François Mauriac

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François Mauriac, 1952
Medaglia del Premio Nobel
Medaglia del Premio Nobel
Per la letteratura (1952)

François Charles Mauriac (1885 – 1970), scrittore francese.

Citazioni di François Mauriac[modifica]

  • A chi di noi l'albergo d'Emmaus non è familiare? Chi non ha camminato su quella strada, una sera che tutto pareva perduto? Il Cristo era morto in noi. Ce l'avevano preso: il mondo, i filosofi e gli scienziati, nostra passione. Non esisteva più nessun Gesù per noi sulla terra. Noi seguivamo una strada, e qualcuno ci veniva a lato. Eravamo soli e non soli. Era la sera. Ecco una porta aperta, l'oscurità d'una sala ove la fiamma del caminetto non rischiara che il suolo e fa tremolare delle ombre. O pane spezzato! O porzione del pane consumata malgrado tanta miseria! «Rimani con noi, poiché il giorno declina...». Il giorno declina, la vita finisce. L'infanzia sembra più lontana che il principio del mondo; e della giovinezza perduta non sentiamo più altro che l'ultimo mormorìo degli alberi morti del parco irriconoscibile.
    Quando furono presso il villaggio ov'erano indirizzati, egli fece vista di voler andare più lontano. Ma essi gli fecero forza dicendo: «Rimani con noi, perché si fa tardi e il giorno declina». Egli entrò nel villaggio per rimaner con loro. Ed essendosi messo a tavola con loro, prese il pane, e dopo aver reso grazie, lo ruppe e lo distribuì loro. Allora i loro occhi si aprirono e lo riconobbero [...].[1]
  • Amo talmente tanto la Germania che sono felice di vederne due.[2][3]
J'aime tellement l'Allemagne que je suis heureux qu'il y en ait deux.[4]
  • Che Dio preferisca gli imbecilli, è una voce che gli imbecilli fanno circolare da diciannove secoli.[5][6]
  • "Dimmi quello che leggi e ti dirò chi sei" è vero; ma ti conoscerei meglio se mi dicessi quello che rileggi.[7]
  • L'amore coniugale, che persiste attraverso mille vicissitudini, mi sembra il più bello dei miracoli, benché sia anche il più comune.[8][9]
  • L'artista è bugiardo, ma l'arte è verità![5][6]
  • La morte d'un essere decaduto non distrugge il germe della decadenza. E i figli della sua carne sono pure i figli della sua cupidigia destinati a trasmettere l'orrenda fiaccola a ciò che da loro uscirà.[10]
  • Morte, l'unica delle mie avventure che non commenterò...[11][6]
  • Non si devono accettar cortesie, quando poi non si è in grado di ricambiarle.[12]
  • Ogni dramma inventato riflette un dramma che non s'inventa.[8][13]
  • Se esistesse, al mondo, una creatura colla quale potessi confidarmi, sarei capace di spiegarle chiaramente che cosa c'è stato fra quel giovane e me, nell'albergo dov'ero questa mattina e dove ieri, a quest'ora ci parlavamo vicinissimi, in giardino senza vederci?[14]
  • Tra tutti gli uomini il romanziere è quello che assomiglia di più a Dio: è la scimmia di Dio.[15][6]
  • Unire l'estrema audacia all'estremo pudore è una questione di stile.
Unir l'extrême audace à l'extrême pudeur, c'est une question de style.[15]

Giovedì Santo[modifica]

  • Anche noi, nel Giovedì Santo, abbiamo ancora in bocca il gusto del Pane, che non è più pane, e nemmeno abbiamo finito d'adorare presente nel nostro corpo l'inimmaginabile umiltà del Figlio di Dio che dobbiamo alzarci in fretta per seguirlo all'orto dell'agonia.
    Vorremmo soffermarci, ritrovare contro la spalla il posto dove la fronte di Giovanni si è posata a rivivere in ispirito il minuto della storia del mondo, nel quale un boccone fu spezzato tra un grande silenzio e poche parole bastarono a sigillare l'alleanza nuova del Creatore con la sua natura [...].
    Tutto il Giovedì Santo, tutta questa lunga giornata di primavera non basterebbe ad esaurire una meditazione ardente di gioia. Ma la Mensa è finita e bisogna entrare nelle tenebre del Giardino; impossibile sostare ancora un solo minuto. (pp. 15-18[17])
  • La sera del Giovedì Santo l'apostolo prediletto aveva posato il capo sul petto di Cristo; dopo il Giovedì Santo è il Cristo che riposa nel petto dei suoi amici e non una volta sola, ma ogni mattina, se il loro cuore è puro. (pp. 25-30[18])
  • La grazia del Giovedì Santo si trasmetterà sino alla fine dei secoli, sino all'ultimo prete che dirà l'ultima messa nel mondo semidistrutto. Il Giovedì Santo ha creato questo tipo di uomini e ha impresso loro un marchio e un contrassegno speciali. (pp. 55-58[19])

