Francesco Mastriani

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Francesco Mastriani (1819 – 1891), scrittore, drammaturgo e giornalista italiano.

I vermi[modifica]

Incipit[modifica]

La Miseria [Vol. II, Seconda Piaga]
Gli Accattoni
La mercede del lavoro femminile fu in ogni tempo molto mal proporzionata, esigua, insufficciente alla vita, avvilente, immorale, e diciamo immorale, giacché è dessa per lo più la principal cagione della caduta della donna. Se l'uomo commette un fallo, s'egli ruba o pitocca la limosina, la società può dirgli: Perché non lavori? Ma ha essa il diritto di rivolgere lo stesso rimprovero alla donna? Quando una donna ha lavorato dodici ore si al giorno di està e dieci ore al giorno d'inverno, e non ha guadagnato altro che sette grane e mezzo, di està, e cinque grana, d'inverno, è forse sua colpa s'ella non trova il dippiù bisognevole che nelle illecite transazioni coll'onestà? Guardate quella povera orfanella che, fedele agl'istinti del pudore, curva la schiena su la macchinetta, distrugge il suo stomaco e fiacca i suoi nervi coll'incessante e monotono movimento del braccio: quell'orfanella, dopo aver così faticosamente lavorato per dodici ore, non avrà la sera per ristorar le sue forze che una magra zuppa di tre grana e un grano di pane; mentre gli altri pochi tornesi ella poneli in serbo per coprirsi il corpo d'un cencio, comprato per lo più a pagamento settimanale con grandissime usure.

Citazioni[modifica]

