Ṛgveda Saṃhitā

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Oṁ, la sillaba sacra presso le religioni induiste, (alfabeto devanagari)

Ṛgveda Saṃhitā ("raccolta per la conoscenza degli inni"), raccolta di inni sacri in sanscrito vedico.

Incipit[modifica]

Io magnifico Dio, il Divino Fuoco,
il sacerdote, Ministro del sacrificio,
l'Offerente dell'oblazione, Datore supremo di tesori.

Oṁ agnim īḷe purohitaṃ
yajñasya devaṃ ṛtvījam
hotāraṃ ratnadhātamam

[in I Veda. Mantramañjarī]

Citazioni[modifica]

  • Io proclamerò le grandi gesta di Viṣṇu | che misurò le regioni della terra e sostenne | i cieli di sopra, compiendo nel suo percorso | tre grandi passi. || Per questa prodezza Viṣṇu è acclamato. | Egli abita le montagne, come una bestia selvaggia | che erra a suo piacere; nei suoi tre grandi passi | sono stabiliti tutti i mondi. (I, 154, 1-2; 2001)
  • Lo chiamano Indra, Mitra, Varuna, | Agni o il celeste uccello solare Garutmat, | I veggenti chiamano in molti modi ciò che è Uno; | parlano di Agni, Yama. Matarisvan. (I, 164, 46; 2001)
  • Due uccelli, amici inseparabili, vivono fianco a fianco sullo stesso albero (l'Universo). Uno (l'essere individuale) mangia il frutto [dell'azione], l'altro (l'essere universale) guarda, ma non mangia nulla. (I, 174, 20; citato in Alain Daniélou, Miti e dèi dell'India, traduzione di Verena Hefti, BUR, 2008)
  • La sua voce risuona nello strepito dei tamburi in mezzo alla battaglia.[1] (II, 33, 11; citato in Alain Daniélou, Śiva e Dioniso, Ubaldini Editore, 1980)
  • Meditiamo sullo splendore glorioso | del divino Vivificatore. | Possa Egli illuminare le nostre menti. (III, 62, 10; 2001)[2]
tat savitur vareṇyaṃ | bhargho devasya dhīmahi | dhiyo yo naḥ pracodayāt
  • Là dove si insediano le gioie e i piaceri, e i passatempi e i favori, dove si realizzano i desideri del desiderio, fa che là io sia un immortale! (IX, 113; 1999)
  • Indagando nel cuore, i poeti riuscirono a scoprire | con la riflessione il legame fra il non essere e l'essere. (10, 12, 9, 4; citato in Roberto Calasso, L'ardore, Adelphi, 2010)
  • Quanti fuochi, quanti soli, quante aurore, | quante mai sono le acque? Non ve lo dico | per sfida, o voi Padri. Lo chiedo per sapere, | o voi poeti. (10, 88, 18; citato in Roberto Calasso, L'ardore, Adelphi, 2010)
  • È quegli che dà il respiro, la forza è il suo dono... | I sommi dèi obbediscono ai suoi voleri. | La sua ombra è vita, la sua ombra è morte, | chi è colui al quale offriremo il nostro sacrificio? || La sua potenza l'ha reso signore del vivo e rutilante mondo, | ha sottomesso alle sue leggi gli uomini e gli animali. | Chi è colui... || Dalla sua forza prendono l'esistenza le montagne, il mare, | e il fiume remoto: | sono questi il suo corpo e le sue braccia. | Chi è colui... || Ha fatto il cielo e la terra, fissandone il luogo, | ma essi lo guardano e tremano. | Il sole levato continua a splendere su di lui. | Chi è colui... || Ha scrutato le acque che custodivano il suo potere e generarono il sacrificio. | È il dio di tutti gli dèi | Chi è colui... || Non ci colpirà un giorno chi fece la terra, | e il cielo e il mare splendente? | Chi è colui al quale offriremo il nostro sacrificio? (X, 121, 2-8; citato in John Steinbeck, Al Dio sconosciuto, traduzione di Eugenio Montale, Bompiani, Milano, 2011, epigrafe)
  • Mi muovo con i Rudra e anche con i Vasu, | mi muovo con gli Àditya e tutti gli Dei. | Sostengo sia Mitra che Varuna, | lndra e Agni e i due Asvin. || Sostengo Soma l'esuberante; | sostengo Tvastar, Pusan e Bhaga. | Riverso ricchezza su colui che offre l'oblazione, | l'adoratore e il pio spremitore di Soma. || Io sono la Regina che governa, colei che accumula tesori, | piena di saggezza, la prima di coloro che sono degni di adorazione. | In diversi luoghi le energie divine mi hanno posta. | Io entro in molte case e assumo numerose forme. || L'uomo che vede, che respira, che sente parole pronunciate, | ottiene il proprio nutrimento solo attraverso me. | Pur non riconoscendomi, egli dimora in me. | Ascolta, tu che conosci! Ciò che io dico è degno di fede. || Proprio io annuncio e pronuncio le notizie | che gli Dei e gli uomini ugualmente amano udire. | L'uomo che amo faccio crescere in forza. | Io ne faccio un sacerdote, un saggio oppure un colto veggente. || Proprio io traccio il potente arco del Dio, | possa una freccia trapassare chi odia la Sacra Parola. | Tra le genti io eccito la lotta | e ho permeato Terra e Cielo. || Alla sommità del mondo io genero il Padre. | La mia origine è nelle Acque, nell'oceano. | Di là io mi estendo attraverso tutti i mondi esistenti | e perfino tocco il cielo con la mia fronte. || Io espiro potentemente come il vento stringendo | a me tutti i mondi, tutte le cose che esistono. | Torreggio sopra la terra, sopra i cieli, | tanto potente io sono nella mia forza e nel mio splendore! (X, 125, 1-8; 2001)
  • In quel tempo non vi era l'essere, non vi era il non-essere. Non vi era lo spazio né, al di là, il firmamento. Qual era il contenuto? Dov'era? Sotto la custodia di chi? Che era l'acqua profonda, l'acqua senza fondo?
    In quel tempo non v'era la morte né la non-morte, nessun segno che distinguesse la notte dal giorno. L'Uno respirava sereno, autosufficiente, senza null'altro che esistesse.
    In origine fu tenebra nascosta nella tenebra, tutto ciò che si vedeva era l'onda indistinta. Avvolto nel caos, il Divenente, l'Uno, pulsava per suo stesso fervore.
    Per primo si sviluppò il Desiderio, che fu il primo germe del Pensiero. Cercando con riflessione nelle loro anime, i Saggi trovarono nel non-essere il legame dell'essere. Il balenare che illuminò il buio abissale e il caos fu in alto? Fu in basso? Chi potrà dirlo mai? (X, 129; 1999)
  • Dall'Ardore fiammeggiante venne l'Ordine Cosmico | e la Verità; di là fu generata l'oscura notte; | di là l'Oceano con le sue onde fluttuanti. (X, 190; 2001)

