Dino Buzzati

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Dino Buzzati

Dino Buzzati (1906 – 1972), scrittore, giornalista e pittore italiano.

Citazioni di Dino Buzzati[modifica]

  • A farci stare in palpiti sono le favolose circostanze del dramma, quale non abbiamo finora conosciuto che nei libri e nei film di fantascienza? È la durata enorme dell'incertezza, che sembra doversi prolungare per giorni interi? È la spaventosa distanza che ci separa dai tre, librati in un mondo paurosamente straniero e nemico, per noi pressoché inconcepibile? È l'interrotto colloquio fra la Terra e la temeraria navicella che potrebbe trasformarsi in sepolcro, per cui rabbrividiamo al dubbio di dover ascoltare la spietata progressione di un addio?[1]
  • A Milano, diciamo la verità, i cani hanno oramai raggiunto una solida posizione morale. [...] Noi [gatti], come categoria sociale, siamo quasi completamente trascurati. Noi siamo i tipi poco raccomandabili, noi siamo gli zingari, noi siamo i fuori legge, ecco in che conto ci tenete, a Milano, come regola generale. [...] Che importa la nostra illustre tradizione nel mondo artistico e culturale? Che importa se tanti uomini di sublime ingegno hanno prediletto noi sopra ogni altra creatura vivente? Che conta la nostra intelligenza, che non ostentiamo puerilmente come i cani?[2]
  • [Sull'alpinismo] Chi ha dato tanto alla montagna, chi per la montagna ha rischiato con tanto accanimento la vita, a questo amore resterà legato per sempre.[3]
  • Ciascuno di noi forse porta scritta in una recondita particella del corpo, la propria finale condanna. Ma perché andare determinatamente a disseppellirla?[4]
  • Da qualche tempo mi tremano le mani, la calligrafia è diventata quella di un vecchio: io lo sento questo tremito sgorgarmi fuori dalle profondità dell'anima e del corpo dove si è annidata lei e ride vittoriosa assaporando la sua dominazione su di me, ben sapendo di farmi impazzire.[5]
  • [Sulla Tragedia del Vajont] E il monte che si è rotto e ha fatto lo sterminio è uno dei monti della mia vita, il cui profilo è impresso nel mio animo e vi rimarrà per sempre. Ragione per cui chi scrive si trova ad avere la gola secca e le parole di circostanza non gli vengono. Le parole incredulità, orrore, pietà, costernazione, rabbia, pianto, lutto, gli restano dentro col loro peso crudele. [...] Ancora una volta la fantasia della natura è stata più grande ed astuta che la fantasia della scienza.[6]
  • E non nego che, sotto certi punti di vista, io, privatamente, possa essere anche considerato reazionario: in molte cose io sono attaccato alle vecchie cose, alla tradizione, piuttosto che alle cose del domani. Né sono uno che smania perché da domani mattina si scateni la rivoluzione per le strade, no, questo no.[7]
  • E se l'idea di poter prolungare l'esistenza al nostro cane ci seduce non è solo perché gli vogliamo bene, ma anche per amore di noi stessi. E quando il nostro cane muore, ne soffriamo sì per l'affetto che ci legava a lui, ma sotto c'è sempre l'oscuro affanno per la nostra sorte. Se il cane muore, si porta via un pezzo della nostra vita e di colpo ci sentiamo assai più vecchi. In piccolo, è lo stesso sentimento di desolata solitudine che proverebbe un uomo immortale che vedesse scomparire ad uno ad uno i suoi amici d'infanzia, e poi i figli di costoro, e poi i nipoti, egli invece restando sempre giovane.[8]
  • Ho visto correre il tempo, ahimè, quanti anni e mesi e giorni, in mezzo a noi uomini, cambiandoci la faccia a poco a poco; e la sua velocità spaventosa, benché non cronometrata, presumo sia molto più alta di qualsiasi media totalizzata da qualsiasi corridore in bicicletta, in auto o in aeroplano-razzo da che mondo è mondo.[9]
  • Il film ci rivela quanto abietto, crudele e stolto è l'uomo: è quindi una lezione di umiltà. Ci frusta il cuore coi nefandi stermini di uomini, donne, bambini biondi e neri, di stupendi animali innocenti. Moralmente, insomma, è una purga di rara energia. C'è però un lato negativo, forse. Africa addio, volontariamente o no, risulta razzista, tirando a dimostrare che nella generalità i negri dell'Africa sono della gente inferiore, e che l'avergli dato libertà e indipendenza è stata una delle più grosse balordaggini mai commesse dall'Occidente.[10]
  • [Grammelot] [Il critico d'arte] Il pittrore [...] di del dal col affioriccio ganolsi coscienziamo la simileguarsi. Recusia estemesica! Altrinon si memocherebbe il persuo stisse in corisadicone elibuttorro. Ziano che dimannuce lo qualitare rumelettico di sabirespo padronò. E sonfio tezio e stampo egualiterebbero nello Squitinna il trilismo scernosti d'ancomacona percussi. Tambron tambron, quilera dovressimo, ghiendola namicadi coi truffo fulcrosi, quantano, sul gicla d'nogiche i metazioni, gosibarre, che piò levapo si su predomioranzabelusmetico, rifè comerizzando per rerare la biffetta posca o pisca.[11]
  • Io voglio ricordarmi di essere stato [...]. Divenire un'anima felice che ignora di essere stato Dino Buzzati, è una fregatura.[12]
  • L'opportunismo e l'arrivi­smo filo-marxista dei miei colleghi mi fa venire il vomito, e come primo impulso mi fa diventare assertore della monarchia assoluta.[13]
  • La solitudine si accresce quante più persone conosciamo.[14]
  • Lei [Fausto Gianfranceschi] parla troppo bene di me! Racconta, sintetizza nel modo più autentico le mie storie e ne descrive il significato, o meglio la direzione. Ragione per cui la noia a cui accennavo prima non si è affacciata menomamente. E sono rimasto sinceramente sorpreso, profondamente commosso.[15]
  • [Sulla Tragedia di Albenga] Mentre si affollavano di bambini le corsie dell'ospedale di Albenga, sulle acque del Brone cominciavano le ricerche della speranza. Piccoli corpi inanimati venivano tratti uno ad uno dalle placide acque e via via erano trasportati nell'ambulatorio della Croce Bianca. Prima delle 23, il ricupero era finito. Intanto, le mamme si addormentavano tristemente, dopo la preghiera per il loro bambino lontano.[16]
  • Pronte sono le biciclette lustrate come nobili cavalli alla vigilia del torneo. Il cartellino rosa dal numero è fissato al telaio coi sigilli. Il lubrificante le ha abbeverate al punto giusto. I sottili pneumatici lisci e tesi come giovani serpenti. Saldati i bulloni, disposto alla esatta inclinazione il sellino, calcolata al millimetro l'altezza del manubrio.[17]
  • [Sul Sessantotto] Una creti­neria bell'e buona.[13]
  • Voglia scusare il malscritto dovuto al fatto che giaccio in letto dopo una operazione (non risolutiva purtroppo) per una subdola, misteriosa e rara malattia il cui ultimo caso sicuramente accertato risale alla seconda dinastia dei Gorgonidi.[18]
  • «Voglio dire», fece Endriade, «che la vita ci riuscirebbe insopportabile, anche nelle condizioni più felici, se ci fosse negata la possibilità di suicidio. Nessuno ci pensa, si capisce. Ma se l'immagina cosa diventerebbe il mondo se un giorno si sapesse che della propria vita nessuno può disporre? Una galera spaventosa. Pazzi, si diventerebbe.»[19]

