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Friedrich Georg Jünger

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Friedrich Georg Jünger

Friedrich Georg Jünger (1898 − 1977), scrittore, poeta, saggista, filosofo tedesco.

  • Al nulla manca per giunta uno che l'osservi.[1] (Mantra VII, p. 23)
  • Tempi di crisi sono tutti quei tempi di cui abbiamo coscienza in quanto tempo.[1] (Mantra 3, p. 24)
  • In una testa buona lavorano più levatrici.[1] (Mantra 7, p. 28)
  • C'è un record per le trivellazioni nel minor tempo possibile. Più difficile fare di tre zolle uno strato di humus.[1] (Mantra 4, p. 39)
  • Non si pecca con il sesso ma contro di esso.[1] (Mantra 13, p. 50)

Guerra e guerrieri

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  • [Sulla Prima guerra mondiale] La fisiognomica di questa vita in lotta è di una onestà profetica. Questa gigantesca miniera con le sue gallerie, i suoi percorsi, i suoi fossi, le sue trincee d'approccio, i suoi rifugi, i suoi blocchi di calcestruzzo, abitata da eserciti incolori, da soldati-lavoratori, sovrastati da una volta di proiettili è il paesaggio geografico e spirituale dell'uomo occidentale, industrioso, inventivo e laborioso. (p. 50)
  • In realtà gli stati di pace non sono altro che quelle condizioni in cui la guerra è latente. Lo stato di pace è il padre della guerra; la pace è quell'ordine che sempre di nuovo sprigiona da sé la guerra e le fornisce quei mezzi di cui ha bisogno per esistere. (p. 54)
  • È un bene per l'uomo sentire che tutto è inizio, che ovunque vi è abbondanza di semi e di germogli come in un bosco in fiore, che tutte le cose dal più profondo proclamano un magnifico sum ut fiam, che fa da garante per una vita conquistata di nuovo e di nuovo sempre da conquistare. (p. 57)
  • [Le testimonianze di chi ha combattuto consapevole di non essere in grado di adempiere questo compito.] [...] mostrano in quale misura il colpo sia andato in profondità, un colpo che in questo caso si è spinto fin nel cuore della vita. Anche di fronte a divergenze di pensiero e di esperienza in quelle testimonianze è presente qualcosa di comune e si delinea come una coscienza unitaria. Qui cessa ogni inganno, per quanto tutto rimanga nel flusso e si trovi nell'ambito dell'intuizione. Ciò che viene vissuto è il crollo totale dell'individualismo, la bancarotta assoluta del pensiero umanitario. (p. 58-59)

