Junio Valerio Borghese
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Junio Valerio Borghese (1906 – 1974), militare e politico italiano.
Citazioni di Junio Valerio Borghese
[modifica]- Io, l'8 settembre, al comunicato Badoglio, piansi. Piansi e poi non ho mai più pianto. E adesso, oggi, domani, potranno esserci i comunisti, potranno mandarmi in Siberia, potranno fucilare metà degli italiani, non piangerò più. Perché quello che c'era da soffrire per ciò che l'Italia avrebbe vissuto come suo avvenire, lo soffrii allora. Quel giorno io vidi il dramma che si andava ad aprire per questa disgraziata nazione che non aveva più amici, non aveva più alleati, non aveva più nessuno, non aveva più l'onore, era additata al disprezzo di tutto il mondo per essere incapace di battersi anche nella situazione avversa: non ci si batte solo quando tutto va bene.[1]
- L'esperienza più interessante, infinitamente più interessante e più importante, è stata quella successiva all'8 settembre 1943. Prima era piuttosto semplice, non v'erano problemi, direi, si trattava di compiere il proprio dovere senza scelte personali. L'8 settembre ci ha messi di fronte a dei dilemmi, a degli esami di coscienza, a delle responsabilità da prendersi verso noi stessi e verso le istituzioni alle quali appartenevamo (per me la Marina), verso gli uomini che da noi dipendevano. [...] Non solo non mi sono mai pentito, ma devo dire che un po' segna per me, nella mia vita, il punto culminante, il punto del quale vado più fiero. Nel momento della scelta, ho scelto la partita più difficile, più dura, più ingrata, quella che non mi avrebbe aperto nessuna strada ai valori materiali, terreni. Però essa mi avrebbe dato un carattere di spiritualità e di pulizia morale al quale nessun’altra strada avrebbe potuto portarmi.[1]
Decima Flottiglia Mas
[modifica]2 ottobre 1935. L'Italia si è mossa verso l'Africa Orientale. La Marina è in stato di allarme: da un momento all'altro gli eventi potrebbero precipitare.
Citazioni
[modifica]- Esaminiamo ora il "maiale" da prora a poppa. La testa (lunga m. 1,8) che contiene 300 Kg. di esplosivo, si può staccare dal resto mediante una braga di facile maneggio. Viene poi, nel corpo del siluro, la cassa assetto di prora e sopra, alla stessa altezza, il posto dei primo pilota col parabrezza, cruscotto e strumenti di comando e controllo. Al centro sono le batterie degli accumulatori e il locale motore, sovrastati dalla cassa per la rapida immersione manovrata da una leva e comunicante con l'esterno con un tubo che sfoga l'aria. Il suo esaurimento avviene mediante l'aria ad alta pressione contenuta in bombole disposte a tergo. Ecco ora il posto del secondo uomo che appoggia le spalle ad un cofanetto contenente gli strumenti di lavoro: alza-reti e taglia-reti ad aria compressa, cesoie, i morsetti, detti «sergenti», per la manovra di attacco della carica alla nave nemica, cima abbondante che occorre ugualmente per la manovra e che, avvolta su un'assicella di legno, nel nostro gergo si chiama «ascensore». Nel corpo del siluro viene poi la cassa d'assetto di poppa, il locale dell'albero dell'elica, l'elica circondata da un reticolo di protezione, il timone orizzontale di profondità e quello verticale di direzione, entrambi comandati dalla cloche. (p. 22)
- L'abito di cui sono rivestiti i piloti è uno scafandro di tessuto gommato che li ricopre interamente, escluse la testa e le mani: il vestito Belloni (dal comandante Angelo Belloni, suo inventore), una guaina ermetica in cui si entra da un' apertura centrale dotata di un ingegnoso sistema di chiusura stagna. Per la respirazione subacquea, il pilota indossa un autorespiratore alimenta da bombole di ossigeno puro ad alta pressione che assicurano un'autonomia di circa sei ore. Dal sacco-polmone di gomma dell'autorespiratore un tubo corrugato flessibile porta l'ossigeno (a ridottissima pressione) alla maschera. L'espirazione avviene attraverso lo stesso tubo e sfoga in una capsula di calce sodata che ha la funzione di trattenere e assorbire l'anidride carbonica prodotta dalla respirazione. (p. 23)
- Questa è l'arma impiegata a Gibilterra, Malta e Algeri, e che ha dato all'Italia la grande vittoria di Alessandria. (p. 26)
- Siluro San Bartolomeo 5 5 B. Modello perfezionato del precedente, con caratteristiche marine, di autonomia, velocità, navigabilità ed immersione notevolmente superiori. Costruito nell'officina segreta dei mezzi d'assalto presso la direzione "Armi subacquee" dell'arsenale di La Spezia, sui piani del maggiore Mario Masciulli coadiuvato dal capitano Travaglini, non fu mai impiegato in guerra, essendone stato l'imminente impiego troncato dall'armistizio. (p. 26)
- Motoscafo turismo modificato M T M detto «barchino esplosivo». Motoscafo a fondo piatto, largo m. 1,90, lungo m. 5,20; un motore Alfa Romeo 2500 gli assicura la velocità di 32 mg.; 5 ore di autonomia alla massima velocità. Il complesso elica-timone, costituente un blocco esterno allo scafo come in un fuori-bordo, è rotante; si solleva cioè, con facile manovra, per passare a fior d'acqua sopra le ostruzioni senza intopparvi. Nella parte anteriore del motoscafo ha sede un barilotto contenente 300 Kg. di esplosivo con sistema di scoppio ad urto o a pressione idrostatica. Un uomo solo lo pilota; superate cautamente le eventuali ostruzioni e le reti para siluro, individua il bersaglio; lo punta con la prua del barchino: quando è in punteria, mette a tutta forza, blocca il timone, e subito si lancia in mare. Mentre il pilota, per non trovarsi in acqua al momento dell'esplosione, si issa rapidamente sul salvagente di legno che gli faceva da schienale e che si stacca da bordo un attimo prima del tuffo mediante la manovra di una leva, il barchino continuando la sua corsa investe il bersaglio: la parte poppiera si stacca da quella prodiera (per l'azione di una corona di carichette esplosive disposte tutt'intorno allo scafo che, all'urto, tranciano il barchino in due) e affonda rapidamente, mentre il barilotto con la carica, giunto alla quota prestabilita in base al pescaggio del bersaglio, esplode per pressione idrostatica, aprendogli una vasta falla nell'opera viva. Con questo mezzo d'assalto sono stati compiuti gli attacchi di Suda e di Malta. (p. 27)
- Motoscafo turismo silurante M T S M. È un motoscafo ideato per attacchi a navi, oltre che in porto, anche in mare aperto ed in moto. Misura 7 m. di lunghezza e 2,30 di larghezza. I motori (2500 Alfa Romeo) sono due; uno per lato, e gl'imprimono una velocità di circa 30 mg. Un silurotto di 40 mm. di diametro è collocato in un apposito lancia siluri, al centro dello scafo; viene lanciato cli poppa, sospinto da un espulsore a cannocchiale che funziona ad aria compressa; appena in acqua, il siluro inizia la sua corsa invertendo la direzione del moto e passando sotto allo scafo che lo ha lanciato. (p. 28)
- I nuotatori muniti di «mignatte» o bauletti esplosivi poterono essere avvicinati alloro obiettivo con vari mezzi: alcuni furono lanciati da barchini, da motosiluranti o mas; altri da sommergibili; in qualche caso, dove la situazione geografica lo permetteva, operarono partendo da costa neutrale. (p. 30)
- 10 giugno 1940. L'Italia entra in guerra contro l'Inghilterra e la Francia a fianco della Germania, che ha con la Russia un patto di non aggressione. È logicamente sulla Marina italiana che gravita il peso massiccio della supremazia navale inglese, tanto maggiormente sentito, in quanto, essendo l'unico nostro fronte di guerra quello libico, è compito della Marina assicurare il rifornimento continuo in armi e uomini oltremare. (p. 31)
- Il sommergibile "Iride" era comandato dal tenente di vascello Francesco Brunetti. Comandante superiore in mare: il capitano di fregata Mario Giorgini, succeduto, poco prima dell'inizio delle ostilità, al comandante Aloisi nel comando della "I Flottiglia Mas" e del reparto mezzi speciali. L'Iride giunse regolarmente nel "Golfo di Bomba" il mattino del 21 agosto; poco dopo dava fondo pure la torpediniera "Calipso", comandante tenente di vascello Zambardi, con gli apparecchi e gli operatori. Nella desolata squallida insenatura si trovavano la motonave Monte Gargano, battente l'insegna dell'ammiraglio Bruno Brivonesi, comandante M. M. della Libia; un piccolo piroscafo che sbarcava fusti di benzina e alcuni motovelieri. (p. 36)
- Nel pomeriggio del 21, velivoli inglesi bombardavano l'idroporto di Menelao situato sul Golfo di Bomba; ad essi non sfuggì certo l'inconsueto raggruppamento navale in quelle acque normalmente deserte. Il mattino successivo un ricognitore inglese sorvolava il golfo, fatto segno ad intensa ma vana reazione antiaerea delle unità. Alle 11.30, ultimato il trasbordo degli apparecchi dal Calipso all'Iride, mentre la torpediniera si affiancava al Monte Gargano per rifornirsi e il sommergibile, in affioramento, usciva della rada per fare immersione di prova con i siluri pilotati in coperta, venivano avvistati tre aerei siluranti inglesi a circa 6ooo metri di distanza, quota 60-70 metri. Gli aerei, portatisi di prora al sommergibile, gli accostano .sopra, assumendo rotta di controbordo e formazione a V, con l'apparecchio centrale arretrato rispetto ai laterali. (p. 37)
- In considerazione dello scarso fondale (metri 15) che non consente una rapida immersione, il comandante Brunetti dà i seguenti ordini: «Macchine avanti alla massima forza chiudi le paratie stagne — armi pronte ad aprire il fuoco». E mantiene la prora sull'aereo centrale, sperando così di impedirgli il lancio. Alla distanza di poco più di mille metri fa aprire il fuoco con le mitragliere sugli aerei laterali che si erano intanto abbassati a 10-15 metri. Mentre questi due aerei passano di contro-bordo al sommergibile senza lanciare, ma mitragliando ed uccidendo parte dei serventi del cannone che si trovavano al posto di combattimento, l'aereo centrale lancia dalla distanza di circa 10 metri. Il siluro infila il sommergibile dritto di prora e scoppia all'altezza del quadrato ufficiali. Il battello affonda immediatamente Restano alla superficie del mare 14 uomini: quelli che erano in coperta ed in plancia (fra cui Toschi e Birindelli) meno due, morti per mitragliamento. (p. 37)
- Appena in acqua il comandante Brunetti, benché ferito, coadiuvato da Birindelli, provvede a radunare i superstiti e soccorrere i feriti fra cui l'ufficiale di rotta, sottotenente di vascello Ubaldelli. Gli aerei intanto, continuando la loro ardita giostra, attaccano successivamente il Monte Gargano; per un fortuito caso il siluro lanciato contro la torpediniera Calipso non arriva a segno. Tanto disastro, nel giro di pochi secondi. (p. 37)
- Lo Scirè, con i tre voluminosi cassoni cilindrici in coperta, col colore verdolino su cui spiccava in tinta più scura la sagoma di un peschereccio con la prua rivolta in senso opposto al moto del sommergibile (per confondere l'occhio di un improvviso avvistatore), era davvero un buffo natante; non si poteva immaginare una linea più sgraziata e meno marinaresca. Ad una certa distanza non sembrava un sommergibile, e nemmeno una nave; lo si poteva confondere con una bettolina o uno zatterone. Ma ci si fa presto l'occhio, e in breve diventerà per me il più bel sommergibile della Marina, così come, a turno, lo erano stati i nove sommergibili su cui ero stato precedentemente imbarcato. (p. 53)
- Il tenente di vascello Antonio Ursano, napoletano, è l'ufficiale in seconda, esperto organizzatore della vita di bordo; il sottotenente di vascello Remigio Benini, proveniente dalla Marina mercantile, piccolo, sempre calmo, sempre sereno, ottimo marinaio e navigatore, è l'ufficiale di rotta; il guardiamarina Armando Olcese, ligure, altro richiamato dalla Marina mercantile, ufficiale alle armi, anch'egli valido, coraggioso ed esperto marinaio. Direttore di macchina è il tenente Bonzi che sarà successivamente Sostituito dal capitano del genio navale Antonio Tajer, bel giovane questi, dal viso franco e leale, professionalmente perfetto. Ed ecco i sottufficiali, le colonne di bordo, tutti vecchi lupi di sommergibile su cui hanno fatto anni e anni di imbarco: Ravera, ottimo e fedelissimo contabile meccanico; Rapetti, coltissimo e correttissimo capo elettricista che aveva tutte le qualità per diventare ufficiale; Farina, il capo silurista, modesto ed efficace, e gli altri, i sottocapi e i marinai, tutti bravi, tutti coraggiosi, tutti professionalmente sicuri: un meraviglioso equipaggio, non costituito da uomini d'eccezione scelti ad uno d uno, ma da marinai come tutti gli altri, riuniti sullo Scirè a caso, che dimostrarono con la loro vita di marinai a guerra e poi con la morte di quali eroismi siano capaci gli italiani se ben guidati e compresi nelle loro necessità nelle loro anime. (p. 58)
