Iliade

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Voce principale: Omero.

Achille

Iliade, poema epico attribuito al poeta greco Omero.

Incipit[modifica]

Rosa Calzecchi Onesti[modifica]

Canta, o dea, l'ira d'Achille Pelide,
rovinosa, che infiniti dolori inflisse agli Achei,
gettò in preda all'Ade molte vite gagliarde
d'eroi, ne fece il bottino dei cani,
di tutti gli uccelli — consiglio di Zeus si compiva —
da quando prima si divisero contendendo
l'Atride signore d'eroi e Achille glorioso.
Ma chi fra gli dèi li fece lottare in contesa?
Il figlio di Zeus e Latona; egli, irato col re,
mala peste fe' nascer nel campo, la gente moriva,
perché Crise l'Atride trattò malamente.

[Omero, Iliade, traduzione di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi, 1990]

Giovanni Cerri[modifica]

Canta, o dea, l'ira di Achille figlio di Peleo,
rovinosa, che mali infiniti provocò agli Achei
e molte anime forti di eroi sprofondò nell'Ade,
e i loro corpi fece preda dei cani
e di tutti gli uccelli; si compiva il volere di Zeus,
dal primo istante in cui una lite divise
l'Atride, signore di popoli, ed Achille divino.
Ma chi fu, tra gli dèi, colui che li spinse a contesa?
Fu il figlio di Leto e di Zeus: adiratosi contro il re,
scatenò sull'esercito un morbo maligno, e la gente moriva,
perché il figlio di Atreo non aveva fatto onore a Crise.

[Omero, Iliade, traduzione di G. Cerri, Rizzoli]

Franco Ferrari[modifica]

Canta, Musa, l'ira di Achille Pelide,
l'ira sciagurata che lutti innumerevoli impose
agli Achei precipitando alla casa dei morti molte
anime forti di eroi e facendo dei loro corpi
la preda di cani, il banchetto di rapaci: si attuava
il piano di Zeus da quando, scontratisi, si separarono
l'Atride capo di genti e Achille divino.
Quale dio li spinse a scendere in lotta?
Il figlio di Latona e di Zeus che sdegnatosi con il comandante
supremo seminò fra i soldati un morbo maligno
e la gente moriva dopo che il figlio di Atreo
offese Crise, il sacerdote venuto alle navi
degli Achei per riscattare la figlia con doni infiniti.

[Omero, Iliade, traduzione di Franco Ferrari, Mondadori, 2018]

Nicola Festa[modifica]

Canta, o dea, l'ira del Peleiade Achille, l'ira funesta che innumerevoli affanni diede agli Achei, molte gagliarde anime di prodi gettò ad Aide; e rendeva essi stessi preda a cani e uccelli rapaci, compiendosi il disegno di Dia, | fin da quando vennero da prima in discordia e contesa l'Atreide signore di uomini e il divo Achille.

[Omero, Iliade, Sandron, Palermo-Milano, 1919]

Vincenzo Monti[modifica]

Cantami, o Diva, del Pelìde Achille
l'ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco
generose travolse alme d'eroi,
e di cani e d'augelli orrido pasto
lor salme abbandonò (così di Giove
l'alto consiglio s'adempía), da quando
primamente disgiunse aspra contesa
il re de' prodi Atride e il divo Achille.
E qual de' numi inimicolli? Il figlio
di Latona e di Giove. Irato al Sire
destò quel Dio nel campo un feral morbo,
e la gente pería: colpa d'Atride
che fece a Crise sacerdote oltraggio.
[Omero, Iliade, traduzione di Vincenzo Monti, Casa Editrice G. D'Anna, 1960]

Citazioni[modifica]