Cronache nere[modifica]

  • Una specie di demonio si aggira dunque per la città, invisibile, e sta forse preparandosi a nuovo sangue.
  • La gente comincia ad avere paura. Non è più una faccenda altrui, buona per quattro chiacchiere fra comari, e dopo dieci minuti non ci si pensa più; nessuno può dirsene estraneo, l'ombra del male scivola intorno a ciascuno di noi e ci potrebbe toccare.
  • E voi parlatene pure, se vi interessa tanto, leggete i resoconti, contemplate le fotografie, andate pure, se non potete farne a meno, alla Corte d'Assise, discutetene alla sera. Però vi resti fitto nel cuore il ricordo di quei tre bimbi selvaggiamente uccisi, di quei tre faccini rimasti là, immobili per sempre, con l'espressione stupefatta, di quel seggiolone da lattante da cui colò ilo tenero sangue. Le anime dei tre innocenti sovrastano, con pallida e dolorosa luce, la folla riunita al tribunale; e può darsi che vi guardino.
  • Dalla portina, alle 9.30, una donna entra nella gabbia. Ha un paltò nero, un poco infagottato. Una sciarpa di lana giallo chiaro, gettata sulla spalla, le copre metà faccia. Tiene la testa china e si nasconde gli occhi con le mani, nere anch'esse per i guanti di filo. Pure i capelli, spartiti lateralmente con cura e raccolti sulla nuca, sono neri. Sembra una di quelle penitenti che si vedono inginocchiate nell'angolo più buio della chiesa dalle cinque del mattino. Invece è Rina Fort, la "belva".

