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Guido Morselli

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Guido Morselli

Guido Morselli (1912 – 1973), scrittore italiano.

Citazioni di Guido Morselli

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  • Il suicidio è una condanna a morte della cui esecuzione il giudice incarica il condannato.[1]
  • L'antica città imperiale [Francoforte sul Meno] non conserva torri né bastioni a testimonianza del suo passato. Raccolta fra la cattedrale e il fiume, avendo al centro la modica apertura del Römer, sopravvive con semplicità alla sua gloria. Benigna, pacifica, il silenzio che l'avvolge è il segno più palese della sua nobiltà. Nelle vie, quasi anguste, penetra la brezza che si leva dal fiume, ne odi alle cantonate il sibilo. Poca gente attorno; e il suono dei passi sul selciato non rompe la quiete, la rende più domestica e grata. Le case hanno tetti enormi, scoscesi, fronti d'arenaria o di quercia rossigne o brune, su cui si svolge una decorazione immaginosa e minuta, a intaglio, a rilievo o a colori. Ai due lati della via si aprono fonde arcate e portali dallo strombo scolpito; aggettano, di legno o di pietra, logge e poggiuoli, e fanno l'ombra più folta. Case salde e gentili, improntate senza uniformità a un modello antico, che le generazioni si son trasmesse insieme con la lingua e il costume; liete e agevoli nella loro composita struttura. Ce n'è di secolari più volte: tuttora abitate, e fiorite ai davanzali; né pare che la vita d'oggi discordi dalla sua vetusta cornice. Tavolette e cartigli danno un nome a ogni soglia, o invocano un santo a proteggerla; lanterne e adorne insegne invitano alle botteghe. Una reverenza che si rivela popolare e spontanea, ha serbato sin nei particolari la vecchia città illesa. Qua e là, il vecchio stile tedesco cede ad altre ispirazioni: grazie rinascimentali e barocche si schiudono: qualche facciata se ne riveste dallo zoccolo alla sommità. Ma ciò non offende il gotico genius loci, con tanta accortezza e libertà gli artefici hanno saputo trattare quelle forme straniere, adattarle alle tradizionali e paesane. Non vi sono contrasti, o la virtù del tempo li ha conciliati; e viene dalle cose un senso di serenità, d'armonia, di compiutezza.[2]

