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Zygmunt Bauman

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Zygmunt Bauman nel 2013

Zygmunt Bauman (1925 – 2017), sociologo e filosofo polacco.

Citazioni di Zygmunt Bauman

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  • Penso che la cosa più eccitante, creativa e fiduciosa nell'azione umana sia precisamente il disaccordo, lo scontro tra diverse opinioni, tra diverse visioni del giusto, dell'ingiusto, e così via. Nell'idea dell'armonia e del consenso universale, c'è un odore davvero spiacevole di tendenze totalitarie, rendere tutti uniformi, rendere tutti uguali. Alla fine questa è un'idea mortale, perché se davvero ci fosse armonia e consenso, che bisogno ci sarebbe di tante persone sulla terra? Ne basterebbe una: lui o lei avrebbe tutta la saggezza, tutto ciò che è necessario, il bello, il buono, il saggio, la verità. Penso che si debba essere sia realisti che morali. Probabilmente dobbiamo riconsiderare come incurabile la diversità del modo di essere umani.[1]
  • L'attenzione verso il corpo si è trasformata in una preoccupazione assoluta e nel più ambito passatempo della nostra epoca.[2]
  • L'estensione della responsabilità di cui «La società del rischio» ha bisogno e di cui non può fare a meno se non al costo di esiti catastrofici non può essere argomentata o favorita nei termini che sono più comuni e approvati nel nostro tipo di società: quelli dello scambio equo e della reciprocità dei benefici. Qualunque altra cosa si vuole che sia la morale cercata, dev'essere prima di tutto un'etica dell'autolimitazione.[3]
  • La nostra vita è un'opera d'arte – che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no. Per viverla come esige l'arte della vita dobbiamo – come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere obiettivi che siano (almeno nel momento in cui li scegliamo) ben oltre la nostra portata, e standard di eccellenza irritanti per il loro modo ostinato di stare (almeno per quanto si è visto fino allora) ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare. Dobbiamo tentare l'impossibile. E possiamo solo sperare – senza poterci basare su previsioni affidabili e tanto meno certe – di riuscire prima o poi, con uno sforzo lungo e lancinante, a eguagliare quegli standard e a raggiungere quegli obiettivi, dimostrandoci così all'altezza della sfida. L'incertezza è l'habitat naturale della vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane. Sfuggire all'incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità. È per questo che una felicità «autentica, adeguata e totale» sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso.[4]
  • Il terreno su cui poggiano le nostre prospettive di vita è notoriamente instabile, come sono instabili i nostri posti di lavoro e le società che li offrono, i nostri partner e le nostre reti di amicizie, la posizione di cui godiamo nella società in generale e l'autostima e la fiducia in noi stessi che ne conseguono. Il "progresso", un tempo la manifestazione più estrema dell'ottimismo radicale e promessa di felicità universalmente condivisa e duratura, si è spostato all'altra estremità dell'asse delle aspettative, connotata da distopia e fatalismo: adesso "progresso" sta ad indicare la minaccia di un cambiamento inesorabile e ineludibile che invece di promettere pace e sollievo non preannuncia altro che crisi e affanni continui, senza un attimo di tregua. Il progresso è diventato una sorta di "gioco delle sedie" senza fine e senza sosta, in cui un momento di distrazione si traduce in sconfitta irreversibile ed esclusione irrevocabile. Invece di grandi aspettative di sogni d'oro, il "progresso" evoca un'insonnia piena di incubi di "essere lasciati indietro", di perdere il treno, o di cadere dal finestrino di un veicolo che accelera in fretta.[5]
  • In ogni Paese, ormai la popolazione è una somma di diaspore.[6]
  • La "comunità" è ormai un altro nome del paradiso perduto.[7]
  • Lo Stato si priva di una sempre più grande dose della sua potenza autarchica, e quindi diventa incapace di assumersi l'insieme delle sue funzioni. Lo Stato, per dovere, ma con l'entusiasmo degno di una causa migliore, delega i propri compiti, anzi lì dà "in affitto" alle forze di mercato, che sono anonime, prive di un volto. Di conseguenza i compiti che sono vitali per il funzionamenti e il futuro della società sfuggono alla supervisione della politica e quindi a ogni controllo democratico. Il risultato: si affievolisce il senso di comunità e si frantuma la solidarietà sociale. Se non fosse per la paura degli immigrati e dei terroristi, l'idea stessa dello Stato come un bene comune e una comunità di cittadini sarebbe fallita.[8]