Lo Scimmiottino[modifica]

  • Due volte, nel '17, e nel '18 dopo l'armistizio, si era cercato di mettere Guillaume in collegio: dapprima a Sarlat, presso i gesuiti, poi in un piccolo seminario dei Bassi Pirenei. Era stato respinto alla fine d'un solo trimestre: il piccolo scimmiotto sporcava le lenzuola; quella gente non era attrezzata, soprattutto a quel tempo, ad accogliere ragazzi arretrati o malaticci. (I)
  • … lo chiamavano Guillou dopo la guerra, dal momento che aveva la sfortuna di portare lo stesso nome del Kaiser. (I)
  • «... Se, come non dubito punto e come mi auguro, il maestro di scuola vi oppone un nuovo rifiuto...»
    «Ebbene, non ci sarà che lasciar crescere Guillaume come un contadinotto. È una vergogna vedere tanti figli di famiglia beneficiare d'una istruzione della quale sono indegni, mentre i figli del popolo...» (I)
  • Benché il ragazzo non avesse girato mai la testa, forse aveva avvertito la presenza del padre. Galéas ne fu tutt'a un tratto persuaso. "Non ignora che gli sono dietro, non cerca né di nascondersi a me né di confondere le sue tracce. È una guida che mi conduce là dove si augura che io vada con lui..." Galéas non guarda in faccia la via d'uscita verso la quale si affrettano i due ultimi Cernès. Il fremito degli olmi annunzia che la riva è vicina. Non è più il re degli olmi che conduce il figlio per un'ultima cavalcata, ma il ragazzo stesso, che trascina suo padre spodestato e insultato verso l'acqua addormentata della chiusa dove l'estate i ragazzi si bagnano nudi. Eccoli vicini a raggiungere gli umidi margini del reame dove la madre, la sposa, non potrà più tormentarli. Saranno liberati dalla Gorgona – riposeranno. (IV)

Teresa Desqueyroux[modifica]

Incipit[modifica]

Teresa, molti diranno che tu non esisti. Ma io so che tu esisti, io che, da anni, ti spio e spesso ti fermo mentre passi, e ti tolgo la maschera.
Adolescente, ricordo d'aver veduto, in una sala soffocante di Corte d'Assise, preda di avvocati meno feroci delle signore impennacchiate, il tuo piccolo volto pallido e senza labbra.
Poi, in un salotto campagnolo, tu mi apparisti coi lineamenti di una giovane donna dallo sguardo fisso, irritata dalle premure di vecchie parenti, di un marito sempliciotto: «Ma che ha, dunque?» essi dicevano. «Eppure l'accontentiamo in tutto!»
Da allora, quante volte ho ammirato, sulla sua fronte vasta e bella, la tua mano un po' grande! Quante volte ti ho veduto, fra le sbarre vive di una famiglia, girare in tondo a passi di lupa: e col tuo occhio cattivo e triste mi scrutavi.
Molti stupiranno come io abbia potuto immaginare una creatura ancor più odiosa di tutti gli altri miei eroi. Saprò mai, io, parlare degli esseri grondanti di virtù, e che recano il cuore in mano? I "cuori in mano" non hanno storia: ma io conosco quella dei cuori nascosti, e strettamente avvinti a un corpo di fango.
Avrei voluto che il dolore, Teresa, ti consegnasse a Dio; ed ho a lungo desiderato che tu fossi degna del nome di Santa Locusta. Ma allora, molti che pur credono alla caduta e al riscatto delle anime tormentate, avrebbero gridato al sacrilegio.
Sul marciapiede dove t'abbandono, ho almeno la speranza che tu non sia sola
.
I
L'Avvocato aperse una porta. Teresa Desqueyroux in quel corridoio sperduto del Tribunale sentì sul proprio volto la nebbia e l'aspirò profondamente. Temeva d'essere aspettata, esitava ad uscire. Un uomo, col bavero rialzato, si staccò da un platano: ella riconobbe suo padre.