La perfezione della tecnica

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  • L'infallibile caratteristica della ricchezza è che, come il Nilo, distribuisce il superfluo. È l'aspetto regale dell'uomo percorso da vene d'oro. Ma gli uomini nati solo per il consumo, i semplici consumatori, non creeranno mai ricchezza. (cap. III, p. 27)
  • Ogni forma di razionalizzazione è la conseguenza di una carenza. La costruzione e la strutturazione dell'apparato tecnico non sono solo il risultato di un anelito di potenza della tecnica, ma anche la conseguenza di una condizione di bisogno. Perciò la condizione umana correlata alla nostra tecnica è il pauperismo che non si vince con sforzi tecnici [...]. (cap. III, p. 29)
  • L'uso senza cura è rapina. (cap. VII, p. 49)
  • Un esametro omerico o un'ode di Pindaro non sono meno esatti di un qualsiasi rapporto causale o di una formula matematica. Questa precisione ritmica e numerica, è solo diversa, superiore rispetto a quella matematica e che non sia calcolabile non è motivo sufficiente per considerarla meno affidabile di una qualsiasi misurazione quantistica. (cap. XIV, p. 80)
  • La natura naturans risponde al pensiero sterile che produce solo deserto, distruggendo ed umiliando l'uomo stesso, imprimendogli tratti indelebili di volgarità. Il pensiero che si esaurisce nei progetti di sfruttamento è connotato fisiognomicamente. (cap. XVIII, p. 99)
  • Che cosa vuol dire concepire ogni urto ogni spinta, e quindi l'intera catena di cause e di effetti come funzione? E a cosa mira questo concetto che descrive ormai solo una relazione di processi in movimento? In esso si nasconde un percorso la cui crudeltà pochi conoscono. Si tratta di una delle scoperte più fredde del pensiero razionale, che guida il progresso tecnico e cerca di subordinare ai suoi fini la teoria della conoscenza. Ogni funzionalismo è strumentalismo, un pensiero strumentale applicato all'uomo. Pensare funzionalmente significa solo assoggettare l'uomo a un sistema di funzioni, e trasformarlo in un sistema di funzioni. (cap. XXIV, pp. 122-123)
  • Là dove si entra in contatto con il popolo, non vi sarà traccia di ideologia. E con la stessa certezza affermiamo che là dove c'è la massa, vi deve essere un'ideologia. La massa ne ha bisogno e tanto più la tecnica si avvicina alla perfezione, tanto più diventa necessaria. Lo è già, perché la macchina e l'organizzazione non bastano, in quanto non rafforzano l'uomo, non gli danno il conforto di cui ha costantemente bisogno. (cap. XXXVI, p. 173)
  • La radio e il cinema sono tra quei grandi automi che sempre più si occupano di dilettare le masse. (cap. XLI, p. 192)
  • Incontriamo spesso l'idea che le sofferenze e i sacrifici accettati per il progresso tecnico, alla fine verranno ricompensati. Tuttavia simili teorie di soddisfazione, proprie dell'homo "religiosus", non hanno niente a che fare con la tecnica. Non l'inizio ma la fine porta il peso. (cap. XLIII, p. 200)
  • Poiché il potenziale tecnico decide dell'attualità in caso di guerra, a ben guardare esso non è altro che armamento. Ora il progresso tecnico si strappa quella maschera economica che portava agli inizi dell'organizzazione tecnica. Il processo lavorativo tecnico diventa d'armamento, sempre più chiaramente indirizzato alla guerra. (cap. XLIII, p. 203)
  • Pensare socialmente oggi significa solo tenere alta la fede nell'apparato e nell'organizzazione. È la genuflessione che l'uomo compie davanti all'ideologia del progresso tecnico. (cap. XLIV, p. 207)
  • [Nelle guerre moderne, con la prima e la seconda guerra mondiale] Ora emerge anche quella forza mobilitante, derivata dall'unione dell'apparato [tecnico] con l'organizzazione, che colpisce duramente e senza riguardo gli uomini, strappati con tutte le radici dal terreno. Non solo gli eserciti, anche le popolazioni sono mobilitate. Per le evacuazioni milioni di uomini sono scacciati dalle città. E la fine della guerra è caratterizzata da intere popolazioni strappate alle loro antiche residenze e trasportate come bestiame da macello sulle rotaie. Questa dislocazione con mezzi di trasporto meccanici sradica più di qualsiasi granata le strutture storiche. Anche questi provvedimenti vanno considerati come modelli, come l'introduzione di nuovi metodi tecnici, che aumentano la disgrazia senza fine con effetti pari a quelli dell'esplosivo.
    La guerra, in tutto e per tutto, riguarda le masse che la nutrono con il loro sangue. (Appendice, pp. 237-238)

