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Domenico Bartoli (giornalista)

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Domenico Bartoli (1912 – 1989), giornalista e saggista italiano.

La fine della monarchia

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...Viva viva il plebiscito
Margherita e suo marito[1]
che il coraggio ha ben mostrato
collo stare nel quadrato[2]
e resiste finché vuole
alla polvere ed al sole...

Vittorio Emanuele non aveva ancora due anni, quando l'assessore del comune di Roma Biagio Placidi salutava con questi ingenui versi i suoi genitori. Era l'anniversario del plebiscito di Roma in favore della monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II (ottobre 1871), e per festeggiarlo i ragazzi delle scuole ripetevano in coro la poesiola.

Citazioni

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  • Quel re [Vittorio Emanuele II] cacciatore e amante della vita semplice aveva un carattere spiccato, piaceva al popolo, e, se aveva commesso errori e scorrettezze, restava agli occhi di tutti l'eroe delle guerre nazionali, il vincitore del 1859[3], l'amico di Garibaldi e il sovrano di Cavour. C'erano stati Aspromonte e Mentana, Custoza e Lissa, e il governo della sciabola con La Marmora e Menabrea; ma anche l'unificazione del Paese e il governo dei grandi liberali della destra, ultimi Lanza e Sella, e fra poco Marco Minghetti. Pochi erano ormai i repubblicani, quantunque combattivi. L'insegnamento di Mazzini si era esaurito col raggiungimento dell'unità. La monarchia era salda e l'esercito le stava intorno come un presidio. (Parte prima, cap. 1, p. 14)
  • Soltanto nella più completa intimità, lontano dagli occhi estranei, dalla pettegola curiosità del pubblico, con la moglie, con i figli, Vittorio Emanuele [III] era felice. Allora il suo imbarazzo, il disagio continuo che lo prendeva quando si trovava fra la gente, si scioglieva e gli affetti umani prendevano il posto della diffidenza e del malumore. Non aveva amici, non aveva confidenti; non si abbandonava mai. Teneva tutto dentro di sé, geloso dei suoi sentimenti e dei suoi pensieri. Ma a Villa Savoia[4] gli affetti potevano manifestarsi liberamente come in una qualunque residenza borghese. (Parte prima, cap. 7, p. 128)
  • [La regina Elena] Era una donna robusta che dimostrava le sue origini montanare, sana, attaccatissima ai figli. «Una chioccia» l'ha definita un personaggio di corte parlando con me: nessuno avrebbe osato chiamare così la regina Margherita o Maria José. Parlava italiano con accento straniero che ricordava la sua origine slava. C'era, fra lei e il marito, concordanza di gusti: amavano l'economia, la tavola frugale come quella di una famiglia borghese, la campagna e il mare. (Parte prima, cap. 7, pp. 129-130)
  • Il giudizio [verso Vittorio Emanuele III] che dobbiamo pronunciare sulla sua vita e sul suo regno non potrà essere sostanzialmente modificato da eventuali rivelazioni future. Sta scritto sulle rovine del suo trono e della sua casa, sulle piaghe ancora aperte del nostro Paese. Almeno sei volte il suo intervento, o il suo mancato intervento, decise il corso della nostra storia: agli inizi del regno per impedire ritorni reazionari, nel 1915 per la nostra entrata nella prima guerra, nel 1922 per far salire Mussolini al potere e nel 1924-'25 per mantenerlo, nel 1940 per sanzionare la nostra partecipazione alla seconda guerra, della quale vedeva i rischi e l'impopolarità, infine nel luglio-settembre 1943 per la cacciata di Mussolini e l'armistizio. (Parte prima, cap. 12, p. 250)
  • Raccontano che Maria José fosse molto innamorata al momento del matrimonio. Dopo, i suoi sentimenti maturarono. Non fu la naturale stanchezza che viene con gli anni quando svaniscono le fantasie romantiche e i sogno troppo accesi. Umberto si comportava con freddezza e anzi con indifferenza. Sono cose che una moglie innamorata difficilmente perdona. L'affetto di Maria José svanì nei primi tempi del matrimonio e si trasformò a poco a poco in risentimento. La prima delusione le venne dal cuore, e forse fu la più grave. Le altre colpirono l'intelligenza e l'ambizione. Tutte ferirono l'orgoglio. (Parte seconda, cap. 7, p. 260)

Così cadde la monarchia e nacque la repubblica: senza nuovi drammi, senza nuove lotte. Dopo venti anni, posso dire che soltanto un'altra serie di drammi e di lotte potrebbe riportare la monarchia tra noi. Credo che non lo speri nemmeno il pretendente[5] nel suo esilio di Cascais.

Note

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  1. Margherita di Savoia e il re Umberto I.
  2. Quadrato di Villafranca, episodio della terza guerra d'indipendenza italiana.
  3. Seconda guerra d'indipendenza.
  4. Residenza privata nella periferia romana della famiglia reale.
  5. Umberto II di Savoia.

Bibliografia

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  • Domenico Bartoli, La fine della monarchia, Collezione "I Record", Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1966.

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