Diario

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  • Uno dei tanti mali con cui è punito l'egoista, sta in questo: che intorno a sé egli non vede se non egoismo. Come a lui stesso, agli altri generosità, disinteresse debbono essere sconosciuti. (9 febbraio 1940)
  • Chi può negare che ci sia qualche cosa di divino nelle cose quando esse si fan vive per noi e ci parlano la stessa lingua arcana del nostro sentimento? (24 novembre 1943)
  • Chi sa «ascoltarsi» vive più vite. Per chi attinge alla propria sensibilità profonda, il passato non è mai morto; non solo, ma la sua vita presente si dilata immensamente di là dai suoi limiti apparenti, ad abbracciare innumerevoli esperienze. (26 novembre 1943)
  • [...] trovo che per chi ha intelletto per pensare da sé, lo studio del pensiero altrui non può servire che a fornirgli la conferma di ciò a cui è giunto in precedenza da solo. Infatti, quando c'imbattiamo in idee nuove, delle due l'una: o sono nuove per noi solo apparentemente, in quanto corrispondono a un nostro ordine mentale nel quale erano già, almeno in potenza; o ci sono veramente nuove, ossia estranee, e allora restano più o meno lettera morta. (14 dicembre 1943)
  • Dio è come il mare: sorregge chi gli si abbandona. (14 dicembre 1943)
  • Ciò che accomuna gli uomini non sono le idee ma le abitudini. (29 dicembre 1943)
  • Innamorarsi di una donna non è difficile. Difficile è amarla. (29 dicembre 1943)
  • Una donna può esserci necessaria, e non esserci sufficiente. (2 gennaio 1944)
  • Vi è in noi una specie di timore della felicità. Si potrebbe dire che la consuetudine alla noia e al dolore determina da parte nostra una inerzia una resistenza alla gioia. (5 gennaio 1944)
  • Tutta la nostra esperienza interiore è il gioco di due fattori: la memoria (il passato), l'angoscia (il presente). (2 febbraio 1944)
  • Calabria: paese dove gli uccelli non cantano, e le campane non suonano. (3-4 maggio 1944)
  • Esser fedeli a una donna, significa esser fedeli a se stessi. (13 maggio 1944)
  • Le conclusioni della cosiddetta teologia negativa sono così indifferenti alla esperienza religiosa, che coloro cui dobbiamo quelle conclusioni, nella loro forma più rigorosa, sono in generale i mistici più accesi: Angelus Silesius, Johann Scheffler, Bernardo di Cluny, ecc. [...]. La storia della teologia negativa coincide con quella del misticismo. Il mistico, dunque, crede in un Oggetto di cui afferma l'inesistenza; ed è questa infatti l'essenza della fede: credere nell'atto stesso in cui (razionalmente) neghiamo. (29 giugno 1944)
  • Se l'opera dell'artista è la poesia, la pittura, la musica, il capolavoro del mistico è Dio. (29 giugno 1944)
  • Il castigo, in quanto sia sofferenza, è sempre ingiusto perché sempre sproporzionato alla colpa. Infatti il piacere che sentiamo commettendo il male, non incide mai profondamente come il dolore. Carattere di quello è la labilità, di questo, la stabilità. Il piacere non impegna quasi mai l'animo, il dolore, anche fisico, sì. Il piacere sfiora, il dolore si radica. (12 agosto 1944)
  • Preferisco non avere un Dio, che averne uno malvagio. (24 agosto 1944)
  • Per ben vivere (o soltanto per vivere) occorre che l'uomo spregi il passato, che ami il presente e confidi nell'avvenire. È un'infelice e innaturale condizione, quella di chi ama il passato dispregia il presente e teme l'avvenire [...]. (24 settembre 1944)
  • Suicida per amore della vita. (13 gennaio 1945)
  • I nostri rapporti con una donna possono a un certo punto divenire una consuetudine. Forse questo è il punto «cruciale» di ogni amore. Poiché la consuetudine approfondisce l'amore, o lo riduce a un involucro di gesti senz'anima. (30 giugno 1946)
  • «Soffro, dunque sono». (24 novembre 1950)
  • Dio è il nome di una psicosi, di cui prima o dopo tutti soffriamo. (22 agosto 1955)
  • L'assurdità di questo mondo, e l'infelicità della condizione umana, sono in funzione del bene non meno che del male: del fatto che il bene e il male vi coesistono, avendo la medesima realtà e inoppugnabilità.
    Il che conferma che siano fallaci, e ingenue, entrambe le posizioni estreme in cui la filosofia si polarizza: l'ottimismo e il pessimismo. I pessimisti assoluti non hanno capito, che proprio il mescolarsi del bene (un bene incontestabile, checché essi dicano) al male, è ciò che rende quest'ultimo così grave, oltre che più misterioso ancora.[3] (21 settembre 1956)
  • Dopo la morte, per gli scettici c'è il nulla. Per le anime religiose, dopo la morte c'è Dio, ossia il tutto. Ma sparire nel nulla o nel tutto, non è la stessa cosa? (26 dicembre 1958)
  • Tutto è inutile. Ho lavorato senza mai un risultato; ho oziato, la mia vita si è svolta nella identica maniera. Ho pregato, non ho ottenuto nulla; ho bestemmiato, non ho ottenuto nulla. Sono stato egoista sino a dimenticarmi dell'esistenza degli altri; nulla è cambiato né in me né intorno a me. Ho amato, sino a dimenticarmi di me stesso; nulla è cambiato né in me né intorno a me. Ho fatto qualche poco di bene, non sono stato compensato; ho fatto del male, non sono stato punito. – Tutto è ugualmente inutile. (6 novembre 1959)
  • La provvidenza non trascura proprio nessuna delle sue creature. Leggo (in un articolo sul «Corriere» del 19 settembre '62) che anche le libere, graziose, festose (e innocenti) farfalle sono colpite dalla malattia che quando visita noi, chiamiamo: cancro. [...] Non c'è nemmeno un angolo del creato in cui non si mostri la grandezza e la bontà del creatore. (1º ottobre 1962)
  • Come la poesia, così la filosofia deve crescere in margine alla vita, e cioè essere riflessione sulla vita, la saggezza che affiora sull'esperienza. Questo è il significato dell'adagio «primum vivere» (che gli uomini pratici hanno svisato come se significasse che il riflettere è una faccenda di seconda – o di nessuna – importanza). (3 maggio 1963)
  • Dagli dèi, dobbiamo imparare per lo meno una virtù: la discrezione. Essi si comportano in ogni caso come se non esistessero. (9 settembre 1963)
  • In tutte le cose, e non solo nel mio lavoro, io mi sono visto opporre pareti scoscese, invalicabili, contro le quali è stato inutile farsi insanguinare e piedi e mani e ginocchia. (1º gennaio 1960)
  • Nessun partito politico è di sinistra, dopo che ha assunto il potere. (3 giugno 1966)
  • A coloro che vanno cercando una definizione della vita (biologi, per es.), vorrei proporre la seguente: «la materia quando incomincia a soffrire». (5 novembre 1966)
  • Fede (religiosa) significa: prestare a Dio, supplire a Dio, perdonare a Dio. (21 febbraio 1970)

