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Porfirio

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Porfirio

Porfirio (233/234 – 305), filosofo e teologo greco antico.

Citazioni di Porfirio

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  • [Di Pitagora] erano universalmente noti alcuni suoi detti; anzitutto, che l'anima è immortale; poi, che essa trasmigra in altre specie di esseri viventi; e inoltre che, secondo determinati periodi di tempo, ciò che una volta è esistito ritorna, che nulla è nuovo in senso assoluto, e che tutti gli esseri animati devono esser considerati della stessa natura.[1]
  • Poiché colui che ama tutta la natura animata non odierà nessuna classe di esseri innocenti e, quanto maggiore sarà il suo amore per il tutto, tanto più profondamente egli coltiverà la giustizia verso una parte di esso, quella parte a cui è più legato.[2]
  • Quattro principi fondamentali devono soprattutto valere per quanto riguarda Dio: fede, verità, amore, speranza. Bisogna infatti credere, perché l'unica salvezza è la conversione verso Dio: chi ha creduto deve quanto più è possibile impegnarsi a conoscere la verità su di lui; chi l'ha conosciuto amare colui che è stato conosciuto; chi l'ha amato, nutrire di buone speranze l'anima tutta la vita.[3]
  • [Pitagora] tanto aborriva da uccisioni e uccisori, che non solo si asteneva dal mangiare esseri viventi, ma neppure si accostava a macellai e cacciatori.[4]

De abstinentia

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Quando ho saputo dai miei ospiti che tu, caro Firmo, mentre condannavi la dieta vegetariana, sei tornato a mangiare carne, all'inizio non potevo crederci. La mia mente si concentrava infatti sulla tua sobrietà e sul rispetto che abbiamo maturato verso gli uomini del passato, che proprio nell'additarci questo stile di vita hanno mostrato di temere gli dèi. Poi però successive rivelazioni da parte di altri mi hanno confermato la notizia. Biasimarti per non esserti comportato secondo il proverbio, «fuggendo il male e cercando il meglio» oppure perché, come dice Empedocle, «dolendoti della tua vita passata non ti sei convertito a una migliore», mi sembrava un modo di fare rozzo, o comunque estraneo alla persuasione che si può ottenere con il ragionamento. Al contrario, ho ritenuto degno dell'amicizia che ci lega e di uomini che hanno predisposto la loro esistenza al rispetto della verità fare emergere la prova dei tuoi errori dal ragionamento e mostrarti così da quale altezza a quale abisso sei precipitato.

[Porfirio, De abstinentia, traduzione di Roberto Pomelli, in Aristotele, frammenti stoici, Plutarco, Porfirio, L'anima degli animali, a cura di Pietro Li Causi e Roberto Pomelli, Einaudi, Torino, 2015. ISBN 978-88-06-21101-1]

Citazioni

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  • [...] il regime vegetariano contribuisce alla salute e nello stesso tempo ad acquisire una resistenza commisurata agli sforzi che l'esercizio della filosofia richiede. (I; 2015, p. 301)
  • Noi ci rivolgiamo a chi sospetta, una volta per tutte, che la nostra permanenza in terra e la dimora in cui trascorriamo l'esistenza non sono che un incantesimo; a chi ha riconosciuto che è proprio della sua natura restare insonne e ha scoperto il potere soporifero della regione in cui viviamo: a costui noi intendiamo raccomandare un'alimentazione coerente con la sua diffidenza verso la dimora terrena e con la sua conoscenza di sé. (I; 2015, pp. 313-314)
  • Un'alimentazione priva di carne, essenziale e facile da procacciarsi per chiunque, [...] procura un senso di pace alla ragione che predispone i mezzi per la nostra salvezza. Come dice Diogene, infatti, dai mangiatori di farina non provengono né ladri né nemici mentre è dai mangiatori di carne che nascono spie e tiranni. (I; 2015, p. 324)
  • Il piacere che si prova grazie all'opulenza neppure si avvicina a quello che l'autosufficienza produce in chi ha sperimentato questa condizione. Assai piacevole è infatti rendersi conto di quante poche cose ciascuno ha effettivo bisogno. (I; 2015, p. 328)
  • Il precetto di non cibarsi di esseri animati [...] riguarda [...] in particolare coloro che fanno dipendere la loro felicità da Dio e dall'imitazione di Lui. (II; 2015, p. 332)
  • Il sacrificio animale è posteriore ed è anche il più recente. Esso però non trae origine dalla gratitudine, come quello compiuto con le offerte vegetali, bensì da una circostanza sfavorevole provocata dalla fame o da qualche altra disgrazia. Per esempio, le uccisioni di animali perpetrate ad Atene affondano le radici nell'ignoranza, nella collera o nel timore. (II; 2015, p. 336)
  • E se per caso qualcuno sostenesse che oltre ai frutti della terra la divinità ci ha messo a disposizione anche gli animali perché ne facessimo uso, io gli risponderei che quando si sacrificano animali noi facciamo loro un torto, poiché li derubiamo dell'anima e che pertanto non bisogna sacrificarli! [...] Come ci può essere santità quando chi viene derubato di qualcosa che gli appartiene non è che la vittima di un atto di ingiustizia? (II; 2015, p. 338)
  • Poiché dunque – io credo – l'amore e la percezione della parentela universale pervadevano tutta quanta la realtà, nessuno uccideva, in quanto l'uomo considerava familiari tutte le creature viventi. Ma da quando al potere giunsero Ares e Tumulto ed ebbero origine tutti i conflitti e le guerre, nessuno risparmiò più il suo prossimo. Bisogna però esaminare anche la questione seguente. Noi avvertiamo un senso di parentela verso tutti gli uomini, ma riteniamo comunque necessario eliminare e punire tutti i malfattori e chiunque sia spinto da un impulso di naturale malvagità a nuocere a qualcun altro. Probabilmente è giusto agire alla stessa maniera con gli animali privi di ragione, tra cui occorre sopprimere quelli che per natura sono aggressivi o nocivi o inclini a fare del male a chi si avvicina a loro. Quanto invece a tutti gli altri esseri viventi che non commettono alcuna ingiustizia né tendono per natura a fare il male, non c'è alcun dubbio: trucidarli e farne strage è un atto d'ingiustizia non meno grave che sopprimere uomini altrettanto innocenti. È solo un'apparenza che tra noi e gli altri animali non sussiste alcun diritto comune [...]. (II; 2015, p. 343)
  • E infatti non bisogna lordare di sangue gli altari degli dèi e gli uomini non dovrebbero neppure sfiorare tale alimento [la carne], come del resto non toccano il corpo dei loro simili. (II; 2015, p. 347)
  • Come in passato non era lecito agli uomini toccare gli animali, allo stesso modo anche oggi l'atto di ucciderli per trarne nutrimento si deve ritenere un'infrazione a tale legge. [...] Infatti, se non altro, a comportarci così otterremmo il grande risultato di porre tregua alla violenza che ci infliggiamo reciprocamente. È chiaro infatti che chi ha la sensibilità di declinare la violenza assassina contro i viventi di altre specie, avrà anche l'intelligenza di non fare del male a quelli della sua stessa specie. (II; 2015, p. 348)
  • Il bene, in tutte le sue espressioni, è docile e piano, procede per gradi e non oltrepassa mai il limite. (II; 2015, p. 353)
  • In ogni caso è proprio a causa dei demoni malvagi che la stregoneria si realizza in ogni sua forma ed essi – in particolare il loro capo – sono venerati da quanti compiono cattive azioni per via d'incantesimi. (II; 2015, p. 355)
  • Il filosofo autentico è un uomo che molto ha indagato, che sa discernere i segni e comprendere le realtà della natura. Egli è intelligente, ordinato, morigerato ed è proteso a salvare se stesso con ogni risorsa di cui dispone. (II; 2015, p. 358)
  • Passiamo poi a discutere della giustizia. Visto che i nostri avversari hanno affermato che la si deve estendere solo agli esseri simili a noi e pertanto escludono gli animali dal suo dominio, in quanto li ritengono privi di ragione, è venuto il momento di esporre l'opinione vera – ossia quella dei pitagorici – e di mostrare che ogni anima dotata di percezione e di memoria non può che essere razionale. (III; 2015, p. 365)
  • E tuttavia, se si deve dire la verità, si può osservare che non solo in tutti gli animali il ragionamento è presente, ma che in molti di loro presenta i presupposti per svilupparsi fino al grado della perfezione. (III; 2015, p. 366)
  • Gli Arabi sono in grado di comprendere i corvi, gli Etruschi le aquile. (III; 2015, p. 367)
  • I corvi e le ghiandaie, i pettirossi e i pappagalli imitano la voce umana, ricordano ciò che hanno udito e, quando vengono ammaestrati, obbediscono a chi li ammaestra. [...] Noi stessi, a Cartagine, abbiamo allevato una pernice che era volata docilmente fino a noi. Il trascorrere del tempo e il contatto continuo le fecero acquisire una straordinaria familiarità con noi. Ebbene, ci accorgemmo che l'animale non solo ci faceva le feste, attirava la nostra attenzione e giocava con noi, ma che con la sua voce faceva eco alla nostra [...]. (III; 2015, p. 368)
  • È noto pure che alcuni animali, anche se non hanno la parola, rispondono al loro padrone con estrema prontezza: un uomo nei confronti dei suoi familiari non saprebbe fare di meglio. Per esempio, la murena appartenuta al romano Crasso, se si sentiva chiamare per nome, gli si avvicinava e talmente vivo era l'affetto che aveva ispirato a quell'uomo che egli, il quale pure aveva tollerato con dignità la perdita di tre figli, quando l'animale morì scoppiò in lacrime. (III; 2015, p. 369)
  • [...] gli animali sembrano possedere una sensibilità ben superiore alla nostra. (III; 1994, pp. 373-374)
  • Chi può vantare un udito più fine delle gru, che odono i suoni da una distanza tale che nessuno ci arriverebbe neppure con la vista? (III; 2015, p. 372)
  • Inoltre, anche se noi abbiamo un'attività intellettiva più sviluppata rispetto agli animali, non per questo possiamo negare loro tale facoltà, come non si può affatto non riconoscere la facoltà di volare alle pernici perché i falchi volano più in alto o agli altri falchi perché l'avvoltoio vola più in alto di loro e di tutti gli altri uccelli. (III; 2015, p. 373)
  • [...] ogni animale è consapevole dei propri punti deboli e di quelli forti, protegge i primi e si avvale degli altri a suo vantaggio. (III; 2015, p. 373)
  • Dopo il parto ogni animale netta il suo piccolo come se stesso. L'osservazione dimostra che gli animali sono sempre in ordine e si presentano a colui che li nutre con manifestazioni di gioia, sapendo riconoscere il proprio padrone e denunciare l'uomo malevolo. E chi non sa quale rispetto della giustizia verso gli altri si ritrovi fra gli animali che vivono in società, tra le formiche, le api e i loro simili? (III; 1994, p. 376)
  • Chi non ha sentito parlare della fedeltà delle colombe verso i compagni? Esse, quando vengono molestate, se riescono a sorprendere l'animale che le ha indotte all'adulterio, lo uccidono. O, ancora, chi ignora il sentimento di giustizia delle cicogne nei confronti dei genitori? (III; 2015, pp. 374-375)
  • E la natura che li ha creati [gli animali] li ha resi bisognosi degli uomini, e gli uomini bisognosi degli animali, inscrivendo nella loro natura il dovere di giustizia verso gli uomini, e negli uomini il dovere di giustizia verso di loro. E se ve ne sono che attaccano l'uomo, di questo non c'è da stupirsi; perché è vero, come dice Aristotele, che se il cibo fosse offerto agli animali a profusione, essi non sarebbero feroci né tra loro né verso di noi, i loro odi e le loro amicizie derivano solo dalla necessità di assicurarsi il nutrimento, ancorché limitato allo stretto necessario, e lo spazio vitale. (III; 1994, p. 377)
  • Ma un solo vizio è loro [agli animali] sconosciuto, la malevolenza per colui che si manifesta loro amico: essi rispondono sempre con una amicizia assoluta. E tanto grande è la loro fiducia nell'uomo benevolente, che lo seguono dovunque li conduca, fosse anche al sacrificio o a un pericolo manifesto; e benché non li si nutra per loro ma per sé, essi provano amicizia per il padrone. (III; 1994, p. 377)
  • E tra gli animali, dicono, non vi sono neppure leggi scritte: ma nemmeno tra gli uomini, almeno fin quando la loro vita è trascorsa nella felicità. (III; 2015, p. 377)
  • È l'ingordigia che fa apparire gli animali, agli occhi degli uomini, privi di ragionamento. (III; 2015, p. 377)
  • Dicono che quando era colto da desiderio erotico, Zeus assumeva ora le sembianze di toro, ora di aquila ora di cigno. Con tutti questi racconti gli antichi volevano dunque dimostrare l'onore che essi tributavano agli animali e ancor di più quando narrano che ad allevare Zeus fu una capra. (III; 2015, p. 378)
  • Del resto l'astinenza dalla carne degli animali non ci impedisce di vivere né di vivere bene. (III; 1994, p. 378)
  • [...] condurre animali al macello, e, inebriato di massacro, farli cuocere, non per nutrirsene e saziarsene, ma allo scopo di trovarvi piacere e di soddisfare la propria ghiottoneria, non c'è nome per designare questo misfatto, questo crimine. (III; 1994, p. 379)
  • I pitagorici invece fecero della mitezza nei confronti delle bestie un esercizio di umanità e di compassione. (III; 2015, p. 381)
  • Il piacere che si prova attraverso le orecchie si chiama «incantesimo», quello che si prova con gli occhi «fascino» [...]. Cervi e cavalli vengono incantati con flauti di Pan e auli e anche i granchi si riescono a stanare grazie al suono del flauto di Pan. Dicono poi che l'alosa, al suono del canto, emerge dall'acqua e si avvicina. (III; 2015, p. 384)
  • [...] il ragionamento in sé si ingenera naturalmente, ma la sua forma eccellente e perfetta si acquisisce con la cura e con l'apprendimento. (III; 2015, p. 385)
  • [...] il companatico di Pitagora è più saporito di quello di Socrate. Quest'ultimo affermava infatti che il companatico del cibo è la fame, mentre Pitagora lo fa consistere nel non ledere nessuno e lo addolcisce con il senso di giustizia. Evitare il cibo carneo significherebbe infatti evitare di commettere un'ingiustizia per procurarsi il nutrimento. (III; 2015, p. 389)
  • È verosimile peraltro che chi ha ritenuto di far derivare la giustizia dalla parentela tra gli esseri umani, ne ignori il carattere peculiare. Intesa in tal modo, essa si risolverebbe infatti in una sorta di filantropia, mentre la giustizia consiste nel trattenersi e nell'evitare di nuocere a qualunque essere vivente che a sua volta è innocuo, a prescindere dalla specie cui esso appartiene. È così che la pensa l'uomo giusto, non in quell'altro modo, ed è per questa ragione che la giustizia, che consiste nel non ledere nessuno, va estesa fino agli animali. (III; 2015, pp. 389-390)
  • Fin quando uno commette ingiustizia, anche se possiede tutte le ricchezze e tutte le terre di questo mondo, continua a restare povero [...]. (III; 2015, p. 391)
  • Imiteremo la stirpe aurea, imiteremo gli schiavi affrancati. Gli uomini di quel tempo avevano familiarità con Pudore, Rispetto e Giustizia, poiché si facevano bastare il frutto della terra. (III; 2015, p. 392)
  • A tutte le scuse di coloro che ammettono di fatto che si mangi carne per piacere ed intemperanza, e adducono invece sfacciatamente come pretesto di fare ciò per una necessità che attribuiscono, più di quanto convenga, alla nostra natura, mi sembra, Castrico, di essermi opposto a sufficienza con i libri precedenti. (IV; 1994, p. 379)
  • Nell'illustrare il modo di vita della Grecia primitiva, egli [Dicearco] afferma che gli uomini nati nell'età antica e perciò vicina agli dèi – uomini di natura eccelsa i quali conducevano una vita meravigliosa tanto che, paragonati ai contemporanei, costituiti di materia adulterata e scadente, sono considerati «stirpe aurea» – non uccidevano gli esseri animati. (IV; 2015, p. 393)