  • Nella moderna vita liquida non esistono legami permanenti, e quelli che stringiamo... devono essere allentati per poter essere sciolti... quando cambiano le circostanze.[9]
  • Oggi, il modo con cui guadagniamo i mezzi per vivere, i valori della professionalità, la valutazione che la società dà alle virtù e ai successi, i legami intimi e i diritti acquisiti, tutto questo è fragile, provvisorio e soggetto alla revoca. E nessuno sa quando e da dove arriverà il colpo fatale. Mentre i nostri antenati sapevano bene che occorreva avere paura di lupi affamati o dei banditi sui cigli delle strade. Non è quindi l'astrazione a rendere i pericoli in apparenza più gravi, ma la difficoltà di collocarli, e quindi di evitarli e di controbatterli.[8]
  • Sarebbe bello poter pensare che la nostra civiltà proceda verso il regno di ragione e delle moralità, seppure con qualche incidente di percorso. Ma non è così, purtroppo. Alcuni osservatori coltissimi sostengono che le impertinenti ambizioni della modernità sono cominciate con lo choc causato dal terremoto a Lisbona (nel 1755, ne ha dedicato pagine memorabili Voltaire, ndr): una natura cieca, priva di ogni razionalità, indifferente alle distinzioni tra virtù e peccato tra merito e colpa, colpisce a casaccio. Occorre quindi arginare la forza degli elementi, costringere la natura ad adoperare le categorie del bene e del male. E con l'ausilio della ragione e della tecnica l'umanità darà un ordine morale a un caos amorale. [...] I risultati sono diversi dalle intenzioni. Non siamo riusciti a convincere la natura a ubbidire all'immaginazione umana di pregi e difetti. Però le conseguenze delle nostre azioni, ineccepibili dal punto di vista tecnico, ci colpiscono con una crudeltà irrazionale, crudeltà che finora attribuivamo proprio e solo alla natura.[8]
  • Se il valore è definito dalle cose che si acquisiscono... l'esclusione è umiliante.[7]
  • Viviamo in un mondo sempre più globalizzato. Questo significa che tutti noi, consapevolmente o meno, dipendiamo gli uni dagli altri.[10]
Nascono sui confini le nuove identità, Corriere della Sera, 24 maggio 2009
  • Chiamiamo «pulizia» la rimozione di ciò che è indesiderabile, il ristabilimento dell'ordine. «Pulizia» significa ordine.
  • I confini dividono lo spazio; ma non sono pure e semplici barriere. Sono anche interfacce tra i luoghi che separano. In quanto tali, sono soggetti a pressioni contrapposte e sono perciò fonti potenziali di conflitti e tensioni.
  • I confini sono tracciati per creare differenze, per distinguere un luogo dal resto dello spazio, un periodo dal resto del tempo, una categoria di creature umane dal resto dell' umanità... Creare delle differenze significa modificare le probabilità: rendere certi eventi più probabili e altri meno, se non addirittura impossibili.
  • I «confini spontanei», costituiti dal rifiuto di una commistione, anziché da cemento e filo spinato, svolgono una doppia funzione: oltre ad avere lo scopo di separare, hanno anche il ruolo/destino di essere delle interfacce, di promuovere quindi incontri, interazioni e scambi, e in definitiva una fusione di orizzonti cognitivi e pratiche quotidiane.
  • Il confine protegge (o almeno così si spera o si crede) dall'inatteso e dall'imprevedibile: dalle situazioni che ci spaventerebbero, ci paralizzerebbero e ci renderebbero incapaci di agire. Più i confini sono visibili e i segni di demarcazione sono chiari, più sono «ordinati» lo spazio e il tempo all'interno dei quali ci muoviamo. I confini danno sicurezza. Ci permettono di sapere come, dove e quando muoverci. Ci consentono di agire con fiducia.
  • La cultura, dagli inizi e per tutta la sua lunga storia, ha continuato a seguire lo stesso modello: usa dei segni che trova o costruisce per dividere, distinguere, differenziare, classificare e separare gli oggetti della percezione e della valutazione, e i modi preferiti/raccomandati/imposti di rispondere a quegli oggetti. La cultura consiste da sempre nella gestione delle scelte umane.
  • Le frontiere, materiali o mentali, di calce e mattoni o simboliche, sono a volte dei campi di battaglia, ma sono anche dei workshop creativi dell'arte del vivere insieme, dei terreni in cui vengono gettati e germogliano (consapevolmente o meno) i semi di forme future di umanità.
  • Nella storia nulla è predeterminato; la storia è una traccia lasciata nel tempo da scelte umane molteplici e di diversa origine, quasi mai coordinate.
  • Ogni modello di ordine spaziale divide gli esseri umani in «desiderabili» e «indesiderabili».
  • Ordine vuol dire la cosa giusta al posto giusto e al momento giusto. Sono i confini a determinare quali sono le cose, i luoghi e i momenti giusti.