  • Né climi meridionali sotto un cielo come questo di Napoli che invita così potentemente alla pigrizia ed a quel dolce far niente di che ci han fatto una colpa gli stranieri, il vagabondaggio è così esteso che noi disperiamo che possa il governo giungere ad estirparlo del tutto in un paese come il nostro dove si vive così a buon mercato. Dove con dieci centesimi di maccheroni, dove con cinque centesimi di pane ed altrettanti di frutte un uomo ha messo a poco a poco il suo pranzo, non sappiamo come si possa sentire la suprema necessità e l'obbligo del lavoro. (Prima Piaga, Parte seconda, I, p. 127)
  • Ma è proprio per il guaglione che Napoli è stata creata. Il guaglione è il Re di Napoli è il padrone assoluto del suolo sebezio ed esercita talvolta il suo impero con una tirannia che è tanto più inesorabilmente quanto è più graziosa. (Prima Piaga, Parte seconda, II, p. 144)
  • L'invenzione dei bassi, cioè delle case a terreno, delle case-botteghe, è proprio un'invenzione tutta napolitana a pro del guaglione, il quale si procura quel divertimento di scegliere quel domicilio che vuole su la soglia di qualcuni di questi bassolini. (Prima Piaga, Parte seconda, II, p. 144)
  • Vedi qua, diceva il già esperto tamurro al neofito dell'arte, è questo il soggetto che noi altri dobbiamo spogliare accortamente di tutta la roba che porta addosso, involandogliela in guisa da non produrre il minimo agitamento nella sua persona e per conseguenza il minimo suo di campanello. Ognun di noi fa la sua prova alla presenza del masto, il quale fà un buo premio a quello fra gli allievi che sarà riuscito a cavare uno degli oggetti di su la persona del soggetto senza cagionare il minimo scrollo. (I Vermi, Prima Piaga, Parte seconda, II, p. 156)
  • La polizia tollerava e talvolta favoriva eziandio la camorra, nella quale si riprometteva per ogni circostanza un'ausiliaria potente contro il ceto de penniferi. (Prima Piaga, Parte seconda, II, p. 164)
  • Il marciume, la sordidezza e la morte producono i vermi nel mondo fisico, siccome l'Ozio, la Miseria e l'Ignoranza producono i loro vermi nel mondo morale. (Seconda Piaga, Parte prima, I, p. 219)
  • Le donne in generale non sanno essere mogli, elle cadono nel dispotismo amoroso che consiste a vessare il marito per troppo incaricarsi de suoi affari o nella indifferenza che a lungo andare uccide lo scambievole amore, una donna che sia sempre su le spalle del consorte per spiare quello ch'el fa, per chiedergli conto di quel che ha fatto e di quel che ha detto; che s'impaddia degli affari di lui; che gli misura i passi, le parole, gli sguardi; una donna che dice 'noi' quando deve dire semplicemente 'mio marito'; che fa in pubblico delle osservazioni al suo uomo quando egli parla o gli fa in privato scene continue di gelosia: questa donna 'non' ama suo marito 'ma' se stessa. (Seconda Piaga, Parte prima, II, p. 258)
  • La donna giovane, a qualunque classe appartenga e in qualsivoglia condizione la sia nata, all'eccezione di quelle sventuratissime precipitate nella più lurida prostituzione, ama sempre le belle vesti, gli stivaletti, gli ornamenti e le crinoline. (p. 279)
  • I birbanti fanno subito lega tra di loro; il vizio ha il suo magnetismo come la virtù. (p. 316)
  • Iddio non abbandona nessuna delle sue creature; il sole illumina e riscalda i buoni ed i tristi, e la terra produce i suoi grani e i suoi frutti pe' più malvagi siccome pe' più virtuosi tra gli uomini. Il pentimento e l'espiazione possono rendre santo un gran peccatore. Oggi la Chiesa Cattolica venera sugli altari una Maddalena, una Maria Egiziaca, una Pelagia, una Taide, una Margherirta da Cortona ed altre non poche, la cui giovinezza trascorse nella più abbietta prostituzione. (p. 367)
  • Noi guarderemo la prostituzione nelle sue cagioni e nei suoi effetti morali; porremo sotto gli occhi dei nostri lettori il quadro terribile della degradazione di un essere che è pure la più stupenda fattura di Dio, ed il cui amore forma la più pura gioia dell'uomo nel mortale suo esilio. (p. 368)
