Vitaliano Brancati

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Vitaliano Brancati

Vitaliano Brancati (1907 – 1954), sceneggiatore e scrittore italiano.

Citazioni di Vitaliano Brancati[modifica]

  • Che i conservatori siano conformisti, è cosa di tutti i tempi. Ma che siano conformisti, convenzionali, obbedienti i cosiddetti rivoluzionari, è cosa soltanto dei nostri tempi.[1][2]
  • Dire che un delitto è opera di una società, il risultato matematico di taluni «fattori ambientali», è una di quelle offese che il nostro tempo rivolge continuamente alla libertà individuale e alla libertà in genere.[3]
  • È vero che ciascuna persona ha sotto il braccio il libro che si merita.[4]
  • [Jean Paul Sartre] Ha scritto migliaia di pagine sul niente, sull'essere, sull'angoscia, sulle camere di albergo, su Giove, su Elettra, sulle mosche. Niente si salva da questo grafomane: né il teatro né la filosofia né la letteratura né l'intimità dei veri poeti.[5]
  • I campi siciliani sono metropoli vegetali.[6]
  • No, non è vero che qui si parli molto. Anzi, è vero il contrario. In Sicilia, la vita intima fa a meno delle parole. Una madre e una figlia possono trascorrere un'intera giornata dietro il balcone, scambiandosi due o tre frasi.[7]
  • Palermo è situata in una insenatura della costa nordoccidentale, non fra i monti e il mare, ma dietro monti che bagnano il piede nel mare. Questa muraglia non è continua né larga: ampie finestre la interrompono formando ciascheduna una spiaggia. Il sole sorge, fra i monti, dal mare e declina, fra i monti, nel mare. Al tramonto, i raggi del sole passano fra le montagne, colpendo Palermo nel più irregolare dei modi. La luce salta interi quartieri, che rimangono in una penombra turchina, e accende gruppi di case nei punti più disparati. La scena è molto singolare. Si vedono cupole, terrazze, tetti completamente privi di luce e, sotto questi, file di basse case illuminate fortemente. Raggi sottili vanno a pescare chi una finestra, chi un cane che si morde la coda, minutissimi particolari che, per essere illuminati nel mezzo di un quadro oscuro, si rendono visibili anche a grande distanza.[8]
  • Pago amarissimamente gli scherzi che mi sono permesso sui furiosi amori del Sud; del Sud a cui appartengo interamente e di cui sono, me ne accordo ora, il più pazzo ed avvelenato figliuolo.[9]
  • Per essere siciliani bisogna essere diversi.[10]
  • Siamo cinici nei riguardi di un credente fascista o di un credente comunista il quale, sotto le apparenze di fervore religioso, nasconde il più tetro dei cinismi.[11][2]
  • Vogliamo essere i conferenzieri del Sud. In Sicilia la luce viene dal Nord e dunque più a nord abita il conferenziere, e più il nostro pubblico l'ascolta. Nel nostro caso sebbene usufruiamo di qualche copertura, date alcune presenze nella compagine, desidereremmo essere "conferenzieri del Sud", perché lo abitiamo e ne siamo abitati interamente. E come tali, se non proprio rispettosamente, almeno semplicemente vorremmo essere ascoltati.[12]

Don Giovanni in Sicilia[modifica]

Incipit[modifica]

Giovanni Percolla aveva quarant'anni, e viveva da dieci anni in compagnia di tre sorelle, la più giovane delle quali diceva di esser "vedova di guerra". Non si sa come, nel momento in cui pronunciava questa frase, ella si trovava con una matita e un foglio in mano, e subito si poneva a scrivere dei numeri, accompagnandosi con queste parole:
"Quando io ero in età da marito, scoppiò la grande guerra. Ci furono seicentomila morti e trecentomila invalidi. Alle ragazze di quel tempo, venne a mancare un milione di probabilità per sposarsi. Eh, un milione è un milione! Non credo di ragionare da folle se penso che uno di quei morti avrebbe potuto essere mio marito"

Citazioni[modifica]