- Nell'ambito della Decima, si viveva in un ambiente chiuso refrattario alle infiltrazioni esterne di ogni genere. La politica, le illusioni di una guerra breve, le improvvise esaltazioni per un successo e le depressioni per un rovescio, erano elementi che non si affacciavano alla nostra mente e non ci distraevano dal nostro lavoro. Un solo pensiero, un solo assillo, una sola attività: mettere a punto uomini ed armi e aguzzare l'ingegno per trovare il modo di colpire il nemico il più duramente possibile: tutto il resto non ci interessava. (p. 59)
- Dal comandante agli ufficiali, dai sottufficiali ai marinai, questo solo premeva, a questo solo obiettivo era volta la nostra attività: in silenzio, in allegria, in armonia. L'uno all'altro eravamo tutti legati da un vincolo infinitamente più stretto di quello imposto dalla disciplina formale: era la stima che ci univa, la stima nelle reciproche qualità: il marinaio «sentiva» nell'ufficiale un superiore; e gli ufficiali, a loro volta, si comportavano in ogni occasione, e particolarmente di fronte al nemico, in modo da meritarsi tale riconoscimento e da trascinare, con l'esempio più che col comando, i loro marinai in un'esaltante gara di bravura e di abilità; l'attaccamento reciproco che ne derivava era fortissimo e altissimo il rendimento di equipaggi i cui uomini erano penetrati da tali sentimenti. (p. 59)
- Per la tutela del segreto militare, sempre indispensabile e più difficile a mantenersi via via che la Flottiglia allargava la sua attività ed aumentavano i suoi componenti, fu adottato il sistema della compartimentazione cellulare, che diede ottimi risultati. Ogni specialità era divisa dalle altre a paratie stagne; sicché i componenti dei vari gruppi non conoscevano le attività che, nell'ambito della Flottiglia stessa, sotto il comando che tutte le organizzava e coordinava, si andavano svolgendo, all'infuori di quelle a cui essi erano addetti. Succedeva così che due marinai facenti parte della Decima, ma di reparti diversi, incontrandosi, con tutta serietà si ingannavano a vicenda: «Io sono imbarcato sui mas»; «Anch'io», senza tradire neppure tra loro il comune segreto dell'appartenenza ai mezzi speciali. (p. 59)
- Mi accorgo di avere il vestito impermeabile rotto, me lo tolgo con molta fatica, mi dirigo verso la costa sperando di poter raggiungere il punto di approdo. Ad una quindicina di metri da terra vengo avvicinato dal battello di un piroscafo; un ufficiale mi intima di alzare le mani puntandomi una pistola; non obbedisco all'intimazione, anche perché in condizioni fisiche precarie; vengo alzato di peso sul battello, mi reggo a fatica in piedi. Sono portato a terra, in una batteria, dove vengo consegnato a due sentinelle. Qui trovo anche Tedeschi, Beccati e Barberi. Contemporaneamente, sui bersagli assegnati, si erano lanciati anche gli altri: De Vito, contro un piroscafo, Barberi contro una cisterna che, colpita in pieno, affonda; Beccati contro altra grossa cisterna carica, sulle 8 mila tonn. che, squarciata, con enorme falla, si appoggia sul fondo. Per alcuni minuti, la baia rimbomba d'esplosioni di ogni sorta, mentre le numerose batterie aprono un intenso fuoco antiaereo. (p. 103)
- Poi, con l'alba, torna la calma: con ammirato stupore gli inglesi si rendono conto di essere stati raggiunti di sorpresa e colpiti da un'arma nuova, inaspettata e sconosciuta, maneggiata da marinai italiani, mentre i prigionieri hanno la gioia di poter constatare gli effetti della loro azione. Narra Beccati, nella sua relazione: «Dalla batteria, potemmo vedere un incrociatore molto sbandato che dei rimorchiatori tentavano di portare in secco. Osservammo la baia piena di nafta che affiorava nella posizione della cisterna affondata, e lo sbandamento di una seconda petroliera che dava l'impressione che affondasse». Dalla relazione del sottotenente di vascello Angelo Cabrini, redatta al ritorno dalla prigionia. (p. 103)