Il colombre e altri cinquanta racconti[modifica]

  • Può darsi che per colpa del mio dannato carattere, io muoia solo come un cane in fondo ad un vecchio e deserto corridoio. Eppure una persona quella sera inciamperà nella gobbetta cresciuta nel suo giardino e inciamperà anche la notte successiva e ogni volta penserà, perdonate la mia speranza, con un filo di rimpianto, penserà ad un certo tipo che si chiamava Dino Buzzati. (da Le gobbe nel giardino)
  • Un frate di nome Celestino si era fatto eremita ed era andato a vivere nel cuore della metropoli dove massima è la solitudine dei cuori e più forte è la tentazione di Dio. [...] ancora più potente è il deserto delle città fatto di moltitudini, di strepiti, di ruote, di asfalto, di luci elettriche, e di orologi che vanno tutti insieme e pronunciano tutti nello stesso istante la medesima condanna. (da L'umiltà)
  • Cessati l'assalto al potere e la smania del predominio, si vide che dovunque si stabilivano automaticamente la giustizia e la pace. (da La lezione del 1980)
  • E di innumerevoli afflizioni è generoso il mondo, ma i morsi dell'invidia sono tra le ferite più sanguinose, profonde, difficili, da rimarginare e complessivamente degne di pietà. (da Il segreto dello scrittore)
  • "Ma dimmi chi c'era nella Continental che abbiamo soffiato poco fa?" "Marcello Mastroianni" "E in quest'altra?" "Non vorrei andare errata ma mi sembrava proprio l'onorevole Fanfani" "E in quella Rolls?" "Stavolta ho visto benissimo. Era sua maestà, la regina d'Inghilterra". (da I sorpassi)
  • Le storie che si scriveranno, i quadri che si dipingeranno, le musiche che si comporranno, le stolte pazze incomprensibili e inutili cose che tu dici, saranno pur sempre la punta massima dell'uomo, la sua autentica bandiera [...] quelle idiozie che tu dici saranno ancora la cosa che più ci distingue dalle bestie, non importa se supremamente inutili, forse anzi proprio per questo. Più ancora dell'atomica, dello sputnik, dei razzi intersiderali. E il giorno che di quelle idiozie non se ne faranno più, gli uomini saranno diventati dei nudi miserabili vermi come ai tempi delle caverne. (da Il mago)
  • Perché le differenze continuano a esistere finché noi viviamo parliamo vestiamo, ciascuno recitando la sua bella commedia, poi basta: poi tutti uguali nell'identica positura della morte, così semplice, così confacente ai requisiti dell'eternità. (da Generale ignoto)
  • Che cosa sei Noretta col tuo palloncino attraversando il paese nel mattino della domenica? Sei la sposa raggiante che esce dalla chiesa, sei la regina in trionfo dopo la vittoria, sei la divina cantante sollevata a spalle dalla folla in delirio, sei la donna più ricca e bella del mondo, sei l'amore grande e fortunato, i fiori, la musica, la luna, le foreste e il sole, tutto questo in una sola volta sei perché un palloncino di guttaperca pneumatica ti ha resa felice. (da Il palloncino)
  • "Assurdo sì" disse coprendosi la faccia con le mani "però accadono nel mondo questi miracoli dell'amore..." (da Suicidio al parco)
  • Guardava dinnanzi a sé i parchi, i campi, i boschi, le montagne, le misteriose montagne. Vendetta, che inutile cosa. (da Progessioni)
  • Ogni vero dolore viene scritto su lastre di una sostanza misteriosa al paragone della quale il granito è burro. E non basta una eternità per cancellarlo. Fra miliardi di secoli, la sofferenza e la solitudine di mia mamma, provocate da me, esisteranno ancora. Ed io non posso rimediare. Espiare soltanto. (da I due autisti)
  • Niente? Proprio niente rimane. Di mia mamma non esiste più nulla? Chissà. Di quando in quando, specialmente nel pomeriggio, se mi trovo solo, provo una sensazione strana. Come se qualcosa entrasse in me che pochi istanti prima non c'era, come se mi abitasse un'esistenza indefinibile, non mia eppure immensamente mia, e io non fossi più solo, ed ogni mio gesto, ogni parola avesse come testimone un misterioso spirito. Lei! (da I due autisti)

Il deserto dei Tartari[modifica]

Incipit[modifica]

Nominato ufficiale, Giovanni Drogo partì una mattina di settembre dalla città per raggiungere la Fortezza Bastiani, sua prima destinazione.
Si fece svegliare ch'era ancora notte e vestì per la prima volta la divisa di tenente. Come ebbe finito, al lume di una lampada a petrolio si guardò allo specchio, ma senza trovare la letizia che aveva sperato. Nella casa c'era un grande silenzio, si udivano solo piccoli rumori da una stanza vicina; sua mamma stava alzandosi per salutarlo.
Era quello il giorno atteso da anni, il principio della sua vera vita. Pensava alle giornate squallide all'Accademia militare, si ricordò delle amare sere di studio quando sentiva fuori nelle vie passare la gente libera e presumibilmente felice; delle sveglie invernali nei cameroni gelati, dove ristagnava l'incubo delle punizioni. Ricordò la pena di contare i giorni ad uno ad uno, che sembrava non finissero mai.