Amore liquido

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Incipit

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Ulrich, l'eroe del grande romanzo di Robert Musil, era — come il titolo stesso dell'opera ci informa — Der Mann ohne Eigenschaften: l'uomo senza qualità. Non avendo qualità proprie, ereditate o definitivamente e inscindibilmente acquisite, Ulrich doveva conquistarsi qualunque qualità potesse desiderare ricorrendo al proprio ingegno e acume; tuttavia, nessuna di queste qualità acquisite aveva garanzia di durata eterna in un mondo pieno di segnali sconcertanti, incline a mutamenti repentini e assolutamente imprevedibili. (dalla prefazione)

Citazioni

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  • Il principale eroe di questo libro è la relazione umana, mentre gli altri protagonisti sono uomini e donne, nostri contemporanei, disperati perché abbandonati a se stessi, che si sentono degli oggetti a perdere, che anelano la sicurezza dell'aggregazione e una mano su cui poter contare nel momento del bisogno, e quindi ansiosi di «instaurare relazioni» ma al contempo timorosi di restare impigliati in relazioni «stabili», per non dire definitive, poiché paventano che tale condizione possa comportare oneri e tensioni che non vogliono né pensano di poter sopportare e che dunque possa fortemente limitare la loro tanto agognata libertà di... sì, avete indovinato, di instaurare relazioni. (VI)
  • Sembra proprio una situazione senza via d'uscita. Peggio ancora, sembra comportare un odioso paradosso: la relazione non solo non soddisfa il bisogno che doveva (si sperava dovesse) placare, ma lo rende ancor più intenso e bruciante. Hai cercato una relazione nella speranza di mitigare l'insicurezza che ossessionava la tua solitudine; ma la terapia non ha fatto altro che accentuare i sintomi, e forse ora ti senti ancora più insicuro di prima, anche se la «nuova e aggravata» insicurezza nasce da cause diverse. Se pensavi che gli interessi sul tuo investimento nell'azienda sarebbero stati pagati nella valuta pregiata della sicurezza, sembri proprio partito dalle premesse sbagliate. (p. 22)
  • Impegnarsi in una relazione che è «insignificante nel lungo termine» (cosa che entrambi i partner sanno bene!) è un'arma a doppio taglio. Fa della decisione di continuare o interrompere l'investimento una questione di calcolo; niente assicura tuttavia che il tuo partner non desideri, in caso di necessità, esercitare una uguale discrezione e non voglia essere libero di farlo qualora lo desideri. La consapevolezza di tal stato di cose accresce ulteriormente la tua insicurezza, e questo piccolo sovrappiù è quello più difficile da accettare. (p. 22)
  • La "relazione tascabile" è l’incarnazione dell’istantaneità e della smaltibilità. […]
