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Axel Munthe

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Axel Munthe ritratto da Feodora Gleichen

Axel Martin Fredrik Munthe (1857 – 1949), scrittore e medico svedese.

La città dolente

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  • Mi avete seguito nei ricettacoli dei poveri di Napoli; avete potuto ficcar lo sguardo nella vita che menano, e la vista terribile della loro miseria vi ha fatto rabbrividire. E mi domandate se è proprio vero, e come mai esseri umani, al giorno d'oggi, vivono e muoiono come avete veduto che vivono e muoiono queste povere creature! E domandate com'è che siano rimasti tanto indietro, mentre il resto dell'Italia ha progredito nel suo cammino verso la luce e la libertà! Chi è il responsabile di questo straordinario abbandono del popolo di Napoli? Eh, ve lo dirò io su chi ricade, e grave, la responsabilità! Niente si è fatto mai per questa gente, niente!
    Un tempo, la sua degradazione corrispondeva all'interesse dei potenti, ed era considerato tratto di buona politica l'alimentare l'atmosfera di ignoranza e di oppressione, nella quale respirava. Quel tempo è passato, ma l'Italia di oggi non ha fatto per essa più che l'Italia del passato, e nella sua grande opera rinnovatrice ha dimenticato Napoli. E poi tutti si lamentano dell'ignoranza e delle male abitudini di questo popolo, ma tutti dimenticano che non s'è fatto nulla, mai, per estirpare questi malanni, che nessuna mano si è protesa per elevarli in aere più spirabile.
    Oh potessi levar così alto la mia voce che il suono ne giungesse fino a Roma: è una vergogna per l'Italia unita questo oblio completo dei Napoletani. Non v'è scusa che valga! (pp. 99-100)
  • Vi è qualche cosa in questo popolo [...] che non è guastato dalla degradazione completa, qualche cosa che sopravvive a secoli di miseria e di oppressione. È il retaggio che gli fu legato dalla Grecia e da Roma. Anche oggi, fra i cenci e il lezzo, vedete tipi che recano l'impronta di una bellezza imperitura sulla fronte; anche oggi fra le giovinette che vi passano davanti portando, come bestie da soma, gravi pesi sulla testa, vi imbattete in modelli viventi delle Cariatidi dell'Eretteo; anche oggi tra i pescatori di Mergellina potete riconoscere le nobili fattezze della dinastia dei Giuli; anche oggi fra i ragazzi che giocano a Santa Lucia rievocherete il puro profilo di Antinoo, dal ciglio pensoso e dagli occhi sognanti; anche oggi vedrete un lazzarone avvolgersi nel suo lacero mantello, come Cesare nel suo manto, mentre cade accanto alla statua di Pompeo. E malgrado tutti i difetti che qualificano questo popolo, si resta alcuna volta colpiti da una certa nobiltà, da una certa magnanimità, che fa tornare in mente giorni di uno splendore che non è più. È come se ci trovassimo in mezzo al Foro Romano, dove, fra brutte e volgari case moderne, l'occhio si posa sopra colonne di templi in rovina, e sopra archi trionfali di Imperatori! (pp. 102-103)
  • È facile ridere dell'ignoranza, e della crassa superstizione di questo popolo; a me non è mai parsa cosa da ridere; ho visto troppo di questa miseria, che soffre in silenzio perché non sa esprimere il suo tormento nel linguaggio della civilizzazione!
    Mi pare sempre di ritornare indietro per secoli, quando vivo la vita di questa gente, sulla quale lo sviluppo moderno pare non abbia lasciato traccia, né in bene né in male, sul cui spirito si avviluppa ancora il velo del misticismo medioevale. E nondimeno anche questa notte medioevale non è tenebra completa; anche in questa brillano stelle sempiterne.
    Ecco la lampada della Madonna che brilla sui poveri genuflessi; ecco la bellezza della vita monastica che vive tuttora nella silenziosa carità che scorge i passi dei troppo spregiati fraticelli, vaganti di porta in porta. (pp. 103-104)