Citazioni[modifica]

  • "Gli parve che la fuga del tempo si fosse fermata, il mondo ristagnava in una orizzontale apatia e gli orologi correvano inutilmente. La strada di Drogo era finita; eccolo ora sulla solitaria riva di un mare grigio e uniforme. [...] Gli occhi di Drogo fissavano come non mai le giallastre pareti della fortezza. Lacrime lente e amarissime calavano giù per la pelle raggrinzita, tutto finiva miseramente e non restava più nulla da dire." (p. 186)
  • L'ora miracolosa che almeno una volta tocca a ciascuno. Per questa eventualità vaga, che pareva farsi sempre più incerta col tempo, uomini fatti consumavano lassù la migliore parte della vita.
  • Fino allora egli era avanzato per la spensierata età della prima giovinezza, una strada che da bambini sembra infinita, dove gli anni scorrono lenti e con passo lieve, così che nessuno nota la loro partenza. Si cammina placidamente, guardandosi con curiosità attorno, non c'è proprio bisogno di affrettarsi, nessuno preme di dietro e nessuno ci aspetta, anche i compagni procedono senza pensieri, fermandosi spesso a scherzare. (p. 47)
  • Dalle case, sulle porte, la gente grande saluta benigna, e fa cenno indicando l'orizzonte con sorrisi d'intesa; così il cuore comincia a battere per eroici e tenere desideri, si assapora la vigilia delle cose meravigliose che si attendono più avanti; ancora non si vedono, no, ma è certo, assolutamente certo che un giorno ci arriveremo. (p. 47)
  • Ma a un certo punto, istintivamente, ci si volta indietro e si vede che un cancello è stato sprangato alle spalle nostre, chiudendo la via del ritorno. Allora si sente che qualche cosa è cambiato, il sole non sembra più immobile ma si sposta rapidamente, ahimè, non si fa tempo a fissarlo che già precipita verso il fiume dell'orizzonte, ci si accorge che le nubi non ristagnano più nei golfi azzurri del cielo ma fuggono accavallandosi l'una sull'altra, tanto è il loro affanno; si capisce che il tempo passa e che la strada un giorno dovrà pur finire. (p. 47)
  • Gravava ormai nella sala il sentimento della notte, quando le paure escono dai decrepiti muri e l'infelicità si fa dolce, quando l'anima batte orgogliosa le ali sopra l'umanità addormentata. [...] E fuori sempre la pioggia.
  • Così una pagina lentamente si volta, si distende dalla parte opposta, aggiungendosi alle altre già finite, per ora è solamente uno strato sottile, quelle che rimangono da leggere sono in confronto un mucchio inesauribile. Ma è pur sempre un'altra pagina consumata, signor tenente, una porzione di vita.
  • Eppure il tempo soffiava; senza curarsi degli uomini passava su e giù per il mondo mortificando le cose belle; e nessuno riusciva a sfuggirgli, nemmeno i bambini appena nati, ancora sprovvisti di nome. (p. 204)
  • Proprio in quel tempo Drogo si accorse come gli uomini, per quanto possano volersi bene, rimangono sempre lontani; che se uno soffre il dolore è completamente suo, nessun altro può prenderne su di sé una minima parte; che se uno soffre, gli altri per questo non sentono male, anche se l'amore è grande, e questo provoca la solitudine della vita.
  • Nel sogno c'è sempre qualcosa di assurdo e confuso, non ci si libera mai della vaga sensazione ch'è tutto falso, che un bel momento ci si dovrà svegliare.

Explicit[modifica]

La camera si è riempita di buio, solo con grande fatica si può distinguere il biancore del letto, e tutto il resto è nero. Fra poco dovrebbe levarsi la luna.
Farà in tempo, Drogo, a vederla, o dovrà andarsene prima? La porta della camera palpita con uno scricchiolio leggero. Forse è un soffio di vento, un semplice risucchio d'aria di queste inquiete notti di primavera. Forse è invece lei che è entrata, con passo silenzioso, e adesso sta avvicinandosi alla poltrona di Drogo. Facendosi forza, Giovanni raddrizza un po' il busto, si assesta con una mano il colletto dell'uniforme, dà ancora uno sguardo fuori dalla finestra, una brevissima occhiata, per l'ultima sua porzione di stelle. Poi nel buio, benché nessuno lo veda, sorride.

Sessanta racconti[modifica]