  • LUCIA
    Allorché da Napoli si vuol tenere la via degli Abruzzi, s'incontra, dopo Castel di Sangro, in su l'aspra vetta di un monte un paese addimandato Roccaraso; l'etimologia di questa parola addita, chiaramente la natura del sito. Infatti, una rupe pressocché sempre coperta di neve solleva il paese, come uno spettro che esca da bianche lenzuola. Dalle alture di Roccaraso, di cui la maggior parte sono addetti alla pastorizia, perocché quelle campagne, visitate dalla neve per lunghi mesi dell'anno, meglio rispondono ad uso di pascoli.
    Nel mezzo di quei pastori correva tempo fa una storia molto bizzarra, che essi diceano avvenuta in su lo scorcio dello anno 1839. (p. 369)
  • L'ospitalità è una delle virtù più comuni agli Abruzzesi in generale ed in particolare agli abitanti de' paesi alpestri e montagnosi. (p. 369)
  • Nella rigida stagione egli amava di visitare i siti alpestri e nevosi per raccogliere, come San Vincenzo de' Paoli, i fanciulli perduti nel mezzo de ghiacci. (Seconda Piaga, Parte terza, I, p. 379)
  • Si scagliò contro quella tapina e le diè due schiaffi in su le guance, appiccicandole per la prima volta un nome osceno e infame, il cui significato non potea Lucia comprendere per la sua tenera età. (I Vermi, Seconda piaga, Parte terza, I, pp. 382-383)
  • La meretrice, a qualunque categoria si appartenga, e per quanto si voglia abbruttita nel cinismo del vizio, guarda sempre con invidia, con astio e con livore la donna onesta. Non potendo essa più innalzarsi all'altezza, dalla quale precipitò sì giù, vorrebbe trarre le altre donne nella medesima bassezza. (p. 402)
  • Quando manca il lavoro, quando invano ogni tentativo si è fatto per buscare dieci soldi e la fronte non è dura abbastanza da indurre la mano a protendersi al cospetto del viandante: quando al cader della sera i figliuletti innocenti sfiniscono per inedia, allora l'uomo si caccia in istrada a rubare e la donna a prostituirsi; l'uno e l'altra si valgono dell'unico capitale che è a lor disposizione, il primo si vale della sua forza, l'altra della sua bellezza. (Seconda Piaga, Parte terza, II, p. 406)
  • Davvero che è bellina questa ceratura! Esclamò Donna Maria con occhi sfavilannti di gioia. Di queste nenne per esempio non ne cede né la Luisa né la Piazza. Benedetta Sant Apolinnare che è oggi! La piena e la cavane! Un disastro e una fortuna! Oh comare mia se sapeste quel che mi ha fatto quella troiaccia di Perzechella che la possa afferrare un cancero all'utero! Quest'oggi appresso il desinare se n'è ita con un sergente e in sul tardi sta sera me la son vista porstare in quattro, ignuda e ubbriaca come un canonico, salvando la sorda meldetta, che le possa incogliere un fistola; che possa comitare un porco sangue; Signore, perdonami! Non ho visto ancora una sgualdrinacia non pregiudicando nessuno, più ubbriacona di questa ulcera di casa mia parlando con rispetto alla faccia vostra. (Seconda Piaga, Parte terza, III, p. 415)
  • Napoli, per la sua posizione geografica, per la sua gran popolazione, per la natura feracissima del suo suolo, per le sue gloriose tradizioni in ogni ramo dello scibile, per la prodigiosa attitudine de suoi abitanti alle arti belle e dalle arti meccaniche, per grandiosi e storici monumenti di che è ricca e pei suoi vasti commerci, sarà sempre la Filadelfia d'Italia. Incorporata oggi alla grande Famiglia Italiana, essa comincia ad appropriarsi dalle città sorelle l'affrancamento da quegli aviti pregiudizi che formarono per sì lungo volger di tempo sì possente ostacolo al progresso della sua civiltà siccome le città sorelle e specialmente le settentrionali cominciano a smettere, per la fusione coi nostri vispi meridionali, le forme pedantesche, le arie pesanti e le rigidezze cancelleresche. (Conclusione, p. 538)

