Dino Campana

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Dino Campana

Dino Carlo Giuseppe Campana (1885 – 1932), poeta italiano.

Citazioni di Dino Campana[modifica]

  • Ad amare una ragazza bella tutti sono capaci.[fonte 1]
  • Nietzsche è un Wagner del pensiero. La susseguenza dei suoi pensieri è assolutamente barbara, uguale alla musica wagneriana. In ciò unicamente nell'originalità barbaramente balzante e irrompente dei suoi pensieri sta la sua forza di sovvertimento e tutto anela alla distruzione tanto in Wagner come in lui.[fonte 2]

Canti Orfici[modifica]

La notte[modifica]

  • Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita, arsa su la pianura sterminata nell'Agosto torrido, con il lontano refrigerio di colline verdi e molli sullo sfondo. Archi enormemente vuoti di ponti sul fiume impaludato in magre stagnazioni plumbee: sagome nere di zingari mobili e silenziose sulla riva: tra il barbaglio lontano di un canneto lontane forme ignude di adolescenti e il profilo e la barba giudaica di un vecchio: e a un tratto dal mezzo dell'acqua morta le zingare e un canto, da la palude afona una nenia primordiale monotona e irritante: e del tempo fu sospeso il corso. (I, La notte, 1)
  • Un tocco di campana argentino e dolce di lontananza: la Sera: nella chiesetta solitaria, all'ombra delle modeste navate, io stringevo Lei, dalle carni rosee e dagli accesi occhi fuggitivi: anni ed anni ed anni fondevano nella dolcezza trionfale del ricordo. (I, La notte, 2)
  • L'agile forma di donna dalla pelle ambrata stesa sul letto ascoltava curiosamente, poggiata sui gomiti come una Sfinge: fuori gli orti verdissimi tra i muri rosseggianti: noi soli tre vivi nel silenzio meridiano. (I, La notte, 7)
  • La magia della sera, languida amica del criminale, era galeotta delle nostre anime oscure e i suoi fastigi sembravano promettere un regno misterioso. (I, La notte, 8)
  • Venne la notte e fu compita la conquista dell'ancella. Il suo corpo ambrato la sua bocca vorace i suoi ispidi neri capelli a tratti rivelazione dei suoi occhi atterriti di voluttà intricarono una fantastica vicenda. (I, La notte, 9)
  • Una fanciulla nel torrente lavava, lavava e cantava nelle nevi delle bianche Alpi. Si volse, mi accolse, nella notte mi amò. E ancora sullo sfondo le Alpi il bianco delicato mistero, nel mio ricordo s'accese la purità della lampada stellare, brillò la luce della sera d'amore. (I, La notte, 14)
  • Salivano voci e voci e canti di fanciulli e di lussuria per i ritorti vichi dentro dell'ombra ardente, al colle al colle. A l'ombra dei lampioni verdi le bianche colossali prostitute sognavano sogni vaghi nella luce bizzarra al vento. Il mare nel vento mesceva il suo sale che il vento mesceva e levava nell'odor lussurioso dei vichi, e la bianca notte mediterranea scherzava colle enormi forme delle femmine tra i tentativi bizzarri della fiamma di svellersi dal cavo dei lampioni.[1] (II, Il viaggio e il ritorno, 1)
  • Dal giardino una canzone si rompe in catena fievole di singhiozzi: la vena è aperta: arido rosso e dolce è il panorama scheletrico del mondo. (II, Il viaggio e il ritorno, 2)
  • O il tuo corpo! il tuo profumo mi velava gli occhi: io non vedevo il tuo corpo (un dolce e acuto profumo): là nel grande specchio ignudo, nel grande specchio ignudo velato dai fumi di viola, in alto baciato da una stella di luce era il bello, il bello e dolce dono di un dio: e le timide mammelle erano gonfie di luce, e le stelle erano assenti, e non un Dio era nella sera d'amore di viola: ma tu leggera tu sulle mie ginocchia sedevi, cariatide notturna di un incantevole cielo. (II, Il viaggio e il ritorno, 3)
  • Aprimmo la finestra al cielo notturno. Gli uomini come spettri vaganti: vagavano come gli spettri: e la città (le vie le chiese le piazze) si componeva in un sogno cadenzato, come per una melodia invisibile scaturita da quel vagare. Non era dunque il mondo abitato da dolci spettri e nella notte non era il sogno ridesto nelle potenze sue trionfale? Qual ponte, muti chiedemmo, qual ponte abbiamo noi gettato sull'infinito, che tutto ci appare ombra di eternità? A quale sogno levammo la nostalgia della nostra bellezza? La luna sorgeva nella sua vecchia vestaglia dietro la chiesa bizantina. (II, Il viaggio e il ritorno, 3)