La storia di San Michele

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  • Un uomo può sopportare molto, finché può sopportare se stesso. Può vivere senza speranza, senza amici, senza libri, anche senza musica, finché può ascoltare i propri pensieri e il canto di un uccello, fuori della finestra, e la voce lontana del mare. (p. 8)
  • [...] il più grande compilatore di storie sensazionali è la vita. Ma è sempre vera la vita? La vita è la stessa come sempre è stata, indifferente alle gioie e ai dolori dell'uomo, muta, impenetrabile come la Sfinge. (p. 14)
  • I piccoli gnomi, i fedeli amici della mia infanzia, si sono fatti più rari da quando ero bambino. Io ne ho visti parecchi: uno vegliava al mio capezzale, e ad un altro, che abitava nella stalla delle mucche, io portavo molti dolciumi del mio albero di Natale. Ci sono perfino persone che vanno dicendo di non aver mai visto uno di questi piccoli ometti, alti quanto il palmo della mano, colle scarpine di legno, le lunghe barbe grigie e i berretti rossi. Ho davvero pietà di questa gente, essa ha perduto molto. Debbono avere la vista difettosa. Forse si saranno stancati gli occhi per aver troppo letto a scuola. Forse per questo sembrano dei piccoli vecchi e diventano uomini senza pace nell'anima, senza tenerezza nei cuori, senza propri pensieri, senza propri sogni, senza volontà di vivere, senza coraggio di morire. (pp. 15-16)
  • La sapienza possiamo apprenderla da altri, la saggezza dobbiamo ricercarla in noi stessi. La sorgente della fonte della saggezza sgorga nel nostro proprio suolo, fra i profondi abissi dei nostri solitari pensieri e sogni. L'acqua della fonte è limpida e fredda come la verità, ma il suo sapore è amaro. (p. 16)
  • Non si può essere un buon medico senza pietà. (p. 57)
  • Il cane non può dissimulare, non può ingannare, non può mentire, perché non può parlare. Il cane è un santo. (p. 64)
  • Non è un cane che amiamo, è il cane. Sono tutti press'a poco lo stesso, son tutti pronti ad amarvi e ad essere amati. Sono tutti i rappresentanti della più amabile e, in senso morale, più perfetta creazione di Dio. Se amavate il vostro amico morto non potete fare a meno d'averne un altro. Ahimé, anch'esso dovrà lasciarvi, perché coloro che sono amati dagli dei muoiono giovani. (p. 68)
  • L'insonnia non uccide il suo uomo, se questi non si uccide da sé: l'insonnia è la causa più comune del suicidio. Ma uccide la sua gioia di vivere, distrugge la sua forza, succhia il sangue dal suo cervello e dal suo cuore come un vampiro; gli fa ricordare, durante la notte, quel che vorrebbe dimenticare con un beato sonno; gli fa dimenticare, durante il giorno, quel che vorrebbe ricordare. La memoria è la prima ad andarsene. Ben presto amicizia, amore, senso del dovere, perfino la stessa pietà, uno dopo l'altro seguono la stessa via. Solo la disperazione rimane a bordo del bastimento condannato, per spingerlo sulle rocce della fatale distruzione. Voltaire aveva ragione di mettere il sonno allo stesso livello della speranza. (pp. 277-278)
  • Il diavolo stesso non può niente contro un uomo finché questi sa ridere. (p. 367)
  • [La Festa di Sant'Antonio, patrono di Anacapri] Esce la processione! Esce la processione!
    Prima venivano una dozzina di bambini, a due a due, tenendosi per mano. Alcuni portavano corte tuniche bianche e ali d'angelo, come i putti di Raffaello. Altri, completamente nudi e adorni di ghirlande di pampini e rose, sembravano staccati da un bassorilievo greco. Poi venivano le figlie di Maria, fanciulle alte e snelle, in vesti bianche con lunghi veli azzurri e la medaglia d'argento della Madonna con un nastro azzurro al collo. Subito dopo le bizzoche, in abito e velo nero, zitelle risecchite, che erano rimaste fedeli al loro primo amore, Gesù Cristo. Quindi la Congregazione preceduta dal suo stendardo; era composta di vecchi di aspetto grave con le curiose tonache bianche e nere del tempo di Savonarola.
    La musica! La musica!
    Ed ecco la banda, con le uniformi dalle trine d'oro del tempo dei Borboni di Napoli, preceduta dal magnifico capobanda, che soffiava a gran forza una polca furiosa, pezzo prediletto del santo, mi si diceva. Poi, circondato da tutti i preti in vesti di gala e salutato da centinaia di mortaretti, ecco apparire sant'Antonio, eretto sul trono, la mano stesa in atto di benedire. (p. 390)
  • Fu detto al vecchio Pacciale di confessare i suoi peccati e di chiedere perdono. Fece di sì col capo e baciò il Crocefisso. Il prete gli dette l'assoluzione. Dio Onnipotente approvò con un sorriso e disse che il vecchio Pacciale era il benvenuto in Paradiso. Credevo che già vi fosse, quando d'un tratto alzò la mano e gentilmente, quasi timidamente, mi accarezzò la guancia.
    «Siete buono come il mare,» mormorò.
    Buono come il mare!
    Non scrivo qui queste parole con presunzione, le scrivo con meraviglia. Donde venivano queste parole? Venivano da lontano, venivano come l'eco dell'età dell'oro, quando viveva Pan, quando gli alberi della foresta potevano parlare, le onde del mare potevano cantare e l'uomo ascoltare e capire. (p. 408)
  • Di tanto in tanto, nella nostra perplessità, arrischiamo una timida domanda al nostro destino, ma senza aver risposta perché le stelle sono troppo lontane. Più presto ci rendiamo conto che il nostro destino è in noi stessi e non nelle stelle, meglio è per noi. Soltanto in noi stessi potremo trovare la felicità. È tempo perso attenderla dagli altri, siano essi uomini o donne. Da soli dobbiamo combattere le nostre battaglie e colpire più forte possibile, combattenti nati come siamo. La pace verrà un giorno per tutti, pace senza disonore, anche per il vinto se ha cercato di fare la sua parte finché ha potuto. (p. 415)