  • Giovanni vorrebbe guardarsi in viso per scoprire se Ninetta lo ha baciato veramente.
    «Ho del rossetto?» dice a bassa voce.
    «Rossetto?» fa l'amico trasecolato. «E dove?»
    «Sulla guancia, forse!»
    Panarini gli poggia un dito sul mento e, arrovesciando il capo, lo osserva attentamente con gli occhi in giù, come un medico: «Non c'è nulla!» (p. 66)
  • Quando il cielo di Catania è fosco di scirocco, la luna vi si stempera come un'arancia disfatta; una polvere appena appena luminosa avvolge gli uomini e gli edifici, e l'intero universo sembra disegnato su un vetro sporco. Allora, se in una terrazza si svolge un ballo di gala, non c'è abito né gioiello che riesca a scintillare, e i visi cerei delle ragazze sono coperti di sonno. (p. 77)
  • Sempre quella mania di fabbricare palazzi di tre piani, quando si hanno sì e no i soldi per terminare il pianterreno. Ed ecco nuovi edifici, abitati nei bassi, e coi balconi senza imposte e ringhiere nel primo, secondo e terzo piano, dei quali si erge maestosa la sola facciata. (p. 109)
  • Dopo la messa, il sacerdote fece la predica. Quest'uomo, ch'era parso mite, e aveva offerto l'ostia consacrata con uno sguardo luccicante di lacrime, cadde in preda alla collera. «Professore!», gridava a Giovanni, stringendo i pugni. «Bada! Questa è la compagna della tua vita! In guerra, i soldati, prima di uscire dalla trincea, mi venivano a dire: «Mia moglie è buona! Mia moglie è bella! Mia moglie è santa!». Ecco cosa mi dicevano i soldati, prima di affrontare la morte! Bada, professore!...». Il vecchio, mentre andava su e giù per il gradino dell'altare, sempre coi pugni stretti e vibranti di collera, disse centinaia di «bada!», continuando a chiamare Giovanni Percolla professore. Finalmente, come un sole che sfondi la più nera delle nuvole, il sorriso ruppe da quel viso contratto dall'ira, e con un'espressione mansueta, dolce, infantile, andò a posarsi su quella bocca che aveva tanto gridato. «Andate, cari! Andate, sposi novelli!». (p. 122)

I piaceri[modifica]

  • La ricchezza guasta l'intelligenza, come un pasto troppo forte vela di sonno anche l'occhio più vivace.
  • La stanza con le pareti bianche e nude; un tavolo nel mezzo; la sera, arriva il giornale del cavaliere che essa legge presso il balcone, al lume della piazza. ("I piaceri della povertà")
  • Se dunque la musica ha un maggior numero di amatori che non la poesia, o l'architettura, o la scultura, questo non si deve al fatto che essa è «più spirituale», come suol dirsi, bensì al fatto inverso: che è più sensuale. ("I piaceri della musica")[13]

Il bell'Antonio[modifica]

Incipit[modifica]

Dei siciliani scapoli che si stabilirono a Roma intorno al 1930, otto per lo meno, se la memoria non m'inganna, affittarono ciascuno una casa ammobiliata, in quartieri poco rumorosi e frequentati, e quasi tutti andarono a finire presso insigni monumenti, dei quali però non seppero mai la storia né osservarono la bellezza, e talvolta addirittura non li videro. Che cosa non saltò il loro occhio ansioso di scorgere la donna desiderata in mezzo alla folla che scendeva dal tram? Cupole, portali, fontane... opere che, prima di essere attuate e compiute, tennero aggrottate per anni la fronte di Michelangelo o del Borromini, non riuscirono a farsi miminamente notare dall'occhio mobile e nero dell'ospite meridionale!

Citazioni[modifica]