- La condotta dei piloti è stata perfetta: penetrano in profondità in acque avversarie, valicando tre ordini di ostruzioni; giunti nel riparo del nemico, a poche centinaia di metri dalle navi, si riuniscono a rapporto, esaminano con calma la situazione, passandosi da un'imbarcazione all'altra il binocolo del comandante: in questa situazione, circondati da sentinelle, proiettori, cannoni, aspettano tranquillamente che si faccia più chiaro per poter essere sicuri dei loro bersagli, finché al "via" si lanciano con precisione e decisione sui bersagli designati; con la stessa calma, freddezza e ordine, di una normale esercitazione in acque amiche. Dominio dei propri impulsi che deriva da elevate qualità morali, affinate frequenti e realistici addestramenti durante i quali i venivano sottoposti a difficoltà anche maggiori di quelle che si prevedeva dovessero incontrare nell'azione contro il nemico. I sei valorosi violatori di Suda, a guerra ultimata, al loro ritorno in Patria dalla prigionia, furono decorati di medaglia d'oro al valor militare. (p. 103)
- L'intima, perfetta e fraterna collaborazione fra Aeronautica e Marina, favorita e valorizzata dal "comando unico delle Forze armate dell'Egeo", l'alta efficienza degli scafi genialmente progettati, l'ottima organizzazione e l'intenso addestramento, merito precipuo del comandante Moccagatta, e soprattutto l'alto valore dei nostri, hanno permesso di conseguire la vittoria che iniziava serie dei successi della Decima Flottiglia Mas: l'incrociatore York da 10.000 tonn. e tre navi mercantili al servizio degli inglesi, per 32.000 tonn., affondati o messi fuori servizio per la durata della guerra. (p. 126)
- 30 giugno. Amara, terribile delusione! Alle 5:00 ero in mare con tutta la spedizione; motori ausiliari, velocità miglia 6, solito imbatto da SE. La navigazione pare si svolga bene, ma alle 6 devo far fermare tutti perché un MT a rimorchio di un mas sta facendo acqua e corre pericolo di affondare. Accertatomi della cosa, non voglio perder tempo, piglio a rimorchio del mio mas l'altro MT di quel mas e lo rimando indietro ad Augusta con l'MT che sta affondando. (p. 127)
- Particolare comico: un pilota che si era addormentato nel suo barchino non si è accorto che avevamo invertito la rotta e quando abbiamo fermato, vista la terra vicina, si è preparato all'attacco credendo di essere davanti a Malta. Era il buon Carabelli, aspirante armi navali, ottimo pilota sotto tutti i riguardi. (p. 127)
A questi compiti eravamo intenti quanto la sera dell'8 settembre, trovandomi al comando della Flottiglia a La Spezia, apersi la radio per captare il bollettino di guerra; come un "fulmine a ciel sereno" la notizia dell'avvenuto armistizio piombò sui nostri progetti, sulle nostre attività, sulle nostre speranze.
Citazioni su Junio Valerio Borghese
[modifica]- Il golpe era stato progettato accuratamente sin dal 1969, […]l’anno della strage di piazza Fontana, certamente già pensata per far cadere tutti i sospetti sulla sinistra e preparare psicologicamente l’opinione pubblica a un ritorno all’ordine. Borghese prevedeva l’occupazione del ministero dell’interno, del ministero della difesa, delle sedi RAI, dei mezzi di telecomunicazione (radio e telefoni) e la deportazione degli oppositori presenti nel parlamento. Queste non sono mie fantasie perché dopo è stato trovato un proclama che Borghese avrebbe dovuto leggere alla radio, e che diceva a un dipresso che era finalmente arrivata l’attesa svolta politica, la classe che aveva governato un venticinquennio aveva portato l’Italia sull’orlo dello sfacelo economico e morale, le forze armate e le forze dell’ordine fiancheggiavano la presa di potere dei golpisti. Italiani, avrebbe dovuto concludere Borghese, nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso Tricolore vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno d’amore, Viva l’Italia. Tipica retorica mussoliniana. (Umberto Eco)
- Probabilmente Borghese e i forestali non sarebbero neanche riusciti ad occupare la città di Roma. Però potevano esserci spargimenti di sangue, insomma poteva concludersi drammaticamente. (Gianadelio Maletti)
Note
[modifica]- ↑ a b Dall'intervista a Giampaolo Pansa, 4-5 dicembre 1970, in Giampaolo Pansa, Borghese mi ha detto. L'ultima testimonianza del principe nero, BUR, 2022. ISBN 9788831807302
Bibliografia
[modifica]- Junio Valerio Borghese, Decima Flottiglia Mas: dalle origini all'armistizio, Storia militare edizioni, Parma, 2005 (1950). ISBN 88-87372-47-0
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