  • Il sogno viene da Zeus. (I, 63)
Ὄναρ ἐκ Διός ἐστιν.
  • [Descrivendo la pestilenza scatenata da Apollo sul campo dei greci] Prima i giumenti e i presti veltri assalse, | poi le schiere a ferir prese, vibrando | le mortifere punte; onde per tutto | degli esanimi corpi ardean le pire. (I, 65-69)
  • Crise, il re sommo Agamennón mi manda | a ti render la figlia, e offrir solenne | un'ecatombe a Febo, onde gli sdegni | placar del nume che gli Achei percosse | d'acerbissima piaga. (Ulisse al padre di Criseide: libro I, vv. 584 – 588, trad. di V. Monti)
  • Tutti ancora dormìan per l'alta notte | i guerrieri e gli Dei; ma il dolce sonno | già le pupille abbandonato avea | di Giove che pensoso in suo segreto | divisando venìa come d'Achille, | con molta strage delle vite argive, | illustrar la vendetta. (da Libro II, 1960)
  • S'alzò, si mise a sedere, indossò il chitone delicato, | bello, pulito, intorno si mise un largo mantello, | ai piedi vigorosi calzò i sandali belli, | alle spalle si appese la spada con le borche d'argento; | prese infine lo scettro paterno, per sempre durevole; | e si recò con questo alle navi degli Achei vestiti di bronzo. (da Libro II, vv. 42-47; trad. di G. Cerri, 1999)
  • Tu codardo, tu imbelle, e nei consigli | nullo e nell'armi. [insulto] (Ulisse a un uomo del popolo; II, vv. 262-63; trad. Monti)
  • Poiché sotto i lor duci ambo schierati | gli eserciti si fur, mosse il troiano | come stormo d'augei, forte gridando | e schiamazzando, col romor che mena | lo squadron delle gru, quando del verno | fuggendo i nembi l'oceàn sorvola | con acuti clangori, e guerra e morte | porta al popol pigmeo. (da Libro III, 1960)
  • Incostante, com'aura, è per natura | de' giovani il pensier. (III, 143-143)
  • Nell'auree sale dell'Olimpo accolti | intorno a Giove si sedean gli Dei | a consulta. Fra lor la veneranda | Ebe versava le nettaree spume, | e quelli a gara con alterni inviti | l'auree tazze vôtavano mirando | la troiana città. (da Libro IV, 1960)
  • Allor Palla Minerva a Dïomede | forza infuse ed ardire, onde fra tutti | gli Achei splendesse glorïoso e chiaro. | Lampi gli uscìan dall'elmo e dallo scudo | d'inestinguibil fiamma, al tremolìo | simigliante del vivo astro d'autunno, | che lavato nel mar splende più bello. (da Libro V, 1960)
  • Soli senz'alcun Dio Teucri ed Achei | così restaro a battagliar. Più volte | tra il Simoenta e il Xanto impetuosi | si assaliro; più volte or da quel lato | ed or da questo con incerte penne | la Vittoria volò. (da Libro VI, 1960)
  • Siede nel fondo del paese argivo | Efira, una città, natía contrada | di Sisifo che ognun vincea nel senno. (Glauco a Diomede: Libro VI, 187-189, 1825)
  • Quale delle foglie, | tale è la stirpe degli umani. Il vento | brumal le sparge a terra, e le ricrea | la germogliante selva a primavera.[1] (da Libro VI, 1960)
  • [...] quando in ciel tersa è la Luna, | e tremole e vezzose a lei dintorno | sfavillano le stelle, allor che l'aria | è senza vento, ed allo sguardo tutte | si scuoprono le torri e le foreste | e le cime de' monti; immenso e puro | l'etra si spande, gli astri tutto il volto | rivelano ridenti, e in cor ne gode | l'attonito pastor [...]. (VIII, 762-770)
  • Se d'un compagno | mi comandate a senno mio l'eletta, | come scordarmi del divino Ulisse, | di cui provato è il cor, l'alma costante | nelle fatiche, e che di Palla è amore? | S'ei meco ne verrà, di mezzo ancora | alle fiamme uscirem; cotanto è saggio. (Diomede a Menelao: libro X, vv. 311–317; trad. di V. Monti)
  • Oltre sua possa, | benché abbondi il voler, nessuno è forte. (XIII, 1015-1016)
  • È dolce e bello | morir pugnando per la patria [...]. (XV, 617-618)
  • [...] stretti insieme | resistono gli Achei siccome aprico | immane scoglio che nel mar si sporge, | e de' venti sostiene e del gigante | flutto la furia che si spezza e mugge: | tali a piè fermo sostenean gli Achei | l'urto de' Teucri. (XV, 782-785)
  • [Ultime parole] Or puoi | menar gran vampo, Ettorre, or che ti diero | di mia morte la palma Apollo e Giove. | Essi, non tu, m'han domo; essi m'han tratto | l'armi di dosso. Se pur venti a fronte | tuoi pari in campo mi venían, qui tutti | questo braccio gli avría prostrati e spenti. | Ma me per rio destin qui Febo uccide | fra gl'Immortali, e tra' mortali Euforbo, | tu terzo mi dispogli. Or io vo' dirti | cosa che in mente collocar ben devi: | breve corso a te pur resta di vita: | già t'incalza la Parca, e tu cadrai | sotto la destra dell'invitto Achille. (Patroclo ad Ettore: Libro XVI, vv. 1190-1203; trad. di V. Monti)
  • L'evento | su le ginocchia degli Dei s'asside. (XVII, 646-647, trad. di V. Monti)
'Aλλ' ήτοι μέν ταύτα Θεών έν γούνασι κείται
  • Ma non fia per questo | che da codardo io cada: periremo, | ma glorïosi, e alle future genti | qualche bel fatto porterà il mio nome. (Ettore: XXII, vv. 383-386)
  • [Ultime parole] Ben lo previdi che pregato indarno | t'avrei, riprese il moribondo Ettorre. | Hai cor di ferro, e lo sapea. Ma bada | che di qualche celeste ira cagione | io non ti sia quel dì che Febo Apollo | e Paride, malgrado il tuo valore, | t'ancideranno su le porte Scee. (Ettore ad Achille: Libro XXII, vv. 456-462; 1960)
  • Tu d'anni e di virtù mi vinci, | e dell'etade giovanil ben sai | i difetti: cuor caldo e poco senno. (da Libro XXIII, 1960)
  • Si rivolga adesso | alla mensa il pensier, ch'anco l'afflitta | níobe del cibo ricordossi il giorno | che dodici figliuoi morti le furo. (XXIV, 762-765)
  • Esaudì Giove il prego, e il più perfetto | degli augurii mandò, l'aquila fosca, | cacciatrice, che detta è ancor la Bruna. (da Libro XXIV, 1960)