Notturni[modifica]

  • Non so se tra rocce il tuo pallido | viso m'apparve, o sorriso | di lontananze ignote | fosti, la china eburnea | fronte fulgente o giovine | suora de la Gioconda | o delle primavere | spente, per i tuoi mitici pallori | O Regina o Regina adolescente: [...]. (La chimera, vv. 1-9)
  • La luce del crepuscolo si attenua: | inquieti spiriti sia dolce la tenebra | al cuore che non ama più! (Il canto della tenebra, vv. 1-3)
  • Me ne vado per le strade | strette oscure e misteriose: | vedo dietro le vetrate | affacciarsi Gemme e Rose.[2] (La petite promenade du poète)
  • La stradina è solitaria: | non c'è un cane qualche stella | nella notte sopra i tetti: | e la notte mi par bella. | E cammino poveretto | nella notte fantasiosa, | pur mi sento nella bocca | la saliva disgustosa. Via dal tanfo | via dal tanfo e per le strade | e cammina e via cammina, | già le case son più rade.[2] (La petite promenade du poète)

La Verna[modifica]

  • Il corridoio, alitato dal gelo degli antri, si veste tutto della leggenda Francescana. Il Santo [Francesco d'Assisi] appare come l'ombra di Cristo, rassegnata, nata in terra d'umanesimo. La sua rinuncia è semplice e dolce: dalla sua solitudine intona il canto alla natura con fede: Frate Sole, Suor Acqua, Frate Lupo. Un caro santo italiano. (I, La Verna (Diario), 22 settembre)
  • L'acqua del mulino corre piana e invisibile nella gora. Rivedo un fanciullo, lo stesso fanciullo, laggiù steso sull'erba. Sembra dormire. Ripenso alla mia fanciullezza: quanto tempo è trascorso da quando i bagliori magnetici delle stelle mi dissero per la prima volta dell'infinità delle morti!... (II, Ritorno)
  • Marradi (Antica volta. Specchio velato)
    Il mattino arride sulle cime dei monti. In alto sulle cuspidi di un triangolo desolato si illumina il castello, più alto e più lontano. Venere passa in barroccio accoccolata per la strada conventuale. (II, Ritorno)

Immagini del viaggio e della montagna[modifica]

  • O se come il torrente che rovina | e si riposa nell'azzurro eguale, | se tale a le tue mura la proclina | anima al nulla nel su andar fatale, | se a le tue mura in pace cristallina | tender potessi, in una pace eguale, | e il ricordo specchiar di una divina | serenità perduta o tu immortale | anima! o Tu!
  • Ecco la notte: ed ecco vigilarmi | e luci e luci: ed io lontano e solo: | quiete è la messe, verso l'infinito | (quieto è lo spirto) vanno muti carmi | a la notte: a la notte: intendo: Solo | ombra che torna, ch'era dipartito...

