Enea
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Enea, personaggio della mitologia e della letteratura greca e romana.
Citazioni di Enea
[modifica]- Legno e sale. | E acqua limpida di specchi infranti. | Ilio brucia dietro le spalle, nessuno si volta a guardare. | Lacrime roventi e cuori gravidi per tutti. | Partiamo. | Non c'è altro da fare. | Abete piallato di fresco e pece nuova sotto le piante dei piedi, vele cerchiate di speranza e sole alto. | Della casa d'un tempo resta il fumo: riempie gola e narici, c'accompagnerà per sempre. | Esuli scalzi, animi rotti, vecchi, donne e bambini. | Partiamo. | Sconfitti, ingannati, schiene fredde sotto gli occhi di déi annoiati. | Partiamo. | I ricci di mio figlio, le rughe del padre curvo, le bocche spalancate di chi mi chiama "principe". | Mentre il regno che non ho mai retto arde ancora. | Il mio nome è Æneas e questo è l'ultimo giorno di Ilio. | Levare gli ormeggi è morire due volte. | Il futuro odora di vento e paura. | Partiamo. (Simone Sarasso)
Pietro Metastasio, Didone abbandonata
[modifica]- No, principessa, amico, | sdegno non è, non è timor che move | le frigie vele e mi trasporta altrove. | So che m'ama Didone; | pur troppo il so; né di sua fé pavento. | L'adoro, e mi rammento | quanto fece per me: non sono ingrato. | Ma ch'io di nuovo esponga | all'arbitrio dell'onde i giorni miei | mi prescrive il destin, voglion gli dei; | e son sì sventurato, | che sembra colpa mia quella del fato.
- Se resto sul lido, | se sciolgo le vele, | infido, crudele | mi sento chiamar: | e intanto confuso | nel dubbio funesto, | non parto, non resto, | ma provo il martire | che avrei nel partire, che avrei nel restar.
- Tormento il più crudele | d'ogni crudel tormento | è il barbaro momento | che in due divide un cor.
Libro I
[modifica]- E' verrà tempo | un dì, che tante e così rie venture, | non ch'altro, vi saran dolce ricordo.[1]
- Soffrite, mantenetevi, serbatevi | a questo, che dal ciel si serba a voi, | sì glorïoso e sì felice stato.
- Io sono Enea, quel pio che da' nemici | scampati ho meco i miei patrii Penati, | fino a le stelle omai noto per fama. | Italia vo cercando, che per patria | Giove m'assegna, autor del sangue mio. | Con diece e diece ben guarnite navi | uscii di Frigia, il mio destin seguendo | e lo splendor de la materna stella.
- [Ad Acate] Guarda Priamo! Qui pure la gloria ha il suo premio, | e le pene hanno lagrime, toccan le cose degli uomini l'animo.
Libro II
[modifica]- Dogliosa istoria | e d'amara e d'orribil rimembranza, | regina eccelsa, a raccontar m'inviti.[2] | Come la già possente e glorïosa | mia patria, or di pietà degna e di pianto, | fosse per man de' Greci arsa e distrutta. | E qual ne vid’io far ruina e scempio: | ch'io stesso il vidi, ed io gran parte fui | del suo caso infelice.[3]
- Ma se tanto d'udire i nostri guai, | se brevemente di saver t'aggrada | l'ultimo eccidio, ond'ella arse e cadéo, | benché lutto e dolor mi rinovelle, | e sol de la memoria mi sgomente;[4] | io lo pur conterò.
- Sbattuti e stanchi | di guerreggiar tant'anni e risospinti | ancor da' fati, i greci condottieri | a l'insidie si diero; e da Minerva | divinamente istrutti, un gran cavallo | di ben contesti e ben confitti abeti | in sembianza d'un monte edificaro.[5] | Poscia finto che ciò fosse per voto | del lor ritorno, di tornar sembiante | fecero tal, che se ne sparse il grido. | Dentro al suo cieco ventre e ne le grotte, | che molte erano e grandi in sì gran mole, | rinchiuser di nascosto arme e guerrieri | a ciò per sorte e per valore eletti.
- Or ascoltate | le malizie de' Greci: e da quest'uno | conosceteli tutti.[6]
- M'agghiado | a raccontarlo.[7]
- A ciò seguire immantinente accinti, | ruiniamo la porta, apriam le mura, | adattiamo al cavallo ordigni e travi, | e ruote e carri a' piedi, e funi al collo. | Così mossa e tirata agevolmente | la machina fatale il muro ascende, | d'armi pregna e d'armati, a cui d'intorno | di verginelle e di fanciulli un coro, | sacre lodi cantando, con dilétto | porgean mano a la fune. Ella per mezzo | tratta de la città, mentre si scuote, | mentre che ne l'andar cigola e freme, | sembra che la minacci.
- Allor Sinone, | che per nostra ruina era da noi | e dal fato maligno a ciò serbato, | accostossi al cavallo, e 'l chiuso ventre | chetamente gli aperse, e fuor ne trasse | l'occulto agguato. Usciro a l'aura in prima | i primi capi baldanzosi e lieti, | tutti per una fune a terra scesi: | e fur Tisandro e Stènelo ed Ulisse, | Atamante e Toante e Macaone | e Pirro e Menelao con lo scaltrito | fabricator di questo inganno, Epeo. | Assalîr la città, che già ne l'ozio | e nel sonno e nel vino era sepolta; | ancisero le guardie; aprîr le porte; | miser le schiere congiurate insieme: | e dier forma a l'assalto.
- Quand'ecco in sogno (quasi avanti gli occhi | mi fosse veramente) Ettor m'apparve | dolente, lagrimoso, e quale il vidi | già strascinato, sanguinoso e lordo | il corpo tutto, e i piè forato e gonfio. | Lasso me! quale e quanto era mutato[8] | da quell'Ettòr che ritornò vestito | de le spoglie d'Achille, e rilucente | del foco ond'arse il gran navile argolico! | Squallida avea la barba, orrido il crine | e rappreso di sangue; il petto lacero | di quante unqua ferite al patrio muro | ebbe d'intorno.
- E già 'l palagio | era di Deifóbo arso e distrutto; | già 'l suo vicino Ucalegon ardea,[9] | e l'incendio di Troia in ogni lato | rilucea di Sigeo ne la marina; | e s'udian gridar genti e sonar tube.
- Il gran cavallo, | ch'era a Palla devoto, altero in mezzo | stassi de la cittade, e d'ogni lato | arme versa ed armati. Il buon Sinone | gode de la sua frode, e d'ogn'intorno | scorrendo si rimescola, e s'aggira | gran maestro d'incendi e di ruine.
- Un sol rimedio | a chi speme non have è disperarsi.[10]
Libro III
[modifica]- Era de l'anno | la stagion prima, e i primi giorni a pena, | quando, sciolte le sarte e date a' venti | le vele, come volle il padre Anchise, | piangendo abbandonai le rive e i porti | e i campi ove fu Troia,[11] i miei compagni | meco traendo e 'l mio figlio e i miei numi | a l'onde in preda, e de la patria in bando.
- Un de' figliuoli | era questi del re, ch'al tracio rege | fu con molto tesoro occultamente | accomandato allor che da' Troiani | incominciossi a diffidar de l'armi, | e temer de l'assedio. Il rio tiranno, | tosto che a Troia la fortuna vide | volger le spalle, anch'ei si volse, e l'armi | e la sorte seguì de' vincitori; | sì che, de l'amicizia e de l'ospizio | e de l'umanità rotta ogni legge, | tolse al regio fanciul la vita e l'oro. [su Polidoro]
- Ahi de l'oro empia ed essecrabil fame! | E che per te non osa, e che non tenta | quest'umana ingordigia?[12]
- Ma sì d'Etna vicino, che i suoi tuoni | e le sue spaventevoli ruine | lo tempestano ognora. Esce talvolta | da questo monte a l'aura un'atra nube | mista di nero fumo e di roventi | faville, che di cenere e di pece | fan turbi e groppi, ed ondeggiando a scosse | vibrano ad ora ad or lucide fiamme | che van lambendo a scolorir le stelle; | e talvolta, le sue viscere stesse | da sé divelte, immani sassi e scogli | liquefatti e combusti al ciel vomendo | in fin dal fondo romoreggia e bolle.
- Già del giorno seguente era il mattino, | e chiaro albore avea l'umido velo | tolto dal mondo; quando ecco dal bosco | ne si fa 'ncontro un non mai visto altrove [Achemenide] | di strana e miserabile sembianza, | scarno, smunto e distrutto: una figura | più di mummia che d'uomo. Avea la barba | lunga, le chiome incolte, indosso un manto | ricucito di spini: orrido tutto, | e squallido e difforme, con le mani | verso il lito distese, a lento passo | venía mercè chiedendo.
- Mostro orrendo, difforme e smisurato, [Polifemo] | che avea come una grotta oscura in fronte | in vece d'occhio, e per bastone un pino, | onde i passi fermava.
- Giace de la Sicania al golfo avanti | un'isoletta che a Plemmirio ondoso | è posta incontro, e dagli antichi è detta | per nome Ortigia. A quest'isola è fama | che per vie sotto al mare il greco Alfeo | vien da Dòride intatto, infin d'Arcadia | per bocca d'Aretusa a mescolarsi | con l'onde di Sicilia.
- E 'n su la punta | giunti di Lilibeo, tosto girammo | le sue cieche seccagne, e 'l porto alfine | del mal veduto Drepano afferrammo. | Qui, lasso me! da tanti affanni oppresso, | a tanti esposto, il mio diletto padre [Anchise], | il mio padre perdei. Qui stanco e mesto, | padre, m'abbandonasti: e pur tu solo | m'eri in tante gravose mie fortune | quanto avea di conforto e di sostegno. | Oimè! che indarno da sì gran perigli | salvo ne ti rendesti.
Libro IV
[modifica]- [A Didone] Ma ne l'Italia il mio fato mi chiama. | Italia Apollo in Delo, in Licia, ovunque | vado, o mando a spïarne, mi promette. | Quest'è l'amor, quest'è la patria mia. | Se tu, che di Fenicia sei venuta, | siedi in Cartago, e ti diletti e godi | del tuo libico regno, qual divieto, | qual invidia è la tua, ch'i miei Troiani | prendano Ausonia?
Libro V
[modifica]- Ben conosch'io che duro | è 'l contrasto de' venti; e 'l nostro è vano. | Volgi le vele. E qual più grata altrove, | o più commoda riva, o più sicura | aver mai ponno le mie stanche navi, | di quella che ne serba il caro Aceste, | e l'ossa accoglie del buon padre mio? [a Palinuro]
- A voi sant'ossa, a voi ceneri amate | e famose e felici, anima ed ombra | del padre mio, torno di nuovo indarno | per onorarvi; poi che Italia e 'l Tebro | (se pur Tebro è per noi) ne si contende. | Or, quel ch'io posso con devoto affetto | v'adoro e 'nchino come cosa santa.
- Onnipotente Giove, se de' Teucri | ancor non t'è, senza riservo, in ira | la gente tutta, e se, qual sei, pietoso | miri agli umani affanni, a tanto incendio | ritogli, padre, i male addotti legni; | ritogli a morte queste poche afflitte | reliquie de' Troiani, o quel che resta | tu col tuo proprio telo, e di tua mano | (se tale è il merto mio) folgora e spegni.
- Troppo al sereno, e troppo a la bonaccia | credesti, Palinuro. Or ne l'arena | dal mar gittato in qualche strano lito | ignudo e sconosciuto giacerai, | né chi t'onori avrai né chi ti copra.
Libro VI
[modifica]- O Palinuro, | e qual fu de gli Dei ch'a noi ti tolse, | ed a l'onde ti diede?
- Dunque, Dido infelice, e' fu pur vera | quell'empia che di te novella udii, | che col ferro finisti i giorni tuoi? | Ah, ch'io cagion ne fui!
Libro X
[modifica]- Miserabil fanciullo! e quale aita, | quale il pietoso Enea può farti onore | degno de le tue lodi e del presagio | che n'hai dato di te? L'armi che tanto | ti son piaciute, a te lascio, e 'l tuo corpo | a la cura de' tuoi, se di ciò cura | ha pur l'empio tuo padre [Mezenzio], acciò di tomba | e d'essequie t'onori. E tu, meschino, | poi che dal grand'Enea morte ricevi, | di morir ti consola. [a Lauso morente]
Libro XI
[modifica]- Compagni, il più s'è fatto. A quel che resta | nulla temete. Ecco Mezenzio è morto | per le mie mani, e queste che vedete, | l'opime spoglie e le primizie sono | del superbo tiranno. Ora a le mura | ce n'andrem di Latino. Ognuno a l'armi | s'accinga: ognun s'affidi, e si prometta | guerra e vittoria. In punto vi mettete, | ché quando dagli augurii ne s'accenne | di muover campo, e che mestier ne sia | d'inalberar l'insegne, indugio alcuno | non c'impedisca, o 'l dubbio o la paura | non ci ritardi. In questo mezzo a' morti | diam sepoltura, e quel che lor dovuto | è sol dopo la morte, eterno onore. | Itene adunque, e quell'anime chiare | che n'han col proprio sangue e con la vita | questa patria acquistata e questo impero, | d'ultimi doni ornate.
- Noi quinci ad altre lagrime chiamati | dal medesimo fato, altre battaglie | imprenderemo. E tu, magno Pallante, | vattene in pace, e con eterna gloria | godi eterno riposo.[13] [al cadavere di Pallante]
Citazioni su Enea
[modifica]- Virgilio, colui che i cattedratici chiamano il cigno di Mantova, sicuramente perché non è là che è nato, gli appariva come uno dei più insopportabili scocciatori che l'antichità abbia mai prodotto, oltre che uno dei più terribili pedanti. I suoi pastori tutti lindi e agghindati, che si inondano a turno di versi sentenziosi e freddi, il suo Orfeo che egli paragona a un usignolo in lacrime, il suo Aristeo che piagnucola a proposito di api, il suo Enea, personaggio indeciso e incostante che si muove come un'ombra cinese, con gesti legnosi, dietro il trasparente e mal oliato poema, lo esasperavano. (Joris-Karl Huysmans)
- Rimase in chiaro Enea, tale ancor egli | di chiarezza e d'aspetto e di statura, | che come un Dio mostrossi: e ben a Dea | era figliuol, che di bellezza è madre. | Ei degli occhi spirava e de le chiome | quei chiari, lieti e giovenili onori | ch'ella stessa di lui madre gl'infuse. (libro I)
- Ch'a dirti 'l vero, | Anna mia, da che morte e l'empio frate | mi privâr di Sichèo, sol questi ha mosso | i miei sensi e 'l mio core, e solo in lui | conosco i segni de l'antica fiamma.[14] (Didone: libro IV)
- Enea, stirpe divina, | che Troia da' nemici ne riporti | e la ravvivi e la conservi eterna; | o da me, da' Laurenti e da' Latini | già tanto tempo a tanta speme atteso, | questa è la casa tua, questo è secura- | mente, non t'arrestare, il fatal seggio | che t'è promesso. Le minacce e 'l grido | non temer de la guerra. Ogn'odio, ogn'ira | cessa già de' celesti. (Tiberino: libro VIII)
- Enea tosto che 'l vede | ratto incontro gli muove. Ed egli immoto | di coraggio e di corpo ad aspettarlo | sta qual pilastro in sé fondato e saldo.[15] (libro X)
- E, quanto a' doni, andate, | riportateli vosco, e 'l magno Enea | ne presentate. E solo a me credete | del valor suo, che fui con esso a fronte | con l'armi in mano; e so di scudo e d'asta | qual mi rese buon conto, e quanto vaglia. (Latino: libro XI)
- Enea sol con Ettorre | fu la cagion che tanto s'indugiasse | la ruina di Troia, e che diece anni | durammo a conquistarla. Ambedue questi | eran di cor, di forze e d'arme uguali, | ma ben fu di pietate Enea maggiore. (Latino: libro XI)
- Enea, de la romana stirpe autore, | con l'armi sue celesti e con lo scudo | che dianzi da le stelle era venuto, | uscío da l'altro canto, e seco a pari | Ascanio, il figlio suo, de la gran Roma | la seconda speranza.[16] (libro XII)
Note
[modifica]- ↑ Cfr. Forsan et haec olim meminisse iuvabit su Wikipedia.
- ↑ Cfr. Infandum, regina, iubes renovare dolorem su Wikipedia.
- ↑ Cfr. Magna pars su Wikipedia.
- ↑ Cfr. Animus meminisse horret su Wikipedia.
- ↑ Cfr. Instar montis equum su Wikipedia.
- ↑ Cfr. Ab uno disces omnis su Wikipedia.
- ↑ Cfr. Horresco referens su Wikipedia.
- ↑ Cfr. Quantum mutatus ab illo! su Wikipedia.
- ↑ Cfr. Iam proximus ardet Ucalegon su Wikipedia.
- ↑ Cfr. Una salus victis, nullam sperare salutem su Wikipedia.
- ↑ Cfr. Et campos ubi Troia fuit su Wikipedia.
- ↑ Cfr. Quid non mortalia pectora coges, auri sacra fames su Wikipedia.
- ↑ Cfr. Aeternum vale su Wikipedia.
- ↑ Cfr. Agnosco veteris vestigia flammae su Wikipedia.
- ↑ Cfr. Mole sua stat su Wikipedia.
- ↑ Cfr. Magnae spes altera Romae su Wikipedia.