Citazioni sull'Iliade[modifica]

  • In altri tempi mi dieder da bere che nel leggerlo ci provavo gusto, ma quel continuo ripeter battaglie simili tutte, quegli dei che sempre si adoperano per non concluder mai nulla, quell'Elena causa della guerra e che riesce appena ad essere un'attrice della commedia, quella Troia assediata e non presa, tutto ciò mi annoiava a morte. Qualche volta ho chiesto a gente dotta, se quella lettura li annoiasse quanto me: tutti i sinceri mi hanno confessato che il libro cadeva loro di mano, ma che tuttavia conviene averlo in biblioteca come un monumento dell'antichità e come quelle medaglie arrugginite che non possono aver corso. (Voltaire)
  • Io non discuterò se l'Iliade e l'Odissea siano dello stesso autore, in quanto, se io convinco il lettore che l'Odissea fu scritta da una donna e in Sicilia, va da sé che non fu scritta da Omero, giacché non vi può essere dubbio sul sesso dello scrittore dell'Iliade. Gli stessi criteri che ci obbligheranno ad attribuire l'Odissea a una donna, vietano qualsiasi altra conclusione, eccetto quella che l'Iliade fu scritta da un uomo. (Samuel Butler)
  • L'Iliade e l'Odissea [...] [sono] rimasti esemplari per tutta l'epopea occidentale sino ai tempi più recenti, sino al Goethe e al Pascoli. (Giorgio Pasquali)
  • L'Iliade fu sempre il poema de' valorosi. Sono ancor celebri le generose lagrime d'Alessandro sulla tomba di Achille; ed è pure fra gli uomini divulgato che quel grande conquistatore solea chiamare l'Iliade il viatico delle sue spedizioni. (Vincenzo Monti)
  • Omero descrive amicizie maschili di intensità affettiva così forte da far inevitabilmente pensare a legami ben diversi da una semplice solidarietà fra compagni d'arme: e l'amicizia che a questo punto è quasi di prammatica citare è quella fra Achille e Patroclo. Un rapporto così forte da far sì che Achille, dopo la morte di Patroclo, dichiari di avere un solo scopo di vita: dopo aver vendicato l'amico, giacere con lui nella stessa fossa, per sempre, unito a lui nella morte come gli era stato in vita. Un rapporto assai diverso da quello che Achille aveva avuto con Briseide, la schiava concubina che Agamennone gli aveva sottratto quando era stato privato della schiava Criseide. Le schiave erano compagne intercambiabili: come dimostra, appunto, il gesto di Agamennone che si consola immediatamente sostituendola con un'altra, della perdita di Criseide. Il legame tra Achille e Patroclo, invece, era insostituibile. (Eva Cantarella)
  • Tutta l'Iliade è impregnata di luce cristiana. (Simone Weil)

Note[modifica]

Voci correlate[modifica]

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