Umberto Ricci (economista)

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Umberto Ricci (1879 – 1946), economista e statistico italiano.

Citazioni di Umberto Ricci[modifica]

  • Come economista, il Cavour non occupa un posto a sé nella scienza: non iscoprì alcun teorema, non legò il suo nome ad alcuna teoria. Ma i suoi saggi rivelano una solida quadratura mentale di economista. I suoi scritti sono sempre rivolti a questioni di politica economica, o, se così vuolsi dire, di economia applicata: pure, è evidente la compiacenza con la quale egli si richiama alla teoria, non appena il destro gli si offra. È realistico, corrobora il suo dire coi numeri della statistica, tiene sempre l'occhio ai fatti. Egli ha molto viaggiato e osservato, sa dominare gli avvenimenti con sicuro sguardo di economista e di politico, le sue diagnosi sono esatte, le sue previsioni spesso si avverano.[1]

Necrologio di Giovanni Vailati[modifica]

  • [Giovanni Vailati] Il suo capolavoro è forse lo scritto «Sull'applicabilità dei concetti di causa e di effetto nelle sciente storiche», un capolavoro di sei pagine, dove, meglio che in un grosso volume, viene definitivamente combattuta e vinta l'idea di una pretesa inferiorità delle leggi economiche rispetto alle leggi fisiche: tra leggi economiche e leggi fisiche egli dimostra non esservi differenza logica.
    Matematico, egli avversava l'uso delle matematiche nelle scienze sociali. Temeva che le formule inserite, non sempre a proposito, negli scritti economici tramutassero le dissertazioni economiche in esercitazioni algebriche. (p. 5)
  • L'economia politica occupava un posto vistoso in mezzo a una bella ghirlanda di scienze che nella mente di Giovanni Vailati si collegavano armonicamente. Matematico, fisico, storico della meccanica, filosofo, glottologo, economista, sociologo, pedagogista, Giovanni Vailati fu un ingegno scintillante e proteiforme, che signoreggiava molti rami dell'umano sapere e faceva dall'uno all'altro così rapidi e brillanti passaggi, da sorprendere ogni ascoltatore. (p. 5)
  • Carattere eccezionale di adolescente ingenuo, egli s'innamorava di tutte le cose veramente belle e originali. In un esercito di conoscenti non ebbe che amici, poiché il suo cuore non conobbe gelosie, non conobbe ambizioni, non conobbe malignità. Mai un sentimento che non fosse nobile e generoso offuscò l'anima serena di Giovanni Vailati, mai una parola amara, pungente o intollerante parti dal suo labbro. Egli amava e ammaestrava gli uomini come un savio della Grecia antica, attirava a sé i giovani come i vecchi, regalava libri, consigli, avvertimenti, era felice quando poteva presentare l'uno all'altro due studiosi che non si conoscessero. (p. 6)

Politica ed economia[modifica]

