Il gladiatore
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Il gladiatore
Titolo originale |
Gladiator |
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Lingua originale | inglese |
Paese | Regno Unito, Stati Uniti d'America |
Anno | 2000 |
Genere | drammatico, epico, storico, azione |
Regia | Ridley Scott |
Soggetto | David Franzoni |
Sceneggiatura | David Franzoni, John Logan, William Nicholson |
Produttore | Douglas Wick, David Franzoni, Branko Lustig, Terry Needham |
Interpreti e personaggi | |
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Doppiatori italiani | |
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Note | |
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Il gladiatore, film statunitense del 2000 con Russell Crowe, regia di Ridley Scott.
La gloria rende gli eroi immortali.
All'apice del suo potere l'Impero Romano era vasto, estendendosi dai deserti dell'Africa ai confini dell'Inghilterra del Nord. Oltre un quarto della popolazione mondiale visse e morì sotto il regno dei Cesari. Nell'inverno del 180 d.C. la campagna di Marco Aurelio in atto da dodici anni contro i barbari germanici volgeva al termine. Un'ultima roccaforte separava i Romani dalla vittoria e dalla promessa di pace in tutto l'Impero. (Testo a schermo)
Frasi
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- Forza e onore. (Massimo)
- Al mio segnale, scatenate l'inferno. (Massimo)
- Frates! A tre settimane da oggi, io mieterò il mio raccolto. Immaginate dove vorrete essere, perché così sarà! Serrate i ranghi! Seguitemi! Se vi ritroverete soli, a cavalcare su verdi praterie col sole sulla faccia, non preoccupatevi troppo, perché sarete nei Campi Elisi, e sarete già morti! Fratelli! Ciò che facciamo in vita, riecheggia nell'eternità! (Massimo)
- Roma ha vinto! (Massimo)
- Un soldato ha il grande vantaggio di poter guardare il suo nemico negli occhi. (Massimo)
- Molte cose cambiano nel tempo; molte cose, ma non tutte. (Lucilla)
- Io sono Proximo e per i pochi giorni che seguiranno, gli ultimi della vostra miserabile vita, io vi starò più vicino di quella puttana che vi ha messo al mondo urlando; non ho pagato per godere della vostra compagnia, ho pagato per trarre profitto dalla vostra morte, e come vostra madre era con voi al principio, io sarò con voi alla fine... e quando morirete, perché voi morirete, il vostro trapasso avverrà con questo suono: [Clap Clap Clap] Gladiatori, io vi saluto! (Proximo)
- [...] in fin dei conti dobbiamo tutti morire, purtroppo non possiamo scegliere in che modo, ma possiamo decidere come andare incontro alla fine, per poter essere ricordati... da uomini. (Proximo)
- Affondate la lama nella carne di un uomo, ed essi vi ameranno per questo. (Proximo)
- [Parlando di Commodo] Credo che lui sappia che cos'è Roma, Roma è il popolo, farà qualche magia per loro per distrarli, toglierà loro la libertà e la folla ruggirà lo stesso. Il cuore pulsante di Roma non è certo il marmo del Senato, ma la sabbia del Colosseo, lui porterà loro la morte, in cambio lo ameranno. (Senatore Gracco)
- Noi mortali non siamo che ombre e polvere. Ombre e polvere, Massimo! (Proximo)
- Sangue! Sangue! Sangue! (La folla) [All'arena dei gladiatori]
- Morte, morte, morte! (La folla) [All'arena dei gladiatori]
- [Al pubblico dell'arena, dopo aver ucciso sei gladiatori in pochi secondi] Non vi siete divertiti?! Non vi siete divertiti?! Non siete qui per questo?! (Massimo)
- Ispanico! Ispanico! Ispanico! (La folla) [All'arena dei gladiatori]
- Qualunque cosa esca da quei cancelli... avremmo maggiori possibilità di sopravvivere se combatteremo uniti. Avete capito? Se saremo uniti, sopravviveremo. (Massimo)
- È un sogno, un sogno spaventoso, la vita. (Commodo)
- Se sarai molto buono domani sera ti racconterò la storia dell'imperatore Claudio. Egli fu tradito, da coloro che gli erano più vicini. Dal suo stesso sangue. Bisbigliavano negli angoli bui e uscivano a notte fonda. E cospiravano, e cospiravano. Ma l'imperatore Claudio sapeva che stavano tramando. Egli sapeva che erano come piccole api industriose. Una sera si sedette accanto a una di loro, la guardò negli occhi e le disse: "Raccontami che cosa stai combinando, piccola ape affaccendata, o abbatterò coloro a te più cari e tu mi vedrai fare il bagno nel loro sangue". E l'imperatore aveva il cuore spezzato. La piccola ape lo aveva ferito più profondamente di quanto potesse fare chiunque altro. Che cosa pensi sia accaduto dopo, Lucio? [...] La piccola ape gli raccontò tutto. (Commodo)
- Hai un grande nome, dovrò uccidere il tuo nome prima di uccidere te! (Iuba) [Rivolto a Massimo]
- Roma vale la vita di un uomo giusto? Noi lo credevamo una volta. Fa' in modo che possiamo crederlo ancora. (Lucilla) [Al senatore Gracco, dopo la morte di Massimo]
- Era un soldato di Roma. Onoratelo! (Lucilla) [Davanti al corpo esanime di Massimo]
Dialoghi
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- Quinto: Soldato, ti ho ordinato di spostare in avanti quelle catapulte, sono troppo distanti.