Firenze[modifica]

  • Fiorenza giglio di potenza virgulto primaverile. Le mattine di primavera sull'Arno. La grazia degli adolescenti (che non è grazia al mondo che vinca tua grazia d'Aprile), vivo vergine continuo alito, fresco che vivifica i marmi e fa nascere Venere Botticelliana.

Varie e frammenti[modifica]

  • A l'antica piazza dei tornei salgono strade e strade e nell'aria pura si prevede sotto il cielo il mare. L'aria pura è appena segnata di nubi leggere. L'aria è rosa. Un antico crepuscolo ha tinto la piazza e le sue mura. E dura sotto il cielo che dura, estate rosea di più rosea estate. [...] Dall'altra parte della piazza la torre quadrangolare s'alza accesa sul corroso mattone su a capo dei vicoli gonfi cupi tortuosi palpitanti di fiamme. La quadricuspide vetta a quadretta ride svariata di smalto mentre nel fondo bianca e torbida a lato dai lampioni verdi la lussuria siede imperiale. Accanto al busto dagli occhi bianchi rosi e vuoti, e l'orologio verde come un bottone in alto aggancia il tempo all'eternità della piazza. La via si torce e sprofonda. Come nubi sui colli le case veleggiano ancora tra lo svariare del verde e si scorge in fondo il trofeo della V. M. tutto bianco che vibra d'ali nell'aria. (da Piazza Sarzano; 1972, pp. 62-63)
  • Sotto la torre orientale, ne le terrazze verdi ne la lavagna cinerea | dilaga la piazza al mare che addensa le navi inesausto | ride l'arcano palazzo rosso dal portico grande: | come le cataratte del Niagara | canta, ride, svaria ferrea la sinfonia feconda urgente al mare: | Genova canta il tuo canto! (da Genova; 1972, p. 64)
  • Già a frotte s'avventurano | i viaggiatori alla città tonante | che stende le sue piazze e le sue vie: | la grande luce mediterranea | s'è fusa in pietra di cenere: | pei vichi antichi e profondi | fragore di vita, gioia intensa e fugace: | velario d'oro di felicità | è il cielo ove il sole ricchissimo | lasciò le sue spoglie preziose. [...] | perdute nel crepuscolo tonante | ombre di viaggiatori | vanno per la Superba | terribili e grotteschi come i ciechi. (da Genova; 1972, p. 67)

Citazioni su Canti orfici[modifica]

  • I Canti orfici hanno offerta materia a numerose tesi di laurea, a documentazioni biografiche e a ricerche critiche, quali forse non vanta alcun altro nostro poeta contemporaneo. (Enrico Falqui)

Cartolina da Marradi[modifica]

  • I «mantici» di Barbarossa
    Ad Anselmo Geribò – Avenu – Amo le vecchie trrr | Gonfie e lievitate di sprrr | Che cadono come rospi a quattro zampe sopra la coltrice rossa | E aspettano che le si innaffii | E sbuffano e ansimano, flaccide come mantici. Barbarossa [Uno dei pseudonimi di Campana]. (21 gennaio 1916[fonte 3])
  • «Padre dello scandalo»
    Egregio Signore, si domanda quale è l'io centrale di Bastianelli. Buono questo numero, eccellenti tutti solo oggi in poesia ci sono troppi rospi e troppi anfibi di una fantasia e di un gusto che non saprei meglio definire se non come quelli d'un paysan qui aurait en Baudelaire – la qual cosa è poi forse la migliore che si possa dire di Papini, padre dello scandalo, del poeta cicerone che le dolcezze finocchie di ... condusse per gli orti del bene e del male tra famigliari serponi e coccodrilli, macabro spaventapasseri, impuro ciarlatano di piazza della poesia. Chi può tollerare le sue delicatezze di sbirro? (8 gennaio 1916[fonte 3])
  • Una poesia patriottica
    Signor Novaro, ho ricevuto la Riviera e ringrazio. A Bologna ho tovato Binazzi e ci siamo trovati d'accordo sul valore di varie persone tra cui Sbarbaro. Ciò avrà i suoi frutti. A Lei che è stato per me così cordiale vorrei dedicare una poesia patriottica che sentissi ancora nel luglio scorso [A Mario Novaro]: però è passata la prima fiammata la abbandonai ed è restata incompleta. La potrei rivivere e terminare nel senso di un «addio all'Italia» solamente. (27 febbraio 1916[fonte 3])