Dissipatio H.G.

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Relitti fonico-visivi mi tengono compagnia, e sono ciò che di più diretto mi rimanga di 'loro'.

Citazioni

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  • Ciò che 'fa' il silenzio e il suo contrario, in ultima analisi è la presenza umana, gradita o sgradita; e la sua mancanza. Nulla le sostituisce, in questo loro effetto.
    E il silenzio da assenza umana, mi accorgevo, è un silenzio che non scorre. Si accumula. (cap. IV)
  • Uno degli scherzi dell'antropocentrismo: descrivere la fine della specie come implicante la morte della natura vegetale e animale, la fine stessa della Terra. La caduta dei cieli. Non esiste escatologia che non consideri la permanenza dell'uomo come essenziale alla permanenza delle cose. Si ammette che le cose possano cominciare prima, ma non che possano finire dopo di noi. (cap. VII)
  • Il reale avendo dalla sua la durata e la coerenza (coerenza nel senso di uniformità e solidità), si può permettere il lusso di essere irrazionale e inspiegabile. Anche pazzesco, se gli torna comodo. (cap. VIII)
  • Quello che per ogni altro sarebbe l'oceano della negazione, un orrore totale, io ci galleggio sopra in una barchetta di carta. Costruita con poche, mediocri, qua e là ironiche, idee generali. (cap. VIII)
  • [...] l'aspirazione a possedere materialmente una cosa o una persona, nasconde, con qualche approssimazione, il nostro intento di liberarci di essa, di passare a altro. Quello che abbiamo posseduto, ce lo possiamo mettere dietro le spalle, confinarlo nel passato, nel già-fatto. (cap. VIII)
  • Kosmos olos en tòo poneròo kèitai, tutto il mondo giace nel male. «Male» non in senso morale, si capisce; il male morale comincia e finisce col moralismo, il solo male è la sofferenza. Un individuo che soffre, a cui manca quello che gli occorre per essere. (cap. IX)
  • [...] la psicologia o psicodiagnostica, con le associate discipline, non era soltanto una operosa industria clinico-culturale. Era oltretutto, o anzitutto, una densa concrezione linguistico-letteraria, un edificio di tropi e traslati (poco allegri), e in ciò si rivelava una delle eredi legittime della retorica. (cap. IX)
  • [...] i fatti, quando si permettono di non avere spiegazioni, possono permettersi di non avere significati, nemmeno reconditi. (cap. IX)
  • A livelli sia pure superiori al mio, il pensiero è stato quasi sempre solitario, fine a se stesso, asociale. Secreto da monadi senza finestre, o che non si curavano di mettersi alla finestra. L'idolatria della comunicazione è un vizio recente.
    E la società, dopotutto, non era che una cattiva abitudine. (cap. IX)
  • Occorre partire dalla premessa realistica di ciò che significa per noi 'essere morti'. Impartecipazione al mondo esterno, insensibilità, indifferenza. Stabilito che la morte è questo, si conclude che la vita le assomiglia, il divario essendo puramente quantitativo. Idealmente, la vita dovrebbe essere apprendimento, esperienza, interessi, ma lei capisce che in confronto alla vita in questa sua ideale e non mai raggiunta pienezza, in confronto alla molteplicità delle esperienze (o relazioni) teoricamente possibili, ognuno di noi non è molto diverso da un morto. Il connotato del morto è l'impassibilità: ora l'ignoranza e (aggiunga) la dimenticanza o facilità a dimenticare, riducono noi vivi, per la quasi totalità delle esperienze (o relazioni) possibili, a una impassibilità analoga. Siamo morti a tutto ciò che non ci tocca o non c'interessa. Non dico a ciò che succede sulla Luna, ma a ciò che succede a coloro che stanno di casa dirimpetto a noi. Della miriade di eventi che si verificano ogni giorno nella nostra stessa sfera umana più prossima, ne conosciamo solo alcuni, qualche decina diciamo, e di solito indirettamente, attraverso un notiziario. Usiamo, e male, una lingua, delle 3.000 che si parlano nel mondo. Morire biologicamente, è il perfezionarsi di uno stato in cui ci troviamo già ora. (Mylius: cap. X)
  • Ho sempre pensato che il Caso, supposto che esista col C maiuscolo e non sia «asylum ignorantiae», non si distinguerebbe in alcun modo da una superiore volontà imperscrutabile. I Lloyd's, i grandi assicuratori londinesi, non consideravano uragani e colpi di mare, incendi e terremoti, fatti accidentali o 'accidenti', li chiamavano, ufficialmente, «acts of God». (cap. XI)
  • La cultura porta in sé il solvente per ciò che la fa vivere e per ciò che la nega. Non ha consistenza, se non ne trova una produttivistica, ma in grazia della sua inconsistenza, checché avvenga di catastrofico, resiste.
    Resiste e risorge. È una fenice (una fenice garrula e spennata, di preferenza ingabbiata). Per lei non c'è fine del mondo, o la fine stessa del mondo le offrirebbe di che alimentarsi e esercitarsi. (cap. XII)
  • Sono sempre stato un nominalista: la società non esiste, ciò che esiste sono i gruppi, anzi l'individuo tout court. La sola realtà di cui l'uomo debba tenere conto è quella che egli stesso si crea come individuo. L'annotazione non è mia, è di Charles Reich, ma c'è del vero. (cap. XIII)
  • [...] il suicidio richiede un destinatario o dei destinatari. Qualcuno che noi decidiamo di punire, o viceversa di ammaestrare (vedi: Bruto). (cap. XVIII)
  • [...] l'eterno [...] è la permanenza del provvisorio. La dilatazione estrema dell'attimo, e in termini empirici questo vuol dire: stato di differibilità assoluta. Agisco ma non posso preventivare la durata dell'azione, so solo che è incalcolabile; sto caricando la pipa, ma quando sarò pronto per prendere un fiammifero e accenderla? E lo sarò mai? (cap. XIX)