Massimo: La distanza è buona...
Quinto: Il rischio per la cavalleria...
Massimo: ...è accettabile, intesi?
- Quinto: Un popolo dovrebbe capire quando è sconfitto.
Massimo: Tu lo capiresti, Quinto? Io lo capirei?
- Marco Aurelio: Hai dimostrato il tuo valore ancora una volta, Massimo... speriamo che sia l'ultima.
Massimo: Non c'è più nessuno da combattere, Cesare.
Marco Aurelio: Ahh... c'è sempre qualcuno da combattere... Come posso ricompensare il più grande condottiero di Roma?
Massimo: Lasciami tornare a casa.
- Valerio: Torni agli accampamenti, generale? ...oppure a Roma?
Massimo: A casa, da mia moglie, da mio figlio e al mio raccolto...
Quinto: Massimo il contadino, è ancora difficile immaginarlo per me.
Massimo: La terra si toglie molto più facilmente del sangue, Quinto.
- Marco Aurelio: C'è stato un sogno una volta che era Roma. Lo si poteva soltanto sussurrare... ogni cosa più forte di un sospiro l'avrebbe fatto svanire. Era così fragile. Io temo che non sopravviverà all'inverno. Massimo, sussurriamolo così, adesso, insieme, tu e io. Tu hai un figlio. [Massimo annuisce] Parlami della tua casa.
Massimo: La mia casa è sulle colline di Trujillo. Un posto molto semplice. Pietre rosa che si scaldano al sole, e un orto che profuma di erbe di giorno e di gelsomino la notte. Oltre il cancello c'è un gigantesco pioppo, fichi, meli, peri. Il terreno, Marco, è nero, nero come i capelli di mia moglie, vigne sui declivi a sud, olivi su quelli a nord, cavallini giocano con mio figlio che vuole essere uno di loro.
Marco Aurelio: Da quanto manchi dalla tua casa?
Massimo: 2 anni, 264 giorni e questa mattina.
Marco Aurelio: Come ti invidio, Massimo. È una bella casa. Vale la pena combattere per essa. [si alza] C'è un ultimo dovere che ti chiedo di compiere prima di tornare alla tua casa.
Massimo [si alza anche lui]: Che cosa vuoi che faccia, Cesare?
Marco Aurelio: Voglio che tu divenga il protettore di Roma, dopo la mia morte. Te ne darò l'autorità... per un unico scopo: restituire il potere al popolo di Roma e porre fine alla corruzione che la rende abbietta. Accetterai questo grande onore che ti sto offrendo?
Massimo: Con tutto il cuore, no.
Marco Aurelio: Massimo, è per questo che devi essere tu!
Massimo: Sicuramente un prefetto, un senatore, qualcuno che conosca la città, che capisca la sua politica...
Marco Aurelio: Ma tu non sei stato corrotto dalla sua politica!
Massimo: E Commodo?
Marco Aurelio: Commodo è un uomo senza moralità! Questo lo sai sin da quando eri ragazzo... Commodo non può governare, non deve assolutamente governare. Tu sei il figlio che avrei dovuto avere.
- Lucilla: Servirai mio fratello come hai servito mio padre?
Massimo: Io servirò sempre Roma.
- Marco Aurelio: Sei pronto a fare il tuo dovere per Roma?
Commodo: Sì, padre.
Marco Aurelio: Tu non diventerai imperatore.
Commodo: [Quasi balbettando] Quale uomo più anziano e più saggio prenderà il mio posto?