Lettere[modifica]

  • Carissimo signor Novaro, il mio amico Hermet mi ha fatto vedere queste belle cose e io l'ho consigliato a mandarliele. Sono certo che Lei condividerà il mio giudizio. La saluto cordialmente. [...] La salute va bene. La poesia tornerà. [...]. Suo Dino Campana. (Lettera La poesia tornerà senza data[fonte 3])
  • Egregio Signor Novaro, con dispiacere appresi troppo tardi che Boine si trovava a Firenze. Oltre il piacere di conoscerlo mi avrebbe fatto conoscere a Lei: mi riferisco al proverbio: il diavolo non è tanto brutto come si dipinge. [...] Sappia intanto che ho sostenuto e sostengo che Sbarbaro vale più di tutti i vocioni[3] (voci+ani) a piena orchestra. (Lettera a Mario Novaro, Firenze, dicembre (?) 1915[fonte 4])
  • Tutto va per il meglio nel peggiore dei mondi possibili... (Lettera a Bino Binazzi, 11 aprile 1930[fonte 5])

Quaderno

in Canti orfici e altri scritti, introduzione di Carlo Bo, Oscar Mondadori, 1972, pp. 79-120.

  • Il tempo miserabile consumi | me, la mia gioia e tutta la speranza | venga la morte pallida e mi dica | pàrtiti figlio. (da Il tempo miserabile consumi, pp. 81-82)
  • Pace non cerco, guerra non sopporto | tranquillo e solo vo pel mondo in sogno | pieno di canti soffocati. Agogno | la nebbia ed il silenzio in un gran porto. (da Poesia facile, p. 90)
  • Tu mi portasti un po' d'alga marina | nei tuoi capelli, ed un odor di vento, | che è corso di lontano e giunge grave | d'ardore, era nel tuo corpo bronzino: | – oh la divina | Semplicità delle tue forme snelle – (da Donna genovese, p. 90)
  • O poesia siimi tu faro | siimi tu faro e porterò un voto laggiù | sotto degli infrenati archi marini | dell'alterna tua chiesa azzurra e bianca | là dove aurora fiammea s'affranca | da un arco eburneo, a magici confini | Genova Genova Genova. (da O l'anima vivente delle cose, p. 106)
  • Il porto che si addorme, il porto il porto | il porto nell'odor tenue svanito | di catrame vegliato dalle lune | elettriche, sul mare appena vivo | vi si addormentan stanchi i vagabondi | sotto le nube delle ciminiere | ancor fumanti, ancor congiunte al celo | abbracciandosi nell'odor del mare | che culla i loro sogni e i loro amori. (da Il porto che si addorme, il porto il porto, p. 112)
  • Irraggia lo splendore orientale | Genova nelle donne dalla testa | Sibillina, dal carco profumato | della lor chioma grave lungo attorta | Genova in sogno tra il brusìo confuso | Genova marinara che fa festa. (da Piazza S. Giorgio, p. 113)
  • Sotto la torre orientale | tra le terrazze viridi | sulla lavagna cinerea, | dilaga la piazza rombante | in verso il mare che addensa le navi inesausto. (da Piazza S. Giorgio, p. 113)

Taccuini, abbozzi e carte varie

in Canti orfici e altri scritti, introduzione di Carlo Bo, Oscar Mondadori, 1972, pp. 121-168.

