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Peste

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La peste (A. Böcklin)

Citazioni sulla peste.

Citazioni

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  • [Gli unici rimedi alla peste erano] dei salassi e delle evacuazioni, degli elettuari e sciroppi cordiali; e gli ascessi esterni venivano portati a maturazione con fichi e cipolle cotte, tritate e mescolate con lievito e burro; poi venivano incisi e trattati con la cura delle ulcere. I carbonchi erano trattati con ventose, scarificati e cauterizzati. (Guy de Chauliac)
  • E fu questa pestilenza di maggior forza per ciò che essa dagli infermi di quella per lo comunicare insieme s'avventava a' sani, non altramenti che faccia il fuoco alle cose secche o unte quando molto gli sono avvicinate. E più avanti ancora ebbe di male: ché non solamente il parlare e l'usare cogli infermi dava a' sani infermità o cagione di comune morte, ma ancora il toccare i panni o qualunque altra cosa da quegli infermi stata tocca o adoperata pareva seco quella cotale infermità nel toccator transportare. (Giovanni Boccaccio)
  • È scoppiata un'epidemia di quelle più maligne | con bubboni che appestano uomini, donne e bambini , | l'infezione è trasmessa da topi usciti dalle fogne | ma hanno visto abilissime mani lanciarli dai tombini , | son le solite mani nascoste e potenti, | che lavorano sotto, che sono sempre presenti. (Giorgio Gaber)
  • Fu scritto che [nel 1348] in Venezia morirono cento mila persone, nel Padovano circa un terzo degli abitanti, due terzi in Bologna, ed ottanta mila in Siena e ne' sobborghi. In un codice vaticano fu registrato, che in alcuni luoghi di cento persone appena dieci ne rimasero in vita, ed in altri soltanto cinque. Fu calcolato, che generalmente, quella peste abbia distrutto quasi quattro quinti degli abitanti dell'Europa. Furono poco danneggiati Milano ed altri paesi prossimi alle Alpi che dividono l'Italia dalla Germania. (Antonio Coppi)
  • Gli antichi hanno battezzato «peste» un cataclisma fisico, politico e mentale che affligge l'insieme di una società. Questa malattia mortale inaugura l'Iliade di Omero, riappare nella Tebe di Eschilo, nell'Atene di Tucidide e nell'Italia di Lucrezio. Il Rinascimento, con Boccaccio, Margherita di Navarra e infine Shakespeare, la evoca di nuovo come elemento fondatore in cui la letteratura esplora nuovi modi di esistere e di resistere, mentre il vecchio universo crolla senza speranza di ritorno. (André Glucksmann)
  • I terremoti, le inondazioni, le carestie, le pestilenze sono applicazioni di cieche leggi della natura: cieche, perché la natura materiale non ha intelligenza né libertà. (Papa Giovanni XXIII)
  • La carestia, la peste e la guerra sono i tre ingredienti più famosi di questo mondo. (Voltaire)
  • – L'infermiera della scuola dice che Bart ha la peste!
    – È come la varicella, meglio togliersi il pensiero... (I Simpson)
  • La «Morte Rossa» aveva a lungo infierito sul paese. Mai pestilenza era stata più fatale e più orribile. Il sangue era il suo avatara e il suo sigillo: il rossore e l'orrore del sangue. Erano acuti dolori e improvvisi capogiri, e poi un abbondante sudore sanguigno fino alla dissoluzione. Le macchie scarlatte sul corpo e specialmente sul volto della persona colpita erano il bando di peste che escludeva la vittima da ogni aiuto e da ogni pietà da parte dei suoi simili. E l'attacco, il progredire e la fine del male erano gli episodi di mezz'ora in tutto. (Edgar Allan Poe)
