Tano Gullo

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Tano Gullo

Tano Gullo, all'anagrafe Gaetano Gullo (1950 – vivente), giornalista e saggista italiano.

Citazioni di Tano Gullo[modifica]

  • Anarchico e irregolare. Affabulatore incontenibile e laconico melanconico. Erudito e sbrigativo. Razionale ed esoterico. Un unicum tanto contraddittorio quanto irripetibile che si è potuto conservare grazie all'isolamento. Come alcune tribù amazzoniche o africane, o i maori australiani, Gesualdo Bufalino, autorecluso nell'assolata Comiso, ha scansato le contaminazione della modernità e l'effimero delle mode. Le sue orecchie, come quelle di Ulisse, sono rimaste sorde alle lusinghe delle avanguardie e delle retroguardie, dell' impegno e del disimpegno. Non a caso ha coniato il termine "isolitudine", cioè la solitudine doppia nell'Isola. Un siciliano schivo, felicemente errante nella giungla della letteratura, dove si è potuto ingozzare a sazietà delle bacche di quegli alberi rigogliosi inseminati dai Verga e dai Pirandello. Poi, da Baudelaire, Proust, Mann, Joyce, Conrad. E prima di loro dai classici greci e latini. Lo scrittore comisano si può considerare il frutto migliore di quella cultura di provincia sostanziata da una schiera di professori – «intellettuali della Magna Grecia» di tenace concetto e sottile ragionamento – destinata a non mettere mai fuori la testa dalla riserva paesana. Lui stesso ha raggiunto la notorietà a 61 anni.[1]
  • Aveva ancora i calzoni corti quando il padre lo portò con se in Belgio, a Charleroi, "le pays noir" dove i "rital", i terroni venuti dall'Italia per una manciata di carbone si calavano nelle miniere e spesso ci restavano seppelliti, come gli infelici di Marcinelle. La Sicilia però Salvatore Adamo, lo chansonnier che nel mondo ha venduto 80 milioni di dischi ("La notte", "Lei", "Affida una lacrima al vento", "Amo", e così via cantando), se l'è portata addosso per tutta la vita. Ancora oggi a 72 anni, ospite a "Domenica in" dopo due trionfali show a Parigi, ribadisce con orgoglio le sue radici. Di più, un suo romanzo scritto in francese quindici anni fa e ora tradotto in italiano con il titolo "La notte... l'attesa" (Fazi editore) trasuda di nostalgica sicilitudine a ogni pagina. Ne riporta espressioni dialettali proverbi, ricette culinarie, miti, rituali magici e quel sole che sembra abbacinare gli occhi da ogni pagina.[2]