  • Per il rispetto che il mio mestiere di cronista deve alla verità, dirò che questi scapoli siciliani erano piuttosto brutti, fuorché uno, Antonio Magnano, che era bellissimo. Con questo non voglio però affermare che i brutti riuscissero sgraditi alle donne: al contrario molti di essi, nonostante la bassa statura, e i nasi ebraici, e l'unghia del mignolo lasciata crescere per pulire l'interno dell'orecchio, parevano legati da una grave complicità a tutto il genere femminile; si sarebbe detto che fra loro e qualunque donna ci fosse una cattiva azione compiuta insieme chissà dove e quando: non v'era sconosciuta che, al primo vederli, non sembrasse riconoscerli impallidendo e rivelarsi subito legata a loro da vecchi e inconfessabili trascorsi. Per questo, i loro successi avevano sempre un'aria esosa di riscatto, sebbene, posso giurarlo, questi uomini di venticinque e trent'anni fossero di una cortesia e una tenerezza senza pari nei riguardi dell'altro sesso. Ma sulla terra piena di misteri, il viventi più misterioso è forse l'uomo brutto. (p. 2)
  • Un istantaneo vacillamento del passo la staccò dalla madre e la portò vicinissima al giovane che poté sentirne l'odore di velo, di pelle bruscamente riscaldata dal sangue, di forcine di tartaruga e d'indumenti conservati a lungo insieme a vecchi fiori, odore che nessuna donna di Roma aveva mai posseduto e che gli saettò dentro la carne come uno scotimento profondo. Egli rimase immobile, seguendo il corso di quella specie di serpe che gli era entrato nei nervi e li mordeva alla radice. (p. 53)
  • «... non guardare i balconi, ricordati che sei fidanzato!» (1987, p. 73)
  • Gli uomini, per distrarsi dalla gelosia che gli riempiva la bocca di amaro ogni volta che guardavano le loro donne, rosse ed agitate come se tutte avessero sposato Antonio e s'inoltrassro con trepidazione in una giornata che conduceva alla sera e quindi ai misteri della notte, ragionavano fra di loro di politica, non senza aver dato una sbirciatina all'intorno per vedere se potessero parlare del capo del governo, non insolentendolo naturalmente, ma con rispetto moderato e senza le frasi di rito. (p. 95)
  • Il cielo sa quello che vuole, e quando un matrimonio non è scritto nel suo libro, abbiamo voglia, noi poveretti, di scrivere i nostri nomi l'uno accanto all'altro nel libro della parrocchia... il matrimonio rimane sulla carta! (p. 135)
  • «La contessa K» continuò «è stata la sola che ha dovuto sospettare la verità, perché una sera mi disse: "Antonio, sia sincero, non sarebbe comodo poter possedere una donna con gli occhi?" Non so se volesse alludere al fatto ch'io avevo lo sguardo di certi ingravidafinestroni siciliani dei quali aveva parlato la sera avanti...» (1987, p. 195)
  • Il rumore di quello scandalo fu avvertito da tutta Catania come un boato dell'Etna.
    Antonio Magnano, il figlio di Alfio, il nipote di Ermenegildo, il bellissimo giovane che faceva alzare lo sguardo dal messale alla più santa delle ragazze, Antonio dagli occhi sempre addormentati, e chi non lo conosceva? (levavano una mano al di sopra della testa per indicare ch'era alto o se la passavano dolcemente lungo le guance per dire che aveva un viso perfetto), Antonio, sí, proprio lui, quello, esattamente quello e non altri, ebbene Antonio con la moglie... niente! vi dico niente! assolutamente niente! Barbara Puglisi, dopo tre anni di matrimonio, non sa ancora cosa sia la grazia di Dio. (p. 221)
  • «[...] Ognuno pensi a guardarsi la sua roba. Io come io, quando mi càpita una donna, non voglio sapere né di chi è figlia né di chi è moglie. È donna con la veste? e allora basta! Non voglio sapere altro!»
    «Ma cosí dove si va a finire?»
    «Una sotto e una sopra.»
    «E se lo facessero a te, che diresti?»
    «Io non sono sposato.»
    «Ma hai una madre, una sorella...»
    «Non mi parlare di mia madre e di mia sorella! Mia madre e mia sorella non c'entrano!»
    «Ma non sono donne anche loro?»
    «Sono donne, ma in questo discorso, ti ho detto, non c'entrano!» (p. 226)
  • Le donne si comportavano con lui come gli uomini con le donne; tutte si ritenevano in diritto di scrivergli, di rivolgergli la parola, d'indorargli la pillola, di nascondergli la verità sotto abili eufemismi, di fare in modo da non spaventarlo, e infine di convincerlo a mettersi fiducioso nelle loro mani. Non erano questi i mezzi del più consumato dongiovannismo? (p. 258)
  • «Fra poco» diceva, «questi venti anni di tirannia, di rozzezza, di presunzione ci parrà di averli sognati in una notte di febbre. Conserveremo soltanto il tic di voltarci indietro prima di parlare a voce alta, e faremo ridere i nostri nipoti. "Ma che ha il nonno" domanderanno, "che si guarda sempre alle spalle?" E i nostri figli spiegheranno sorridendo che il povero nonno è vissuto in un'epoca nella quale ogni cittadino aveva il suo angelo custode dietro e andava in prigione solo per aver detto che il capo del governo era vecchio... Ma ci pensi, Antonio?» (p. 304)

Paolo il caldo[modifica]

Incipit[modifica]

23 giugno 1952. Mi trovo seduto sulla terrazza dell'albergo Baglioni, innamorato di mia moglie. Sono le dieci di sera.

