Crisi del teatro Dubrovka
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Citazioni sulla crisi del teatro Dubrovka.
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[modifica]- Chiamare in causa Al Qaeda? Non è il caso, piuttosto attenzione alle oligarchie moscovite: nella capitale sono arrivate cinquanta persone e per due settimane hanno circolato indisturbate per la città, armati fino ai denti, con un materiale bellico di provenienza interna. (Gennadij Zjuganov)
- L'assedio del teatro danneggiò spaventosamente la causa dei ceceni e degli oppositori della guerra in Russia e divenne una vera pacchia per il Cremlino. Per caso o per un progetto preciso, offrì a Putin la possibilità di riaprire il dialogo con l'Occidente. Ora il governo era in grado di sostenere che i ceceni si erano finalmente dimostrati dei veri e propri terroristi e che la Russia doveva essere considerata come la vera vittima del terrore. La guerra in Cecenia doveva essere ritenuta giusta e onorevole. (Aleksandr Goldfarb)
- Ma come mai e perché nel commando ceceno militavano ben diciotto donne cinte di cartucciera zeppa di tritolo? Nella società islamica dove il ruolo della donna è marginale, il fenomeno delle terroriste che si uccidono per uccidere è abbastanza recente; a ben pensarci è un fenomeno postmoderno che ha brutalizzato l'ideologia nazionalistica. Ebbene, la presenza di quelle diciotto vedove nere cecene, tutte belle, giovani, qualcuna visibilmente terrorizzata, risulta anacronistica. In Cecenia l'islam arriva grosso modo solo nell'800 e soltanto nei '90 subisce una forte accelerazione. Quella società islamica non può dunque non essere tradizionale sicché il posto delle diciotto poverine «doveva essere» la casa dove elaborare il lutto dividendosi tra i figli e il pianto. Invece eccole morire alla pari degli uomini di cui sono schiave: infine eguali in forza della morte chimica. (Igor Man)
- Molti dei terroristi-kamikaze, uccisi con il gas, erano donne. Volevo capire cosa spinge una donna, anche molto giovane, a imbottirsi di esplosivo e sedersi in mezzo al pubblico di un teatro, pronta a farsi saltare in aria. Ho scoperto così un lugubre mondo di vedove, sorelle e madri private dei propri figli. La vera ragione, forse, di quella strada senza futuro, alimentata dall'odio e dalla vendetta, che conduce alla scelta del terrorismo più disumano e brutale. [...] Anche tra gli uomini destinati alla morte da kamikaze, le motivazioni sembrano le stesse. Si sa che molti dei terroristi uccisi erano bambini all'epoca dei bombardamenti di Groznyj del 1994 e 1996, spesso gli unici sopravvissuti delle loro famiglie. La motivazione religiosa di matrice islamica, ben viva nel contesto palestinese e iracheno, qui non sembra entrarci per nulla. (Giorgio Fornoni)
- Non ci fu alcuna indagine appropriata sulla tragedia, al contrario quasi tutti i terroristi ceceni furono giustiziati sul posto; non si indagò mai sulla natura del gas letale né su chi avesse preso la decisione critica di pompare un veleno chimico in uno spazio ristretto pieno di persone. Rimangono molte domande aperte sull'assedio del teatro. In parole povere, queste sono: primo, come è stato possibile che cinquanta o più ceceni, armati fino ai denti con mitragliatrici e giubbotti esplosivi, abbiano potuto attraversare Mosca senza essere fermati dalla polizia? Per darvi un'idea, io non sono mai stato a Mosca senza essere detenuto, anche se per tempi brevi, dallo Stato. Controllano il passaporto, verificano l'indirizzo, sprecano il tuo tempo con una persistenza che fa intorpidire le ossa. Secondo, perché i terroristi non hanno fatto esplodere le loro bombe quando il gas è stato rilevato? Sono passati circa dieci minuti prima che facesse completamente effetto. Terzo, perché quasi tutti i terroristi sono stati giustiziati? Quarto, perché non c'era antidoto contro il gas velenoso? (John Sweeney)
- Saša non esitò un istante a dirsi sicuro che l'assedio del teatro fosse un'altra cospirazione mirante a rafforzare la politica bellicosa di Putin e a etichettare come terrorista il governo di Aslan Maschadov, in sostanza «una nuova versione degli attentati ai condomini». Quando Saša mi raccontò la sua teoria, io non gli diedi molto retta. Ma lui la sostenne con una vivace spiegazione.