  • In ogni caso, Cheremone stoico, nel riferire dei sacerdoti egizi, che a suo dire i loro connazionali considerano come filosofi, spiega che per costoro il luogo più adatto per esercitare la filosofia sono i templi. L'uso di soggiornare nei pressi delle statue che si trovano in questi templi è correlato alla loro tensione contemplativa, che li assorbe completamente. Tale abitudine dà loro sicurezza poiché tutti, per rispetto al divino, onorano i filosofi alla stessa stregua di certi animali sacri. (IV; 2015, p. 398)
  • Ecco dunque quali realtà sono attestate sull'Egitto da un uomo [Cheremone] che ama la verità e che al contempo è un filosofo stoico tra i più coerenti. (IV; 2015, pp. 400-401)
  • [Gli egizi] seppero bene che dio era passato non solo attraverso l'uomo e che l'anima non aveva posto il suo tabernacolo solamente nell'uomo, ma che essa era penetrata quasi in tutti gli animali. Perciò, nel costruire immagini degli dèi, presero assieme all'uomo ogni tipo di animale e mescolarono in qualche modo il corpo dell'uomo con quello di animali o di uccelli. [...] Indicano chiaramente con queste raffigurazioni che gli animali sono uniti fra di loro per volere divino, e che, sia domestici che selvatici, ci sono affini non senza un volere divino. (IV; 1994, p. 387)
  • Lo sparviero [...] è gradito al Sole in quanto per sua natura è integralmente composto di sangue e aria, ha pietà dell'uomo, geme se vede un cadavere insepolto e gli cosparge la terra sugli occhi, ossia nel punto in cui gli Egizi credono che abbia dimora la luce del sole. [...] Quanto allo scarabeo, un uomo ignorante ed estraneo alla conoscenza del divino ne potrebbe avere ribrezzo, mentre gli Egizi lo venerano come immagine vivente del Sole. [...] Hanno un concetto filosofico simile anche del montone e solo un po' diverso a proposito del coccodrillo, dell'avvoltoio, dell'ibis e, in breve, di tutti gli altri animali, in quanto è proprio grazie alla loro saggezza e alla profonda scienza del divino che essi sono arrivati a venerare anche gli animali. (IV; 2015, pp. 401-402)
  • [Gli egizi] avevano osservato che l'anima di ciascun animale, non appena sciolta dal corpo, era razionale, conoscitrice del futuro, capace di vaticinare e di fare tutto ciò che anche l'uomo, libero dal corpo, poteva fare. Perciò, giustamente, li onoravano e si astenevano dal cibarsi di essi per quanto potevano. (IV; 1994, p. 388)
  • Gli Esseni sono dunque Giudei di nascita, ma più degli altri sono legati da un affetto reciproco. Essi respingono il piacere come un vizio e al contrario considerano virtù la continenza e il controllo delle passioni. Per se stessi disdegnano il matrimonio ma accolgono i figli altrui quando sono ancora in tenera età per avviarli agli studi: li considerano come parenti e imprimono in loro le proprie abitudini. Fanno così non certo con l'intenzione di abolire il matrimonio e d'interrompere la prosecuzione della specie, ma per guardarsi dalla lascivia delle donne. Essi inoltre disprezzano la ricchezza e mettono ammirevolmente in comune i loro beni, ragion per cui sarebbe impossibile trovare qualcuno che spicca sugli altri perché più ricco. (IV; 2015, p. 403)
  • Il vizio [...] è abile ad assumere le proprie difese, soprattutto quando pronuncia le sue arringhe tra gente ignorante. (IV; 2015, pp. 408-409)
  • Come dunque l'acqua che scorre attraverso la roccia è più pura di quella che passa per un terreno fangoso poiché trascina con sé una minore quantità di fango, così anche l'anima che compie le proprie attività con un corpo asciutto e non impregnato dagli umori di carni a lui estranee, è migliore, non corrotta e più incline all'attività intellettuale. Perciò si dice anche che le api traggano il buon miele dalla pianta più secca e più aspra: il timo. (IV; 2015, p. 414)
  • [...] il nutrimento [coincide] con il saper preservare ogni cosa nel suo stato d'essere. Secondo questo ragionamento si potrebbe dunque definire «nutrimento» di una pietra il principio che produce la sua compattezza e che le consente di permanere nel suo stato abituale, mentre «nutrimento» di una pianta si potrebbe definire ciò che ne garantisce l'accrescimento e la produzione di frutti e infine, di un corpo animale ciò che ne preserva la costituzione. [...] Nutrimento dell'anima razionale è dunque ciò che salvaguarda l'elemento razionale a essa intrinseco e quest'ultimo s'identifica con l'intelletto. (IV; 2015, p. 414)
  • Infatti vivere male, ossia senza saggezza né temperanza e santità, come affermava Democrate[5], non è solo vivere male bensì continuare a morire per un tempo indefinito. (IV; 2015, p. 416)