  • Gli anni ruggenti isolani hanno perso uno dei protagonisti. È morto a Roma a 89 anni Vittorio Nisticò, storico direttore de L'Ora, il piccolo giornale palermitano che faceva paura ai boss. Nisticò ha vissuto in prima linea un quarto di secolo di Sicilia. Per raccontare la sua avventura occorre mettere a fuoco la seconda metà del '900. Due uomini silenti si incontrano e si capiscono. Poche parole per nuove speranze. Nasce a Palermo nei primi anni Settanta, in una casa di via Siracusa piena di libri, l'apertura del Pci agli intellettuali, preludio alla svolta che avrebbe portato il partito a uscire dalle sezioni per rivitalizzarsi ovunque, fuori dalla tenda comunista, ci fosse vita, gente, cultura. La casa è quella di Vittorio Nisticò. I due uomini taciturni sono Enrico Berlinguer e Leonardo Sciascia, che va all' appuntamento nonostante una fastidiosa febbre. Ci sono anche un ritardatario Achille Occhetto, la moglie Kadigia Bove e Angela Fais, la segretaria di redazione, che poco tempo dopo sarebbe morta nel disastro aereo di Montagnalonga. Nisticò, allora single, chiede aiuto alle due donne per improvvisare una frugale cena. Al tempo, il rapporto tra il più forte partito comunista dell'occidente e l'intellighenzia passa attraverso le colonne del battagliero quotidiano della sera, dai titoli cubitali che grondano inchiostro e sangue.[3]
  • Il viaggio da emigrato in Belgio, il successo negli anni Sessanta, gli 80 milioni di dischi venduti, il presunto flirt con una testa coronata e adesso il libro pubblicato da Fazi che rinsalda le sue radici. Salvatore Adamo, il cantante di "Lei" e "Cade la neve", è tornato alla ribalta grazie al romanzo "La notte... l'attesa" che trabocca di nostalgia per la sua terra attraverso l'immagine del sole, il dialetto, le tradizioni e le ricette. E non è escluso che prima o poi non decida di tornare per sempre nella sua Comiso, in quella zona del barocco che gli è rimasta attaccata addosso. Il padre morto in mare, il rapporto con Dino Buzzati, l'ammirazione per Falcone e Borsellino e il ricordo di quella canzone, "Dolce Paola", che gli fece conoscere la futura regina.[2]
  • Riemerge dal rifugio in cui era scomparsa 37 anni fa, all'improvviso. Eccola Franca Viola sulla soglia mentre rientra con una tazzina vuota del caffè che ha appena portato a Piera, amica dirimpettaia. La casa è una moderna palazzina di Alcamo, 45 mila abitanti. La facciata grigio perla ben rifinita e i balconi curati sono spia di un benessere solido. La ragazza che nel 1965 stupì l'Italia rifiutando le nozze riparatrici con il rapitore stupratore, Filippo Melodia, rampollo di una famiglia mafiosa, e che fece il primo passo nell'impervio sentiero del cambiamento delle donne siciliane, oggi è una bella signora di 56 anni. Figura snella, denti bianchissimi, sorriso solare, capelli biondi raccolti sulla nuca, occhiali dorati, vestiti sobri per l'ozio domenicale. Franca Viola sfoglia il libro di Marta Boneschi («Di testa loro», Mondadori) che la indica tra le 10 donne che hanno fatto il Novecento e accetta di parlare della sua storia nel tinello della casa vicina, «Da me no, non voglio disturbare i miei...».[4]