Citazioni su Ṛgvedasaṃhitā[modifica]

  • Degli inni del Ṛgveda si dice che furono visti dai ṛṣi. Perciò i ṛṣi possono essere definiti «veggenti». Videro gli inni come si vede un albero o un fiume. (Roberto Calasso)
  • Il Ṛgveda, dopo tutto, può anche essere letto come l'esempio più grandioso – e anche convincente – di poesia simbolista; mentre le Upaniṣad, lo riconobbe subito Schopenhauer, possono essere lette come un primo testo metafisico. Ma i Brāhmaṇa non erano né poesia né filosofia. (Roberto Calasso)
  • Il Rigveda è il documento letterario più antico dell'India, anzi secondo Max Müller, gl'inni sacri che esso contiene non hanno rivale nella letteratura mondiale, e la loro conservazione ben può chiamarsi miracolosa. In altri termini, il Rigveda è il libro più vetusto non soltanto dell'India, ma del mondo ariano, e, in un certo senso, di tutta quanta l'umanità. (Carlo Formichi)

Note[modifica]

  1. [Il testo si riferisce a Rudra, divinità vedica corrispondente al successivo Śiva induista.]
  2. È il Gāyatrī mantra, rivolto al Sole, considerato madre dei Veda.

Bibliografia[modifica]

  • La saggezza indiana, a cura di Gabriele Mandel, Rusconi, 1999.
  • Raimon Panikkar, I Veda. Mantramañjarī, a cura di Milena Carrara Pavan, traduzioni di Alessandra Consolaro, Jolanda Guardi, Milena Carrara Pavan, BUR, Milano, 2001.

Voci correlate[modifica]

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