Explicit[modifica]

Gli è indubitato che ci è ancora della feccia nel nostro popolo, e ce ne sarà ancora per qualche tempo. Ma è forse possibile una compiuta improvvisa riforma de' suoi costumi?
Noi accogliamo la speranza, per non dire la certezza, che tra dieci anni il nostro popolo non sarà secondo ad altri in Europa. Voglia Dio benedire all'opera della nostra rigenerazione, iniziata dal più Grande Italiano vivente GIUSEPPE GARIBALDI! Voglia Dio benedire gli sforzi degli uomini che han rette intenzioni e buon volere! Possano le aure incantate del nostro cielo non essere più contaminate da straniere favelle! Possano i nostri ubertosi campi non essere più calpestati da orde inimiche del sangue italiano! Possa presto Napoli festeggiare il dì in cui per tutta Italia risuoni il grido della compiuta nostra unificazione, proclamata in ROMA CAPITALE. Allora, dopo il Pater noster, noi insegneremo a' nostri figliuoli questa altra prece che eglino dovranno recitare ad ogni alba e ad ogni sera:

Da' Tedeschi ed Imperiali,
Da' Francesi e Cardinali
Libera nos, Domine!

Citazioni su I vermi[modifica]

  • Ne I vermi, la vita napoletana è ritratta in un insuperabile splendore; ivi la descrisse in modo da illustrarne tutte le sue miserie reali.[1]

Le ombre[modifica]

Incipit[modifica]

Quel giorno era il genetliaco di re Ferdinando II: era proprio un peccato che il vento impetuoso smorzasse le luminarie ed i lanternini che la fedelissima città di Napoli soleva accendere in queste solenni occasioni di feste di Corte. Il giornale officiale, che nel dare il giorno appresso la relazione delle feste fatte dal popolo in occasione del trentaquattro natalizio dell'Augusto Padrone, avea detto che il tempo era stato abbastanza giulivo! Avrebbe dovuto chiamare fazioso il vento che si divertà a spegnere la spontanea illuminazione, onde gli amorossissimi sudditi attestavano il loro rispettoso affetto al piissimo sovrano.