«Senti», disse, «immagina di essere un agente dell'FSB di nome Movsar Baraev. Il tuo oper viene da te e ti offre un affare molto vantaggioso. La tua banda andrà a Mosca senza che la polizia intervenga, garantito; poi t'impadronirai del teatro e lo minerai con esplosivi finti. I russi negozieranno e accetteranno di aderire a un cessate il fuoco in Cecenia. Tu torni a casa da eroe e sarai anche tonto, non ci vedi alcuna trappola. Pensi che negozieranno davvero per la pace. Non capisci che stanno attirando la tua banda nei mirini dei loro fucili. Perciò accetti. Dopotutto, hai già fatto affari con l'FSB.
Poi l'FSB usa gas che si presume non siano letali e spara a tutti i tuoi uomini. Ma sbagliano con il gas e un sacco di persone muoiono. E tra l'altro, il fatto di darne la colpa a Zakaev e Maschadov è il loro modo di reagire all'incontro che hai combinato tra Rybkin e Zakaev a Zurigo.» (Aleksandr Goldfarb)
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- Si tratta di una conseguenza dell'indifferenza mostrata dal mondo intero di fronte alla lenta ma progressiva distruzione di una piccola nazione, di fronte al lento ma progressivo genocidio di un piccolo popolo. L'unica soluzione è che il Cremlino comprenda ciò che l'America comprese ai tempi del Vietnam e prima ancora la Francia ai tempi dell'Algeria: la necessità di riconoscere il diritto all'autodeterminazione di un popolo, in questo caso quello ceceno.
- C'è un'interessante domanda che bisogna porre in questo momento: chi nell'attuale struttura del potere russo ha cooperato con chi ha pianificato questo attacco terroristico nel centro di Mosca? [...] Senza tali aiuti nulla del genere sarebbe stato possibile.
- Ogni persona razionale, padrone del proprio intelletto, non può non chiedersi come sia mia stato possibile che un gruppo di individui, forse nel numero di quaranta, molti dei quali indossano un'uniforme regolare, con in braccio armi di tipo automatico e in possesso di numerose cariche esplosive abbiano potuto arrivare tranquillamente a Mosca, muoversi in strada agilmente con dei veicoli fino a raggiungere il teatro, entrare senza incontrare alcuna difficoltà e quindi prendere in ostaggio diverse centinaia di persone. Mi pare del tutto ovvio che qualcuno ha avuto un'interesse concreto nel fatto che tutto ciò si avverasse.
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- Chi scriverà la storia di questa storia avrà pane per i suoi denti. Perché balzano agli occhi, nel suo esito tragico, troppe incongruenze che la logica non può spiegare.
- Resta l'evidenza di un commando troppo inesperto, con un capo dotato di una storia personale tra le più equivoche, ma inesperto e senza carisma, circondato di giovani impauriti – così li hanno descritti quelli che ci hanno parlato insieme – che non sapevano fronteggiare le evenienze più elementari, che non avevano saputo fin dall'inzio nemmeno blindare le entrate del teatro. Tant'è vero che in quel colabrodo pieno di ostaggi hanno potuto entrare a più riprese giornalisti stranieri e russi, avanguardie dell'offensiva inevitabile delle teste di cuoio della Brigata Alfa, acquartierate nei pressi del palazzo della cultura sovietica, trasformato in teatro della cultura americana.
- Mi raccontano, al telefono, che nelle poche famiglie di Grozny dotate di televisori, gli eventi moscoviti venivano seguiti con manifestazioni di giubilo, per una vendetta che si sperava sarebbe stata consumata con molto sangue russo. Non so se sia vero, ma è attendibile, conoscendo il clima di quelle parti dopo cinque anni complessivi di guerra e 130 mila morti civili.
- La vendetta di Putin calerà in primo luogo sui vicini. Lo esige il suo prestigio lesionato. Perché è vero che molti parenti degli ostaggi rimasti in vita lo ringraziano oggi per la sua decisione, ma nessuno potrà dimenticare tanto presto che un commando di kamikaze è entrato nella città più munita della Russia e ha contribuito a farne morire decine.
- All'inizio, credo, gli organizzatori dell'assedio del teatro [...] e i loro bracci operativi avevano motivazioni diverse: i ribelli ceceni volevano far capire ai russi attraverso la paura l'incubo della loro guerra; alcuni di quelli che dalla parte russa li avevano aiutati a eseguire i loro piani, molto probabilmente, erano motivati solo dal denaro; altri, sui due fronti, stavano sistemando conti personali; altri ancora erano impegnati in grandi disegni politici che potevano o meno coinvolgere il vertice. Una cosa è certa: i sequestri sono avvenuti, le forze del governo che operavano sotto la supervisione diretta di Putin hanno fatto di tutto perché le crisi finissero nel modo più orrendo possibile – per giustificare la continuazione della guerra in Cecenia, l'ulteriore repressione dei media e dell'opposizione nel paese e infine per prevenire le possibili critiche da parte dell'Occidente che, dopo l'attentato alle torri, era costretto a riconoscere in Putin un alleato nella lotta contro il territorio islamico. C'è un motivo per il quale i militari russi si sono comportati a Mosca [...] in modi che hanno aumentato lo spargimento di sangue: il loro vero scopo era di provocare paura e orrore. Questa è la classica modalità operativa dei terroristi, e in tal senso si può affermare con certezza che Putin e i terroristi hanno agito di concerto.
- Alle 5.30 di sabato mattina, il terzo giorno del sequestro, due degli ostaggi chiamarono Echo Moskvy, la più importante stazione radio della città. «Non so cosa stia succedendo», disse una donna singhiozzando al telefono. «C'è del gas. Sono tutti seduti nella sala. Ve lo chiediamo per favore, non vogliamo essere il nuovo Kursk». Non riuscendo più a parlare passò il telefono al suo amico, che disse: Sembra che stiano cominciando a usare la forza. «Per favore, se c'è una possibilità non abbandonateci. Vi preghiamo». È disperatamente evidente che né gli ostaggi, né i loro familiari fuori dal teatro avevano la minima fiducia nell'esercito russo. Il riferimento al Kursk era chiarissimo: non credevano che il governo avesse alcun rispetto per la vita umana.
- Il sequestro nel teatro di Mosca è stato al contempo una delle operazioni di maggiore successo e uno dei recuperi degli ostaggi più fallimentari della storia.
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- Molto resta ancora da chiarire, ma l'accaduto è una tragedia anche per l'Europa e per il mondo intero. Una tragedia che può essere paragonata a quella che colpì il mondo l'11 settembre 2001.
- Nelle condizioni estreme in cui si è svolta la tragedia, il presidente Putin ha agito con sangue freddo e responsabilità. So personalmente che gli è costato molto. Ma non poteva accettare una richiesta di capitolazione che era comunque impossibile da soddisfare.
- Gli ostaggi non ricevevano cibo né acqua, non potevano muoversi, nemmeno usare il bagno. Non potevano comunicare, sempre sotto tiro dei kalashnikov in un locale farcito di esplosivo che avrebbe potuto sterminare tutti, ostaggi e terroristi. Che per giunta rinnovavano le loro minacce di fucilare i prigionieri se non fossero state soddisfatte le loro richieste.