Marco Aurelio: I miei poteri passeranno a Massimo, al quale saranno affidati finché il Senato sarà pronto a governare ancora una volta. Roma deve tornare a essere una Repubblica.
Commodo: ...Massimo...
Marco Aurelio: Sì... [Fa per rincuorarlo, ma Commodo si discosta] La mia decisione ti delude?
Commodo: Una volta mi scrivesti, citando le quattro principali virtù: saggezza, giustizia, fermezza e temperanza. Leggendo quello scritto, sapevo di non possederle. Ma ho altre virtù, padre. Ambizione. Questa può essere una virtù quando ci conduce a eccellere. Intraprendenza. Coraggio. Forse non sul campo di battaglia, ma... ci sono molte forme di coraggio. Devozione. Alla mia famiglia, e a te. Ma nessuna delle mie virtù era sul tuo scritto. Anche allora era come se non mi volessi come figlio.
Marco Aurelio: Oh, Commodo. Stai esagerando.
Commodo: Vado cercando i volti degli dèi... per fare in modo di compiacerti, di renderti orgoglioso. Una parola gentile. Ci fosse almeno una volta in cui mi avessi abbracciato e tenuto stretto al tuo petto, per me... sarebbe stato come il sole nel mio cuore per mille anni. Cosa odi in me a tal punto?
Marco Aurelio: Shh, Commodo.
Commodo: Non desideravo altro che... essere degno di te. Cesare. Padre.
Marco Aurelio [si mette in ginocchio]: Commodo... le tue mancanze come figlio sono il mio fallimento come padre. [si abbracciano] Figlio mio. [Ultime parole]
Commodo: Padre... Massacrerei il mondo intero, se solo tu mi amassi! [Commodo preme Marco contro il suo petto e lo fa morire asfissiato]
- Gracco: Perché ti sia di guida, Cesare, il Senato ha preparato una serie di disposizioni per iniziare ad affrontare i molti problemi della città, a cominciare dal risanamento del quartiere greco per combattere la peste che là si sta già diffondendo. Quindi, se l'Imperatore...
Commodo: Shhh... ma non capisci, Gracco? È appunto questo il grande problema, no? Mio padre passava tutto il suo tempo a studiare, sui libri, a imparare, a filosofeggiare... trascorreva le ore del crepuscolo a leggere gli scritti del Senato. E nel frattempo dimenticava il popolo.
Gracco: Ma il Senato è il popolo, Cesare. Scelto proprio dal popolo, per parlare per il popolo.
Commodo: Dubito che la maggior parte del popolo mangi bene come te, Gracco. O abbia le tue splendidi amanti, Gaio. Io credo di capire il mio popolo.
Gracco: Allora forse Cesare sarà tanto buono da spiegare anche a noi, data la sua... vasta esperienza sul campo.
Commodo: Io lo chiamo amore. Io sono il padre, il popolo i figli. E li stringerò al mio petto e li abbraccerò stretti...
Gracco: Hai mai abbracciato un uomo che muore di peste, Cesare?
Commodo: No. Ma se mi interromperai ancora, ti assicuro che lo farai tu.
- Lucilla: C'è sempre stato un Senato...
Commodo: Roma è cambiata, ci vuole un imperatore... per governare un impero!
Lucilla: Certo, ma lascia al popolo le sue...
Commodo: ...illusioni?
Lucilla: Tradizioni!
- Lucilla: Il popolo ama sempre le vittorie... [Parlando della guerra del padre contro i barbari]
Commodo: Perché? Non assistono alle battaglie, cosa gliene importa della Germania?
Lucilla: Il popolo tiene alla grandezza di Roma.
Commodo: La grandezza di Roma? E che cos'è la grandezza?
Lucilla: È un'idea, la grandezza... la grandezza è una visione...
- Lucilla: Conoscevo un uomo una volta, un uomo nobile, un uomo dai saldi principi che amava mio padre e che mio padre amava. Quell'uomo servì bene Roma.
Massimo: Quell'uomo non esiste più. Tuo fratello ha fatto bene il suo dovere.
Lucilla: Lasciati aiutare da me.
Massimo: Sì, tu puoi aiutarmi. Dimentica di avermi conosciuto e non tornare mai più qui. Guardia, questa donna ha finito con me!
- Proximo: Io non sono stato il migliore perché uccidevo velocemente. Ero il migliore perché la folla mi amava. Conquista la folla, e conquisterai la libertà.
Massimo: Conquisterò la folla, le darò qualcosa che non ha mai visto prima.
