Sergio Zavoli

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Sergio Zavoli

Sergio Wolmar Zavoli (1923 – 2020), giornalista, scrittore e politico italiano.

Citazioni di Sergio Zavoli[modifica]

  • Di tutte le città dell'alta Romagna, Cesena è la più segreta.[1]
  • Il lotto delle prime nomine [alla RAI] conferma l'intento di conferire al problema una soluzione che non tiene conto della ricchezza culturale dell'azienda e del paese.[2]
  • La persona scontenta, incattivita, aggressiva, la si può placare con un po' di attenzione, di tolleranza, di simpatia; ma provate a rabbonire l'imbecille, a trarlo dalle sue ferme, persino inflessibili convinzioni, a insinuargli, mica tanto, un dubbio: solo in apparenza spaesato, prenderà tempo per ricominciare a tessere, si fa per dire, il suo ragionamento nell'ostinata idea che a non capire siate voi, pervicacemente protesi a scaricare su di lui la vostra stessa imbecillità.
    Lo avete mai visto all'opera? Quando non si sa – ed è questo il momento, secondo me, più gravido di pericoli – che cosa stia pensando? «Non pensa niente!», si consolano gli ingenui. Ma non è proprio ciò che va più temuto? L'idea, intendo dire, che un pensiero già debole possa come svignarsela, bighellonare chissà dove, perdere il filo – seppure un'inezia – di se stesso. Da un pensiero così ridotto quali danni dovremo aspettarci quando il titolare lo richiamerà, diciamo, per rimetterlo in moto?
    Sto riflettendo: forse il bietolone andrebbe accudito e persino coccolato, forse dovremmo addirittura consentirgli di mettersi la testa sotto i piedi, se proprio intendesse dimostrarci di poterne fare a meno. Credo che non lo si debba contrastare, insomma, se si vogliono sfuggire conseguenze ancora più inquietanti [...].[3]
  • Luigi Di Liegro, nato a Gaeta, sette fratelli, figlio di un pescatore poverissimo emigrato otto volte, clandestinamente, in America, è stato il mitico direttore della Caritas diocesana di Roma. Ordinato sacerdote nel 1953, partecipò all'esperienza di Jeunesse ouvrière in Francia e in Belgio, specie fra i minatori della zona di Anversa. A Roma ha affrontato il degrado civile e morale delle periferie, spendendo anni e anni di lavoro metodico, quotidiano, capillare.[4]
  • [Su Luigi Di Liegro] Nel 1974 fu uno degli organizzatori dello storico convegno voluto dal cardinale Poletti su "I mali di Roma"; ne fece una tribuna per criticare con vigore le carenze dei pubblici poteri nella tutela dei diseredati. A quel dibattito rimase legata l'istituzione della Caritas, che venne subito chiamato a dirigere. In tale veste si è occupato di circa 110 mila extracomunitari, centomila anziani non autosufficienti, migliaia di "barboni" e di zingari, e non si sa di quanti tossicodipendenti e malati di Aids. Ai suoi ordini, solo venti persone, ma gli si fecero intorno oltre quindicimila volontari.[4]
  • Trent'anni per un bilancio, non per una cerimonia. Di fronte a uno strumento che ha mutato tante cose della nostra vita, ci spetta di capire solo come l'abbiamo usato, senza pudori e senza orgogli. La Rai è stata per decine di migliaia di ore nelle case degli italiani interpretando il bene e il male del paese e del mondo, lasciando un'interminabile traccia di eventi e di idee, di barbarie e di valori. Oggi il servizio pubblico è al centro di una grande questione istituzionale e agisce in un sistema che ha visto nascere altri soggetti e altre logiche; e poiché "c'è un tempo per piantare e uno per sradicare", questo è il momento di rinnovare, seminando e svellendo col senso di una responsabilità nuova che salvaguardi insieme libertà d'impresa e interessi del paese, competitività e cultura, impegno e professionalità. Un augurio? La tv può cambiare in meglio il mondo, facciamo che non si limiti solo a rappresentarlo. E tanto meno a distorcerne anche una sola delle sue facce.[5]

La notte della Repubblica[modifica]

Incipit[modifica]

Nelle pagine che seguono troverete la storia del terrorismo italiano dalla sua nascita alla sua sconfitta: la prova più lunga, difficile e cruenta che la società civile e le istituzioni abbiano affrontato in epoca repubblicana. Il racconto abbraccia i venti anni, tra il '69 e l'89, nei quali si decise la sorte stessa dei giorni che stiamo vivendo. La nostra democrazia – investita da un'indata di violenza del tutto nuova, per intensità e durata, nel mondo occidentale – ha rischiato non di perire, ma di pagare la sua sopravvivenza con la riduzione della libertà, a scapito dei principi su cui si fonda.

