Marvin Carlson
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Marvin Albert Carlson (1935 – vivente), studioso di teatro e docente statunitense.
Teorie del teatro
[modifica]- