Tommaso Campanella

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Tommaso Campanella

Giovanni Domenico Campanella (1568 – 1639), filosofo, teologo, poeta e frate domenicano italiano.

Citazioni di Tommaso Campanella[modifica]

  • Anzi è chiaro che tutto il genere umano, non solo questo o quell'individuo, è tenuto a dedicarsi alle scienze. Infatti Dio creò l'uomo, affinché lo conoscesse, e conoscendolo lo amasse, e amandolo ne godesse; per questa ragione l'uomo è stato creato razionale e dotato di sensi. Invece l'uomo, se è vero che la ragione è fatta per le scienze, qualora non utilizzasse questo dono di Dio secondo il progetto divino, agirebbe contro l'ordine naturale di Dio – come suole notare Crisostomo – quasi non volesse usare i piedi per camminare.[1]
  • Assai sa chi non sa, se sa obbedire.[2]
  • E quanto intendo più, tanto più ignoro.[3]
  • Gabbia de' matti è il mondo.[4]
  • I santi Leone, Antonio, Bernardo, Crisostomo ed altri dicono che il mondo è il libro di Dio che dobbiamo indagare con maggior cura.[5]
  • Il Gallo canterà; Pietro riformerà spontaneamente se stesso; Pietro canterà; il Gallo volerà sopra il mondo intero ma lo sottometterà a Pietro e sarà guidato dalle sue redini. Il lavoro diventerà un piacere amichevolmente diviso fra molti, poiché tutti riconosceranno un solo Dio e Padre. Tutti i re e tutti i popoli si raccoglieranno in una città che da essi verrà chiamata 'Heliaca' e che sarà costruita da questo nobile eroe. Un tempio sarà eretto nel mezzo di essa, modellato sui cieli; esso sarà retto dal grande sacerdote e dai consiglieri dei sovrani, e gli scettri dei re verranno posti ai piedi di Cristo.[6][7]
  • Il mondo è il libro, dove il senno eterno | scrisse i proprii concetti.[8]
  • Io nacqui a debellar tre mali estremi; | tirannide, sofismi, ipocrisia [...]. | Carestie, guerre, pesti, invidia, inganno, | ingiustizia, lussuria, accidia, sdegno | tutti a que' tre gran mali sottostanno | che nel cieco amor proprio, figlio degno | d'ignoranza, radice e fomento hanno. [9]
  • La morte è dolce a chi la vita è amara.[10]
  • Le ninfe d'Arno e l'adriatica Dea, | Grecia, che tenne l'insegne latine, | le contrade siriache e palestine, | e l'onda eussina e la partenopea, | l'audace industria tua regger dovea, | che superolle; e d'Asia ogni confine, | d'Africa e d'America le marine, | e ciò che senza te non si sapea. | Ma tu, a te strana, le vittorie lasci | per piccol premio ad altri, però c'hai | debole il capo e le membra possenti; | Genoa, del mondo donna, se rinasci | di magnanima scuola, e non avrai | schiave a' metalli le tue invitte genti.[11]

Aforismi politici[modifica]

  • Il dominio naturale ha la Comunità naturale; il violento, violenta.
  • Nessuno domina a sé solo, e a pena un solo ad un altro solo signoreggia. Il dominio dunque richiede unità di molti insieme, che si dice Comunità.
  • Più naturale è il dominio e la comunità dove il bene è più comune a tutti: e violento è più, dove è manco comune.
  • Signoreggia per natura chi precede di virtù; serve per natura chi manca di virtù; dove si fa il contrario è dominio violento.

Del senso delle cose e della Magia[modifica]

  • [L'istinto è] impulso di natura senziente [...]. (lib. I, cap. 7; p. 42)
  • Vero è che molti animali hanno più senso che memoria, e così tra gli uomini [...]. (lib. II, cap. 20; p. 95)
  • Che tutti gli animali sentano, nessun dubita. Or che molti abbino memoria si vede, ch'imparano i cavalli li salti; le simie i giochi, e l'api di tornar in casa loro. (lib. II, cap. 23; p. 102)
  • Il polpo per magnarsi la coquiglia spesso dalle conche di quella che si serra viene ad esser offeso nelli piedi, ed egli perché non li possa serrare astutamente gitta una petrella dentro le conche, e quella non può chiuderle, e così la divora; pure con astuzia alle pietre s'appiatta per parer pietra a pesciolini. (lib. II, cap. 23; pp. 102-103)
  • L'astuzia del ragno a pigliar le mosche è stupenda; come fabrica la rete, e fa le fila in tirarla; si nasconde in secreto dove le fila finiscono, e incorrendo la mosca alla rete la scote e si communica per il filo al ragno il moto, et esce a pigliarla con mille sillogismi. (lib. II, cap. 23; p. 103)
  • E così le grui hanno il capitano, il sergente, l'ordine del caminare e fermare; la più forte guida, e tutte a vicenda; e vigila la guardia con la pietra in mano per non addormentarsi. (lib. II, cap. 23; p. 103)
  • L'elefanti han tutte queste generosità e più senno; combatton con arte, imparan la lingua, fan patti con noi, conosceno la colpa, e si lavano dopo il coito, s'inginocchiano alla Luna, come gli antichi Greci, la riveriscono per lo beneficio che ricevono la notte da lei. (lib. II, cap. 23; p. 103)
  • Molti animali bramano gli onori, conoscono il disprezzo, e quanto sappiano le scimie argomentar a tutti è noto.
    L'onor e il disprezzo non si sentono con sensi esteriori, ma sono intelligibili; han dunque intendimento, e Job dice nel gallo esser intelligenza del Sole; e Cristo nelli serpi prudenza pone, e tutti gli animali disciplinabili dota Aristotile di prudenza. (lib. II, cap. 23; pp. 103-104)
  • [...] quando noi miriamo i Tartari ed Etiopi, e li sentimo parlar sermoni ignoti, ci paiono più ignoranti, che li nostri cavalli, e di costumi e atti differentissimi dalli umani nostri. Così paion gli altri animali a noi esser senza discorso e favella e giudizio; ma tutti n'hanno chi più e chi meno, come tra noi avviene che molti paion bestie [...]. (lib. II, cap. 23; p. 104)
  • Tutti gli animali stanno dentro il ventre del mondo, e l'uom con loro, come vermi dentro il ventre dell'animale; e pur solo gli uomini s'accorgeno che cosa è questo grande animale e li suoi principii, corsi, vita, e morte. (lib. II, cap. 25; p. 110)
  • Trismegisto sapientissimo dice che l'uomo è un miracolo del mondo e più nobile delli Dei o eguale, e che però abbia potestà tanta nel suo senno che può far Dei di marmo e di bronzo e dargli anima sotto a certe costellazioni e ricever risposta da loro. E questo crede Porfirio e Plotino, aggiungendo che vi siano Angeli buoni e perversi, come ogni di si vede esperienza e io n'ho visto manifesta prova non quando la cercai, ma quando pensava ad altro. (1925, p.223)