Me ne sto a guardare, dalla panchina di un viale, la vita che in questa strana eternità si prepara sotto i miei occhi. L'aria è lucida, di un'umidità compatta. Rivoli d'acqua piovana (saranno guasti gli scoli nella parte alta della città) confluiscono nel viale, e hanno steso sull'asfalto, giorno dopo giorno, uno strato leggero di terriccio. Poco più di un velo, eppure qualche cosa verdeggia e cresce, e non la solita erbetta municipale; sono piantine selvatiche. Il Mercato dei Mercati si cambierà in campagna. Con i ranuncoli, la cicoria in fiore.
In tasca tengo, per lui, un pacchetto di gauloises.

Un dramma borghese

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Così distante quel tempo, e privo di ogni attinenza con la mia vita quel mondo di sentimenti, di interessi, di azioni. Perché ho sognato poco fa, di pieno giorno, seduto di fronte alla finestra chiusa, quell'episodio insignificante, del resto ben dimenticato?

Citazioni

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  • Il suo umanesimo, duttile, positivo, ha l'odore un po' agro delle sanse a dicembre quando si accumulano nei frantoi, dalle parti mie, un odore, che chi non è nato sotto gli ulivi e non è stato lubrificato col loro olio dalla levatrice all'ingresso di questo mondo, non s'immagina come sia stimolante, appetitoso sino alla capziosità e all'indiscrezione. Montaigne appunto, per uno che ci si è strusciato e se l'è fiutato a dovere.

Incipit de Il comunista

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Dibattito (e riposo) in Parlamento.[4]

Citazioni su Guido Morselli

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Note

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  1. Citato in Valentina Fortichiari, Nota al testo, in Guido Morselli, La felicità non è un lusso, p. 153.
  2. Da Vecchia Francoforte, in La felicità non è un lusso, pp. 11-13.
  3. Citato in Fabio Pierangeli, Le parole religiose degli altri: due libri religiosi nella biblioteca di Guido Morselli, in Parole rubate. Rivista internazionale di studi sulla citazione, n. 6, dicembre 2012, p. 134. ISSN 2039-0114; parolerubate.unipr.it.
  4. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi e Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937.

Bibliografia

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Altri progetti

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