Citazioni[modifica]

  • Ore 18 del 1º settembre 1960. Dall'Olimpico giungono, in diretta, le parole del telecronista Paolo Rosi:
    Partenza valida! Berruti è scattato... è già in vantaggio... sta per completare i primi cento metri... è nettamente in testa... stupenda l'azione di Berruti che ora viene incalzato da Carney... Berruti riesce a conservare il vantaggio... è medaglia d'oro...
    Il 25 agosto Giulio Andreotti aveva inaugurato, a Roma, i giochi della 17ª Olimpiade. Con una spettacolare manifestazione, anche di efficienza, Roma si offriva al giudizio del mondo. Il successo, grazie alla televisione, avrà una risonanza internazionale. (p. 15)
  • Il 12 dicembre del 1969 cade di venerdì. A Milano, per tutta la notte è piovuto. Il tempo si manterrà incerto fino a sera. È giorno di mercato. La sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura, in piazza Fontana, è colma di clienti venuti soprattutto dalla provincia. Gli altri istituti di credito hanno chiuso alle 16,30; qui gli sportelli restano aperti più a lungo. Sono le 16,37 quando nel grande salone dal tetto a cupola scoppia un ordigno contenente 7 chili di tritolo. Nella grande sala, orrendamente mutilati, i 16 corpi delle vittime. Per un'ora e mezzo le ambulanze fanno la spola con gli ospedali più vicini, dove vengono ricoverati i feriti: 87. (p. 47)
  • Il 1977, con le sue incandescenze, ma soprattutto con la sequela di omicidi delle Br, è un anno che lascia aperti numerosi interrogativi. Due anni dopo, talune vicende saranno oggetto di un'inchiesta giudiziaria promossa dalla procura della Repubblica di Padova a carico dell'Autonomia organizzata e condotta dal giudice Pietro Calogero. L'accusa parte da un presupposto inquietante: che Autonomia sia solamente il volto esteriore e legale di una più complessa organizzazione occulta, responsabile di atti di guerriglia urbana e collegata addirittura alle Br. (p. 246)
  • Il processo, detto del 7 Aprile, divide non solo Padova, ma l'opinione pubblica italiana. A favore di Calogero si schiera il Pci padovano; contro, una gran parte dei socialisti e la nuova sinistra, che chiamano «teorema» il complesso delle accuse; una ricostruzione astratta, sostengono, per criminalizzare il movimento. L'opinione di Calogero non è condivisa dal giudice istruttore Giovanni Palombarini, il quale ridimensiona le accuse ponendo in risalto le differenze tra Autonomia e brigatisti. Il processo, che si conclude in Cassazione a circa dieci anni dai primi arresti, convalida solo in parte le tesi originarie. Viene in sostanza riconosciuta fondata quella secondo cui Negri e altri capi dell'Autonomia sarebbero stati i promotori di una trama eversiva, per l'appunto autonoma, prolungatasi senza interruzione dal '71 al '79. (p. 246)
  • Sul piano politico si vivono i mesi dell'emergenza. Il governo di solidarietà nazionale va incontro a una vita problematica. Le tensioni di quei giorni non risparmiano nemmeno il Quirinale. Il presidente Leone, investito da un tiro incrociato di critiche e attacchi, sceglie di dimettersi. È la prima volta che ciò accade nella storia della Repubblica. Con voto plebiscitario il Parlamento elegge Sandro Pertini alla più alta carica dello Stato. In sessanta giorni muoiono due papi, Paolo VI e Giovanni Paolo I, cioè Albino Luciani. Sul soglio di Pietro sale un cardinale polacco, Karol Wojtyla; si chiamerà Giovanni Paolo II. Di qui a poco il mondo politico perde un altro leader, Ugo La Malfa. Quanto al quadro politico, l'ipotesi di un ingresso effettivo dei comunisti nell'esecutivo si conferma impraticabile. (p. 346)
  • Un ragazzo che oggi è in terza media, quando le Br rapirono Moro e ne uccisero la scorta aveva zero anni. Ai tempi di piazza Fontana i suoi futuri genitori forse non si conoscevano. Questa nostra inchiesta è in un certo senso dedicata a lui, nato nell'ora più atroce del terrorismo e cresciuto senza poterne capire gli sviluppi e la progressiva decadenza. Oggi, quel ragazzo ha davanti una vita in qualche modo tracciata anche da come il Paese, senza di lui, ma anche per lui, è uscito da quel tunnel.[6] (p. 463)

Filmografia[modifica]

Bibliografia[modifica]

Note[modifica]

  1. Da I giorni della meraviglia, Marsilio, Venezia, 1994.
  2. Da Il Sole 24 Ore, 20 maggio 2009.
  3. Da Presentazione, in Pino Aprile, Elogio dell'imbecille: gli intelligenti hanno fatto il mondo, gli stupidi ci vivono alla grande, presentazione di Sergio Zavoli, Piemme, Casale Monferrato, p. 5. ISBN 9788858502679
  4. a b Da La società del malessere, letture.it, agosto 2002.
  5. Dal messaggio in occasione del trentesimo anniversario delle trasmissioni televisive, come presidente della Rai, 2 gennaio 1984; citato ne il manifesto, 21 novembre 2008.
  6. Nella versione televisiva, trasmessa il 4 aprile 1990, la frase era: «Un ragazzo che oggi è in seconda media, quando le Br rapirono Moro e ne uccisero la scorta aveva zero anni. Ai tempi di piazza Fontana i suoi futuri genitori forse non si conoscevano. Avevamo dedicato la nostra inchiesta, qualcuno lo ricorderà, proprio a lui, a questo giovane cittadino nato nel periodo più atroce del terrorismo e cresciuto senza poterne capire gli sviluppi e la progressiva decadenza. Oggi, quel ragazzo ha davanti una vita in qualche modo tracciata anche da come il Paese, senza di lui, ma anche per lui, è uscito da quel tunnel».

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