene – un vuoto fra il canto pieno della grande poesia dell'Ottocento e la partenza di Ungaretti, avvenuta da zero. (p. XXXII)
  • C'è stata una rapidissima stagione in cui ogni motivo è apparso privo di consistenza, una stagione di liquefazione degli schemi e dei mezzi della poesia ed è stato proprio in quest'ambito che è avvenuto l'incontro di Dino Campana con la poesia. (pp. XXXII-XXXIII)
  • Campana resta l'ultimo poeta, il poeta toccato e divorato dal fuoco, il poeta che è entrato per sempre nel cuore stesso della notte e non ne è più uscito. (p. XXXIII)

Citazioni su Carlo Bo[modifica]

  • A Carlo Bo non piacciono i miei versi. | Ai miei versi non piace Carlo Bo. (Franco Fortini)

Note[modifica]

  1. Citato in Corriere della Sera, 17 luglio 2000.
  2. Citato in Paolo Caruso, introduzione a Jean-Paul Sartre, La nausea, traduzione di Bruno Fonzi, Oscar Mondadori, 1969.
  3. Da La nuova poesia: Storia della letteratura italiana – il Novecento.
  4. Da Riflessioni critiche, Sansoni.
  5. a b Da Hanno avuto paura, L'Europeo, 1º agosto 1965 (riprodotto su La Fiera Letteraria col titolo Antiche viltà della nostra cultura, stessa data); citato in Luce d'Eramo, Ignazio Silone, Castelvecchi, Roma, 2014, p. 294. ISBN 9788868262983
  6. Citato in La Stampa, 23 giugno 1972.
  7. Da Il picaro nel mondo, in AA. VV., Romanzi picareschi, Rizzoli, Milano, 2008. ISBN 978-88-586-4868-1
  8. Citato da Gilberto Finzi, in introduzione e bibliografia a Salvatore Quasimodo, Tutte le poesie, Arnoldo Mondadori Editore, 1968.
  9. Citato in Corriere della Sera, 22 marzo 1995.
  10. Citato in Omaggio a un poeta ancora sorprendente, Il Popolo, 6 febbraio 1965, p. 5.
  11. Da Il «Mar grando» di Biagio Marin; saggio introduttivo a Biagio Marin, A sol calao, Rusconi, Milano, 1974.

Bibliografia[modifica]

  • Dino Campana, Canti orfici e altri scritti, introduzione di Carlo Bo, Oscar Mondadori, 1972.

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