[François Mauriac, Teresa Desqueyroux (Thérèse Desqueyroux), traduzione di Enrico Piceni, da I due romanzi di Teresa Desqueyroux, I Libri del Pavone, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1958]

Citazioni[modifica]

  • [...] il pensiero è ribelle: impossibile impedirgli di correr dove vuole [...]. (1958, p. 52)
  • La paura è il principio della saggezza. (1958, p. 69)
  • Come sei buffo, Bernard, con la tua paura della morte! Non hai mai, come me, il sentimento profondo della tua inutilità? No? Non pensi che la vita di gente come noi assomigli già terribilmente alla morte? (2009, p. 62)
  • Non ci vuole poi molto ad essere brillanti: basta dire sempre il contrario di ciò che è ragionevole. (2009, p. 62)
  • Che cosa può temere? Quella notte passerà, come tutte le notti; domani il sole si alzerà: è sicura di uscirne, qualsiasi cosa accada. E niente di peggio può accadere di quest'indifferenza, di questo distacco totale che la separa dal mondo e persino da se stessa. Sì, la morte in vita: Thérèse assapora la morte quanto può assaporarla un essere vivente. (2009, p. 91)
  • Come spiegarle? Non capirebbe che io sono colma di me stessa, che mi occupo interamente. Anne aspetta solo di avere dei figli per annullarsi in loro, come ha fatto sua madre, come fanno tutte le donne della famiglia. Io, invece, bisogna sempre che mi ritrovi; tento in ogni modo di raggiungere me stessa... [...] È bello questo dono di sé fatto alla specie; sento la bellezza di questo cancellarsi, di questo annullarsi... Ma io, ma io... (2009, p. 102)

Incipit di alcune opere[modifica]

Destini[modifica]

«Il vento è fresco. È senza soprabito, Bob? Vado a cercarle il mio.»[20]

Gli angeli neri[modifica]

Prologo
Io so, signor abate, io so di farle orrore. Noi non abbiamo scambiato mai una sola parola, eppure lei mi conosce – o meglio, – crede di conoscermi, perché è stato il direttore spirituale di mia cugina, Matilde Desbats... Oh, non immagini che io ne soffra!... Se esiste al mondo un uomo col quale vorrei confidarmi, quest'uomo è lei. Ricordo il suo sguardo, quando la incontrai nel vestibolo di Liogeats, in occasione della mia ultima venuta in paese... Lei ha gli occhi di un fanciullo, (quanti anni ha? ventisei?) di un fanciullo purissimo, ma che, per una conoscenza venutagli da Dio, sappia sino a qual punto di bassezza l'uomo possa precipitare... Mi comprenda: non è in virtù dell'abito che porta e di ciò che esso significa che io desidero giustificarmi dinanzi a lei. Come sacerdote, lei non mi interessa. Ma ho la certezza che lei solo possa comprendermi. Lei è un fanciullo, dicevo, un fanciullino addirittura, ma un fanciullino che sa. Ed io sento che ciò che v'ha in lei di lontano e di immune ha già subito una minaccia.

Groviglio di vipere[modifica]

Ti meraviglierai di trovare questa lettera nel mio forziere, sopra un pacchetto di titoli. Sarebbe stato meglio affidarla al notaio perché te la consegnasse dopo la mia morte, oppure metterla nel cassetto del mio scrittoio: il primo che i miei figli forzeranno quando ancora il gelo della morte non mi avrà irrigidito. Ma in cuor mio ho rifatto per lunghi anni questa lettera, e l'ho immaginata sempre, durante le mie insonnie, spiccare sul fondo della cassaforte appositamente vuotata, la quale non avrebbe contenuto altro che questa vendetta preparata per quasi mezzo secolo. Rassicurati; tu d'altronde sei già rassicurata: «i titoli ci sono». Mi sembra udire questo grido, dal vestibolo, al tuo ritorno dalla Banca. Sì, tu griderai ai figli attraverso il velo di lutto: «i titoli ci sono».

