Giulio Piccini

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Giulio Piccini (Jarro) nel 1906

Giulio Piccini, in arte Jarro (1849 – 1915), scrittore italiano.

Citazioni di Giulio Piccini[modifica]

  • Lina Cavalieri è nota, ne' due emisferi, per la sua grazia, la sua bellezza, veramente trionfale: tutti conoscono la leggenda, o meglio le leggende, che la circondano: giudicando e parlando di lei, non si può separar la donna dalla artista: il suo fascino dalla sua intelligenza.
    Essa è, come dice lo Shakespeare della sua Desdemona, «esemplare perfetto della naturale venustà»: ricorda per la regolarità armoniosa delle sue forme quel Doriforo in cui Policleto riassumeva il greco ideale della Bellezza. (da Viaggio umoristico nei teatri, R. Bemporad & Figlio editori, Firenze, 19083, p. 2)
  • [Carolina Otero, detta la Bella Otero] [...] rivolgendosi indignata a uno dei suoi fischiatori, e dicendogli: «cannibale» – costui rispondeva: «state tranquilla, non mangio che carne fresca». (da Viaggio umoristico nei teatri, R. Bemporad & Figlio editori, Firenze, 19083 p. 36)

Attori, cantanti, concertisti, acrobati[modifica]

  • Sarah Bernhardt è stata accusata (veramente la parola è poco propria; o almeno l'accusa è piena di circostanze attenuanti) di aver avuto troppi amori!... Dicono che ha il cuore facile. E non è vero. Come tutte le donne intelligenti, essa è appassionata, ha una profonda sensibilità. Ma come in tutte le donne, che non sono volgari, e che anzi hanno alte qualità, l'amore le ha procurato i più serii turbamenti. E stata indifferente, e questo è naturale, agli omaggi clamorosi, alle persecuzioni idiote e fanatiche, allo sciame di pusilli, che ogni donna leggiadra vede svolazzare ubriachi intorno al fiore della sua bellezza, ma immaginatevi la passione seria, sincera in un cuore come quello!... (p. 46)
  • Sarah Bernhardt, l'ho detto, è scultrice, pittrice, intrepida schermitrice, ha scritto ne' giornali riviste di belle arti, ha dettato un libro su una sua ascensione aereostatica. Per mesi interi recita ogni sera, ora in uno, ora in un altro paese d'Europa, o d'America. E di continuo in viaggio da un emisfero all'altro.
    Essa appartiene al sesso debole: ma è di una debolezza erculea... (p. 50)
  • [Sarah Bernhardt] È riuscita a tutto: anche a ciò che pareva inverosimile – ad ingrassare.
    La sua magrezza era leggendaria, leggendaria la linea serpentina della sua persona flessuosa...
    Si diceva che una volta era entrata nella fodera di un ombrello e si era messa ferma in un cantuccio, mentre un importuno, ch'essa non volea vedere, la cercava per casa. Un'altra volta allo stesso scopo si trasformava in cordone di campanello!
    Quando era presente, bisognava andar cauti nel soffiar su una candela per timore ch'ella cadesse... (p. 50)
  • [Enrico Tamberlik][1] L'artista incomparabile, che fu soprannominato il Re de Tenori, allorquando l'Italia era madre feconda di sommi artisti, e non di saltimbanchi più meno ingegnosi, ha compito una sì lunga carriera, è stato l'eroe di tante avventure, ha goduto di tanta gloria, il suo nome è stato tanto ripetuto da tutti gli echi del mondo, che non pochi ne parlano come d'un personaggio già entrato nel dominio della storia, non come d'un uomo tuttor vegeto, gaio, parlatore attraentissimo, affascinatore per la sua modestia e la sua grazia. (p. 94)
  • [Enrico Tamberlik][1] L'uomo, nella cui gola d'oro vibrarono tante elette e delicate melodie, ebbe un animo d'indomita fierezza.
    Rese, in tempi burrascosi, servigli segnalati alla causa liberale in Europa; fu in stretta amicizia con Giuseppe Mazzini, che affidò alla sua prudenza incarichi de' più confidenziali, con Ledru-Rollin, con Martin Bernard, Lamartine, Louis Blanc, Victor Hugo, Castelar, Pyat. (pp. 96-97)
  • Anna Judic è la commedia, che ha preso carne (e molto bene); essa parla, sorride, si muove, gestisce sulla scena come la Musa della Commedia gaia, allegra, leggiera, spensierata, e burlesca.
    Che cammino ha percorso la vezzosa artista in sì breve spazio di anni; e come essa ha meritato l'inno di gloria, che ora accompagna in Europa ogni suo passo!... (pp. 117-118)
  • Il genere di Judic può esser definito: «la foglia di vigna applicata a ciò che non é bene di far capire e far vedere... il sottinteso malizioso inalzato a importanza di arte...» È vero che qualche volta la foglia si muove... ma lo spettatore è cosi contento, e non punto offeso, per quello che intende e che vede... (p. 121)
  • Anna Judic ha una particolarità assai curiosa... Crede che i gobbi portino fortuna... Una sera, recitando a Bruxelles, vede un gobbo tra le quinte. Sospende la recita e corre a toccare la schiena di quel mortale, che aveva, per lei, un'inclinazione sì favorevole all'arte drammatica!... (p. 121)

