Jorge Valdano

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Jorge Valdano nel 1985

Jorge Alberto Valdano Castellano (1955 – vivente), ex calciatore, dirigente sportivo e allenatore di calcio argentino.

Citazioni di Jorge Valdano[modifica]

  • Chiunque, dovendo andare da un punto A a un punto B, sceglierebbe un'autostrada a quattro corsie impiegando due ore. Chiunque tranne Riquelme, che ce ne metterebbe sei utilizzando una tortuosa strada panoramica, ma riempiendovi gli occhi di paesaggi meravigliosi.[1]

Il sogno di Futbolandia[modifica]

Incipit[modifica]

Quando il calcio è un modo d'essere

La vecchia etica
C'era un tempo in cui sbagliare un passaggio significava molto, in senso negativo. Io ho iniziato la mia carriera professionistica a Rosario, città implacabile con i giocatori scarsi. In uno dei primi allenamenti, diedi la palla al Mono Oberti, vecchio idolo del Newell's, oltre che mio personale, ma il passaggio non fu particolarmente preciso. Il Mono non fece il minimo sforzo per raggiungere la palla, mi guardò come se mi stesse facendo un favore, e disse: «Ragazzino, sul piede! Altrimenti trovati un altro lavoro». Adesso quando un calciatore sbaglia l'appoggio di tre metri, il compagno lo applaude, per evitare che l'autore del passaggio si deprima.

Citazioni[modifica]

