Oscar Chilesotti

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Oscar Chilesotti

Oscar Chilesotti (1848 – 1916), musicologo e liutaio italiano.

L'evoluzione della musica[modifica]

Incipit[modifica]

Secondo la formula generale, stabilita da Herbert Spencer nel capolavoro del suo sistema filosofico "I primi principî", l'evoluzione è una integrazione di materia, accompagnata da dispersione di movimento, durante la quale la materia passa da una omogeneità indefinita, incoerente, ad una eterogeneità definita, coerente, mentre il movimento trattenuto subisce una trasformazione analoga.
In riguardo alla musica parmi che la formula varrà colla dilucidazione: l'evoluzione dell'arte musicale conduce da una semplicità confusa ad una complessità distinta, da un ordinamento disperso, uniforme ed indeterminato ad un ordinamento concentrato, moltiforme e deciso, ogni integrazione parziale della materia divenendo centro di trasformazioni sempre crescenti.

Citazioni[modifica]

  • La musica sacra [...] prese indirizzo artistico, sciogliendosi dalle pastoie della scuola fiamminga, mercé il genio del Palestrina, che seppe reagire efficacemente contro l'abuso degli artifizi contrappuntistici in voga, per infondere vero carattere religioso e giusta espressione, mediante la semplicità e la chiarezza, alle composizioni destinate alla chiesa. (parte I, cap. IV, p. 27)
  • Circa la musica teatrale conviene distinguere le origini diverse dell'opera buffa e del melodramma. È certo che il genere buffo, allestito con ben altri intendimenti del melodramma, lo precedette di forse mezzo secolo; ma le ricerche per sapere quale ne fosse il primo saggio ci conducono di fronte al fatto curioso, e pur naturalissimo, che, a stretto rigore, nel genere di cui parliamo non v'ha una prima creazione, mentre sono da considerare come prime opere buffe solo quei capolavori che, collo splendore di luce geniale che li impronta, indirizzano l'arte del loro tempo ed inaugurano nuovi periodi storici nello svolgersi rapidissimo della musica teatrale. (parte I, cap. VII, p. 33)
  • L'Oratorio si precisò nella sua possente originalità per merito del Carissimi verso la metà del seicento. Ne seguì la decadenza quando divenne imitazione servile del Melodramma, giungendo a poter essere definito Oratorio-Centone negli ultimi anni del secolo XVIII. (parte I, cap. VIII, p. 43)
  • I tentativi ulteriori di rimettere in voga l'Oratorio non varranno a galvanizzare un'opera d'arte che non ha più ragione di esistere; in essi mancherà sempre il soffio ispiratore che ha dato origine alla composizione e che ne ha animato lo svolgimento. Godranno, nel caso più favorevole, del successo inerente ad una buona musica, ma, svanita l'idea fondamentale della creazione primitiva, non potrà che cadere, inefficace nello spirito, la ricostruzione moderna di essa. (parte I, cap. VIII, pp. 43-44)
  • Circa il canto sacro si sa che la meravigliosa fecondità del genio di Giannetto da Palestrina stabilì i modelli, inimitabili, per le singole composizioni colle quali l'arte musicale può esaltare il sentimento religioso nelle diverse cerimonie della chiesa, accompagnate prima di lui dai freddi e monotoni artifizi della scuola fiamminga.
    La polifonia palestriniana, così sublime di forza espressiva, nel volger del tempo cedette gradatamente il dominio esclusivo che pareva dovesse spettarle nella chiesa cristiana per lasciar posto alle trovate dell'opera in musica, brillanti sì, ma di carattere profano. Così l'elemento drammatico dapprima, e poi gli effetti da teatro più chiassosi, finirono col travolgere il carattere della musica sacra, tanto da imporre ai nostri giorni la restaurazione del canto liturgico. (parte I, cap. VIII, pp. 44-45)
  • Oggi spicca evidentissima l'antitesi tra le corti principesche antiche e la democrazia moderna. Le prime lasciarono splendidi esempi della loro munificenza nell'onorare l'arte e gli artisti; invece, imperante lo spirito della democrazia, progredisce ogni giorno la noncuranza per quanto concerne l'arte musicale, o, quel ch'è peggio, si apprezza l'arte solo dal lato industriale. Del resto questo corre a filo di logica: l'andazzo dell'epoca nostra non impone l'utilitarismo al di sopra di ogni idealità? (parte I, cap. XIV, p. 84)

I nostri maestri del passato[modifica]