Addio a donna Maria, correttrice di Sciascia

repubblica.it, 8 gennaio 2009.

  • Con il marito spartiva tre passioni: la lettura, la casa a Racalmuto in contrada "Noce" e la riservatezza. Ieri lo ha raggiunto nella terra misteriosa, se esiste, dell'aldilà. È morta nella notte, nella sua casa di Palermo in via Scaduto, Maria Andronico, 86 anni, vedova dello scrittore Leonardo Sciascia. I funerali si svolgono stamattina nella vicina chiesa Regina Pacis, poi la salma sarà tumulata nel cimitero di Racalmuto accanto alla tomba del marito, sulla quale è scritto "Ce ne ricorderemo di questo pianeta". Enigmatico epitaffio scelto dallo stesso scrittore. Donna Maria, schiva e mite, è stata l'ombra di Sciascia fino a quando ha condiviso con lui questo pianeta, di cui vale la pena ricordarsene, e ne è diventata la custode della memoria e dei manoscritti nei diciannove anni di vedovanza. Fu grazie all'afa soffocante di quel luglio del 1998 alla Noce che riuscimmo ad estorcerle un'intervista, riteniamo l'unica a tutto campo che abbia mai concesso. Una volta varcata la soglia, restammo rintanati un bel po' di tempo per sfuggire alla canicola. Mise subito in chiaro di essere allergica alle interviste («Che cosa posso dire? Mio marito sì che ne aveva cose da raccontare, ma io... »). Alla fine, la voglia di parlare del suo Leonardo e il sacro rispetto dell'ospitalità in quella giornata da cani vinsero ritrosie e titubanze. Ne venne fuori una sorta di ritratto segreto di Sciascia, istoriato dai ricordi della donna che con lui aveva condiviso 45 anni di esistenza e poi dieci anni di struggimento seguiti alla morte dello scrittore.
  • Ci accompagnò nello studio, dove, sulla scrivania ottocentesca, accanto ai libri dell'amato Manzoni c'era l'inseparabile "Lettera 32" della Olivetti sui cui tasti Sciascia aveva tramato i suoi ultimi romanzi, ci mostrò stampe, testi, sigilli e ninnoli collezionati dal marito; gli angoli prediletti, il pino sotto il quale amava leggere e la zona esposta a tramontana davanti alla casa prodiga di refoli e dell'odore dei gelsomini piantati sul bordo. Si rammaricò per i mobili che qualche settimana prima le avevano rubato i ladri, contenta però che per fortuna avevano lasciato al loro posto libri e cimeli. Poi piano piano cominciò a raccontarci la sua avventura sentimentale e culturale con Leonardo: «Giovane maestrina, vinsi il concorso e mi mandarono a Racalmuto. Era il 1942 e avevo vent'anni. Con me insegnavano le due zie di Leonardo. Me lo presentarono e cominciò a prestarmi dei libri. Io li leggevo e poi ne parlavamo. Lui allora lavorava al consorzio dell'ammasso del grano e solo nel 1949 cominciò a insegnare. Ci siamo sposati prima, nel 1942. A quel tempo aveva una grande passione: i narratori americani. Ma mi ha fatto anche conoscere i nuovi poeti italiani: Gozzano, Montale, Ungaretti. Declamava sempre poesie. Anche negli ultimi anni. Io e le nostre due figlie, Laura e Anna Maria, ci divertivamo a sentirlo. Quando si faceva la barba invece di canticchiare recitava versi. Soprattutto quelli in dialetto. Quelli romaneschi di Trilussa e Belli e napoletani di Di Giacomo. Gli piaceva moltissimo. Posso dire che è stato lui la mia Università».
  • Donna Maria è stata la fidata consigliera di Sciascia. Non c'è rigo che lui abbia scritto che lei non abbia letto in anteprima, i libri, ma anche gli articoli per i giornali. Il giudizio della moglie era il suo utile termometro. Lui capiva senza che lei dicesse esplicitamente quel che ne pensava: «L'unica cosa che mi chiedeva era se ci fossero errori di scrittura. Non mi anticipava mai quel che aveva in mente di fare. Vedevo che raccoglieva materiali per i fatti suoi. Parlavamo di tutto, commentavamo i fatti del giorno, le polemiche in cui veniva trascinato, ma non di quello che stava progettando. Lavorava solo di mattina e solo nello studio. Quando finiva un romanzo, un articolo, un saggio, me lo dava a leggere». Quante belle chiacchierate all'ombra della casa e degli alberi. Lui, donna Maria e gli amici del continuo viavai: Vincenzo Consolo, Stefano Vilardo, Ferdinando Scianna, Natale Tedesco, Matteo Collura, Nino De Vita, Gesualdo Bufalino, Gaetano Traina, Bruno Caruso, Aldò Scimè, Antonio Di Grado e - prima della famosa e insanabile lite - Renato Guttuso, e tanti altri. La padrona di casa era tenuta in grande considerazione, almeno quanto il marito, da ognuno di loro. E quando calava la sera la tavolata era pronta: vino buono, pane di paese e spesso il "pitaggio", il piatto preferito dallo scrittore, di cui la signora ci aveva dettato la ricetta: «Melanzane, cipolle, patate, fritte con caciocavallo. Una delizia che spesso cucinava lui stesso».

Note[modifica]

  1. Da Il teorico della falsa memoria, la Repubblica, 10 giugno 2006.
  2. a b Da Adamo: «Ho scoperto di essere siciliano», palermo.repubblica.it, 30 marzo 2015.
  3. Da Nisticò, giornalista eretico che fece grande L'Ora, la Repubblica, 9 giugno 2009.
  4. Da «La mia vita diventata un film per un matrimonio rifiutato», la Repubblica, 22 aprile 2002.

Voci correlate[modifica]

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