  • Era stato l'uomo a cancellare quella residua macchia del mondo, l'uomo astuto e potente che dovunque stabilisce sapienti leggi per l'ordine, l'uomo incensurabile che si affatica per il progresso e non può ammettere in alcun modo la sopravvivenza dei draghi, sia pure nelle sperdute montagne. Era stato l'uomo ad uccidere e sarebbe stato stolto recriminare. (da L'uccisione del drago; p. 93)
  • No, non è specialmente grande rispetto ad altri giovani compagni, ma in un certo senso è magnifico, lui che è una delle bestie più brutte del mondo. Perché l'età gli ha generosamente allungato le zanne, gli ha donato una importante criniera di setole gialle, gli ha inturgidito le quattro verruche ai lati del muso, lo ha trasformato in un mostro corporeo di favola, inerme pronipote dei draghi. In lui ora si esprime l'anima stessa della selva, un incanto di tenebre, protetto da antiche maledizioni. (da Vecchio facocero, 2005, p. 99)
  • Che peso, la presenza di Dio per chi non la desidera. (da Il cane che ha visto Dio, XIX; p. 243)
  • [La luna] [...] la placida abitatrice delle nostre notti, propizia agli incantesimi d'amore, discreta amica al cui lume favoloso le catapecchie diventavano castelli. (da L'incantesimo della natura)[20]
  • Le donne sono famose per costruir romanzi inverosimili. (da Una lettera d'amore; p. 466)
  • [Il conformismo] È la pace di colui che si sente in armonia con la massa che lo attornia. Oppure è l'inquietudine, il disagio, lo smarrimento di chi si allontana dalla norma.
    [...]
    È una forza tremenda, più potente dell'atomica. (Geronimo: da La parola proibita; p. 492)
  • Anche il più nobile sentimento si atrofizza e si dissolve a poco a poco, se nessuno intorno ne fa più caso. È triste dirlo, ma a desiderare il Paradiso non si può essere soli. (Geronimo: da La parola proibita; p. 494)
  • E come nella vita l'attesa di un bene certo ci dà più gioia che il raggiungerlo (ed è saggio non approfittarne subito, ma conviene assaporare quella meravigliosa specie di desiderio che è il desiderio sicuro di essere appagato ma non ancora praticamente soddisfatto, l'attesa insomma che non ha più timori e dubbi e che rappresenta probabilmente l'unica forma di felicità concessa all'uomo), come la primavera, che è una promessa, rallegra gli uomini più dell'estate che ne è il compimento sospirato, così il pregustare con la fantasia lo splendore del poema ignoto, equivale, anzi supera il godimento artistico della diretta e profonda conoscenza. Si dirà che questo è un gioco della immaginazione un po' troppo disinvolto, che così si apre la porta alle mistificazioni e ai bluffs. Eppure, se ci si guarda indietro, constatiamo che le più dolci e acute gioie non hanno mai avuto un più solido costrutto. (da Una pallottola di carta; pp. 514-515)

Un amore[modifica]

Incipit[modifica]

Una mattina del febbraio 1960, a Milano, l'architetto Antonio Dorigo, di 49 anni, telefonò alla signora Ermelina.
"Sono Tonino, buongiorno sign..."
"È lei? Quanto tempo che non si fa vedere. Come sta?"
"Non c'è male, grazie. Sa in questi ultimi tempi un mucchio di lavoro e così... senta potrei venire questo pomeriggio?"
"Questo pomeriggio? Mi faccia pensare... a che ora?"
"Non so. Alle tre, tre e mezza"
"Tre e mezza d'accordo"
"Ah senta, signora..."
"Dica, dica"
"L'ultima volta, si ricorda?... insomma quella stoffa per essere sincero non mi finiva di piacere, vorrei..."

Citazioni[modifica]