- Commodo: La tua fama è ben meritata, Ispanico. Non credo che ci sia mai stato un gladiatore come te. E quanto a questo giovane, insiste nel dire che sei Ettore redivivo. Oppure era Ercole? Ma perché l'eroe non si rivela e non ci dice il suo vero nome? Perché tu hai un nome.
Massimo: Mi chiamano "Gladiatore". [Si volta dandogli le spalle]
Commodo: Come osi voltare le spalle a me, schiavo!? Ti toglierai l'elmo, e mi dirai il tuo nome!
Massimo [Togliendosi l'elmo, e voltandosi]: Mi chiamo Massimo Decimo Meridio, comandante dell'esercito del Nord, generale delle legioni Felix, servo leale dell'unico vero imperatore Marco Aurelio. Padre di un figlio assassinato, marito di una moglie uccisa... e avrò la mia vendetta... in questa vita o nell'altra.
- Commodo: Che cosa devo fare con te? Sembra proprio che tu non voglia... morire. Siamo poi così diversi tu e io? Anche tu togli la vita quando devi, come faccio io.
Massimo: Ho solo un'altra vita da prendere, poi avrò finito.
Commodo: Allora prendila adesso! [Massimo non fa nulla, e se ne va] Mi hanno detto che tuo figlio gridava come una femminuccia mentre lo inchiodavano alla croce e tua moglie gemeva come una puttana mentre la violentavano, ancora... e ancora... e ancora.
Massimo: [Si volta] Il tempo degli onori presto sarà finito per te... principe...
- Commodo: E adesso amano Massimo per la sua clemenza... Così non posso ucciderlo, altrimenti apparirei ancora più spietato. Tutta questa storia sembra un folle incubo.
Falco: Ti sta sfidando. Ogni sua vittoria è un atto di sfida. Il popolo se ne accorge, così come se ne accorge il Senato. Ogni giorno che lui vive i senatori si fanno più audaci. Uccidilo, Commodo.
Commodo: No. Non voglio fare di Massimo un martire!
Falco: Mi hanno raccontato di uno strano serpente marino che ha un modo piuttosto insolito di attirare le sue prede per poi ucciderle. Questo serpente giace sul fondo del mare come se fosse ferito, così i suoi nemici si avvicinano, e lui resta ancora sul fondo immobile. Allora i suoi nemici cominciano a strappargli a morsi piccoli pezzi di carne, e lui resta immobile, ancora.
Commodo: Allora... resteremo immobili, e lasceremo avvicinare i nostri nemici a prenderci le carni. Fa' seguire ogni senatore.
- Iuba: È laggiù da qualche parte, il mio paese, casa mia. Mia moglie prepara il cibo, mia figlia va a prendere l'acqua al fiume. Le potrò mai rivedere? Io non credo.
Massimo: Pensi che le rincontrerai dopo la tua morte?
Iuba: Penso di sì. Però io morirò presto. Loro non moriranno per molti anni. Dovrò aspettare.
Massimo: Ma tu aspetteresti loro?
Iuba: Certo.
Massimo: Vedi, mia moglie e mio figlio, loro mi stanno già aspettando.
Iuba: Li rincontrerai un giorno, ma non ancora. [Lui e Massimo si stringono le mani]
Massimo: Non ancora... non ancora.
- Commodo: "Massimo"... "Massimo"... "Massimo"... ti acclamano. Il generale che diventò uno schiavo. Lo schiavo che diventò un gladiatore. Il gladiatore che sfidò un imperatore. Una storia che colpisce... e adesso il popolo vuole sapere come va a finire. Soltanto una morte gloriosa li soddisferà. E cosa c'è di più glorioso che sfidare l'imperatore in persona nella Grande Arena?
Massimo: Tu combatteresti contro di me?
Commodo: Perché no? Credi che io abbia paura?
Massimo: Credo che tu abbia avuto paura per tutta la vita.
Commodo: A differenza di Massimo l'invincibile, che non conosce paura?
Massimo: Conoscevo un uomo che una volta disse: La morte sorride a tutti. Un uomo non può far altro che sorriderle di rimando.
Commodo: Mi chiedo se questo tuo amico ha sorriso alla sua morte.
Massimo: Dovresti saperlo. Era tuo padre.
Commodo: Tu amavi mio padre, lo so. Ma lo amavo anch'io. Questo ci rende fratelli, non è così? [Gli si avvicina all'orecchio] Sorridi per me adesso, fratello. [Lo pugnala al costato]
Adesso siamo liberi. Io ti rincontrerò un giorno... ma non ancora. Non ancora. (Juba)
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