Il bacio al lebbroso[modifica]

Giovanni Peluèr, steso sul letto, aprì gli occhi. Attorno alla casa le cicale stridevano. Come un metallo liquido la luce colava attraverso le persiane. Giovanni Peluèr si alzò con la bocca amara. Era così piccolo che la bassa specchiera a muro rifletté la sua povera faccia, le guance infossate, un naso lungo, aguzzo, rosso e come logoro, simile ai bastoncini di zucchero d'orzo che i ragazzi assottigliano col loro paziente succhiare. L'attaccatura dei corti capelli scendeva ad angolo acuto sulla fronte già rugosa; una smorfia gli scoprì le gengive e i denti cariati. Benché non si fosse mai odiato tanto, si rivolse delle pietose parole: «Esci, va' a passeggio, povero Giovanni Peluèr!» e con le mani si carezzava la guancia mal rasata.

La farisea[modifica]

«Ragazzo, vieni qui!»
Mi rivoltai credendo che egli si rivolgesse a uno dei miei compagni. Ma no, il vecchio zuavo pontificio chiamava, sorridendo, proprio me. La cicatrice del suo labbro superiore rendeva orribile quel sorriso.
Il colonnello, conte di Mirbel, compariva una volta alla settimana nel cortile degli allievi del corso medio. Il suo pupillo Gianni di Mirbel, quasi sempre sotto punizione, si staccava allora dal muro.
Assistevamo da lungi alla sua comparsa davanti al terribile zio. Il signor Rausch, nostro insegnante, testimone d'accusa, rispondeva ossequioso all'interrogatorio del colonnello, un vecchio alto e robusto che portava in testa un "cronstadt" e la cui giacca abbottonata fino al collo conservava un'aria militaresca. Teneva sempre sotto l'ascella un bastoncino che forse era un nervo di bue.
Quando la cattiva condotta di Gianni aveva oltrepassati i limiti, il nostro compagno attraversava la corte fiancheggiato dal signor Rausch e dal tutore. Il terzetto scompariva su per le scale dell'ala sinistra, che conducevano ai dormitori. I nostri giochi s'interrompevano, fino a quando si levava un lungo lamento di cane battuto (o forse era un gioco della nostra fantasia...) Il signor Rausch ricompariva subito dopo con il colonnello la cui cicatrice era diventata quasi bianca nel volto congestionato.
I suoi occhi azzurri erano leggermente iniettati di sangue. Il signor Rausch camminava con la faccia rivolta verso di lui, attento, con un riso servile.

La fine della notte[modifica]

«Esci questa sera, Anna?»
Teresa alzò il capo e guardò la sua domestica. L'abito tailleur che le aveva regalato era troppo stretto per quel giovane corpo fiorente. Anna stava in piedi davanti alla sua padrona
«Non senti come piove, cara? Perché esci?»
Avrebbe voluto trattenerla, ascoltare il rumore noto dei piatti rimossi e quell'incomprensibile canzone di cui l'alsaziana ripeteva senza fine il ritornello. Le altre sere, sino alle dieci Teresa riceveva un senso di sicurezza dal rumore che un essere vivente, anche solo, fa quando è giovine.

Teresa dal medico[modifica]

«No, no signorina, le ripeto che il dottore non lavora, questa sera. Può andarsene.»
Non appena il dottor Eliseo Schwartz ebbe sorpreso, al di là del tramezzo, queste parole di Caterina, aprì la porta dello studio e, senza guardare la moglie, si rivolse alla segretaria: «Qui, lei deve ricever ordini soltanto da me.»
Caterina Schwartz sostenne lo sguardo insolente della signorina Parpin, sorrise, prese un libro e s'avvicinò alla porta-finestra. Le imposte erano state chiuse; l'acqua scrosciava su quella terrazza al sesto piano; il lampadario acceso nello studio del dottore ne illuminava il pavimento lucido di pioggia.

Vita di Gesù[modifica]

Sotto il Regno di Tiberio Cesare, il legnaiuolo Jeushu, figlio di Giuseppe e di Maria, abitava quella borgata, Nazaret, della quale non è menzione in alcuna storia e che le Scritture non nominano: alcune case scavate nel macigno d'una collina, di fronte alla pianura d'Esdrelon. E l'una d'esse celò quel fanciullo, quell'adolescente, quell'uomo, tra l'operaio e la Vergine. Là egli visse trent'anni – non già in un silenzio di adorazione e d'amore: dimorava nel bel mezzo d'una tribù, fra litigi, le gelosie, i piccoli drammi d'una numerosa parentel, dei Galilei devoti, nemici dei Romani e d'Erode; e che, nell'attesa del trionfo di Israel, salivano per le feste a Gerusalemme.