Firenze sotterranea[modifica]

Incipit[modifica]

La questione che io tratto è questione di alta morale, di giustizia, di umanità. Non dispero d’essere ascoltato! Quattro o cinque anni or sono, commosso dalle torture, dagli strazi, cui vedevo sottoposti i bambini nelle pubbliche vie, dalle industrie corruttrici, infamanti, a cui si volevano sobbarcati, scrissi, riscrissi, sul penoso argomento... Proponevo, quattr’anni or sono, che si formasse una Società protettrice dei fanciulli, come già avevamo una Società che protegge gli animali! Oggi, e non voglio attribuirne alcun merito alle mie parole, sorgerà, a quanto si dice, una tal Società; istituzione pietosa, che tutti augurano veder fiorentissima.

Citazioni[modifica]

  • Firenze suol esser chiamata bella, gentile, città dei sorrisi e de' fiori; ma nessuno penserebbe che qui sono così putride cloache nelle quali si ammassano esseri umani; fiori che spuntano soltanto da immondezzai, e che avvelenano. Abbiamo luoghi remoti, sordidi, scuri, dove la pianta uomo nasce, sviluppa, vigoreggia attossicata, senza sole, e in aria infetta... abbiamo quasi una piccola città entro la grande città ove le anime si perdono, spente della luce morale; luce di fede, di rettitudine, d'amore. (p. 20)
  • Nel Ghetto di Firenze avete comportato si raccogliessero a poco a poco tre o quattrocento furfanti. Molti hanno tocco la galera, quasi tutti la prigione. Si sono veduti uomini e donne uscir dagli ergastoli, rintanarsi là, far proseliti, metter su scuole di borsaiuoli: si sono vedute famiglie buone, incontaminate, cedere al contagio e piangere al primo figliuolo sviato, poi a poco a poco abbandonarsi al delitto. E chi è andato in cerca di queste anime che si perdevano? Nessuno. Chi è entrato là de' filantropi, che acciuffano croci, e propine, a emendare, correggere, confortare gli sciagurati?
    Nessuno. Si è mai udita alzarsi una voce, che energicamente disvelasse una sì grave iattura, rispetto all'igiene e alla morale? (pp. 97-98)
  • Il Ghetto fu sempre luogo d'infamia. Infamia per tutti, oltraggio ad ogni idea d'eguaglianza e di giustizia sociale, sin da quando servì come di carcere, ad una razza intelligente, operosa: sin da quando gli uomini, come dimentichi della loro origine, compivano la più scellerata delle soperchierie: quella di segregare quasi dal consorzio umano una gente, che avea la più splendida qualità: era gelosa della sua fede, de' suoi tabernacoli, delle tombe de' suoi cari, delle sue tradizioni, di ricordi gloriosi per cui soffriva. (p. 102)

Memorie d'un impresario fiorentino[modifica]

  • Inutile ch'io dica chi fosse l'Impresario Lanari. Si vuole egli stesso esclamasse un giorno: sono, dopo Dio, il primo Impresario.
    Subito si corresse, preso dalla più legittima ammirazione, o indulgenza verso di sé, soggiungendo : – Posso, anzi, veramente, dirmi il «vero Dio» degl'Impresarii! (p. 5)
  • La «brava Gabussi» di cui parla il Bonola[2] era la moglie del celebre baritono De Bassini e, al Teatro Re di Milano, ebbe trionfi, di cui dura tuttora l'eco, specialmente nella Nina pazza per amore del Coppola[3]. (p. 116)
  • Un altro stupendo personaggio debbo ora mettere in scena – Giuditta Grisi.
    Sorella di Giulia Grisi, essa fu una delle cantanti più prodigiose, fra le molte eccellenti, fiorite in quel periodo, sì splendido per l'Arte. Avea voce estesissima: un organo, che essa piegava a tutto: riusciva a cantar la parte di Romeo nei Capuleti e Montecchi, scritti per lei dal Bellini, e cantava a perfezione la parte di Norma. Vedete che non conosceva difficoltà. (pp. 116-117)
  • [Giuditta Grisi] Se il metodo del suo canto era purissimo, era tutt'altro il suo linguaggio familiare: suppongo prima che diventasse contessa... Noi siamo costretti, in luogo di certe sue frasi, mettere alcuni puntolini: per non offendere la vostra innocenza... e la nostra. (p. 117)
  • Giuditta Grisi, come abbiamo veduto di altre grandi artiste, non soleva paragonarsi, se non alle prime cantanti del suo tempo: alla Malibran, e alla Pasta: poi concludeva, senza che le costasse nulla, ch'essa le superava: e molto. (p. 117)
  • Il Tacchinardi ebbe voce potentissima, e sapea unire le note più acute al falsetto, con singolare artifizio: fu stupendo attore. Il giuoco della fisonomia era in lui sì mirabile che, a Madrid, il pubblico volle, durante l'ultimo atto dell'Otello del Rossini, non rimanesse al buio il palcoscenico, ansioso di scorgere tutte le sublimi espressioni, a cui l'artista atteggiava il volto. Non si tingeva nell'Otello; dicea, ne' suoi studii, aver appurato che Otello non è un moro: che deve esser soltanto abbronzato. Teoria, che non gl'invidieremo! (p. 124)
  • [Nicola Tacchinardi] Egli non avea avuto alcuna coltura, ma di vivo, naturale ingegno, si era innamorato, nell'età matura, dello studio, e vi dava opera con gran passione. Ebbe in amore le arti. Ciò fu causa della sua rovina, poiché profuse negli acquisti di quadri buona parte del suo patrimonio. Comprò la galleria Gerini: comprò quadri buoni e cattivi, poi fu costretto di vender tutto a vil prezzo, incalzato da angustie! (p. 125)
  • [Carlo Cambiaggio] Ebbe stupende doti, come basso comico: cantò con la Malibran, la Ungher, la Boccabadati, con il Donzelli, il David, il Cosselli, con Giorgio Ronconi; avea nel suo repertorio 117 spartiti e si conta che più di trenta fossero stati scritti per lui. (p. 143)
  • È noto che la valentissima Barbieri-Nini, la creatrice della parte di Lady Macbeth nell'opera del Verdi, non era un occhio di sole. La sua bravura di artista, e la sua disavvenenza qual donna, appartengono egualmente alla Storia, che nulla vuol dimenticato di quanto si riferisce a chi ebbe un nome glorioso. (p. 155)