  • Ridente in grazia ovale | più fine del velluto | incedi ingenua ardita | agile come vela | nel vento sui sassi di Prè. (da Sorga la larva di antico sogno, p. 126)
  • O città fantastica, o gorgo di fremiti sordi! (da Genova, p. 129)
  • Fabbricare fabbricare fabbricare | preferisco il rumore del mare... (da Fabbricare fabbricare fabbricare, p. 133)
  • Ah! ch'io parta! ch'io parta! E che un lontano | giorno l'ultimo sonno in te laggiù | dorma | Genova | sotto degli infrenati archi marini |dell'alterna tua chiesa azzurra e bianca | dove una fiamma pallida s'infranca | in arco eburneo a magici confini. (da Le Cafard (Nostalgia del viaggio), pp. 140-141)
  • Mi sono sempre battuto in condizioni così sfavorevoli che desidererei farlo alla pari. Sono molto modesto e non vi domando, amici, altro segno che il gesto. Il resto non vi riguarda. (da Storie I, p. 164)

Incipit di Sogno di prigione[modifica]

Nel viola della notte odo canzoni bronzee. La cella è bianca, il giaciglio è bianco. La cella è bianca, piena di un torrente di voci che muoiono nelle angeliche cune, delle voci angeliche bronzee è piena la cella bianca. Silenzio: il viola della notte: in rabeschi dalle sbarre bianche il blu del sonno.[fonte 6]

Citazioni su Dino Campana[modifica]

  • Campana resta l'ultimo poeta, il poeta toccato e divorato dal fuoco, il poeta che è entrato per sempre nel cuore stesso della notte e non ne è più uscito. (Carlo Bo)
  • Caro Campana,
    L'India era un'ossessione tre mesi fa. Mi disse Novaro che lei non fu contento della mia risposta. Diamine! era una stretta di mano a mio modo. Ma insomma, Campana non si sa dove sfociare, non si sa per che paese partire! Su questo mondo ci ho sputato da un pezzo. Non c'è una qualche America nuova da scoprire? qualche delitto di liberazione? Se pensa una impresa me la comunichi. (Giovanni Boine)
  • Era un poeta che ha avuto problemi psicologici, e tra questi problemi, non si sa come, rientrava il fatto che lui non abitava mai nella stessa città, ma si spostava continuamente. Quello che oggi potrebbe essere un blogger di viaggio all’epoca evidentemente era considerato un pazzo, e lui è rientrato in questa "categoria", venendo chiamato "il poeta che fugge". (Caparezza)
  • Fu un irregolare, la cui esistenza può accostarsi a quella di altri poeti vissuti tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, come, ad esempio, alcuni dei nostri Scapigliati; benché per la statura poetica sia ad essi senz'altro di molto superiore e paragonabile piuttosto ad Arthur Rimbaud. (Elio Andriuoli)
  • Il caso Campana rappresenta – a nostro avviso molto bene – un vuoto fra il canto pieno della grande poesia dell'Ottocento e la partenza di Ungaretti, avvenuta da zero. (Carlo Bo)
  • Il destino così doloroso di Dino Campana risponde precisamente ad un problema sollevato dal giovane Victor Hugo, verso il 1834. La domanda di questo allora quasi sconosciuto Hugo era: "Jusqu'à quel point le chant appartiene à la voix, et la poèsie au poéte?". Domanda di una inesauribile novità e contro cui nulla hanno potuto le innumerevoli esperienze poetiche in più di un secolo, anzi direi che rimane confermata dalle maggiori audacie degli esempi più usati: l'autorizzano Baudelaire, Rimbaud e la storia dei surrealisti. Noi sappiamo i nomi che mancano, quello di Dino Campana va fatto senza timore. (Carlo Bo)
  • L'idea di una poesia «europea musicale e colorita» era stata in Campana, oltre che istinto, un fatto di cultura; ma certo era stata accompagnata o preceduta, in lui, da una pratica ancora un po' inerte e passiva dei nuovi ismi trovati in aria. Anche il futurismo ufficiale aveva preteso, come già i novatori di fine secolo, di «rompere i vetri», di rinnovare l'aria. Campana s'era però scelto maestri più fini di quelli seguiti dai suoi provvisori iniziatori. Ripudiò d'istinto la parte più meccanica, più elencativa del liberismo di moda; andò, si può affermarlo anche con sicurezza di fatto, verso le sorgenti più certe di quel movimento, da Whitman a Rimbaud. Riportò per conto suo, nell'arte e nella vita, un fatto di stile a un fatto di coscienza e fu consapevole di rappresentare, nel suo tempo e nel suo ambiente, una voce nuova, diversa. (Eugenio Montale)
  • Mentre la linea più gremita della lirica moderna continua a sviluppare il tragico tema dell'uomo detronizzato dalla sua centralità cosmica, Dino Campana invece ha fede in una positività del mondo, in una ricchezza del suo bàttito che invita l'uomo a spendersi e a salvarsi in una adesione a quella fluidità naturale che esclude o condanna solo chi voglia appartarsene. (Silvio Ramat)
  • Mi tenne lontano da lui, un certo suo modo di fare strano (che più tardi prese forma precisa di follia) e anche la convinzione, che non mi perito di confessare, che i suoi meriti poetici fossero allora e siano ora esagerati. Temo che il pittoresco della sua vita sia stato confuso col poetico della sua opera. (Giuseppe Prezzolini)
  • Nel quarto decennio del secolo il ritorno a Campana ebbe per la nostra più duttile e spregiudicata cultura letteraria il valore di una scoperta, scoperta di libertà nei testi – nelle intenzioni e nei risultati –, d'una libertà che poteva prospettarsi emblematica risposta a ogni dogmatismo e grettezza, quali imponeva allora duramente il regime politico. (Silvio Ramat)
  • Non so di che specie egli [Dino Campana] fosse: se superiore o inferiore alla comune nostra; certo è ch'era di altra specie. [...] Da lui e dal coetaneo Ungaretti, s'inaugura un tono intimo e grave nella nostra ultima poesia. (Emilio Cecchi)
  • Notevole la forza e la novità del suo stile, anche se qualche eco può trovarsi in lui del Carducci e del D'Annunzio. Ma si tratta di debiti di poco conto. (Elio Andriuoli)

