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Meuccio Ruini

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Meuccio Ruini (1945)

Meuccio Ruini, diminutivo di Bartolomeo (1877 – 1970), politico italiano.

Il pensiero di Wilson

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  • Rimpiccioliscono la figura di Wilson coloro che lo vedono come «l'idealista, lo studioso, il tranquillo e severo universitario che passò difilato al governo della Repubblica», e dimenticano la sua passione politica. Egli pensò giovinetto di diventare capo dello Stato; più che storico e giurista fu in ogni suo scritto uomo politico; e contò esser candidato del suo partito sino dall' elezione di Taft. Delle due carriere politiche aperte nel suo paese rifiutò bensì la più minuta ed immediata di membro del congresso, e non volle passare attraverso la routine parlamentare e politicante; ma fin da principio scelse la carriera di più difficile elezione, di coloro che si preparano e si mettono in vista, nei tribunali, nelle università, nell'opinione, senza logorarsi, con un'aureola di uomini nuovi; ed attendono che il suffragio universale li porti in cima, dove i presidenti han più potere che i Re. (p. 5)
  • Con sangue celta nelle vene – come il gallese Lloyd George ed il vandeano Clemenceau – Wilson ereditò dai suoi avi un alto patrimonio di valori morali. Dal nonno suo presbiteriano[1], emigrato dall'Ulster, tipografo, giornalista e poi giudice; dal padre pastore; dalla madre che era pur essa figlia di un pastore e sorella di un pastore. Fu quest'ultimo darwiniano e modernista, che invitato dai superiori a ritrarsi, rispose: «Voi mi chiedete una menzogna in luogo di una convinzione sincera. Signori, non meritate più la confidenza d'un uomo onesto. Addio». E se ne andò. Il presidente ne ebbe, come nome di battesimo, il cognome; e qualcosa passò nel suo petto di quel ferreo animo scozzese. (pp. 6-7)
  • Le idee di Wilson sono fuori delle due mentalità, largamente diffuse nel mondo, allor che la guerra[2] è scoppiata; il materialismo economico e la rettorica nazionalista. Sembrano come un suono di campane lontane. Roba vecchia, che ricorda il linguaggio di una vecchia democrazia ormai derisa. E sembrano insieme troppo giovani: musica dell'avvenire.
    Chi quegli accenti balbettò fin dall' inizio del conflitto e della strage, è grato a Wilson di avere, con la sua grande statura, vinta la derisione. Al di sopra delle sante rivendicazioni nazionali di ogni paese in guerra, si è ormai affermata quella che Orlando chiamò «coscienza dell'Internazionale di guerra formulata da Wilson con parole nuove come un nuovo Vangelo». (p. 84)

Problemi di guerra e di dopoguerra

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  • Si fa strada in Italia una certa mentalità che guarda messianicamente al dopoguerra, come qualche cosa che dovrebbe essere una palingenesi ed un novus ordo. Si aspetta il miracolo, e si parla di ricchezze sterminate d'Italia che saranno messe in valore! Nello stesso tempo si dispregia tutto ciò che era l'Italia economica avanti guerra, con l'abitudine italica di «sputar nel nostro piatto». Consiglio alcuni retori di rileggere le esaltazioni dell'Italia che essi stessi hanno scritto nel 1911. Durante il cinquantenario della proclamata unità nazionale, il nostro paese compì uno di quegli «esami di coscienza e rassegne di forza» che fanno ogni tanto i popoli, come disse Barrère, a nome degli ambasciatori esteri, alla Mostra di Torino. Quanta rettorica fu sparsa allora! Ora è... un'altra rettorica. Pessima abitudine è quella di oscillare come un pendolo dall'illusione al pessimismo[3], dall'esaltazione allo scoramento. Abituando il pubblico ad aspettarsi cose miracolose, si mettono i germi delle depressioni avvenire che dipendono anch'esse da una inesatta valutazione della realtà. (pp. 36-37)
  • Sarebbe pericoloso tornare allo stato d'animo di cinquant'anni fa che credeva alla grande ricchezza naturale dell'Italia. Quanto male non ci han fatto, scriveva Correnti, tutte le esaltazioni giobertiane sul primato anche economico degli italiani! E Jacini ricorda che c'era una ballata tedesca che diceva non ironicamente «In Italia piovono i maccheroni belli e cotti, e si legano le viti con la salciccia» Naturalmente, quando si vide, all'atto pratico, che la dovizia naturale non esisteva, si piegò in senso opposto, saltaron fuori le depressioni, le «crisi», i «malesseri» e sembrò che fosse saggezza la famosa «politica del nulla» di Giustino Fortunato... Non dobbiamo ora tornare all'epoca dei «maccheroni cotti». (p. 38)
  • La guerra ha rinvigorito la fibra nazionale. Gli italiani debbono abituarsi sempre più a dir noi, e non soltanto io. Qualcosa del passato si attarda ancora, l'antica faziosità che Nitti chiamò la seconda povertà italiana, e v'è chi specula sul malcontento del dopoguerra, e chi fa della guerra una speculazione partigiana; cose spregevoli l'una e l'altra. Ma il popolo in complesso è ottimo. E non si deve temere che renderlo più disciplinato significhi perderne lo scatto e le risorse geniali. Non si può contare con sicurezza sulle improvvisazioni, ma sul sistematismo ordinato. Disciplina non è contraria, ma la stessa cosa di iniziativa, come sono la stessa cosa spirito inquieto di critica e paura di assumere responsabilità. L'arrobustimento del carattere nazionale è l'arma più efficace del dopoguerra. (p. 59)

Note

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  1. Nel testo "prebisteriano".
  2. La prima guerra mondiale.
  3. Nel testo "pessismo".

Bibliografia

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Altri progetti

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