  • La prima e più maestosa figura, che tale storia [degli economisti italiani] dovrà disegnare, è quella di Francesco Ferrara, sommo fra gli economisti italiani del secolo decimonono, mente di genio, che sapeva risalire ai supremi principii della scienza, sapeva scolpire e concatenare le grandi leggi economiche, sapeva esprimersi con eloquenza magnifica e travolgente. La sua figura non è, non sarà menomata dal tempo. (Parte II, pp. 69-70)
  • Il pensiero ferrariano, esposto principalmente in prefazioni a disparati autori, comparse a distanza di anni l'una dall'altra, è rimasto sempre sistematico. Prendete le più belle pagine del Ferrara, fatene, senza mutar loro né un accento né una virgola, altrettanti paragrafi, ordinate i paragrafi in capitoli secondo un disegno razionale che vi sarà ispirato dallo stesso Ferrara, e verrà fuori per incanto un meraviglioso trattato, scritto parola per parola dal Ferrara. Sia messo in vendita il trattato, in nitida veste, da un abile editore, a prezzo non proibitivo, e il Ferrara penetrerà finalmente fra la folla degli studiosi[2]. (Parte II, p. 70)
  • Nella statistica metodologica e applicata possediamo in Benini un autore di prima forza. I suoi Principii, sebbene un po' arretrati nella parte matematica, sono un capolavoro: per finezza e ingegnosità di logica e decoro dello stile, non hanno l'uguale in altre letterature. (Parte II, p. 73)
  • Un economista-sociologo, che gli stranieri ricordano con predilezione, è il Loria, autore di molti libri, alcuni dei quali tradotti, e di molti articoli, alcuni dei quali in riviste esotiche. Il Loria viene nominato con un rispetto stereotipo, che si richiama forse al famoso giudizio di Luigi Cossa: «A nessuno inferiore per ingegno, superiore a tutti nell'originalità ed a molti per dottrina, il mantovano Achille Loria, ecc.». Certo il Loria, degno di riguardo per la grande sua laboriosità e dottrina, ma stravagante nel concepire le teorie e retorico nell'esporle, non è affatto l'uomo rappresentativo della scienza e della coltura schiettamente italiane. Qualche volta gli stranieri, citandolo, sanno di dover parole di omaggio all'economista «a nessuno inferiore per ingegno, ecc.», ma non sempre se ne mostrano convinti. (Parte II, pp. 73-74)
  • Quando saranno ordinati e raccolti in uno o più volumi gli articoli che da più di un ventennio Luigi Einaudi è andato pubblicando prima nella Stampa e poi nel Corriere della Sera, si verranno ad avere sottomano i capitoli e di una cronistoria economico-finanziaria dell'Italia e di un trattato italiano di economia applicata. Si resterà allora stupiti di tanta alacrità, di tanta sapienza, di tanto senno e anche di tanto patriottismo. (Parte II, p. 81)
  • Uno straniero, esclama il Le Bon, «potrebbe stupirsi che gli abitanti del sud d'Italia abbiano manifestato tanto ardore per la conquista di Trieste, di cui non avevano probabilmente mai sentito parlare e di cui gli abitanti del nord si preoccupavano pochissimo» [...]. Il Lebon dovrebbe sapere che in ogni scoletta elementare del più piccolo borgo, della più oscura frazione d'Italia, al nord e al sud e al centro e nelle isole, s'insegna la storia del risorgimento italiano e si instillano nelle menti dei giovinetti e delle giovinette certe verità, fra cui queste: che l'Austria è la nostra secolare nemica; che Francesco Giuseppe – dal popolino deriso col nome di Cecco Beppe – maneggiò sempre maestrevolmente la forca; che nobili provincie italiane sono – ora possiamo finalmente dire erano – sotto un ferreo dominio straniero. Quindi non dubiti il sig. Lebon, anche i napoletani, anche i siciliani, anche i sardi avevano udito pronunziare i nomi di Trieste e Trento. Magari i più ignoranti avranno creduto che Trento e Trieste fossero due città vicine invece che due città lontane, ma le tenevano care. (Parte III, p. 167)
  • Udite che cosa può sciorinare un francese [Gustave Le Bon] di professione psicologo, e psicologo illustre, nell'anno di grazia 1916. «Le popolazioni meridionali d'Italia son così impressionabili che le vediamo dar di mano al coltello per discussioni su personaggi favolosi come quelli della leggenda di Orlando». E poi: «È certo che fu la Sardegna ancor quasi selvaggia che con maggior violenza si entusiasmò per una guerra[3] il cui scopo interamente o quasi sfuggivale». Quando smetteranno i francesi e altri stranieri di stampare simili scempiaggini? È così che il Lebon insegna la psicologia dei popoli all'universo intero, come egli stesso compiacentemente ricorda allineando le innumerevoli edizioni e traduzioni dei suoi libri? (Parte III, p. 168)
  • La massoneria mi sembra non solo compatibile con le condizioni della vita pubblica italiana, ma benefica, e addirittura indispensabile al nostro paese.
    Senza massoneria come si farebbero le promozioni nei ministeri, e senza i ministeri ben sistemati l'Italia seguiterebbe a vivere? La parentela fra le due gerarchie, burocratica e massonica, è tanto notoria che la frase: «Tizio è un pezzo grosso» vi fa subito aggiungere mentalmente: «della massoneria». (Parte IV, p. 191)
  • I rapporti fra la massoneria e l'insegnamento saltano agli occhi. Che fa il professore? Libera il pensiero dei giovani dall'oscurità, dall'ignoranza, dal pregiudizio. Ma a chi si deve la conquista del libero pensiero? Alla massoneria. In Italia la libertà del pensiero è continuamente minacciata. Chi vigila alla sua continua difesa e riconquista? La massoneria. Per conseguenza il professore frammassone è due volte professore, e merita la preferenza nei trasferimenti e nei concorsi.
    La massoneria giova pure in un altro modo alla felicità universale. Basta divenir massone per meritarsi il nome di libero pensatore. Così la massoneria abbellisce l'esistenza di tanti poveri diavoli, i quali, con tenue spesa, possono illudersi di aver acquistato due cose che non possederanno mai, cioè il pensiero è la libertà. (Parte IV, p. 192)
  • Ogni qualvolta un appassionato italiano definiva tedeschi d'Italia i socialisti ufficiali, io non mancavo mai di chiedere scusa mentalmente ai tedeschi. Perché i tedeschi, nell'affondare navi nemiche, nel bombardare città aperte nemiche, e lanciare gas velenosi contro i nemici, e pagare spie e sussidiare movimenti rivoluzionari presso i nemici, fanno il loro brutto mestiere di tedeschi. Mentre gli altri, pur lavorando con ogni mezzo alla riuscita dei tedeschi, parlano in italiano, vivono in mezzo a noi italiani, ci sorridono nell'incontrarci per istrada, si mescolano con noi, reclamano e ottengono dal ministro Orlando le libertà statutarie e persino si vedono concedere patenti di patriottismo (italiano) dall'onorevole Nitti. (Parte IV, p. 213)
  • Italiani non dimenticate. Ufficiali di terra e di mare, che esponeste la vita per la salvazione d'Italia, giovani guide valenti della nazione armata, quando ritornerete alle vostre famiglie, non dimenticate. Alle vostre spalle un manipolo di senza patria tramò per togliervi l'ebbrezza di riconquistare il santo suolo d'Italia. La gloria immortale di cui la cingeste, essi tentarono di non farla sorgere. Volevano che al Congresso della pace l'Italia si avviasse timida e incerta, fasciata di lutto. (Parte IV, p. 217)
  • [...] perché Bissolati violentemente combatte l'imperialismo italiano, che non esiste, o conta per uno, mentre sorvola sull'imperialismo altrui, vorace per cento e per mille? (Parte IV, p. 225)

Note[modifica]

  1. Da Protezionisti e liberisti italiani, Gius. Laterza & Figli, Bari, 1920, Cavour antiprotezionista, cap. I, p. 105.
  2. Quest'idea io esposi nel 1908 a un intelligentissimo editore: il Laterza di Bari, che l'accolse con assai favore. Nacque poi qualche difficoltà e l'idea svanì: potrebbe forse essere attuata da altri. [N.d.A.]
  3. La prima guerra mondiale.

Bibliografia[modifica]

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