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- Stiamo tentando il possibile, ma per ora i guerriglieri vogliono parlare solo con Putin o con un suo diretto emissario. [...] Se avessero l'interlocutore che vogliono, si potrebbe trattare anche una soluzione intermedia.
- Un blitz da parte del potere federale? Non è in preparazione niente del genere. È da dentro il teatro che potrebbe partire una crisi. È lì che la situazione potrebbe esplodere.
- Non c'è prezzo che non si possa pagare per 700 vite umane, per qualsiasi vita umana.
- [«Come sono questi terroristi?»] Molto giovani. Sono dei ragazzi cresciuti in guerra, in un'atroce guerra, e non sanno che esistono altre realtà. Sono dei kamikaze.
- L'unica conclusione certa da trarre da quella terribile tragedia era che la guerra in Cecenia non era cessata, malgrado i proclami di Putin, e che il suo regime non aveva un rispetto per la vita umana molto più elevato di quello dei terroristi: un punto che a quanto pare il governo voleva mettere in chiaro.
- La risposta del governo agli attacchi terroristici del teatro Dubrovka e di Beslan e a ciò che ne seguì dimostra che il regime di Putin non era interessato alla fiducia o alla sicurezza del popolo russo. Putin non aveva bisogno del popolo né della sua fiducia: aveva il petrolio, il gas, il controllo totale dei media e del governo e un apparato di sicurezza in rapida espansione. A differenza che in una democrazia, dove la perdita di fiducia del popolo per l'amministrazione le costerà presto il posto, essere un dittatore significa non dover mai dire mi dispiace, e non dover mai nemmeno affrontare la questione.
- La Russia di Putin evidentemente non considera la morte dei suoi cittadini un reato grave del quale le autorità coinvolte debbano rendere conto. Il regime putiniano non soltanto decorò e promosse, nel silenzio generale, gli artefici dell'irruzione al Dubrovka ma previde anche una immunità sine die per chiunque eseguisse i suoi ordini immorali. Non esistendo un'opposizione organizzata nella società russa, nel decennio successivo l'autoritarismo dolce assunse gradualmente i tratti sinistri di una dittatura fascista.
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- Gli ultimi giorni sono passati nel delirio più completo. Mosca seppellisce gli ostaggi. Oggi, ieri, domani. È insopportabile... I defunti hanno volti tranquilli, per nulla deformati dalla morte, come se fossero addormentati; in effetti li hanno addormentati: la nostra nazione ha soltanto calcolato male la dose... (4 novembre 2002)
- Non mi è assolutamente piaciuto il comportamente tenuto dalla maggior parte dei ceceni importanti in quelle cinquantasette ore, quando tutto era appeso a un filo, l'intero Dubrovka poteva saltare per aria da un momeno all'altro, e una loro parola agli uomini guidati da Baraev il giovane poteva avere un peso maggiore che quella di chiunque altro. Io, almeno, ne ero convinta. Ma quelle parole non sono arrivate. Non è successo nulla. Hanno deluso le aspettative. E ora questo appartiene alla storia. (4 novembre 2002)
- I terroristi avevano invitato Kadyrov – tra tutti i possibili negoziatori proprio lui, il capo della Cecenia, il prescelto di Putin – e in cambio avrebbero ridato la libertà a cinquanta ostaggi. Ma Kadyrov non ci è andato, spiegando in seguito che non lo «avevano avvertito»... (4 novembre 2002)
- Ormai sono rimasti in pochi a dubitare che il paese sia cambiato dopo l'attentato terroristico del 23 ottobre scorso a Mosca. Sono diversi l'ideologia, lo spirito e i nostri umori. Molti ex putiniani convinti hanno cominciato a chiedersi: ma avrà senso la politica di terra bruciata che il presidente porta avanti nel Caucaso? Una parte dell'opinione pubblica, invece, ha radicalizzato le proprie posizioni antimusulmane. (13 febbraio 2003)