  • Nascevano nel cominciamento d'essa a' maschi e alle femine parimente o nella anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela, altre come uno uovo, e alcune più e alcun'altre meno, le quali i volgari nominavan gavoccioli. E dalle due parti del corpo predette infra brieve spazio cominciò il già detto gavocciolo mortifero indifferentemente in ogni parte di quello a nascere e a venire: e da questo appresso s'incominciò la qualità della predetta infermità a permutare in macchie nere o livide, le quali nelle braccia e per le cosce e in ciascuna altra parte del corpo apparivano a molti, a cui grandi e rade e a cui minute e spesse. E come il gavocciolo primieramente era stato e ancora era certissimo indizio di futura morte, così erano queste a ciascuno a cui venieno. (Giovanni Boccaccio)
  • – No! Su quello letto no!
    – Lo perché? Dammiti prendimi cuccurucù!
    – Vi morì lo meo marito.
    – Ullà, quando?
    – Iere.
    – Iere? Di che malanno?
    – Come di che malanno, dello gran morbo che tutti ci piglia, la peste.
    – Aaaaahhh! Viaviaviaviaviaviavia! Aita aiiitaaaaaa! [getta a terra la vedova e corre via urlando] (L'armata Brancaleone)
  • Per mille anni nessuno ha messo in dubbio che la Peste fosse stata inviata sulla terra da Dio in persona, per punire i nostri peccati. (Fred Vargas)
  • Peste, paura della "morte fisica". Per la peste vigeva la legge del "tutto o nulla": se non la si evitava, si moriva. Ma si poteva morire anche di angoscia o di paura, come certificava nel 1348 un anonimo cronista spettatore della "peste nera", annoverando tra le cause di morte lo «sbigottimento delle genti». (Giorgio Cosmacini)
  • [La peste è] poco vantaggiosa per i medici e tale da farli vergognare, poiché essi non osavano visitare i malati per paura di essere contagiati; e quando li visitavano poco o nulla facevano e non guadagnavano niente. Quasi tutti i malati infatti morivano. (Guy de Chauliac)
  • [Descrivendo la pestilenza scatenata da Apollo sul campo dei greci] Prima i giumenti e i presti veltri assalse, | poi le schiere a ferir prese, vibrando | le mortifere punte; onde per tutto | degli esanimi corpi ardean le pire. (Iliade)
  • Sentite madonne e madonni. Ehi dico ma la peste mica è uno scherzo, eh? Voi non vedete tutto nero? Perché è una pe... è una pe... una peste nera. (Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso* (*ma non avete mai osato chiedere))
  • Una tal causa di contagio un tale | mortifero bollor già le campagne | ne' cecropi confin rese funeste, | fe' diserte le vie, di cittadini | spopolò la città. Poiché, venendo | da' confin dell'Egitto ond'ebbe il primo | origin suo, molto di cielo e molto | valicato di mar, le genti al fine | di Pandïone assalse. Indi appestati | tutti a schiere morían. Primieramente | essi avean d'un fervore acre infiammata | la testa e gli occhi rosseggianti e sparsi | di sanguinosa luce. Entro le fauci | colavan marcia; e da maligne e tetre | ulcere intorno assediato e chiuso | era il varco alla voce; e degli umani | sensi e segreti interprete la lingua | d'atro sangue piovea, debilitata | dal male, al moto grave, aspra a toccarsi. | Indi, poi che 'l mortifero veleno | sceso era al petto per le fauci e giunto | all'affannato cuor, tutti i vitali | claustri allor vacillavano. Un orrendo | puzzo volgea fuor per la bocca il fiato, | similissimo a quel che spira intorno | da' corrotti cadaveri. Già tutte | languian dell'alma e della mente affatto | l'abbattute potenze, e su la stessa | soglia omai della morte il corpo infermo | languiva anch'egli. Un'ansïosa angoscia | del male intollerabile compagna | era: e misto col fremito un lamento | continuo e spesso un singhiozzar dirotto, | notte e dì, senza requie, a ritirarsi | sforzando i nervi e le convulse membra, | sciogliea dal corpo i travagliati spirti, | noia a noia aggiugnendo | e duolo a duolo. (Tito Lucrezio Caro)