  • La consolazione, la felicità era tale che il modo di raggiungerla non aveva più alcuna importanza.
  • La donna, forse a motivo dell'educazione familiare, gli era parsa sempre una creatura straniera, con una donna non era mai riuscito ad avere la confidenza che aveva con gli amici. La donna era sempre per lui la creatura di un altro mondo, vagamente superiore e indecifrabile.
  • Lui si ricordò di una Madonna di Antonello da Messina. Il taglio del volto e la bocca erano identici. La madonna aveva più dolcezza, certo. Ma lo stesso stampo netto e genuino.
  • D'improvviso si rende conto di quello che forse sapeva già ma finora non ha mai voluto crederci. Come chi da tempo avverte i sintomi inconfondibili di un male orrendo ma ostinatamente riesce a interpretarli in modo da poter continuare la vita come prima ma viene il momento che, per la violenza del dolore, egli si arrende e la verità gli appare dinnanzi limpida e atroce e allora tutto della vita repentinamente cambia senso e le cose più care si allontanano diventando straniere, vacue e repulsive, e inutilmente l'uomo cerca intorno qualcosa a cui attaccarsi per sperare, egli è completamente disarmato e solo, nulla esiste oltre la malattia che lo divora,, è qui se mai l'unico suo scampo, di riuscire a liberarsi, oppure di sopportarla almeno, di tenerla a bada, di resistere fino a che l'infezione col tempo esaurisca il suo furore. Ma dall'istante della rivelazione egli si sente trascinare giù verso un buio mai immaginato se non per gli altri e d'ora in ora va precipitando. (2003, p. 77)
  • C'è, nel motivo popolaresco della musica, semplice come uno stecco eppure carico di secoli, qualcosa che precisamente diceva addio, con potenza d'amore per quello che fu e mai ritornerà e nello stesso tempo un confuso presentimento di cose che un giorno verranno, forse, perché la musica vera è tutta qui nel rimpianto del passato e nella speranza del domani, la quale è altrettanto dolorosa. Poi c'è la disperazione dell'oggi, fatta dell'uno e dell'altra. E fuori di qui altra poesia non esiste. (2003, p. 85)
  • Eppure, in quella svergognata e puntigliosa ragazzina una bellezza risplendeva ch'egli non riusciva a definire per cui era diversa da tutte le altre ragazze come lei, pronte a rispondere al telefono. Le altre, al paragone, erano morte. In lei, Laide, viveva meravigliosamente la città, dura, decisa, presuntuosa, sfacciata, orgogliosa, insolente. Nella degradazione degli animi e delle cose, fra suoni e luci equivoci, all'ombra tetra dei condomini, fra le muraglie di cemento e di gesso, nella frenetica desolazione, una specie di fiore.
  • Guardò le dodici e venti. Laide non telefonerà più. Ma esiste la Laide? Esiste una ragazza con un nome così buffo? Non era mai esistita. E' esistita ma non esiste più. Esiste ma lontana lontanissima le dodici e ventuno l'orologio non ha fatto trac adesso finalmente anche lui ha sentito. Non la rivedrò mai più.
  • Come se qualcosa lo avesse toccato dentro. Come se quella ragazza fosse diversa dalle solite. Come se fra loro due dovessero succedere molte altre cose. Come se lui ne fosse uscito differente. Come se Laide incarnasse nel modo più perfetto e intenso il mondo avventuroso e proibito. Come se ci fosse stata una predestinazione. Come quando uno, senza alcun particolare sintomo, ha la sensazione di stare per ammalarsi, ma non sa di che cosa né il motivo. Come quando si ode dabbasso il cigolio del cancello e la casa è immensa, ci abitano centinaia di famiglie e all'ingresso è un continuo andirivieni eppure all'improvviso si sa che ad aprire il cancello è stata una persona la quale viene a cercarci.
  • La Laide era una delle tante. Graziosa, certo, genuina, fisicamente spiritosa. Ma vuota. Fra lui e lei non ci sarebbe stato mai niente. Del resto il giorno dopo partì con Soranza, il suo amico, per andare a sciare. Si fermò a Sestriere una settimana. C'era la Dede, una ragazza di ottima famiglia, che aveva conosciuto l'anno precedente a Cortina. Andavano a sciare insieme tutto il giorno. Laide non era mai esistita.
  • D'improvviso si rende conto di quello che forse sapeva già ma finora non ha mai voluto crederci. Come chi da tempo avverte i sintomi inconfondibili di un male orrendo ma ostinatamente riesce a interpretarli in modo da poter continuare la vita come prima ma viene il momento che, per la violenza del dolore, egli si arrende e la verità gli appare dinanzi limpida e atroce e allora tutto della vita repentinamente cambia senso e le cose più care si allontanano diventando straniere, vacue e repulsive, e inutilmente l'uomo cerca intorno qualcosa a cui attaccarsi per sperare, egli è completamente disarmato e solo, nulla esiste oltre la malattia che lo divora, è qui se mai l'unico suo scampo, di riuscire a liberarsi, oppure di sopportarla almeno, di tenerla a bada, di resistere fino a che l'infezione col tempo esaurisca il suo furore.
  • Ora si accorge che, per quanto egli cerchi di ribellarsi, il pensiero di lei lo perseguita in ogni istante millimetrico della giornata, ogni cosa persona situazione lettura ricordo lo riconduce fulmineamente a lei attraverso tortuosi e maligni riferimenti. Una specie di arsura interna in corrispondenza della bocca dello stomaco, su su verso lo sterno, una tensione immobile e dolorosa di tutto l'essere, come quando da un momento all'altro può accadere una cosa spaventosa e si resta inarcati allo spasmo, l'angoscia, l'ansia, l'umiliazione, il disperato bisogno, la debolezza, il desiderio, la malattia mescolati tutti insieme a formare un blocco, un patimento totale e compatto. E capire che la faccenda è ridicola, stolta e rovinosa, che è la classica trappola in cui cadono i cafoni di provincia, che chiunque gli avrebbe dato dell'imbecille e che perciò da nessuno può attendersi consolazione.
  • Eppure anche a cinquant'anni si può essere bambini, esattamente deboli smarriti e spaventati come il bambino che si è perso nel buio della selva. L'inquietudine, la sete, la paura, lo sbigottimento, la gelosia, l'impazienza, la disperazione. L'amore! Prigioniero di un amore falso e sbagliato, il cervello non più suo, c'era entrata la Laide e lo succhiava. In ogni più recondito meandro del cervello in ogni riposta tana e sotterraneo ove lui tentava di nascondersi per avere un momento di respiro, là in fondo trovava sempre lei; che non lo guardava neppure, che non si accorge neppure di lui, che ridacchia a braccetto di un giovanotto, che balla inverecondi balli.
  • No. Lui la amava per se stessa, per quello che rappresentava di femmina, di capriccio, di giovinezza, di genuino popolana, di malizia, di inverecondia, di sfrontatezza, di libertà, di mistero. Era il simbolo di un mondo plebeo, notturno, gaio, vizioso, scelleratamente intrepido e sicuro di sé che fermentava di insaziabile vita intorno alla noia e alla rispettabilità dei borghesi. Era ignoto, l'avventura, il fiore dell'antica città spuntato nel cortile di una vecchia casa malfamata fra i ricordi, le leggende, le miserie, i peccati, le ombre e i segreti di Milano. E benché molti ci avessero camminato sopra, era ancora fresco, gentile e profumato. Gli basterebbe – pensava – che la Laide diventasse un poco sua, vivesse un poco per lui.