    Prima condizione: la relazione dev'essere intrapresa in piena coscienza e con giudizio. Niente «amore a prima vista», ricordatelo bene. Niente innamoramento; niente ridda di emozioni che ti tolgono il respiro: né le emozioni che chiamiamo «amore», né quelle che descriviamo giudiziosamente come «desiderio». Non farti sopraffare e intimidire, e soprattutto non farti mai strappare di mano la calcolatrice. E non permettere a te stesso di scambiare ciò che la relazione che stai per instaurare è per quello che non è e non deve essere. La convenienza è l'unica cosa che conta, e la convenienza è qualcosa che richiede mente lucida, non cuore caldo (e tanto meno surriscaldato). Minore è l'ipoteca, meno insicuro ti sentirai quando sarai esposto alle fluttuazioni del futuro mercato immobiliare; meno investi nella relazione, meno insicuro ti sentirai quando sarai esposto alle fluttuazioni delle tue emozioni future.
    Seconda condizione: mantienila sempre inalterata. Ricorda che ci vuole poco perché la convenienza si trasformi nel suo opposto. E dunque, fa sì che la relazione non sfugga mai al controllo razionale, non permettere che sviluppi la propria logica e soprattutto che acquisisca diritti di possesso — che scivoli via di tasca. Stai sempre all'erta. Non abbassare mai la guardia. Osserva attentamente anche più piccoli cambiamenti... […] Se noti qualcosa che non avevi contrattato e che non ti interessa sappi che è "tempo di emigrare". (pp. 31-32)
  • Chattiamo e abbiamo degli amici con cui chattare. Gli amici, come ogni «chattomane» sa bene, vanno e vengono, si connettono e si sconnettono — ma ce n'è sempre qualcuno in linea che smania dalla voglia di sommergere il silenzio coi suoi «messaggi». Nel genere di relazione «da amico ad amico», non i messaggi in quanto tali, ma l'andirivieni dei messaggi, la circolazione di messaggi sono il messaggio, non importa il contenuto. Il senso di appartenenza si esplicita nel costante flusso di parole e frasi incomplete (abbreviate, troncate per accelerare la circolazione). Il senso di appartenenza sta nel parlare, non in ciò di cui si parla. (p. 49)

Cose che abbiamo in comune. 44 lettere dal mondo liquido

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  • Il sesso è stato tradizionalmente un’attività molto privata, riservata. E a questo deve forse la sua potente capacità di creare solidi legami tra le persone. Privandolo della sua riservatezza potremmo spogliarlo anche del potere di tenere uniti uomini e donne.
  • Nel mondo liquido-moderno la solidità delle cose, così come la solidità dei rapporti umani, tende a essere considerata male, come una minaccia: dopotutto, qualsiasi giuramento di fedeltà e ogni impegno a lungo termine (per non parlare di quelli a tempo indeterminato) sembrano annunciare un futuro gravato da obblighi che limitano la libertà di movimento e riducono la capacità di accettare le opportunità nuove e ancora sconosciute che (inevitabilmente) si presenteranno. La prospettiva di trovarsi invischiati per l’intera durata della vita in qualcosa o in un rapporto non rinegoziabile ci appare decisamente ripugnante e spaventosa.
  • Quando si evita a ogni costo di ritrovarsi soli, si rinuncia all’opportunità di provare la solitudine: quel sublime stato in cui è possibile raccogliere le proprie idee, meditare, riflettere, creare e, in ultima analisi, dare senso e sostanza alla comunicazione. Certo, chi non ne ha mai gustato il sapore non saprà mai ciò che ha perso, ha lasciato indietro, a cosa ha rinunciato.