Miti e mitologia

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  • Nel luogo integro, non ferito o danneggiato dall'uomo, il genio è vivo e sensibile. Allo stesso tempo egli è un guardiano; le ferite non restano impunite e si rivoltano contro gli uomini. Il genius loci è guardiano, custode ed accrescitore del suo luogo e in quanto tale è venerato. Ma la sfera del luogo va in rovina se viene violata; da ciò segue che l'uomo deve curare tutto ciò che egli è assegnato e assoggettato per farlo prosperare: il campo, il pascolo, il frutteto, piante e animali. Questa non è solo una richiesta razionale promossa dall'intelletto, perché l'intelletto non produce niente, niente cresce dal giudizio. (p. 50)
  • Ma in che, su che, [Proserpina] si inganna? Sul rapporto tra sopra e sotto, giorno e notte, luce e oscurità. Questo rapporto le resta nascosto nel suo gioco e incanto di fanciulla sul rigoglioso prato primaverile; ella nel suo gioco non sospetta, non pensa che Gaia discende dai Titani, dai giganti e dagli dèi, divinità del mondo superiore e di quello inferiore.
    Il campo di fiori è opera della luce, del calore e dell'umidità, ma nello stesso tempo è collegato alla sfera inferiore, in cui affondano le sue radici che là piantate possono germogliare e spuntare. Il profumo raccolto nei fiori viene distillato nell'Ade. Lo sbocciare dei fiori e l'apertura dell'Ade, da cui prorompe rapido il Dio con la sua pariglia di cavalli, sono una cosa sola. (p. 53)
  • Nella vista di Omero, nel suo veder con gli occhi, si trova indiviso ciò che il tempo più tardi dividerà. Nel pensiero la percezione dell'essere viene divisa dalla natura delle cose e la luce appartenente all'apparizione separata da essa. Il pensiero che esegue questa separazione cerca di rimuoverla e si allontana da essa. La sua verità non può ormai essere di nuovo la luce; la lingua in cui si presenta, la parola scritta, parlata, ascoltata presuppone che essa sia libera dalla luce ingannevole. Lingua e e pensiero qui non sono più una cosa sola, e in ciò si trova una contraddizione che è riscontrabile in ogni metafisica. (p. 60)
  • Cosa accade quando gli dèi dell'Olimpo si allontanano e passano in secondo piano? Si manifesta la fatalità della vita umana, che è tutt'uno con la sua storia. Fato e necessità diventano tutt'uno e la necessità si fa valere costrittiva e imperante. A ciò allude la frase di Empedocle, che la grazia detesta la necessità, difficile da sopportare, difficile da tollerare.
    Il leggiadro movimento di grazie, ore e muse è una danza che non segue il bisogno, in cui non si rende sensibile alcuna necessità. Il movimento leggiadro a cui assistiamo, che non ha di sé alcuna coscienza, annulla in noi la forza di gravità a cui siamo assoggettati, ci toglie un peso. (p. 67)