  • Pelé, leggenda vivente, nasce in Brasile ma è universale. [...] Il suo corpo si muoveva a tempo con un ritmo atavico e negro, che si adattava armoniosamente al movimento capriccioso della sfera. Le sue qualità muscolari gli permettevano di compiere qualsiasi prodezza; non sapremo mai, per esempio, se Pelé saliva dalla terra o scendeva dal cielo per colpire il pallone in piena fronte con il portiere come vittima e la rete come destinazione finale. Un'altra possibilità era che addomesticasse il pallone con il petto, atterrasse con i piedi a terra, e solo dopo aver atteso un paio di secondi, scegliesse un angolo dove segnare il gol. Sappiamo, questo sì, che il pallone era dalla sua parte, che esisteva un patto di mutua lealtà, di obbedienza. (pp. 18-19)
  • Il calcio brasiliano, sempre bello e spumeggiante, è riuscito con Pelé a far diventare vincenti tutte queste proprietà visive. Se dovessi scegliere una sua qualità, non saprei quale indicare; se dovessi trovargli un difetto, non potrei. Talento, più tecnica, più coraggio, più espressività fisica di un corpo dai movimenti allegri, più la passione per il gioco, eredità culturale di un paese che ama il calcio come il Brasile. (p. 19)
  • La prima volta che vidi giocare Ronaldo, passai tutta la partita a criticarlo invano. Si stringeva nelle spalle per decollare e si lanciava nell'avventura solitaria di fronteggiare i difensori. Ogni volta che toccava il pallone lo allontanava parecchio, troppo, dai suoi piedi, e io, che come ogni spettatore giocavo la mia partita per interposta persona, puntualmente mi lamentavo: «Porca miseria, se l'è allungata troppo». Sembrava che finisse fuori, e invece la raggiungeva; sembrava che fosse in vantaggio il difensore, invece arrivava prima lui; sembrava che fosse del portiere, invece era gol. Il problema è che io misuravo la sua velocità in termini umani e Ronaldo è un portento fisico che fa saltare tutte le previsioni di tempo e distanza. (p. 23)
  • Se lo definisco l'"uomo proiettile", o la "formica atomica", è perché il gioco di Roberto Carlos mi suggerisce solo paragoni esplosivi. Terzino da un estremo all'altro del campo; vicino a una bandierina del corner toglie il pallone all'avversario e vicino all'altra bandierina crossa, tira, o le due cose insieme. La virtù di cui vive, che lo rende unico e della quale a volte abusa, è la potenza. (p. 25)
  • Tutto, in lui, è visione di gioco, tecnica, intelligenza. Sarà per questo che nessuno arriva a innamorarsi di Rivaldo? Perché prescinde dall'aggressività, dalla velocità fisica, dalla potenza e da tutti i moderni derivati? Lui si limita a fintare, arrestarsi e ripartire con la pigrizia di un diesel, mentre i motori a benzina sfrecciano rapidamente, perfino con entusiasmo. (p. 26)
  • Romario è il calcio, perché il calcio è soprattutto inganno e nessuno inganna meglio di Romario. L'estetica della pigrizia, caratteristica inconfondibile del suo creativo padrone, non è altro che una maschera, perché durante il gioco, lui è menzogna che cammina. I movimenti lenti sono la corda di un arco che si tende per scoccare una freccia inattesa, improvvisa e letale. Freccia precisa per ogni bersaglio. (p. 26)
  • La natura aveva premiato Zico col talento, ma in un periodo nel quale il mondo del calcio cominciava a parlare di un calcio fatto di forza, quel fisico non entusiasmava nessuno. Essendo magro, non alto, con le gambe storte e una spalla più bassa dell'altra, il suo talento aveva poche possibilità di sopravvivere, ma quel fuoriclasse aveva ancora più di un asso nella manica: la passione, la volontà, l'abnegazione... (p. 28)
  • Tifosi di tutti i quartieri tradivano le loro squadre del cuore per vedere quel genio [Diego Armando Maradona] per il quale un fazzoletto di terreno era più di un latifondo. Alcuni lo confusero con Dio, e quando sei poco più che un bambino non hai motivo di mettere in dubbio l'opinione dei grandi. (p. 30)
  • Non c'è da preoccuparsi. Il talento calcistico più grande del mondo è custodito in un luogo perfetto: il corpo di Diego Armando Maradona. Il deposito del tesoro – quel cofanetto di ossa, muscoli e tendini che racchiude innumerevoli malizie calcistiche – è in se stesso una meraviglia. (p. 34)