  • [...] tutti gli autori concordano nel dire che egli [Luca Marenzio] portò la musica madrigalesca al più alto grado di perfezione. I suoi canti si distinguono per ricchezza ed elezione di pensieri, per una melodia dolce e gradevole, per la grande naturalezza colla quale egli fece uso degli artifizi del contrappunto e per la mirabile distribuzione delle parti. (p. 11)
  • Quando nel 1614 fu eletto organista di San Pietro in Roma, [Girolamo Frescobaldi] godeva di tale rinomanza che ben trentamila persone si affollarono nella chiesa per udirvi quell'organo toccato la prima volta dalla sua mano maestra. (p. 26)
  • [...] è certo che il Cavalli ha dato alle sue arie forme eleganti, e che ebbe molta cura dell'armonia e dell' istromentazione. Dice il Fétis[1] che l'aria della Didone è una cosa perfetta tanto per la melodia che per l'espressione delle parole, e che Alessandro Scarlatti stesso non fece niente di più bello. (p. 34)
  • Cavalli contribuì più di tutti gli artisti di quell'epoca al progresso del melodramma; la sua musica è altamente drammatica, ed egli seppe introdurvi una potenza di ritmo che prima di lui non si conosceva. (p. 34)
  • Carissimi, ingegno originale e fecondissimo, accoppiava ad uno stile dotto e puro una melodia incantatrice. Egli diede varietà ed eleganza al basso strumentale fino allora pesante e monotono; portò ad un alto grado di perfezione il recitativo, trovato da Peri e Caccini e svolto da Monteverde, rendendolo grazioso e più espressivo; se non fu l'inventore della cantata seppe stabilirne artisticamente le forme con tanta leggiadria e verità d'espressione che la si sostituì al madrigale; la sua orchestra (il quartetto ed altri stromenti da pizzico), servì di base all'istrumentazione dei futuri musicisti: infine si può dire che la musica di Carissimi è il tipo della musica moderna. (pp. 35-36)
  • Raccontano che il Lulli fosse terribile coi suonatori della sua orchestra, che spesso rompesse l'istromento sulla testa o sulle spalle di chi non eseguiva a puntino la sua musica, che un giorno abbia dato una pedata alla famosa cantante Rocbois, perché in causa della di lei gravidanza si aveva dovuto sospendere la prima rappresentazione dell'Armida, e che suo costume fosse l'ingratitudine. (p. 46)
  • Lulli trattò leggiadramente il recitativo, e molte delle sue arie sono veri gioielli per la bellezza del canto e per la grazia. Lo stile è forse un po' troppo uniforme, e gli stessi ritmi ripetuti di frequente: ma tali leggeri difetti sono nascosti dall'ammirabile verità d'espressione che ha fatto accogliere per più di un secolo le opere di Lulli colla massima ammirazione. (p. 46)
  • [Arcangelo Corelli] Un giorno egli suonava dinanzi numerosa adunanza, quando s'avvide che tutti si mettevano a parlare; egli allora posò il violino sopra una tavola dicendo che temeva interrompere la conversazione. Gli uditori compresero la lezione, lo pregarono di riprendere il violino, e gli prestarono l'attenzione dovuta al suo talento. (pp. 60-61)
  • Corelli può esser considerato come il fondatore della scuola dei violinisti italiani, scuola che si distinse per il ritmo grazioso, e per lo stile purissimo e naturale. L'originalità e la semplicità dei canti del principe dei musicisti, titolo che meritamente fu dato a Corelli, contribuirono a popolarizzare il violino. (p. 62)
  • [Alessandro Scarlatti] Ei comprese che la forza dell'arte musicale consisteva nella melodia; così introdusse nel contrappunto la chiarezza, l'espressione, l'eleganza, conservando sempre la semplicità e la nobiltà. (p. 65)
  • Pennelleggiatore sommo degli affetti dell'animo, [Alessandro Scarlatti] li seppe esprimere con verità ed energia; per questo diminuì notabilmente le fughe, le controfughe, i canoni e tante altre leziosaggini di stile che, se palesavano la scienza dei maestri, nuocevano sempre all'espressione. (p. 65)
  • Viene rimproverato allo Scarlatti di aver spesso sacrificato la musica alla poesia, fermandosi con compiacenza su ogni parola isolata, più inteso forse ad esprimere il valore dei vocaboli di quello che lo spirito generale della frase; se tal cosa è leggera imperfezione rimane ben nascosta da una modulazione ardita e dalle dissonanze, di cui lo Scarlatti usò largamente senza mai ferire l'orecchio, ma adoperandole quasi come pungoli per destare l'attenzione degli spettatori dopo una successione di accordi perfetti. (p. 68)
  • [Pasquale Cafaro] Compositore di bella rinomanza per la grazia naturale delle sue melodie e per la purezza dello stile più che per la novità delle forme [...]. (p. 122)
  • [Pasquale Cafaro] La sua musica sacra è semplice ma espressiva; si citano come lavori assai pregiati il suo Stabat, ed il Salmo LLVI, ch'egli compose per soprano, contralto e tenore con coro ed orchestra. (p. 123)