Memorie di una prima attrice (Laura Bon)[modifica]

  • Luigi Bellotti-Bon fu, non è a dirsi soverchio, un animatore, un ravvivatore del Teatro di prosa italiano: vi conferì nuova dignità, incuorò gli autori, migliorò, e molto, le condizioni degli attori, studiò la verità, la perfezione dell'arredo scenico: prodigò l'ingegno straordinario, instancabili cure a beneficio dell'Arte, nutrì, carezzò alti ideali: fu vittima di coloro stessi, in pro' de' quali più s'era adoperato. Su la sua tomba si sarebbe dovuto ritrarre la Ingratitudine umana, avida e obliosa, furente e perversa in atto di scavare, con le sue mani adunche quali artigli, la fossa ove fu precocemente accolto un uomo, un artista di vastissimo animo, di una delicata commovibilità, che lo traeva sin forse ad un orgoglio smodato, di una festevolezza sì geniale e composta nel riprodurre certi personaggi, che può dirsi rimase, nell'arte nostrana, insuperato modello di misura e d'eleganza. (pp. 3-4)
  • [Luigi Bellotti Bon] Questo attore comico, di incomparabili finezze, quest'artista che aveva eccitato, e su le più incantevoli labbra, tanti sorrisi, che aveva incarnato una delle gaiezze, delle forze intellettive più sane del suo tempo, finì la sua vita con una tragedia.
    Il colpo d'arma da fuoco, con cui si uccise, ebbe un'eco funebre ne' cuori di due generazioni, che l'avevano idolatrato, che in lui vedeano l'eccitatore di tanti lieti pensieri, nella sua immagine il ricordo vivente di un'arte, composta di semplicità, di brio, di bontà, che addolciva l'animo umano, lo ritemprava, lo migliorava nel porgergli conforto. Egli che era stato uno de' ravvivatori, uno de' messaggeri di letizia pe' suoi contemporanei, si troncava la vita nello sgomento e nella disperazione.
    Uscì dal palcoscenico per entrare nella tomba: passò rapido, per un impulso della sua mania omicida, dagli splendori, dagli orpelli, dagli sfarzi apparenti del Teatro, alle tenebre, alla gelidità del sepolcro, dalla commedia alla morte. (pp. 4-5)
  • [...] il dramma [II Ricco e il Povero di Émile Souvestre] era cosi popolare, ed accetto, che lo interpetravano a Venezia, nel medesimo tempo, Laura Bon e Adelaide Ristori: l'una al Teatro San Luca, l' altra al Teatro San Benedetto: e i critici, nel tesser raffronti fra le due interpetrazioni, fra la attrice nuova e la attrice già venuta in fama, concedettero alla Bon la palma, nelle pietosissime scene della morte, all' ultimo atto. (p. 26)
  • La prima tragedia, da lei recitata, fu la Parisina del Somma. Lo stesso Somma le aveva insegnato la parte della protagonista. E anche in questo lavoro [Laura Bon] pose tali svisceratezze di sentimento che, finita la prima recita, e tornata fra le quinte, cadeva in terra svenuta. (p. 27)

Sul palcoscenico e in platea[modifica]