Citazioni su François Mauriac[modifica]

  • Certo, non c'è niente di più sincero di queste pagine.[21] Ma è appunto ciò a renderle spaventose: che tali tormenti, lotte, conflitti gratuiti, chimerici, possano diventare, per un credente, un'angoscia reale: che, con l'accento della verità, compianga noi di non conoscerla più, quell'angoscia, di esserle sfuggiti, di vivere felici!... (André Gide)

Note[modifica]

  1. Da Vita di Gesù, Mondadori, Milano, 1950, p. 156; citato in Gianfranco Ravasi, La Settimana Santa. Piccolo breviario di letteratura liturgica, introduzione e scelta dei testi a cura di Marco Ballarini, (supplemento n.1 a Famiglia cristiana), Periodici San Paolo, Milano, 2005, pp. 150-151.
  2. (EN) Citato in Stefano Folli, The Incarnation of Politics Is Gone, ilSole24ore.com, 7 maggio 2013.
  3. La frase è stata poi ripresa da Giulio Andreotti, che dopo la caduta del muro di Berlino disse: «Amo talmente tanto la Germania che ne preferivo due.»
  4. (FR) Citato in Allemagne, histoire d’une ambition, Le Monde diplomatique.
  5. a b Da Bloc-Notes.
  6. a b c d Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  7. Da Mémoires intérieurs.
  8. a b Dal Diario.
  9. Citato in Aa. Vv., Dammi mille baci, e ancora cento. Le più belle citazioni sull'amore, a cura delle Redazioni Garzanti, Garzanti, 2013.
  10. Da Vita di Gesù, p. 79.
  11. Da Journal, II.
  12. Da La fine della notte, p. 138.
  13. a b Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  14. Da Teresa all'albergo.
  15. a b Da Le roman.
  16. Da Dio e Mammona.
  17. Ravasi 2005, pp. 70-71.
  18. Ravasi 2005, p. 74.
  19. Ravasi 2005, p. 81.
  20. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
  21. Riferito a un foglio di diario di Mauriac apparso nella N.R.F., numero del giugno 1931.

Bibliografia[modifica]

  • François Mauriac, Gli angeli neri (Les anges noirs), traduzione autorizzata dal francese di Enrico Piceni, I Libri del Pavone, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1956.
  • François Mauriac, Giovedì Santo, Morcelliana, Brescia, 1932, citato in Gianfranco Ravasi, La Settimana Santa. Piccolo breviario di letteratura liturgica, introduzione e scelta dei testi a cura di Marco Ballarini, (supplemento n.1 a Famiglia cristiana), Periodici San Paolo, Milano, 2005.
  • François Mauriac, Groviglio di vipere (Le nœud de vipères), traduzione di Mara Dussia, Gli Oscar, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1966.
  • François Mauriac, Il bacio al lebbroso (Le baiser au lépreux), traduzione di Giuseppe Prezzolini, Garzanti, Milano, 1965.
  • François Mauriac, La farisea (La pharisienne), traduzione di Enrico Piceni, Medusa, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1958.
  • François Mauriac, La fine della notte (La fin de la nuit), traduzione di Enrico Piceni, da I due romanzi di Teresa Desqueyroux, I Libri del Pavone, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1958.
  • François Mauriac, Lo scimmiottino, (Le Sagouin), traduzione di Michele Prisco, Arnoldo Mondadori editore, 1959.
  • François Mauriac, Teresa all'albergo (Thérèse À l'hôtel), traduzione di Enrico Piceni, da I due romanzi di Teresa Desqueyroux, I Libri del Pavone, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1958.
  • François Mauriac, Teresa dal medico (Thérèse chez le docteur), traduzione di Enrico Piceni, da I due romanzi di Teresa Desqueyroux, I Libri del Pavone, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1958.
  • François Mauriac, Teresa Desqueyroux (Thérèse Desqueyroux), traduzione di Enrico Piceni, da I due romanzi di Teresa Desqueyroux, I Libri del Pavone, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1958.
  • François Mauriac, Thérèse Desqueyroux, traduzione di L. Frausin Guarino, Adelphi, Milano, 2009.
  • François Mauriac, Vita di Gesù (Vie de Jésus), traduzione di Angiolo Silvio Novaro, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1966.

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