Incipit di alcune opere[modifica]

Bàrnabo delle montagne[modifica]

Nessuno si ricorda quando fu costruita la casa dei guardiaboschi del paese di San Nicola, nella valle delle Greve, detta anche la casa dei Marden. Da quel punto partivano cinque sentieri che si addentravano nella foresta. Il primo scendeva giù per la valle verso San Nicola e a poco a poco diventava una vera strada. Gli altri quattro salivano fra i tronchi, sempre più incerti e sottili, fino a che non rimaneva più che il bosco, con gli alberi secchi e rovesciati per terra e tutte le sue vecchissime cose. E sopra, a Nord, c'erano le bianche ghiaie che fasciano le montagne.
Il sole si leva dalle grandi cime, gira sopra la Casa dei Marden e tramonta dietro al Col Verde. Soffia il vento alla sera, portando via un'altra giornata. Del Colle, il capo dei guardiani, quest'oggi è in vena e ha lunghe storie da raccontare. Solo lui se le ricorda, ma a dirle tutte si farebbe notte e poi ancora mattino e non sarebbe finita.

Il Babau[modifica]

Era molto più delicato e tenero di quanto si credesse. Era fatto di quell'impalpabile sostanza che volgarmente si chiama favola o illusione: anche se vero. Galoppa, fuggi, galoppa, superstite fantasia. Avido di sterminarti, il mondo civile ti incalza alle calcagna, mai più ti darà pace.

Il grande ritratto[modifica]

Nell'aprile 1972 il professor Ermanno Ismani, di 43 anni, ordinario di elettronica all'università di X, uomo piccolo, grasso, di umor gaio, ma pauroso, ricevette una lettera del ministero della difesa che lo pregava di conferire con il colonnello Giaquinto, capo dell'Ufficio studi. L'invito aveva carattere d'urgenza.

La famosa invasione degli orsi in Sicilia[modifica]

Dunque ascoltiamo senza batter ciglia
la famosa invasione degli orsi in Sicilia.

La quale fu nel tempo dei tempi
quando le bestie eran buone e gli uomini empi.
In quegli anni la Sicilia non era
come adesso ma in un'altra maniera:
alte montagne si levavano al cielo
con la cima coperta di gelo
e in mezzo alle montagne i vulcani
che avevano la forma di pani.
Specialmente uno ce n'era
con un fumo che pareva una bandiera
e di notte ululava come ossesso
(non ha finito di ulular neppure adesso).

Nelle buie caverne di queste montagne
vivevano gli orsi mangiando castagne,
funghi, licheni, bacche di ginepro, tartufi
e se ne cibavano finché erano stufi.

Citazioni su Dino Buzzati[modifica]

  • Buzzati è fra i più sperimentati e garbati dosatori d'allarmi e spaventi, che esercitano tale mestiere con l'aiuto della penna. È un addomesticatore di apocalissi. (Emilio Cecchi)
  • Buzzati si esprime in un mondo di certezze religiose, dove la metafisica non si problematicizza ma si lega bizzarramente alla teologia. (Francesco Grisi)
  • Ero appena laureato in Giurisprudenza e facevo pratica nello studio in cui sono ancora oggi a lavorare. Dino Buzzati era il «titolista» del «Corriere» e il mio maestro Arturo Orvieto scriveva articoli su temi giuridici. La sera, quando ormai in studio non c'era più nessuno, mi chiamava Dino Buzzati e mi diceva: «Avvocato, farei questo titolo per l'articolo del suo maestro, mi dica se risponde bene ai contenuti, mi suggerisca liberamente le modifiche». Gli dicevo la mia opinione e ogni volta gli ripetevo: «Non sono avvocato, sono solo laureato in Giurisprudenza, un praticante» e lui rispondeva: «Lei per me è avvocato». Posso dire con orgoglio che mi ha nominato avvocato Dino Buzzati. (Cesare Rimini)
  • Il Dino. Il Buzzati che a sera tardi, quando usciva dal Corriere, veniva da me e mi diceva: "Rosalina, fammi due uova in cereghin" con tanto burro, da inzuppare il pane. (Rosalina Neri)
  • La "visione" dell' attesa di cui è capace Dino Buzzati mi è rimasta dentro da quando, a tredici anni, lessi Il deserto dei Tartari. (Antonio Spadaro)
  • Non so quanti ricorderanno og­gi, a 40 anni dalla sua morte, un aspetto essenziale per capire Dino Buzzati, l'uomo e l'opera: la sua indo­le di conservatore all'antica, apoliti­co, pessimista e anche reazionario, come egli stesso ammise, ma reazio­nario in forma privata, precisò, «at­taccato alle vecchie cose, alla tradi­zione, piuttosto che alle cose di do­mani». (Marcello Veneziani)
  • Quel che resta sono le opere aristocratiche dei vinti, i Tomasi e i Buzzati, i Praz e i Morselli, i Berto e gli Alianello. O di vinti a disagio nel campo dei vincitori, come Pavese e Pasolini. (Marcello Veneziani)
  • Sta oggettivamente dalla parte di coloro i quali vogliono che tutto stia fermo com'è per non perdere uno solo dei loro privilegi. (Giorgio Bocca)