  • [Riferendo il giudizio dell'attore Ernesto Rossi] [...] la mia grande e cara amica Giacinta Pezzana par nulla: non seppe mai neppur parlare. Ma, guardate combinazione, tutti sono d'accordo nel riconoscere che Giacinta Pezzana fu, per l'eccellenza e squisitezza della dizione, superiore a tutti gli attori italiani: comparabile solo a Tommaso Salvini. (p. 22)
  • Adelaide Tessero fu l'attrice della passione: – le eroine, che ella incarnava su la scena, non sembravano più finzioni di scrittori: essa dava loro i suoi palpiti, il calore della sua anima, lo splendore della sua forte intelligenza: essa era il personaggio, che avrebbe dovuto parere. (p. 34)
  • Poche attrici, al nostro tempo, in Italia e fuori, hanno recitato con più vivo e profondo sentimento [di Adelaide Tessero]: — poche, al pari di lei, furon consumate dallo stesso ardore della loro ispirazione. (p. 34)
  • Adelaide Tessero e Virginia Marini furono le Muse ispiratrici della nuova arte drammatica in Italia. Gli autori, che dettero al nostro Teatro di prosa il meglio, per lunghi anni, Paolo Ferrari, il Giacometti, Pietro Cessa, il Torelli, il Marenco, ed altri, trovarono in esse le interpetri più volenterose, più accette al pubblico, e più infervorate nel combattere una lotta, ch'è pur memorabile per tanti bei trionfi. (pp. 35-36)
  • [Adelaide Tessero] La sua ultima interpretazione, dinanzi a' pubblici italiani, fu quella della protagonista nella commedia di Giacinto Gallina Esmeralda, ch'é un gioiello: la Tessero, riproducendo quel tipo di madre nobile, nuovissimo, e finissimo, arrivò alla perfezione.
    Poiché questa grande attrice ebbe tutti i doni, in una certa misura: fu comica nel Fuoco al Convento, nel Divorziamo, lavoro in cui riuscì inimitabile, fu ammirabile nella Messalina, nella Cleopatra del Cossa, nell'Odio del Sardou, nel Suicidio del Ferrari, nella Principessa di Bagdad del Dumas. Fu gran signora nel Mr. Alphonse, nella Straniera del Dumas: veramente aristocratica su la scena, di una somma eleganza nelle intonazioni, nel portamento della persona, nella scelta delle vesti: non somigliava a certe attrici, o giovanissime, o sempre giovani, che credono il massimo della eleganza stia nell'avere le vesti più stravaganti, con gli accozzi di colori, e di stoffe più bizzarri, e nel portarle nel modo più stravagante. (pp. 40-41)
  • Erano due allora le attrici, verso cui sospiravano i poeti, i giovani spettatori di vent'anni, che ne facevano il loro sogno e il loro delirio: erano due le attrici, care alle belle donne, le quali vengono al teatro per esser ammirate e per vedere, udir interpetrati con grazia, con eloquenza, con tutti gl'incanti della venustà, e tutte le delicatezze dell'arte, i trepidi sentimenti, che le agitano... Le due attrici, le due vere interpetri del dramma, quelle che sapevano dir bene i versi armoniosi de' giovini poeti, le prose, un po' tormentate, d'alcuni de' nostri migliori autori, e sapevano trar sospiri da' petti più gentili, e strappar lacrime a' più begli occhi, si chiamavano Adelaide Tessero e Virginia Marini. (p. 42)
  • Giacinta Pezzana se n'andava tutta sola, per vie sue proprie: tentava tutte le altezze, non ne raggiungeva veramente alcuna: sublime in certe scene, non mai perfetta in una grande intepetrazione, ebbe il più robusto ingegno, fra tutte le attrici del nostro tempo, dopo Adelaide Ristori: ebbe una voce d'oro, di cui sapea servirsi, quando voleva, con maestria: ma, nell'insieme, non usò, sprecava, sparnazzava tanti e sì rari tesori. (p. 43)
  • [Giacinta Pezzana] Fu più bizzarra che originale; più invidiabile, pei mezzi da lei posseduti che per essi potente: non giovò né all'arte, né a sé; ignorò su la scena una delle doti più precipue, per una donna: la eleganza. (p. 43)
  • Tra le prime-donne, moderne, Clementina Cazzola superò tutte, e di gran lunga, nella espressione delle passioni, nella poesia con cui sapea trasportar su la scena, far vivere l'eroina d'un dramma, d'una tragedia. Oh, non più vedemmo, o meglio non più udimmo... dopo di lei... una Desdemona, che sospirasse più soavemente, i cui singhiozzi più ci straziassero il cuore! (p. 43)
  • [Clementina Cazzola] Immensa era la simpatia, che la donna adorata, da noi veduta ormai nella dolce trasfigurazione delle memorie di giovinezza, destava nelle terribili situazioni della tragedia o del dramma: nella ben temperata commedia goldoniana eri sì ridente, o Clementina, sì gaia... con tanto riserbo e pur tanto abbandono, con tanta misura e pur tanto slancio d'ingegno, sapevi sì bene l'arte di allietare con verecondia, di meravigliare con la tua ispirazione!... (p. 43)
  • Virginia Marini fu più splendida dicitrice, fu più semplice, ebbe una affabilità, una grazia peculiari, e, come donna, apparve su la scena anche più bella della sua rivale [Adelaide Tessero], se non più maestosa. [...] Virginia Marini ebbe una poesia, tutta familiare, che piacque al pubblico: sapea ispirare, co' personaggi da lei raffigurati, una durevole, calda simpatia. E non è piccol trionfo! (pp. 47-48)
  • In que' tre giorni di dimora a Venezia essa [Adelia Arrivabene] avea contratto un amore, che doveva riuscirle fatale: fatale al suo baldo ingegno, alla lieta, prosperosa, rapida sua giovinezza, poiché ella fu come una meteora, abbagliantissima, nell'orizzonte dell'arte drammatica italiana. (pp. 101-102)
  • [Adelia Arrivabene] C'è tuttora chi se la rammenta; dolcissima, piena di prestanza, con una soave maestà di Dea, appariscente nel manto d'oro che i magnifici capelli disciolti le faceano su tutta la persona. (p. 102)
  • Adelia Arrivabene e Fanny Sadowsky!... Quale evocazione di splendide, gentili memorie. I pubblici italiani si appassionarono per queste due donne seducenti di ingegno sì raro. Si arrivò a un punto che la Sadowsky recitava una sera la parte della prima donna nel Fornaretto e, la sera dopo, la stessa parte era sostenuta dalla Arrivabene.
    Gli spettatori impazzivano in quelle gare. Le due artiste serene, orgogliose dei loro trionfi, contente nella loro amicizia, glorificavano l'arte: mostravano a gente, in ciò più avventurata di noi, il connubio ch'è più raro a vedersi, ciò che forma la perfetta armonia: l'unione ben temprata dello studio e dell'ingegno, della gioventù, della bontà e della bellezza. (pp. 102-103)
  • La bellezza di Cleopatra viene sopra tutto dal suo sentimento, dalla sua intelligenza: il modo che ha di provare, di esprimere, di eccitare le sensazioni, di abbellire l'amore, è tutto il suo fascino. (p. 113)