Dentro la globalizzazione

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  • Tutte le parole in voga hanno un destino comune: quante più esperienze pretendono di chiarire, tanto più esse stesse diventano oscure. Quanto più numerose sono le verità ortodosse che esse negano e soppiantano, tanto più rapidamente si trasformano in norme che non si discutono. Spariscono le varie pratiche umane che il concetto tentava all'inizio di mettere in luce, e ora il termine sembra «individuare alla perfezione» «i fatti», o la qualità «del mondo reale», con l'ulteriore pretesa di immunizzarsi da qualsiasi critica. Il termine «globalizzazione» non fa eccezione alla regola. (introduzione; p. 3)
  • Insomma, essere «locali» in un mondo globalizzato è un segno di inferiorità e di degradazione sociale. (introduzione; p. 5)
  • [...] il vero problema dell'attuale stato della nostra civiltà è che abbiamo smesso di farci delle domande. (introduzione; p. 8)
  • L'uniformità nutre il conformismo, e l'altra faccia del conformismo è l'intolleranza. (II; p. 54)
  • Separare l'economia dalla politica e sottrarre la prima agli interventi regolatori della seconda comporta la totale perdita di potere della politica, e fa prevedere ben altro che una semplice ridistribuzione del potere nella società. (III; p. 77)
  • [...] la frammentazione politica e la globalizzazione economica sono alleate e cospirano agli stessi fini.
    L'integrazione e la parcellizzazione, la globalizzazione e la territorializzazione sono quindi processi complementari. (III; p. 78)
  • La sfida è davvero terribile: si deve negare agli altri lo stesso diritto alla libertà di movimento di cui si fa il panegirico definendolo il massimo risultato della globalizzazione mondiale e il segno della sua prosperità crescente... (III; p. 85)
  • Se tra i nostri antenati filosofi, poeti e predicatori si ponevano la questione se si lavorasse per vivere o si vivesse per lavorare, il dilemma che più spesso si sente rimuginare oggi è se si abbia bisogno di consumare per vivere o se si viva per consumare. Qualora si sia ancora capaci di separare il vivere e il consumare, e se ne senta la necessità. (IV; pp. 90-91)
  • Lo scopo del gioco del consumo non è tanto la voglia di acquisire e possedere, né di accumulare ricchezze in senso materiale, tangibile, quanto l'eccitazione per sensazioni nuove, mai sperimentate prima. I consumatori sono prima di tutto raccoglitori di sensazioni: sono collezionisti di cose solo in un senso secondario e derivato. (IV; p. 93)
  • Il vagabondo, ripetiamolo, è l'alter ego del turista. (IV; p. 107)
  • La spettacolarità – la versatilità, durezza e immediatezza – delle operazioni punitive conta più della loro efficacia, che comunque di rado viene saggiata, poiché il pubblico è apatico e capace di brevi attenzioni. (V; p. 131)
  • Eccellere nelle funzioni di polizia è il migliore (forse l'unico) fattore che i governi statali possono mettere sul piatto della bilancia per indurre un capitale avvezzo al nomadismo a investire nel benessere dei propri sudditi; ed è quindi la via più breve che conduce alla prosperità economica del paese, e che dobbiamo sperare generi sensazioni di «benessere» tra gli elettori – a ciò indotti dalle pubbliche dimostrazioni di polizia e di prodezza dello stato.
    La cura dello «stato ordinato», compito una volta complesso e arduo, che riflette le diverse ambizioni e le ampie e molteplici forme della sua sovranità, di conseguenza si restringe oggi alla lotta contro la criminalità. (V; p. 132)