  • Credevo che Diego ripulisse il calcio da ogni male e lo abbellisse con ogni bene, perché in lui coincidevano il genio e la tecnica. Non mi ero soffermato sul corpo. Da allora, Maradona è stato grasso e magro, lento e rapido, sano e infortunato. In varie occasioni, frettolosi specialisti arrivarono a stendere per lui un anno di morte calcistica, probabilmente dimenticando che i gatti, oltre a godere del privilegio di non allenarsi, hanno sette vite. A Maradona ne restavano ancora diverse. (p. 35)
  • Di Maradona basta dire che tutto quel che faceva su un campo di calcio era perfettamente irragionevole. (p. 39)
  • Come sono fragili gli dei del calcio, vero? Diego vive nell'immaginario collettivo come un eroe che ha compiuto l'impresa di renderci felici e vincenti; ma quello è un miracolo pericoloso, come sono pericolosi i bei ricordi che non ti danno una seconda possibilità. Perché senza il pallone, Maradona è solo un uomo che non trova la maniera di essere all'altezza del suo ricordo perfetto. Né ai suoi occhi né agli occhi degli altri. (p. 40)
  • Ogni volta che respiro l'odore dell'erba mi ritorna addosso l'infanzia. (p. 41)
  • Le materie prime del dribbling sono la finta, la partenza, l'arresto, e poi via dove decide l'istinto e il coraggio da provarci. L'obiettivo è eliminare qualcuno: se ci riesce, si apre un orizzonte di spazi; se viene messo giù, c'è comunque un bottino di falli, rigori e ammonizioni; e se perde il pallone, deve sopportare le maledizioni e gli insulti della benedetta tifoseria. (pp. 42-43)
  • Io preferisco vederlo giocare da attaccante perché a centrocampo bisogna fare ciò che si deve e Ariel fa parte di quei giocatori che fanno quello che sentono. È più veloce di quanto sembra, difende il pallone con una malizia che supera la forza, dopo averlo stoppato parte sfidando le leggi della meccanica e della fisica, ha il coraggio morale di chiedere sempre la palla e quello fisico di sopportare i colpi. (p. 43)
  • [Su Ricardo Bochini] Come spiegarvelo? Era Woody Allen che giocava a calcio: un corpo insufficiente per qualsiasi cosa, la faccia tipica di un perdente, un talento pungente, veloce, immenso. Era come un ladro che ausculta una cassaforte inespugnabile mentre le sue dita tirano fuori il segreto della combinazione; fino a quando all'improvviso... clic. Sì, un pallone giocato da lui apriva tutti i catenacci difensivi. Gli bastava un tocco: clic. (p. 43)
  • [Su Ricardo Bochini] Non abbiate fretta di giudicarlo: era un genio che usava la testa per pensare miracoli, il piede destro per realizzarli e il corpo per raccontare bugie gli avversari. Anche così, capisco che è difficile spiegare la sua grandezza a un europeo. Era la sintesi di tutti i vizi e di tutte le qualità più caratteristiche del giocatore argentino; ha saputo condensare una filosofia popolare che privilegia la tecnica e la creatività mentre condanna il sacrificio. (p. 44)
  • [Sull'Uruguay] L'America smisurata gli ha riservato un posticino tra due giganti: Brasile e Argentina. L'asfissia geografica del paesito (176.215 chilometri quadrati) ha sviluppato però un grande orgoglio nella difesa della propria identità. (pp. 53-54)
  • Zinedine Zidane è un elefante (supera gli ottanta chili) col cervello di una ballerina. Il suo incedere è lento, ma le sue decisioni sono agili. (p. 67)
  • Dire che il calcio è capriccioso è un modo di generalizzare. Capricciosi sono i gol. Il gioco è l'argomento, ma il gol è il problema, il dettaglio cruciale, la chiave che apre una porta. (p. 69)
  • Che grande argomento Zinedine Zidane. Ci sono partite così noiose perché c'è poca velocità e altre che sono caotiche per eccesso di velocità. L'unico orologio che segna sempre l'ora giusta è quello di Zidane. Ha una visione panoramica amplissima, sa quando bisogna tenerla o darla, sa quando bisogna giocare corto o lungo, sa quando bisogna allargare per gli esterni o cercare la profondità. In un calcio nel quale la norma è lo scontro fisico, Zidane trova sempre la strada sgombra. (p. 70)