Note[modifica]

  1. Da Corriere della Sera, 15 aprile 1970.
  2. Da Lo strano Natale di Mr. Scrooge e altre storie, Mondadori, Milano, 1990, p. 184.
  3. Da Cento ore senza sole, Corriere della Sera; citato in Walter Bonatti, Una vita così, a cura di Angelo Ponta, BUR, Milano, 2014, p. 21. ISBN 978-88-17-07843-6.
  4. Da Revisione dell'ultracinquantenne, in Cronache terrestri, a cura di Domenico Porzio, introduzione di Claudio Toscani, Mondadori, Milano, 2014, p. 183.
  5. Citato in Lorenzo Viganò, Tormento, ossessione, soffio vitale. L'amore secondo Dino Buzzati, Corriere della Sera, 9 ottobre 2017, p. 38.
  6. Da Natura crudele, Corriere della Sera, 11 ottobre 1963.
  7. Da Lorenzo Viganò (a cura di), Album Buzzati, Mondadori, Milano, 2006, p. 362.
  8. Da È morto Birillo, in Siamo spiacenti di.
  9. Da Corriere della sera, 20 maggio 1949; citato in Dino Buzzati al Giro d'Italia, Mondadori, Milano, 2014, p. 28.
  10. Citato in Sansonna Giuseppe, Hollywood sul Tevere. Storie scellerate, Minimum Fax, Roma, 2016.
  11. Da Il critico d'arte, citato in Daniele Baglioni, Lingue inventate nella letteratura italiana del Novecento, treccani.it, 1 gennaio 1970.
  12. Citato in Domenico Porzio, Primi piani, Mondadori, Milano, p. 5.
  13. a b Citato in Marcello Veneziani, Buzzati il conservatore e i Tartari, ilGiornale.it, 28 gennaio 2012.
  14. Da Favolette, in Siamo spiacenti di.
  15. Da una lettera a Fausto Gianfranceschi; citato in Dino Buzzati: inediti, "I critici mi annoiano terribilmente", adnkronos.com, 4 maggio 1998.
  16. Da Sono arrivate le mamme dei 43 fratellini della morte, Corriere d'Informazione, 17 luglio 1947.
  17. Da Scattano cento corridori sulla strada di Garibaldi, Corriere della sera, 20 maggio 1949; citato in Dino Buzzati al Giro d'Italia, Mondadori, Milano, 2014, 31.
  18. Da una lettera inviata a Geno Pampaloni; citato in Domenico Porzio, Primi piani, p. 6.
  19. Da Il grande ritratto, cap. XV.
  20. In Dino Buzzati, Il meglio dei racconti, Mondadori, 2015. ISBN 9788835708414

Bibliografia[modifica]

  • Dino Buzzati, Bàrnabo delle montagne, Mondadori, Milano.
  • Dino Buzzati, Cronache nere, Theoria, Roma, 1984. ISBN 88-241-0057-0.
  • Dino Buzzati, Il Babau, in Le notti difficili, Mondadori, Milano.
  • Dino Buzzati, Il colombre e altri cinquanta racconti, Mondadori, Milano.
  • Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari, Mondadori, Milano, 1958.
  • Dino Buzzati, Il grande ritratto, Mondadori, Milano, 2014. ISBN 8852053727
  • Dino Buzzati, La famosa invasione degli orsi in Sicilia, Mondadori, Milano, 2011. ISBN 978-88-04-50131-2
  • Dino Buzzati, Sessanta racconti, prefazione di Luciano Bianciardi, Mondolibri, Milano, stampa 2005.
  • Dino Buzzati, Sessanta racconti (1958), Mondadori, Milano, 1994. ISBN 88-0449-303-8
  • Dino Buzzati, Siamo spiacenti di, Mondadori, 2014.ISBN 9788852054853
  • Dino Buzzati, Un amore, Mondadori, Milano, 1963.
  • Dino Buzzati, Un amore, RCS – Corriere della Sera, Milano, 2003.

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