  • Da questo gorgo non c'è vera risalita. Dalla peste ci si può immunizzare soltanto esponendosi al suo contagio. Ma ciò significa inevitabilmente divenirne preda in un circuito senza fine. La peste genera se stessa, si riproduce instancabilmente, nonostante e proprio attraverso i tentativi di debellarla – in realtà nascondendola, schiacciandola sulla fragile parete della dimenticanza e della rimozione. L'umanità non è che quella sottile striscia di terra che si stende tra un'ondata e l'altra della peste – emergendo allo scoperto soltanto quando la marea si ritira, prima di risalire e sommergerci di nuovo. Che in alcune stagioni la peste – questa peste nell'uomo e dell'uomo – dilegui, si ritiri, scompaia, è una nostra impressione. Essa è sempre stata lì, in agguato, in attesa di ritornare a esplodere più forte di prima, come l'ombra bruna che si allungò, negli anni Trenta del Novecento, nel cuore in fiamme della civiltà occidentale.
  • La peste è la metafora del male. Del male che viene da fuori, o dall'alto, come le frecce scagliate da Apollo sui Greci in partenza per Troia. Ma anche, e soprattutto, del male che nasce, e cresce, dentro di noi. All'interno del mondo e dal mondo. Radicato in quella natura che insieme ci avvolge e ci costituisce come esseri finiti, fragili, esposti al vento gelido della morte.
  • Ma la questione della peste – nel suo significato non solo patologico, bensì morale, ontologico e metafisico – era già stata posta da Lucrezio e, prima ancora, da Anassimandro. La peste è destino, ma anche, se misurata sul metro dell'etica, colpa di un uomo che, facendo parte della natura, ne condivide il carattere malvagio o, almeno, insensato.
  • A chi di peste ha da morir, non giova mutar paese, e cercar aria nuova.
  • D'onde è la peste, fuggi, e torna tardi, con pregar sempre Dio, che te ne guardi.
  • De' corpi fa la peste orrido scempio; dell'alme il fa maggiore, il mal esempio.
  • Ciò nonostante finché la malattia[1] era nel suo colmo, il corpo non languiva, ma contro ogni credere durava l'incomodi, talché i più, o erano da interno calor consumati nel nono o settimo giorno, avendo qualche residuo di forza, o se pur scampavano, scendendo il morbo nel ventre, si faceva grande esulcerazione con sopravvenimento di diarrea immoderata, intantochè la maggior parte morivano di debolezza.
  • Correva quell'anno, a confessione universale, immune sovra tutti da malattie; o se qualcuno era di prima da qualche morbo afflitto, tutti si risolvevano in questo. Gli altri poi senza alcuna precedente cagione, ma interamente sani, erano all'improvviso compresi da veementi caldure al capo, da rossezza e infiammazione d'occhi, e nell'interno la gola e la lingua diventavano tostamente sanguigne, e mandavano alito puzzolente fuor dall'usato. Dopo di che sopravveniva starnutazione e raucedine, ed in breve il male calava al petto con tosse gagliarda: e qualora si fosse fitto sulla bocca dello stomaco lo sovvertiva, e conseguitavano tutte quelle secrezioni di bile, che dai medici hanno il loro nome; con grandissimo travaglio.
  • L'esterno del corpo non era a toccare molto caldo, né pallido; ma rossastro, livido e gremito di pustulette ed ulceri; mentre le parti interne erano in tal bruciore che i malati non potevano sopportare d'avere indosso né i vestiti né le biancherie più fini; ma solo di star nudi.
  • Chi ha a morir di peste, non gli viene far casotti in campagna.
  • Guardati dalla peste, dalla guerra e dai musi che guardano per terra.

Note

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  1. La pestilenza descritta da Tucidide sembra tifo più che peste. Cfr. Biblioteca italiana: o sia giornale di letteratura, scienze et arti, vol. 5, Presso Antonio Fortunato Stella, 1817, p.328.

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