Vagabondaggio

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  • Alle volte me ne sto mezza giornata seduto in un campo a guardare le mandrie pascolare; ed osservare la fisionomia di un asinello è uno dei più vivi piaceri di uno psicologo. Ma è specialmente quando gli asini sono liberi che sono tanto più interessanti; un asino legato alla cavezza non è affatto così comunicativo e naturale come quando è abbandonato a se stesso; e ciò, dopo tutto, non deve molto meravigliare. (p. 100)
  • Sopra il granoturco e le alte erbe ondeggianti vola la libellula librata su ali intessute di raggi di sole su trama fatata [...]. (p. 102)
  • Dalla lunga storia dell'evoluzione della nostra razza apprendiamo che l'età della caccia fu la più bassa fra tutte quelle dell'uomo: lo stato puramente bruto.
    La bramosia di sangue della bestia feroce si è gradualmente trasformata in un istinto subcosciente, e migliaia di anni di cultura giacciono tra i nostri antenati selvaggi che si scannavano a vicenda con le asce di pietra per un pezzo di pesce crudo, ed i cacciatori di animali del nostro tempo. (p. 105)
  • La benevolenza che si estende oltre il limite della razza umana, la bontà, cioè, verso gli animali, è una delle più recenti qualità morali acquisite dal genere umano; e più questo sentimento è sviluppato nell'uomo, più grande è la distanza che lo separa dal suo primitivo stato di barbarie.
    L'individuo nel quale questo sentimento manchi può essere considerato come un tipo di transizione fra l'uomo selvaggio e l'uomo civile. È l'anello che manca nella catena dell'evoluzione del cervello umano, dallo stato bruto allo stato colto. (p. 106)

Bibliografia

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  • Axel Munthe, La città dolente: lettere da Napoli, introduzione di Emanuele Cerullo, Colonnese Editore, Napoli, 2022. ISBN 978-88-99716-73-8
  • Axel Munthe, La storia di San Michele, traduzione di Patricia Volterra, Garzanti, Milano, 198910. ISBN 88-11-51496-7
  • Axel Munthe, Vagabondaggio, traduzione di Gian Dàuli, Corbaccio, Milano, 1933.

Altri progetti

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Opere

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