- Proviamo a vedere come vivono coloro ai quali la tragedia di Nord-Ost non ha fatto guadagnare «in pathos», ma che, anzi, ne sono usciti a pezzi. Proviamo a guardare il loro prima e il loro dopo. Le esistenze, uniche e irripetibili, che sono state spezzate. Le vittime che la macchina dello Stato sta cercando di dimenticare, inducendo noialtri a fare lo stesso. Le pulizie etniche che sono seguite al massacro. La nuova ideologia di Stato, letale per l'individuo. Putin l'ha illustrata più volte. E suona all'incirca così: «Non aspettatevi che le perdite ci frenino. Non lo faranno. Nemmeno se dovessero essere altissime». (2004)
- Come ha reagito l'opinione pubblica, la gente? Nessuna compassione per le vittime. Per lo meno nessuna compassione organizzata in reazione sociale e pubblica che le autorità non potessero ignorare. Anzi. La nostra società traviata vuole quiete e agio anche a prezzo della vita altrui. E passa oltre la tragedia di Nord-Ost, fidandosi del (comodo) lavaggio del cervello messo in atto dallo Stato più che della realtà dei fatti o delle parole di un vicino coinvolto in prima persona. (2004)
- Solo un pazzo potrebbe invidiare i ceceni che vivono in Russia. La loro vita non è mai stata rose e fiori neanche in passato, ma dopo il caso Nord-Ost la macchina della vendetta etnica di Stato ha ingranato la velocità massima. Attacchi razzisti e purghe sotto l'egida della polizia sono diventati routine. Basta un attimo per perdere la vita, la casa, il lavoro, la terra sotto i piedi... E la ragione è una sola: sono ceceni. Per loro la vita a Mosca e in molte altre città non solo è impossibile, con gente che pur di sbatterti qualche anno in galera ti infila della droga in tasca e delle pallottole in mano; la realtà è diventata un incubo, un vicolo cieco, un muro di gomma senza uscita per chi viene considerato apertamente un paria. Un tipo di vita a cui non sfugge nessuno, bambini e vecchi inclusi. (2004)
- Dopo la tragedia del teatro Dubrovka le autorità non hanno fatto altro che assolversi, lodarsi, coccolarsi. E invece la seconda guerra cecena non solo non è finita, ma ha stretto ancora di più la sua morsa. È degenerata nell'annientamento e nella neutralizzazione di chiunque lavori per la pace e cerchi di impedire che la crisi cecena sfoci in nuovi atti di terrorismo quale unica risposta lecita al terrorismo di Stato in Cecenia e Inguscezia. È una tautologia: il «terrorismo antiterrorismo» russo è diventato il tratto distintivo della nostra vita da Nord-Ost a Beslan. Terrorismo e antiterrorismo, macine di uno stesso mulino che ci riduce in farina. Il numero degli attentati è cresciuto in progressione geometrica. La strada che da Nord-Ost porta a Beslan è sotto i nostri occhi. (2004)
- Nei due anni successivi all'attacco con i gas il potere non ha avuto alcuna pietà per le vittime. L'indagine è degenerata in un'azione politica mirata a scagionare i colpevoli, e in ultima istanza è stata insabbiata. Le vittime della tragedia, si sostiene ufficiosamente, sono morte a causa degli innumerevoli disturbi legati alla disidratazione e allo stress, e solo in minima parte per effetto di una «sostanza chimica non identificata».
In due anni non sono riusciti a identificarla. (26 ottobre 2004) - In molti certificati di morte non sono indicati né il luogo né l'ora del decesso, e neppure se abbiano ricevuto soccorso medico. Inoltre, spesso le cause del decesso riportate ufficialmente sono al limite dell'inverosimile. Come si può credere che aluni ostaggi siano morti per l'aggravarsi di malattie croniche preesistenti, quando le famiglie sostengono che non ne fossero per niente affetti?