Citazioni[modifica]

  • "Io non sono vecchio! Non vogliono dir nulla settantaquattro anni! Cinquant'anni non sono nulla, non mi separano affatto dalla giovinezza. Se mi volto, dietro le mie spalle c'è la giovinezza chiara, nitida, e dietro c'è la fanciullezza, ancora più chiara e nitida di quando avevo vent'anni. I pensieri sono con me, li devo ancora sviluppare, e così i sentimenti, i desideri: li devo ancora appagare! Io non sono affatto sazio di vita, comincio appena ora ad assaporarla! Perché mi mettete addosso questi dolori artritici, queste rughe che mi fanno ghignare mentre non ghigno affatto, queste borse di pelle? Perché m'impastoiate come un mulo e mi accecate? Perché mi otturate le orecchie? E perché mi guardate con quegli occhi che trovano naturale che io muoia? C'è un errore, ve lo giuro! Arrivate alla mia età e ve ne accorgerete! Ma allora avrete anche voi un bel gridare, e quelli che avranno i venti, i trenta, i quaranta, i cinquant'anni che adesso avete voi non vi crederanno, e vi conforteranno col tono bonario che si usa con i pazzi quando dicono d'essere sani!". Paolo uscì; tremava leggermente. Come poteva un uomo ridursi così? Era chiaro: niente mai meditazione, niente mai volontà, niente mai autocritica, e quindi niente coraggio, niente dignità, niente luce intellettuale, niente superiorità sulla morte. Lo spirito, relegato nella stiva del corpo, costretto a servirlo per renderne infiniti i godimenti, ora si limitava a sbattere le sue catene per annunziare che il padrone colava a picco.
  • Ci sono sofferenze che scavano nella persona come i buchi di un flauto, e la voce dello spirito ne esce melodiosa.
  • L'anima è eterna, e quello che non fa oggi, può farlo domani.
  • L'avvenire non è un probabile dono del ciclo, ma è reale, legato al presente come una sbarra di ferro, immersa nel buio, alla sua punta illuminata.
  • La felicità è la ragione.
  • Un uomo può avere due volte vent'anni senz'averne quaranta.

Incipit de Gli anni perduti[modifica]

Un giorno di settembre, Leonardo Barini lasciò Roma, ove dirigeva la rivista letteraria Campoformio, e fece ritorno a Natàca, città Mediterranea e sua città natale.[14]

Citazioni su Vitaliano Brancati[modifica]