La città del Sole[modifica]

Incipit[modifica]

Ospitalario – Dimmi, di grazia, tutto quello che t'avvenne in questa navigazione.
Genovese – Già t'ho detto come girai il mondo tutto e poi come arrivai alla Taprobana, e fui forzato metter in terra, e poi, fuggendo la furia di terrazzani, mi rinselvai, ed uscii in un gran piano proprio sotto l'equinoziale.
Ospitalario – Qui che t'occorse?
Genovese – Subito incontrai un gran squadrone d'uomini e donne armate, e molti di loro intendevano la lingua mia, li quali mi condussero alla Città del Sole.

Citazioni[modifica]

  • Dicono che è gran dubbio sapere se 'l mondo fu fatto di nulla o delle rovine d'altri mondi o del caos; ma par verisimile che sia fatto, anzi certo.
  • Le leggi son pochissime, tutte scritte in una tavola di rame alla porta del tempio, cioè nelle colonne, nelle quali ci sono scritte tutte le quiddità delle cose in breve.
  • Se questi [i Solari], che seguon solo la legge della natura, sono tanto vicini al Christianesimo, che niuna cosa aggiunge alla legge naturale, se non li sacramenti, io cavo argumento di questa relazione che la vera legge è la Christiana, e che, tolti gli abusi, sarà signora del mondo. (1094, p.43)
  • Di più questo è bello, che fra loro non ci è difetto che faccia l'uomo ozioso, se non l'età decrepita, quando serve solo per consiglio. Ma chi è zoppo serve alle sentinelle con gli occhi; chi non ha occhi serve a carminar la lana e levar il pelo dal nervo delle penne per li matarazzi, chi non ha mani ad altro esercizio; e se un membro solo ha, con quello serve nelle ville, e son governati bene, e son spie che avvisano alla republica ogni cosa.
  • Però la communità tutti li fa ricchi e poveri: ricchi, ch'ogni cosa hanno e possedono; poveri, perché non s'attaccano a servire alle cose, ma ogni cosa serve a loro.

Incipit di Lettere di Tommaso Campanella raccolte ed annotate da Michele Baldacchini[modifica]

Ill.mo et Ecc.mo Sig.re,

Viene Favilla, suo servo, per negotiare la libertà mia e stampa de' libri, hora che sto senza causa, e senza processo, e Domeneddio va mutando alcune cose in favor nostro. Non starò a supplicar a V. Ecce.za che sia a lui per me favorevole, sapendo quanto per se stessa è inchinata all'opere virtuose e magnanime. Se potrà fare che venga in Roma, com'hor è agevolissimo, mi sarà singolar piacere per poter servir dopo tanti obblighi a V. E. in qualche cosella. Prego il Signor Dio per la sua salute in benefizio de' Virtuosi. Amen. Napoli, 31 di Marzo 1621 di V. E.
Principe Cesi

Servo Devotiss.mo
Fra Tommaso Campanella.

Note[modifica]

  1. Da Apologia di Galileo, Cap. III, Seconda tesi, Dimostrazione della prima asserzione
  2. Da Canzon del sommo bene, oggetto d'amor naturale
  3. Da Anima immortale
  4. Da Al Primo Senno, canzone terza
  5. Da Apología per Galileo, a cura di Salvatore Femiano, Marzorati, 1971
  6. Da Ecloga christianissima Regi et Reginae in portentosamente Delphini... nativitatem.
  7. Francis Yates Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Laterza p.430 ISBN 978-88-420-9239-1
  8. Da Modo di filosofare, in Poesie filosofiche
  9. Da Delle radici de' gran mali del mondo
  10. Da Del dispregio della morte, canzone terza
  11. Da A Genova, in Le poesie, Einaudi, Torino, 1998, pp. 208-209. ISBN 88-06-14244-5

Bibliografia[modifica]

Altri progetti[modifica]

Opere[modifica]