Citazioni[modifica]

  • Spesso egli incontra in questo mondaccio che la bugia riesca a cattivarsi l'altrui fede più che lo schiettissimo vero. (Prologo, VIII, p. 138)
  • Noi entriamo in una regione di pianti, di miserie, di sofferenze inaudite ed ignote a quella classe che ha palagi, cocchi e cavalli. Coloro che si tappano gli orecchi per non sentire il grido di dolore che parte dagl'inferni d'una gran città o ceh torcono gli occhi da luridi cenci acui si avvengono per la via, lascino queste carte, che noi scriviamo pei cuori nobili e sensitivi. (Parte prima, p. 179)
  • Povero angelo! Ecco il tuo destino nel mezzo di questa aggregazione di crudeli egoismi che si domanda civil società! L'uomo si trova fuori centro lungi dal seno della sua famiglia, lungi dalla donna. Gittandosi alla cieca a brancolare tra le sue vittime, egli vi trova decezioni, sterilità di affetti, insidie pereni alla rettitudine dell'animo, alla sua dignità personale, alle sue sostanze, al suo core, ed alla sua salute. Assetato di felicità e di amore, ei non trova che stirdimento e vanalità, colà deve egli crede di abbracciare un angelo, ritrova un bruto; stende la mano per abbrancare una donna e non afferra che un'ombra. (Parte prima, p. 182)
  • La famiglia è il fondamento posto da Dio all'edifizio sociale. Quando si scrollano le basi, scrolla e precipita l'edifizio. (Parte prima, p. 182)
  • La Filomena, raccolte le bazzegole che si avea e qualche numeraccio di scudi santi sen venne in Napoli a fianco di Peppe suo legittimo consorte; e trovato sgombero uno di que' bassi nel vico di Santa Maria ad Agnone, il tolse in fitto e vi si acconciò col marito il quale menca in Napoli la vita del beato Alfonso, come qui dicesi con empio tropo. (Parte prima, IV, p. 205)
  • Era la Zi-Agnese. Conciossiachè corressero i primi giorni di aprile, la giornata era fredda. D'altra parte, la Zi-Agnese si trovava così comomda a starsene seduta quasi tutto il giorno appo quel braciere! Un "mastaccirune" la sede a di contro. Ci avrà una classe di lettori che non intendono il significato di questa parola. I mastacciruni sono i guappi delle case infami di bassa mano. Avremo in appresso l'occasione di ritornare su questa pessima tra le pessime catagorie dei nostri vermi più schifosi. Questo camorrista era uno dei protettori della casa. (Parte prima, IV, p. 212)
  • La città di Napoli sembrava afflittissima della partenza di quel diletto signore... come una soglia di carta velina che copra una vedutina litografata, la vaporosa trasparenza di que raggi ricoprivano tutte le alture degli edificii della città...vedeansi per l'aere, mossi appena da un fiato insensisbile, parecchi aquiloni mandati su dalli scolarelli reduci dalle loro scuole. (Parte prima, VIII, p. 264)
  • Sotto questa statuetta erano ragunate le gallinelle della chioccia Zi-Tanella le quali come prima ebbero veduta la Marcellina appropinquarsi a loro, molto si ammirarono che sopraggiungesse un'altra accattoncella. Quelle tristi avevano dato alla Marcellina il sorannome di "janarella" per la gran copia di capelli avviluppati c'ella si avea. Come rimanesse impietrita la povera Marcellina alla vista di quella cattiveria di fanciulle, non è uopo che si dica. Rincatucciata in un angolo, la miserella guatava balordamente a quelle frequenti e disguntevoli scente e non si sentiva il cuore di cacciarsi in quelle batoste. E quelle cattive, veggendo l'aria sparuta e sciocca della "janarella", sghignavanla per piacere di vederla così afflitta e miserina e ben sapendo come a sera non le sarebbe toccato né pure un minuzzolo di pane. (Parte prima, VII, p. 257)
  • Ma, affè mia, ch'io non saprei come venire in aiuto di questa bardascella ma sta che mi spunta un pensiero! Io ci ho nella filanda di Sarno, paese poco discosto dal mio una mia comarella a lavorare. Be, questo per esempio è un bel pensiero, che mi è surto per giovare a questa bimba. (Parte prima, XII, p. 327)

Explicit[modifica]

Chiudiamo queste pagine coll'implorare a questo nostro lavoro il maggiore compatimento de' nostri concittadini; ed abbiam fiducia che, non guardando alla molta imperfezione dell'opera, eglino ci terran conto solo dello scopo altamente umanitario che avevamo di mira.