Saggio sul gioco

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  • Tutto deve avere un'utilità? No, e sarebbe pazzesco rispondere affermativamente a questa domanda là dove ha inizio il gioco. Sarebbe brutto se tutto dovesse portarci un utile. Certo, l'accesso a questo modo di vedere rimane sbarrato a coloro che si muovono nel giro della produzione e del consumo, nella circolazione dello sfruttamento che utilizza anche gli uomini. Difficilmente costoro comprendono che l'inutile, o l'inutilizzato, è comunque la premessa di ciò che può intendersi come utile. Se non esistesse più l'inutilizzato anche il nostro utile sparirebbe rapidamente e verrebbe consumato nello sfruttamento. All'inutilità del gioco si lega il fatto che esso non può essere sfruttato. (da Premessa, p. 29-30)
  • Là dove terminano le cronologie, in quei tempi di cui non si sa più e di cui ancora non si sa nulla, i lavori storici nascondono il privo di storia e con esso la frattura o il salto qualitativo che lo separa dalla storia. Chi li autorizza a ciò? Ciò che è privo di storia non si trova né prima né dietro la storia: è contemporaneo, è sempre presente. Se non ci fosse, non si potrebbe parlare di storia. (da Classificazione dei giochi secondo l'origine, p. 35)
  • Secondo i Greci i giochi di fortuna erano nelle mani di Hermes; da lui dipendeva la vincita o la perdita. Peraltro da quale altro dio potevano dipendere? Possiamo anche dire, per rimanere nel mito, che Tyche e Ananke sono una cosa sola che si separa nel gioco perché l'una muove verso il vincitore l'altra verso il perdente. Il vincitore non vuol accettare che Tyche è anche Ananke e il perdente non riconoscerà in Ananke Tyche. (da Giochi di carte, p. 51)
  • Non si può più parlare di caso se non c'è più nessuno su cui il caso possa abbattersi. Tra macchine, tra orologi il caso non ha modo di manifestarsi.
    Ma se il mondo fosse qualcosa di diverso da un automa che lavora con esattezza, il caso e il gioco dovrebbero essere ammessi dalla provvidenza. Provvidenza e caso, per quanto sembri difficile, dovrebbero coesistere in un qualche modo. Ciò può avvenire nel modo in cui si annoda una rete e provvidenza e caso potrebbero comportarsi come le maglie e i buchi. (da Il giocatore di fortuna, pp. 61-62)
  • Le distanze sono qualcosa di vivente, e una loro infrazione incide profondamente nella vita. Le distanze ci fanno capire che non finiamo dove l'epidermide stabilisce i confini del corpo. (da Rappresentazione di sé o dell'altro, p. 89)
  • [Kaspar, marionetta che ha il privilegio di parlare con il pubblico uscendo dallo spazio scenico.] La parte dell'illusione che qui viene presa per vera, è grande; ma per i bambini non rappresenta alcuna difficoltà. Piuttosto la sua estensione trascina la loro immaginazione. Come Don Chisciotte sono sempre pronti a trafiggere con la spada le marionette per salvare l'innocenza minacciata. (da Teatro delle marionette, (pp. 93-94)
  • Che il record non sia una peculiarità del gioco è evidente già dal fatto che record si possono stabilire anche per le prestazioni lavorative o altre prestazioni in genere. Giochi che prevedono autentici record sono quelli olimpici che molto inesattamente sono così detti se non altro perché si sono allontanati molto dall'Olimpo. (da Record, p. 150-151)
  • La bambola nella vetrina di un negozio di giocattoli non è ancora un giocattolo e non lo diventerà mai, se non tra le braccia di un bambino. Una merce non è mai un giocattolo, e un giocattolo non è mai una merce. (da Giocattolo, p. 157)
  • La via degli dei verso gli uomini è un riportare al giusto ciò che è folle e un far diventare folle ciò che è giusto. (da Amore e gioco, p. 180)
  • Un uomo che non ha tempo non ha neppure noblesse [...] (da Combattimento tra uomo e animale: la tauromachia, p. 238)
  • Più diventiamo vecchi meno giochiamo. Così tutto finisce. Ma anche questo finire è un'apparenza, perché i giochi non finiscono e continuano sempre ad essere giocati da uomini giovani e felici. (da Abbondanza e carenza, p. 264)

Note

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  1. a b c d e Cfr. Mantrana, p. 58 per l'attribuzione dei Mantra a F. G. Junger.

Bibliografia

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  • Ernst Jünger e Klaus Ulrich Leistikov, Mantrana. Un gioco, prefazione e cura di Michele Cometa, De Martinis & C. Editori, Catania, 1995. ISBN 8880140175
  • Friedrich Georg Jünger e Ernst Jünger, Guerra e guerrieri. Discorso di Verdun , a cura e con un saggio di Maurizio Guerri. Mimesis Edizioni, (Milano-Udine) ISBN 9788857509778.
  • Friedrich Georg Jünger, La perfezione della tecnica, prefazione di Marino Freschi, traduzione dal tedesco di Matilde de Pasquale, Edizioni Settimo Sigillo, Roma, 2000.
  • Friedrich Georg Jünger, Miti e mitologia, in I Quaderni di Avallon, Il potere del mito, pp. 49-67, traduzione dal tedesco di Cristina Ferrari. Editore Il Cerchio, Rimini, 1991.
  • Friedrich Georg Jünger, Saggio sul gioco. Una chiave per comprenderlo, introduzione di Marino Freschi, a cura di Matilde de Pasquale, traduzione dal tedesco di Matilde de Pasquale, Ideazione Editrice, Roma, 2004. ISBN 8886812612.

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