La società individualizzata

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  • Tutti i punti di riferimento che davano solidità al mondo e favorivano la logica nella selezione delle strategie di vita (i posti di lavoro, le capacità, i legami personali, i modelli di convenienza e decoro, i concetti di salute e malattia, i valori che si pensava andassero coltivati e i modi collaudati per farlo), tutti questi e molti altri punti di riferimento un tempo stabili sembrano in piena trasformazione. Si ha la sensazione che vengano giocati molti giochi contemporaneamente, e che durante il gioco cambino le regole di ciascuno. Questa nostra epoca eccelle nello smantellare le strutture e nel liquefare i modelli, ogni tipo di struttura e ogni tipo di modello, con casualità e senza preavviso. (L'istruzione nell'età postmoderna: p. 159)
  • Il successo nella vita di uomini e donne postmoderni dipende dalla velocità con cui riescono a sbarazzarsi di vecchie abitudini piuttosto che da quella con cui ne acquisiscono di nuove. La cosa migliore è non preoccuparsi di costruire modelli; il tipo di abitudine acquisito con l'apprendimento terziario consiste nel fare a meno delle abitudini. (p. 160)
  • I tipi di competenze richiesti per praticare occupazioni flessibili, nel complesso, non comportano un apprendimento sistematico e a lungo termine; più frequentemente, essi trasformano in svantaggio un corpo logicamente coerente e ben conformato di capacità e abitudini acquisite, che un tempo costituiva una risorsa. (p. 167)

Paura liquida

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  • La fiducia si trova in difficoltà nel momento in cui ci rendiamo conto che il male si può nascondere ovunque; che esso non è distinguibile in mezzo alla folla, non ha segni particolari né usa carta d'identità; e che chiunque potrebbe trovarsi a essere reclutato per la sua causa, in servizio effettivo, in congedo temporaneo o potenzialmente arruolabile. (p. 86)
  • Le reti di legami umani, un tempo radure ben protette e isolate nella giungla [...], si trasformano in zone di frontiera in cui occorre ingaggiare interminabili scontri quotidiani per il riconoscimento. [...] Complessivamente i rapporti cessano di essere àmbiti di certezza, tranquillità e benessere spirituale, per diventare una fonte prolifica di ansie. (p. 88)
  • La guerra moderna alle paure umane, sia essa rivolta contro i disastri di origine naturale o artificiale, sembra avere come esito la redistribuzione sociale delle paure, anziché la loro riduzione quantitativa. (p. 102)
  • La comprensione nasce dalla capacità di gestire. Ciò che non siamo in grado di gestire ci è «ignoto»; e l'«ignoto» fa paura. La paura è un altro nome che diamo al nostro essere senza difese. (p. 119)
  • La generazione meglio equipaggiata tecnologicamente di tutta la storia umana è anche la generazione afflitta come nessun'altra da sensazioni di insicurezza e di impotenza. (p. 126)
  • I pericoli che temiamo più sono immediati e dunque è comprensibile che desideriamo rimedi anch'essi immediati: soluzioni «bell'e pronte» che diano sollievo sul momento, analgesici acquistabili anche senza prescrizioni mediche. [...] ci infastidiscono le soluzioni che ci chiedano di prestare attenzione ai nostri difetti e misfatti, che ci impongano – socraticamente – di «conoscere noi stessi». (pp. 142-143)
  • La vera guerra al terrorismo – che può essere vinta – non si conduce devastando ulteriormente le città e i villaggi semidistrutti dell'Iraq o dell'Afghanistan, ma cancellando i debiti dei Paesi poveri, aprendo i nostri ricchi mercati ai prodotti di base di questi paesi, finanziando l'istruzione per i 115 milioni di bambini attualmente privi di qualsiasi accesso alla scuola e conquistando, deliberando e attuando altri provvedimenti simili. (p. 137)
  • Chi è insicuro tende a cercare febbrilmente un bersaglio su cui scaricare l'ansia accumulata e a ristabilire la perduta fiducia in sé stesso cercando di placare quel senso di impotenza che è offensivo, spaventoso e umiliante. (p. 153)
  • Come un circolo vizioso, la minaccia terroristica si trasforma in ispirazione per un nuovo terrorismo, disseminando sulla propria strada quantità sempre maggiori di terrore e masse sempre più vaste di gente terrorizzata. (p. 154)
  • Come un capitale liquido, pronto per ogni genere di investimento, il capitale della paura può essere – ed è – trasformato in qualsiasi genere di profitto, commerciale o politico. (p. 180)
  • La paura c'è e satura quotidianamente l'esistenza umana, mentre la deregulation planetaria penetra fin nelle sue fondamenta e i baluardi difensivi della società civile cadono in pezzi. (p. 190)
  • Possiamo profetizzare che, a meno di essere imbrigliata e addomesticata, la nostra globalizzazione negativa, che oscilla tra il togliere la sicurezza a chi è libero e offrire sicurezza sotto forma di illibertà, renderà la catastrofe ineluttabile. Se non si formula questa profezia, e se non la si prende sul serio, l'umanità ha poche speranza di renderla evitabile. L'unico modo davvero promettente di iniziare una terapia contro la crescente paura che finisce per renderci invalidi è reciderne le radici: poiché l'unico modo davvero promettente di continuarla richiede che si affronti il compito di recidere quelle radici. Il secolo che viene può essere un'epoca di catastrofe definitiva. O può essere un'epoca in cui si stringerà e si darà vita a un nuovo patto tra intellettuali e popolo, inteso ormai come umanità. Speriamo di poter ancora scegliere tra questi due futuri. (Conclusione; p. 220)