Citazioni su Le ombre[modifica]

  • Il romanzo ritrae le miserabili condizioni di vita del popolo napoletano attraverso la narrazione di vicende torbide, spesso derivate dalle cronache dell'epoca.[2]

I misteri di Napoli[modifica]

Incipit[modifica]

Nel Borgo S. Antonio Abate c'è un vicoletto che si chiama de'Lepri, che mette capo in un altro vico dello stesso nome. In quel vicoletto c'è un portoncino scuro, affumicato, fetido e sgocciolante acqua da tutti i porti. A gran ventura i mariuoli del quartiere non avevano badato a portar via il martello ch'era ad una delle bande. Ciò forse era dipeso che quel portoncino non era stato mai imbarrato né di giorno né di notte, ma una sera verso le due di notte, due uomini, entrati nel vicoletto de'Lepri dalla parte de'Fossi a Pontenuovo, si cacciavano nel portoncino che abbiamo mostrato.

Citazioni[modifica]

  • Molto si è scritto in questi ultimi tempi su i funesti effetti che produce l'amalgama dei carcerati. Questo è un accrescimento di pena non decretato dai codici criminali e, per taluni detenuti, il più doloroso dei castighi. Due suono le più insopportabili torture di un carcerato: il tanfo, a cui pertanto a poco a poco si avvezzano i nervi olfattori, e la mala compagnia a cui certe nature non si possono mai acconciare. (Parte prima, libro I, cap. V, p. 19)
  • Tra tutti i delitti contro la società la ruberia è il più svariato: e i coriferi di questa mimica non ballano a coro, ma ciascheduno ha un passo assegnato. Il furto ha le sue classi elementari, ginnasiali, liceali, ha una grande scala d'impiegati, dal capo sezione all'ultimo spazzino; ha i suoi architetti, i suoi fatti, i suoi scalatori, i suoi scassinanti, i suoi accastatori, i suoi volanti ed ha pure i suoi venditori di basi. (Parte prima, libro I, cap. VIII, p. 32)
  • I nostri lettori non potranno mai farsi un'idea degli orrendi boati che il mare fa sentire al navigante che si avvicini a questo scoglio, mandato su dalle viscere del Tirreno in un momento di parossismo febbrile; poiché il mare ha le febbri e i deliri come la terra; e quando l'ora predetta dall'Apocalisse sarà suonata pel nostro pianeta, il mare sciolto dall'antica legge avrà l'ultimo e terribile delirio, per cui le acque avvolgeranno nil oro vortici covulsi questa che già fu dimora degli uomini. (Parte prima, libro I, cap. XVI, p. 77)
  • Ed eccovi in secondo luogo la "cuna", altro flagello dell'infanzia, altro strumento di morte per bambini. Bisogna far dormire per forza quella mummia, che grida nei suoi ceppi. Le sue grida riescono importune, moleste, insopportabili. Dl'altronde, la madre deve attendere alla sua acconciatura, ha da intendersi colla sarta, ha da finire di leggere quel romanzo che tanto l'interessa! Deve vestirsi pel teatro, per le visite, pel veglione, per la passeggiata. Bisogna dunque per forza quel marzmottino si acceti nel sonno. Ed ecco il piccolo importuno consegnato alla balia, che te lo acchiappa come un involto di robe vecchie e te lo getta nella "cuna", dopo aver dato una buona ristretta alle fasce, quasi che tema ceh il prigioniero non scappi. Ed accola a far giuocare quel crpicciuolo ad un violento giuoco di altalena, agitando la culla in modo tempetosissimo che, senon fosse per legge fisica che il gran moto produce l'immobilità, quel puttino dovrebbe essere cento volte tramazzato sul suolo ovvero trabalzato in aria come la palla della racchetta. Bisogna far dormire a forza il monello. Dunque, stordendolo fino alla stupefazione, fino all'encefalagìa, fino al coma. L'oppio, la morfina ed altri mortali soporiferi riuscirebbero meno letali a quel tenero tessuto nervoso della violenta agitazione della "cuna". Un bel dì, il bambinello è assalito da convulsioni nervose e leva l'incomodo alla madre: «Dio se l'ha preso» dice questa. E noi diremo: «Siete voi che Glielo avete dato!». (Parte prima, libro II, cap. XXVI, p. 253-54)
  • Accadde che, mentre il giudice lo andava interrogando per accertare s'egli fosse in tutta la lucidezza di mente, essendo per casualità entrato in quella stanza un fanciullo da otto a dieci anni, il campanucolo si slanciò su questo, e lo avrebbe senz'altro strangolato, se gli astanti non fossero accorsi a sottrarre quel giovanetto alle spire dell'uomo serpe. Il tipo adunque del nostro strangolatore non è nuovo nella storia netunale dell'uomo. Fal momento che ebbe veduta la figliuola di Cecatiello, Pilato se ne invaghì. Invaghirsi di qualcuno o di qualcuna significava per Pilato esser preso dal perpotente desiderio di strozzarla. Invaghirsi significava per lui l'odio spinto fino alle proporzioni della follia feroce. A tal modo il gatto s'invaghisce del sorcio, il ragno alla mosca, il serpe alla colomba. (Parte prima, libro III, cap. XXX, p. 407)
  • Spesso, nelle lunghe ore di tetra solitudine, in cui lo gittava la sua folle avarizia, tra le tombe che egli aveva scavate intorno a sé, il suo pensiero si arrestava talvolta sopra una cara immagine. Ricorderanno i lettori che quando i due spietati fratelli Tobia ed Angelo afferravano per la lunga chioma la disgraziata sorella per abtterla, il vecchio si mostrava sotto l'uscio per spingere i figiuoli ad incrudelire su quella misera. Cecilia volgeva in tali incontri uno sguardo al padre per implorarne il patronicio o la commiserazione. Quello sguardo era rimasto scolpito nella misteriosa fantasia del vegliardo. (Parte seconda, libro I, cap. XXXII, p. 629)
  • Dunque veramente sua moglie lo tradiva con tanta incredibile simulazione! Egli era barbaramente tradito, ingannato, schernito! La donna, che egli amava con tanta passione, si faceva giuoco di lui! Perduta, per sempre perduta! L'unico bene della sua vita, l'unica gioia del suo cuore! (Parte seconda, libro II, cap. VI, p. 667)
  • Napoli ebbe una trista giornata il 15 maggio 1848. Il cannone svegliò la città e tuonò nelle strade. La guerra civile insanguinò le nostre case, ove pur guerra civile sossa dirsi la lotta combattutta con mercenari stranieri assoldati dalla tirannide. Non entreremo a giudicare questa deplorevole giornata. Iddio ha riudicato i veri colpevoli, che fecero spargere il sangue cittadino. La tirannide promosse l'eccidio o se ne giovò per ritrarre le effimere libertà concedute e per sfogare la libidine di vendetta contro gli uomini di liberi sensi, i quali essa era stata costretta di accarezzare. (Parte terza, libro I, cap. XV, p. 850)
  • Il forestiero che entri in Napoli dalla detta porta non si forma certamente un bel concetto della nostra città. Tutto quell'ampio spiazzato che è al di là della Porta Capuana vedesi ingombro di rozzi veicoli di ogni sorta, che imballano la gente per tutti i vicini paeselli. Più in qua, è un vero mercato, anci un inferno perpetuo; bettole all'aria aperta, friggitori, maccheronai, ripostieri, sorbettai, maruzzari, pescivendoli, fruttaioli, ed ogni maniera di venditori di roba da mangiare schierano lò le loro tende, le loro merci, invitando gli avventori a gustare di quelle briose merende. (Parte terza, libro II, cap. XVII, p. 967)