  • Brancati è lo scrittore italiano che meglio ha rappresentato le due commedie italiane, del fascismo e dell'erotismo in rapporto tra loro e come a specchio di un paese in cui il rispetto della vita privata e delle idee di ciascuno e di tutti, il senso della libertà individuale, sono assolutamente ignoti. Il fascismo e l'erotismo però sono anche, nel nostro paese, tragedia: ma Brancati ne registrava le manifestazioni comiche e coinvolgeva nel comico anche le situazioni tragiche. (Leonardo Sciascia)
  • Ho sempre amato questo scrittore e gli debbo molto. Certe sue pagine posso dire di averle addirittura vissute. (Leonardo Sciascia)
  • Il limite fondamentale di uno scrittore così dotato come Brancati sta nel fatto che egli tende a esemplificare la sua interessante problematica, che investe profondamente proprio la diseducazione italiana, su casi dati per natura, e quindi ne vanifica la necessità, riducendola alla casuale fisiologia del Bell'Antonio o di Paolo il Caldo. Questi limiti sono anche limiti artistici: Brancati non riesce a concludere un romanzo perché la natura non conclude mai, se non con la morte, e gli impotenti restano impotenti, e i caldi, caldi. (Cesare Cases)
  • Il suo istinto era di considerare la donna o come un essere angelicato o come un essere di piacere; la sua ragione invece lo portava a trovare un connubio tra questi due aspetti. (Anna Proclemer)
  • La Sicilia era fondamentale per lui, anche se era una forma di amore e odio perché la Sicilia gli dava l'ispirazione, il materiale per la sua arte, e nello stesso tempo gli dava, per oscure radici proprio genetiche, la ragione di certe sue angoscie e contraddizioni. Non poteva farne a meno e l'amava e l'odiava allo stesso tempo. (Anna Proclemer)
  • Passava i giorni con Interlandi.[15] Fu redattore di "Quadrivio" e scrisse una commedia intitolata Piave, nella quale appariva il duce in cielo. Mussolini ricevette Brancati e si congratulò con lui. Tutto questo non ha valore, perché Brancati, "il Mondo" e tutta la compagnia liberale è destinata a finire a calci nel sedere e a leccare le scarpe al prossimo dittatore. Non c'è scampo. (Leo Longanesi)
  • Quella siciliana sta al centro della amata letteratura speculativa meridionale. Nella mia formazione incidono De Roberto, Tomasi di Lampedusa, Sciascia, Consolo, Brancati. E Brancati sta sopra tutti. Il più grande. Anche per la lingua di assoluta bellezza. Cosa che non si può dire di altri. [«Non si può dire di Sciascia?»] Non mi permetterei mai di azzardare confronti affettati, ma in Brancati ho sempre colto la cifra del grande narratore, più chiaro. Sciascia ha attraversato le forme del romanzo proponendo nella struttura l’aspetto pamphlettistico o saggistico. Ma lo stesso Sciascia diceva che a Brancati non veniva riconosciuto spazio adeguato. Come conviene anche Roberto Andò, un amico di Sciascia, un ponte fra me e Sciascia, lo scrittore di Racalmuto capace di nutrire il romanzesco di inchieste sul sociale. (Toni Servillo)

Note[modifica]

  1. Da Diario romano, 1947.
  2. a b Citato in Pierluigi Battista, Da Buzzati a Flaiano autori senza ideologia, Corriere.it, 11 luglio 2010.
  3. Da Il diavolo mediocre di Pia Bellentani, L'Europeo, n. 12, 1952, p. 22; anche in Il borghese e l'immensità: Scritti 1930-1954, Bompiani, 1973.
  4. Da Lettere al direttore, Bompiani.
  5. Citato in: Roberto Gervaso, Ve li racconto io, Mondadori, Milano, 2006, p. 88. ISBN 88-04-54931-9
  6. Citato in Vincenzo Consolo, Delle cose di Sicilia, Palermo, Sellerio, 1986. Scritto disponibile in Le 9 liriche del grande Piccolo Vincenzo Consolo, Vincenzo Consolo.it, marzo 2002.
  7. Da Il momento fotografico; in Opere 1932-1946, a cura di Leonardo Sciascia, Classici Bompiani, Milano, 1987, p. 106.
  8. Da Lettere al direttore (1938), in Romanzi e saggi – Vitaliano Brancati, a cura di Marco Dondero, Mondadori, Milano, 2003.
  9. Da una lettera ad Anna Proclemer; nella prima puntata del programma Vitaliano Brancati: la presenza, il segno di Bruno Russo, Rai Teche; video disponibile in Vitaliano Brancati: la presenza, il segno, Regionesicilia.rai.it.
  10. Citato in Giancarlo Giannini: "Grazie a Turi Ferro amo la Sicilia", Live Sicilia.it, 12 gennaio 2014.
  11. Da Diario romano, 1947.
  12. Citato in Mostre: 130 opere del "gruppo di Scicli" a Catania, Agi.it, 17 aprile 2004.
  13. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  14. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
  15. «Telesio Interlandi, direttore di "Tevere", fascista e filogermanico». Cfr. Roberto Gervaso, Ve li racconto io, Milano, Mondadori, 2006, p. 88.

Bibliografia[modifica]

  • Vitaliano Brancati, Don Giovanni in Sicilia, Valentino Bompiani, 1988.
  • Vitaliano Brancati, I piaceri, Tascabili Bompiani, Milano, 1980.
  • Vitaliano Brancati, Il bell'Antonio, Tascabili Bompiani, 1987.
  • Vitaliano Brancati, Il bell'Antonio, Tascabili Bompiani, 1988.
  • Vitaliano Brancati, Paolo il caldo, Bompiani.

Filmografia[modifica]

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]