Incipit di Per tutti i gusti

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Un’indagine condotta da un gruppo di ricercatori sotto la guida dell'illustre sociologo di Oxford John Goldthorpe in Gran Bretagna, Cile, Ungheria, Israele e Olanda, ci dice che al giorno d'oggi non è più tanto facile distinguere una élite culturale da quelli che si trovano più in basso nella gerarchia culturale sulla base di vecchi indicatori, come ad esempio la presenza assidua a opere e concerti, l'entusiasmo per tutto ciò che è considerato «arte alta» in un determinato momento, e l'abitudine di storcere il naso nei confronti di «tutto ciò che piace alla massa, come una canzone pop o la televisione popolare».

Note

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  1. Dall'intervista di Luciano Minerva, RaiNews24, 2003. Riportata su SitoComunista.it.
  2. Da La società dell'incertezza.
  3. Da Le sfide dell'etica, Feltrinelli, Milano, 1996, p. 224.
  4. Da L'arte della vita, trad. it., Bari, 2009.
  5. Da Modus vivendi, Laterza, 2008.
  6. Citato in AA.VV., Il libro della sociologia, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 140. ISBN 9788858015827
  7. a b Citato in AA.VV., Il libro della sociologia, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 143. ISBN 9788858015827
  8. a b c Da In questo mondo di lupi, intervista a Wlodek Goldkorn, L'espresso, anno LIII, n. 52, 3 gennaio 2008, pp. 93 sg.
  9. Citato in AA.VV., Il libro della sociologia, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 142. ISBN 9788858015827
  10. Citato in AA.VV., Il libro della sociologia, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 141. ISBN 9788858015827

Bibliografia

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  • Zygmunt Bauman, Cose che abbiamo in comune. 44 lettere dal mondo liquido, Editori Laterza, 2012. ISBN 978-88-420-9922-2
  • Zygmunt Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, traduzione di Oliviero Pesce, Laterza, Roma-Bari, 2005. ISBN 8842062588
  • Zygmunt Bauman, La società individualizzata, il Mulino, Bologna, 2001.
  • Zygmunt Bauman, Paura liquida, Laterza, Bari, 2009. ISBN 8842089737
  • Zygmunt Bauman, Per tutti i gusti. La cultura nell'età dei consumi, traduzione di Daniele Francesconi, Laterza, 2016. ISBN 9788858105139
  • Zygmunt Bauman, Amore liquido, ttaduzione di Sergio Minucci, Editori Laterza, 2006. ISBN 978-88-420-7964-4

Altri progetti

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