Vita aneddotica di Tommaso Salvini[modifica]

  • Ritroviamo nel marzo 1853 una Donatelli, grassa, interprete della parte di «Violetta» nella Traviata, alla Fenice di Venezia: grossolana e, appunto per la sformata pinguedine, sì disdicevole alla eroina dell'opera, fu una tra le cause che fecero spietatamente fischiare il capolavoro verdiano la prima volta che fu eseguito. (p. 25)
  • Amalia Fumagalli non era bella, come bella non fu Clementina Cazzola, a citare un'altra singolarissima artista, ma tutt'e due avevano la ispirazione, il fuoco sacro, quella potenza dell'anima che si trasfonde in espressione eccitatrice dell'altrui sentimento. (pp. 142-143)
  • Clementina Cazzola non avea la maestà d'aspetto, né la larghezza di gesti, né la voce, né gli atteggiamenti scultorii, né la classica bellezza di Adelaide Ristori: era snella, tutta vibrante, con una fisonomia mutabilissima, ove tutte le passioni aveano una rapida, una profonda espressione; una voce che andava al cuore, e dal cuore muoveva: un segreto, imponderabile, di trasmetter la commozione. (pp. 179-180)
  • [Clementina Cazzola] Nella sua voce era tale accento che, a volte, anche udendola parlare, fuor della scena, alcuni n'erano commossi. Era una attrice, che solo due attrici mi hanno poi ricordato in certe doti: Aimée Desclée[4], sorta appena costei era scomparsa, ed Eleonora Duse. Com'esse, anch'ella non era nata per la grande tragedia classica: ma la tragedia romantica, e la tragedia moderna, il dramma, l'alta commedia aveano in lei una interpetre, tutta vita, eleganza, eloquenza, di una foga, di una verità, che la facevano arbitra, assoluta signora di chi l'ascoltava. Bisognava seguirla: seguirla ov'essa voleva trascinarvi: palpitare, soffrire, piangere, sollevarsi, disperarsi, maledire o gioire con lei. (p. 180)