Note[modifica]

  1. Descrizione dei vicoli di Genova.
  2. a b Citato da Caparezza in Fugadà, traccia n. 2 di Exuvia (2021): «Me ne vado per le strade strette, oscure e misteriose, | non c'è un cane, qualche stella nella notte fantasiosa | via dal tanfo, via dal tanfo.»
  3. «Vociani» in altre fonti. Cfr. Enrico Falqui, Per una cronistoria dei "Canti orfici", Vallecchi, 1960, p. 69.

Fonti[modifica]

  1. Citato in Campana dal vivo: scritti e testimonianze sul poeta, a cura di Pedro Luis Ladrón de Guevara, FirenzeLibri, 2006.
  2. Frammento di datazione incerta, forse risalente al 1916; in Opere e contributi, a cura di Enrico Falqui, Firenze, 1973, p. 446.
  3. a b c d Citato in Enrico Falqui, La Fiera Letteraria, 23 febbraio 1967.
  4. Da Io poeta notturno, a cura di Pasquale Di Palmo, Via del vento, 2007.
  5. In Un viaggio chiamato amore: lettere 1916-1918.
  6. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia[modifica]

  • Sibilla Aleramo, Dino Campana, Bruna Conti, Un viaggio chiamato amore: lettere 1916-1918, Feltrinelli Editore, 2000. ISBN 8807490064
  • Dino Campana, Canti orfici, Marradi, 1914.
  • Dino Campana, Canti orfici e altri scritti, introduzione di Carlo Bo, Oscar Mondadori, 1972.

Voci correlate[modifica]

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