  • Sacchini appartiene alla scuola di Piccinni, ma le idee idee sono più grandiose, e sì osserva nelle sue composizioni un sentimento più conforme alle tradizioni della tragedia greca. La melodia di Sacchini è nobile, spontanea, e toccante nelle scene patetiche, i suoi cori sono potentemente caratteristici, l'armonia purissima e l'orchestra trattata colla massima chiarezza abbonda di effetti bellissimi e svariati ottenuti coi mezzi più semplici. Egli senza scostarsi dalla severità della musica sacra e non confondendola colla teatrale, seppe introdurre nelle sue composizioni da chiesa la spontaneità del canto, la naturalezza e la grazia dello stile. (p. 186)
  • Antonio Salieri ebbe a' suoi giorni trionfi splendidissimi: oggidì i suoi spartiti sono affatto dimenticati. Compositore corretto, egli a nessuno fu secondo nella condotta e nel maneggio degli effetti drammatici, trattò con rara maestria le voci e riuscì eccellente nel genere patetico; in una parola ebbe ingegno chiaro e versatile, ma non seppe immortalarsi nelle sue opere con quelle sublimi ispirazioni d'un genio creatore che aprono all'arte nuovi orizzonti. (p. 240)
  • Uomo amabile, allegro e di molto spirito, Salieri ebbe molti amici fra gli artisti e nel mondo. Piccolo di statura ma ben proporzionato e sempre vestito con ricercatezza, egli aveva un gesto animato e sulla sua faccia bruna spiccavano due occhi neri pieni di fuoco. Nessuno sapeva narrare con maggior brio di Salieri i tanti aneddoti ch'egli amava raccogliere e che riuscivano tanto più ameni nel suo linguaggio, strano miscuglio d'italiano, di tedesco e di francese. (p. 247)
  • [Antonio Salieri] Grande amatore di ghiottonerie, ogni bottega di pasticciere esercitava su di lui un'influenza irresistibile. (p. 247)
  • Salieri fu l'oracolo di tutti i musicisti tedeschi che scrissero nel primo quarto del nostro secolo; Beethoven e Meyerbeer[2] si chiamarono onorati di averne ricevuto i consigli: Hummel[3] e Moscheles[4] furono suoi allievi. (p. 247)
  • Tra i compositori che produsse la famosa scuola napoletana, Zingarelli non brilla che come stella di seconda grandezza. Egli non ispìegò l'arditezza di idee e la forza drammatica dei grandi maestri del secolo scorso, Jommelli, Piccinni, Guglielmi, Sacchini, Paisiello e Cimarosa; ma è loro pari nella grazia della melodia e nell'ammirabile distribuzione delle voci. (p. 255)
  • [...] [Durante il suo soggiorno inglese] corse voce fra gli emigrati che Viotti fosse un agente secreto del terribile Comitato di salute pubblica. Tale accusa, che forse avea preso origine dai rapporti del tutto artistici del violinista con Filippo d'Orléans[5], era ridicola per chi avesse intimamente conosciuto il Viotti; ma la calunnia trovò credenza fra gente disposta dalla paura a raccogliere le più assurde dicerie. Di fronte allo sprezzo insultante della società francese di Londra, Viotti dovette lasciar l'Inghilterra. (p. 283)
  • Viotti fu uno degli uomini più favoriti dalla natura. Aveva una testa straordinaria per volume e per forma, fattezze poco regolari ma simpatiche; aperta, espressiva e sempre ridente la fisonomia, snella la taglia e ben proporzionata ; ne' suoi occhi scintillava lo spirito, la sua fronte calva e sporgente accennava il suo ingegno. Da giovane vestiva con ricercatezza, con proprietà da vecchio. (pp. 284-285)
  • Viotti non vedeva nella musica un trattenimento frivolo; ei non poteva concepirla spoglia dalle idee di grandezza, e non permetteva in essa le licenze che seducono il volgo: l'arte più non esisteva agli occhi suoi se cessava di esser grande. (p. 285)
  • In quell'epoca [della rivoluzione francese] Cherubini compose la musica di molti canti rivoluzionari. Si racconta che un dì egli corse pericolo d'esser ucciso dalla furia popolare. Un'orda di sanculotti aveva côlto vari artisti di musica e fra questi il Cherubini, il quale si rifiutò di prender parte alle loro canzoni patriottiche. Già s'innalzava la terribile parola al realista..., all'aristocratico..., quando uno de' suoi compagni gli porgeva un violino persuadendolo di volersi piegare alla circostanza. Cherubini continuò per tutto il giorno ad accompagnare que' canti furibondi. (pp. 290-291)
  • Alcuni critici dissero che la musica di Cherubini manca di melodia e di originalità: nulla di più erroneo. La melodia abbonda in tutte le opere dell'artista fiorentino, ma la ricchezza dell'armonia ed il fulgore del colorito istromentale erano tali che il pubblico, non educato a quel genere di musica, non sapeva in quel tempo apprezzarne le squisite bellezze. La qualità più notabile della melodia di Cherubini è precisamente l'originalità; infatti la forma stessa ne è di frequente inusitata, ma sempre graziosa. (p. 296)

Note[modifica]

  1. François-Joseph Fétis (1784 –1871), musicologo e compositore belga.
  2. Giacomo Meyerbeer (1791 – 1864), compositore tedesco attivo soprattutto in Francia.
  3. Johann Nepomuk Hummel (1778 – 1837), compositore, direttore d'orchestra e pianista austriaco.
  4. Ignaz (Isaac) Moscheles (1794 – 1870), pianista, compositore e musicista ceco.
  5. Luigi Filippo II di Borbone-Orléans (1747 – 1793), chiamato Philippe Égalité.

Bibliografia[modifica]

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