  • Zidane è buono da lontano e da vicino, ma di sicuro, per misurarne meglio l'intelligenza, conviene seguirlo quando la televisione non lo inquadra più. Lui cerca sempre la posizione che metta in difficoltà il marcatore, sorprendendolo alle spalle e scattando nel momento giusto per farsi vedere. Dargli il pallone è come metterlo in cassaforte. Se è di spalle, controlla e si gira con un solo movimento. Godiamocela, Zidane ha già il pallone tra i piedi. Lo nasconde con abilità, lo tocca con la punta del piede, lo calpesta, lo ritrae, lo mostra di nuovo... E lo difende col suo corpo, largo e possente, da falso lento. (p. 73)
  • Verso la metà del secondo tempo, il gioco fu interrotto per un fallo senza importanza e Johan [Cruyff] si mise a protestare. Siccome l'arbitro non smetteva di dargli spiegazioni, andai a dirgli che, se voleva, poteva lasciargli anche il fischietto. Ne approfittai per suggerire a Cruyff di tenere per sé quel pallone e di darcene un altro, visto che in quella partita avevamo qualche diritto anche noi. Mi guardò con una certa aria misericordevole e chiese come mi chiamavo. «Jorge Valdano» gli risposi. «E quanti anni hai?» continuò. E io, obbediente: «Ventuno». Fece una faccia che significava: chissà dove andremo a finire con questi giovani d'oggi, e dall'alto dei suoi gloriosi trent'anni mi mollò uno schiaffo dialettico: «Ragazzino, a ventun anni a Cruyff si dà del lei». (p. 75)
  • Ci sono momenti nei quali un difensore [italiano] sta per spazzare il pallone e si trova, per esempio, con le gambe di un norvegese aperte, spalancate. Un meraviglioso invito al tunnel che un uomo libero non potrebbe mai rifiutare. Il giocatore italiano tende a ignorare la tentazione e a spazzare via lo stesso. (pp. 96-97)
  • [Su Alessandro Del Piero] Trequartista creativo o attaccante, in fondo cambia poco; certo è che quando entra in contatto con il pallone a venticinque metri dalla porta il suo calcio si riempie di soluzioni impreviste e decisive. Colpisce benissimo il pallone (fermo o in movimento), ma quel che più sorprende è la sua capacità di dominarlo, attraversare spazi ampi, entrare nell'area piccola e, in quella zona caldissima dove al 99 per cento si confondono le idee, avere la freddezza di alzare la testa e scegliere il tiro piazzato o il passaggio inatteso. La soluzione sarà sempre la più appropriata. (p. 97)
  • In Italia, il libero di fama internazionale che ha gettato via la scopa con la quale si spazzava l'area, che ha abbandonato le caverne per mettersi a giocare, è stato Gaetano Scirea. Uomo del gioco tranquillo, Scirea ha aperto nuovi orizzonti a un ruolo che era nato per essere essenzialmente difensivo. [...] Giocatore silenzioso, sereno e pudico, passò la vita a schivare inutili stridori ma, senza far rumore, portò a casa sette scudetti, una Coppa dei Campioni, una Coppa Intercontinentale, una Coppa delle Coppe, una Coppa UEFA, una Supercoppa e un Mondiale. (pp. 98-99)
  • [Su Franco Baresi] I compagni obbedivano ciecamente alla sua autorità e ai rivali mostrava le sapienti regole del calcio aperte alla pagina che parla del fuorigioco. «Sono un libero liberato» dichiarò Baresi a France Football. Vero. Raccontano i giocatori del Real Madrid che i rivali del Milan non guardavano né loro né il pallone: guardavano solo Baresi. Così si rispetta un vero capo. Raccontano ancora che «a ogni fuorigioco provocato gli scappava un sorriso». (p. 99)
  • L'avversario arrivava col pallone già domato e Krol inclinava cortesemente il corpo da un lato; quando l'attaccante accettava fiducioso il gentile invito, la lunga gamba del libero olandese si stendeva in maniera elegante, perfetta, per rubargli il portafogli di cuoio rotondo. Con la palla in suo possesso, alzava la testa e il gioco saliva di livello. Ruud Krol, che iniziò la carriera come laterale, ha dato una nuova dimensione al ruolo di libero, proprio come hanno fatto l'Ajax e la nazionale olandese di Rinus Michels segnando una nuova tendenza del calcio mondiale. (p. 100)
  • Presto o tardi, l'allenatore italiano avrà pietà del cavaliere solitario che schiera in avanti e gli metterà vicino qualcuno a fargli compagnia: un cane, un gatto, un canarino... (p. 100)
  • La Germania è una macchina che sforna vittorie. Se la giornata è proprio nerissima, è una macchina capace di non perdere. Unica nazionale che non ha bisogno del pallone per creare problemi agli avversari. Ogni volta che inizia una partita, mi viene da pensare che sotto il terreno di gioco ci siano centinaia di tedeschi muscolosi che pedalano, remano o girano qualche manovella. Finché mi sembra davvero di sentire il rumore della macchina messa in moto: brooommm... (pp. 106-107)
  • Beckham è due persone in una: è una persona quando gioca e un'altra nella vita. Fuori dal campo, come certi uccelli della Patagonia, fa una cagata ad ogni passo. Ma durante i novanta minuti mostra doti di concentrazione, buona capacità di partecipazione, abnegazione, solidarietà e un tiro che riesce a indirizzare dove vuole. (p. 111)
  • Hagi è un nobile, così importante per il calcio rumeno che mi è mancato solo vederlo giocare in groppa a un cavallo bianco. (p. 115)
  • Ci sono molti modi di fare il portiere, ma nessuno è facile. Ci sono portieri che bloccano e quelli che giocano, esistono portiere showman e sobri, kamikaze e prudenti. Hanno bisogno dell'esperienza quanto dell'agilità dei riflessi. (pp. 117-118)
  • L'Uruguay è uno di quei paesi dove dovrebbero mettere delle porte di calcio alle frontiere. Al visitatore sarebbe chiaro che quel paese altro non è che un gran campo di football con l'aggiunta di alcune presenze accidentali: alberi, mucche, strade, edifici... (p. 133)
  • Lo specialista del dribbling è un giocatore di poker che bluffa con tutto il corpo e si gioca il pallone faccia a faccia col suo avversario: chi vince se lo porta via. Fintare vuol dire ingannare con eleganza; si dà al marcatore un'informazione sbagliata e la riuscita del gesto dipende da come e quanto lui se la beve. Il resto consiste nel mettersi d'accordo col pallone per fuggire insieme. La vittima rimane indietro col dolore dello sconfitto e l'umiliazione dell'uomo sedotto e abbandonato. Sarà per la prossima volta, bambolotto! (p. 138)
  • [Sul calcio di rigore] Il pallone riposa su una luna di calce (luna due volte piena), un fischio impartisce l'ordine e il carnefice aggredisce la sua vittima. Non è così: la leggenda mente. L'ordine è quello di una fucilazione, ma il tiro ha l'inconveniente di poter finire fuori bersaglio. (p. 142)
  • Un rigore ha bisogno di tutti gli ingredienti che compongono il calcio (campo, pallone, porta, giocatori, arbitro...), tuttavia le sue leggi non sono quelle del gioco. È un'azione primaria che non esprime ma semmai mutila il calcio e che, ciò malgrado, non riduce ma concentra le emozioni. La lotta fra comunità si trasforma in un combattimento a due. Uno contro uno. Il duello. (p. 144)
  • Le cose stanno così: il calcio è progredito come il traffico. Prima circolare era facile, adesso è diventato un inferno. Essendoci molte gambe che ti ostacolano, giocare con la palla a terra è difficile, ragion per cui la triste legge del limitare i rischi consiglia passaggi aerei e lunghi per allontanare il pericolo. (p. 191)
  • Visto che gli allenatori considerano le partite come una successione di minacce, la paura ha cominciato a contaminare le loro idee, e ogni pericolo immaginario che vogliono annullare provoca una decisione repressiva che corrode il gioco nel suo aspetto felice, libero, creativo. (p. 192)
  • Il calcio è un gioco bellissimo che i mediocri vogliono imbruttire nel nome del pragmatismo, ed è un gioco primitivo che i rivoluzionari vogliono violare attraverso metodi ad ogni costo scientifici. (p. 194)
  • [...] quel fondo di fascismo che si annida dietro la "filosofia del risultato" è tipico di gente che divide il mondo in dominatori e dominati, in ricchi e poveri, in bianchi e neri, in vincitori e vinti. (p. 196)

Explicit[modifica]

Post scriptum
Vorrei che coloro che mi hanno insegnato a sognare sapessero che io continuo a farlo. E che non ho intenzione di smettere.

Citazioni su Jorge Valdano[modifica]

  • Una persona straordinaria con la quale mi piaceva, mi piace e mi piacerà sempre giocare a calcio e parlare. Eternamente. (Diego Armando Maradona)

Note[modifica]

  1. Citato in Paolo Condrò, Riquelme va forte. La caccia è riaperta, Gazzetta dello Sport, 17 ottobre 2007.

Bibliografia[modifica]

  • Jorge Valdano, Il sogno di Futbolandia (El miedo escénico y otras hierbas), prefazione di Gianni Mura, a cura di Pierpaolo Marchetti, Mondadori, Milano, 2004. ISBN 88-04-52567-3

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