Vita di Plotino

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  • Amelio mi ha raccontato che Plotino stesso incitava i presenti a porre domande, e perciò vi erano una gran confusione e un gran parlare a vuoto. (3[6])
  • [Plotino rifiutando di farsi ritrarre] «Non basta trascinare questo simulacro di cui la natura ci ha voluto rivestire? Pretendete addirittura che io consenta a lasciare più durevole immagine di tale simulacro, come se davvero fosse qualcosa che valga la pena di vedere?»[7]
  • Plotino sembrava uno che si vergogna di essere dentro un corpo. In base ad un tale atteggiamento, non tollerava di parlare né della propria nascita, nei dei genitori, né della sua patria.[7]
  • Quando scriveva qualcosa, Plotino mai vi sarebbe ritornato su; non si rileggeva nemmeno, perché la sua vista era troppo debole per potergli servire anche per la rilettura. Vergava male le lettere, non separava chiaramente le sillabe e non si dava alcun pensiero dell'ortografia. Sua unica preoccupazione era il senso; con grande nostra ammirazione, lui seguitò così per tutto il resto della sua vita. Lui, il suo trattato lo componeva dapprima dentro di sé, poi metteva per iscritto tutto quello che aveva pensato, senza interrompersi, come se stesse copiando da un libro. (8)
  • [Plotino] «Gli dei debbono visitarmi, non io recarmi da loro.» (10[8])

Citazioni su Porfirio

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  • Fù buon Matematico, e particolarmente diede opera alle speculationi di musica; onde lasciò dottissimi commentarii sopra i trè libri di Musica di Tolomeo. Fù acerbissimo nemico del nome Christiano, e scrisse loro contra libri non meno empii, che sottili, & acuti. (Bernardino Baldi)
  • Negli scritti di filosofi «pagani» come Plutarco e Porfirio troviamo un'etica umanitaria particolarmente elevata che, dopo avere subìto una lunga repressione ecclesiastica durante il Medioevo, è ricomparsa, seppure inizialmente in forma attenuata e irregolare, nella letteratura del Rinascimento, per riapparire in modo più definito nel XVIII secolo con la scuola denominata della «sensibilità». (Henry Stephens Salt)

Note

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  1. Citato in Cardini 1958, p. 45.
  2. Citato in Henry S. Salt, I diritti degli animali, traduzione di Cinzia Picchioni, in Aa. Vv., Diritti animali, obblighi umani, Gruppo Abele, Torino, 1987, pp. 178-179. ISBN 88-7670-097-8
  3. Da Lettera a Marcella, 24.
  4. Citato in Cardini 1958, p. 47.
  5. Probabilmente un oratore attico (cfr. Aristotele, Rhetorica, 1407a). [nota del traduttore]
  6. Citato in Canfora, p.606.
  7. a b Citato in Canfora, p. 604.
  8. Citato in Canfora p. 631.

Bibliografia

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  • Porfirio, De abstinentia, traduzione di Roberto Pomelli, in Aristotele, frammenti stoici, Plutarco, Porfirio, L'anima degli animali, a cura di Pietro Li Causi e Roberto Pomelli, Einaudi, Torino, 2015. ISBN 978-88-06-21101-1
  • Porfirio, Perì apokhês empsykhon (De abstinentia); citato in Gino Ditadi (a cura di), I filosofi e gli animali, vol. 1, Isonomia editrice, Este, 1994. ISBN 88-85944-12-4
  • ‎Maria Timpanaro Cardini (a cura di), Pitagorici: testimonianze e frammenti, La Nuova Italia, Firenze, 1958.
  • Luciano Canfora, Storia della letteratura Greca, Laterza. ISBN 88-421-0205-9

Altri progetti

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