Incipit di alcune opere[modifica]

Il processo Bartelloni[modifica]

Il 2 decembre 1831, circa le dieci antimeridiane, i sei auditori della Rota Fiorentina, che formavano il Turno Giudicante sugli affari criminali, erano tutti congregati nella stanza in cui solevano tener consiglio.
Arrivati alla spicciolata, si eran messi a discorrer fra loro degli argomenti più estranei allo scopo pel quale si riunivano.
Un auditore raccontava che un suo bambino di tre anni aveva ruzzolato la scala: un secondo si lamentava del mal di capo: un terzo deplorava di non trovar rimedio alle sue insonnie. Non posso dormire, diceva, neppur all'udienza!
Dopo un quarto d'ora giunse il presidente.

L'epistolario d'Arlecchino[modifica]

Non ci sono oggi più maschere ne' Teatri: sono per tutto.
Arlecchino è il personaggio del nostro tempo? Ha addosso tutti i colori, la maschera sul viso. Non potrebbe, per la mutabilità dei suoi colori, esser un capo partito; un uomo di forti convinzioni politiche; magari un giornalista, il giornalista austero che dice aver sempre avuto una «sola» idea? E tutti già credono che esageri!
Il giornalista X oggi prende una maschera, sotto cui nessuno lo riconosce: la Verità.

La principessa[modifica]

Veniamo ai fatti:

I.

Nel pomeriggio del 30 luglio 18.... un uomo correva trafelato verso il parco di Montrone, presso Napoli.
Aveva fiori e nastri rossi al cappello: i panni da festa: la faccia come infuocata.
– Domenico!... Domenico!... – Uomini, donne, ragazzi lo chiamavano, sghignazzando, facendosi beffe di lui, ma egli non si fermava.
– È tardi!... è tardi!... – aveva risposto due o tre volte a' più importuni.
E aveva continuato nella sua corsa.

Citazioni su Giulio Piccini[modifica]

  • Jarro, il famoso giornalista-buongustaio, diceva: «Per mangiare un tacchino bisogna essere in due: io e il tacchino». (Riccardo Morbelli)
  • Mangiava il pasto di un gigante con la minuzia delicata di una vergine. Quando spolpava un ossicino, pareva un orefice che attorcesse una filigrana. (Renato Simoni)
  • Tra i suoi molti libri Jarro, per qualche anno, ha pubblicato una serie di Almanacchi Gastronomici. Questo dolce erudito, questo critico mordace, questo scrittore gaio e versatile, aveva, anche in fatto di cucina, un'autorità, una sapienza, una finezza, ormai giustamente celebrate. (Renato Simoni)

Note[modifica]

  1. a b Nel testo è citato come Enrico Tamberlick.
  2. Giovanni Battista Bonola, agente teatrale.
  3. Pietro Antonio Coppola, compositore italiano.
  4. Aimée-Olympe Desclée (1836 – 18741), attrice francese.

Bibliografia[modifica]

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