Il gas, quel maledetto gas segreto: è questa la causa per cui l'inchiesta (di competenza della procura della città di Mosca) continua a farfugliare risposte senza senso e a non fornire nulla di preciso. L'indagine per tutti questi tre anni si è "seduta" sul segreto del gas e come su un baule con le valchirie e con devozione ha protetto questo strumento militare da chiunque.
Naturalmente, in tre anni d'indagini il gas non è mai stato identificato ufficialmente. L'attività investigativa aveva tutt'altro obiettivo: giustificare tutte le azioni delle forze speciali e della struttura governativa. (24 ottobre 2005) - La sera prima del blitz si sperava ancora in un accordo. Le loro richieste erano primitive, ma avevano una logica: Putin doveva almeno far vedere di voler fermare la guerra. Dirlo in tv, ritirare le truppe da un distretto ceceno. Non chiedevano né treni, né aerei, né soldi, né droga. Avevo trasmesso le loro richieste dopo essere uscita. Poi è successo quello che è successo. Probabilmente, se avessi saputo come sarebbe andata a finire, non sarei entrata per il negoziato. Avevo capito che le cose stavano andando male alle due di notte: dovevo rientrare nel teatro, invece aveva vinto l'idea dei servizi, niente più trattative. Era chiaro che ci sarebbe stato l'assalto. Ma non potevo immaginare che avrebbero usato il gas, anche se li vedevo scavare passaggi. (9 ottobre 2006)
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- La presa degli ostaggi nel teatro della Dubrovka era una tragedia diversa da tutte le altre tragedie russe. Fino a quel momento la guerra nel Caucaso era stata lontana. [...] Stavolta la guerra era arrivata nella Mosca bene, aveva colpito in pieno quella nascente borghesia che si era appassionata alla neonata moda dei musical ed era andata al primo spettacolo del genere nato in casa, a sfidare i prodotti di Broadway.
- Tra i 916 ostaggi c'erano la figlia di un ex ministro, attori, cantanti, imprenditori, turisti occidentali (75 persone), che avevano pagato un biglietto costoso e che non prendevano mai la metropolitana. Era gente i cui figli non venivano mandati a combattere nel Caucaso. Era gente alla quale certe cose non potevano succedere.
- Era il primo atto terroristico con i cellulari e gli ostaggi mandavano sms ai parenti. Tutti, o quasi, a Mosca conoscevano qualcuno che aveva i loro cari lì dentro. Ammazzare i ceceni nel cesso all'improvviso non sembrava più una soluzione.
- La maggior parte delle vittime morì già in ospedale, oppure nelle ambulanze dove venivano accatastati in pile, come cadaveri, dopo essere stati lasciati senza soccorso per ore. Il ministro della Salute annunciò trionfante che il gas era "un segreto di Stato", e i suoi inventori – con un decreto altrettanto segreto – vennero insigniti di alte onorificenze. I parenti delle vittime l'anno scorso sono riusciti a dimostrare al Tribunale di Strasburgo che i loro cari – tra cui numerosi bambini – sono morti per colpa del governo russo.
- Perché nessuno dei 35 ceceni riuscì a far brillare nemmeno un ordigno, visto che il gas non aveva un effetto immediato e alcuni terroristi aprirono anche il fuoco contro le teste di cuoio che irrompevano nell'edificio? Perché le "vedove nere" avevano in tasca biglietti di ritorno se era una missione suicida? Sia alcuni ceceni che esponenti delle autorità a un certo punto si fecero sfuggire che le bombe erano senza innesco, per evitare la strage. I ceceni contavano su una trattativa in diretta tv, e di fuggire per tornare a casa. Pensavano che il Cremlino non avrebbe accettato un massacro a Mosca. Si sbagliavano. I tempi erano cambiati. Alla Dubrovka lo Stato russo si riappropriò del suo storico diritto di uccidere i suoi cittadini per dimostrare la propria forza.
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