Explicit[modifica]

Una tomba sorge sul modesto camposanto d'un paesello nelle vicinanze di Napoli. È la tomba di Marta. La sua immagine, scolpita in marmo, giace distesa sul monumento. Ogni giorno, su l'ora del tramonto, un vecchio, un cieco, un mendico all'apparenza, veniva a porre un fiore su quella tomba. Una sera, il vecchio, il cieco, s'inginocchiò ed appoggiò il capo e le braccia sulla testa della effigie in marmo. L'indomani, i custodi del cimitero trovarono quel mendico in questa posizione. Lo credettero addormentato ... vollero destarlo... Era morto!

Citazioni su I misteri di Napoli[modifica]

  • È qui evidente l'influenza del romanzo sociologico francese, specialmente dei "Misteri di Parigi" di Eugene Sue, prima affermazione di quel genere che raggiungerà venti anni più tardi la sua più alta espressione artistica nei Miserabili di Victor Hugo.[3]

La contessa di Montès[modifica]

Incipit[modifica]

I "bassi" di Napoli nel 1854
Nel lontano 1854, mentre infuriava a Napoli, per la terza volta, il colera, fui incaricato dal supremo magistrato di salute pubblica, di scriverne la cronaca.
Oh, quante scene strazianti, quanti fatti commoventi, quante sofferenze, quanto dolore! Il dolore alza un lembo dell'oscuro velo che ricopre il gran mistero della vita.
Ed ora che quei lugubri ricordi mi si presentano nell'immaginazione, mi sembrano sogni funestissimi.
In Vico dell'Università, uno di quei vicoli che formano l'inestricabile rete dei quartieri Pendino, Porto e Vicaria, giaceva, la mattina di giovedì 24 agosto 1854, colta dal colera, una povera donna che si chiamava Mariangela Murillo.
Abitava uno di quei bassi che entrando ci si sente chiudere il cuore e i polmoni, largo poco più di un metro e collegato ad una stanzetta soprastante, per mezzo di una scaletta interna di legno a piuoli, di cui ognuno minacciava di spezzarsi sotto il piede di chi saliva o scendeva.
In quella catapecchia, dove un animale qualunque avrebbe avuto ripugnanza ad abitare, si pagava una pigione. Quel covile aveva un proprietario!

Citazioni[modifica]

  • Il basso popolo ebbe sempre una gran ripugnanza per tutto ciò che è emanazione del governo: è un istinto irragionato, se non sempre irragionevole, di repulsione, che trova la sua esplicazione nell'odio naturale dei servi contro gli oppressori. (p. 8)
  • Il gusto è un'arte che non si apprende: è un dono di natura, come il genio. (p. 23)
  • Nessuna poesia potrebbe adombrare la bellezza d'una limpida sera di estate in Sorrento.
    Iddio vi si rivela nel suo più sensibile attributo, quello della sua infinita bontà. (p. 31)
  • Ci sono certe donne che si annoiano di una felicità insipida. (p. 34)
  • In che consista la jettatura, io non saprei dire, perché la faccenda non è facile a spiegare: ma io credo che c'entri nella jettatura una gran dose di magnetismo animale. (p. 42)

Citazioni su Francesco Mastriani[modifica]

  • Attraverso tutta la rettorica delle sue idee e delle sue narrazioni, attraverso quel concetto ristretto del bene e del male, fiorisce una certa verità popolare, che sarà poi il punto di partenza onde i sociologi e gli artisti trarranno il grande materiale del romanzo napoletano. Piccola verità popolare, invero, e che consisteva soltanto nel chiamare coi loro veri nomi i tetri frequentatori delle bettole, col loro nome esatto e colla loro topografia i vicoli sordidi e lugubri, dove si annida in Napoli l'onta, la corruzione, la morte: piccola verità affogata nella frondosità fastidiosa del romanziere, che ha cominciato a vedere, ma che non ha forza, coraggio, tempo di veder molto, di veder tutto: piccola verità, dirò così esteriore, che la falsità bonaria del resto annega, ma che è verità, ma che è uno spiraglio di luce attraverso la tenebra, ma che è la fioca lampada nella notte profonda, che altri vedrà e che li condurrà alla loro strada, a tutta quanta la verità com'è, nuda, schietta, tutta piena di strazio, ma non senza conforto. (Matilde Serao)

Note[modifica]

  1. s.v. Mastriani Francesco, Le strade di Napoli, Marrone R. (a cura di), Roma, Newton & Compton, 1996, pp. 578-79, p. 578
  2. L'Universale. La grande enciclopedia tematica, 2005, Milano, Garzanti, vol. I, p. 643
  3. s.v. Misteri di Napoli, Dizionario delle opere e dei personaggi, Milano, Bompiani, 2005, Vol. 6, pp. 5680-81, p. 5681

Bibliografia[modifica]

  • Francesco Mastriani, I Vermi: le classi pericolose in Napoli, voll. 2, Luca Torre, Napoli, 1994.
  • Francesco Mastriani, Le ombre: lavoro e miseria, Attività Bibliografia Editoriale, Napoli, 1975.
  • Francesco Mastriani, I misteri di Napoli, Gherardo Gasini Editore, Napoli, 1966.
  • Francesco Mastriani, La contessa di Montès, Tipografia Editoriale Lucchi, Milano, 1958.

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Opere[modifica]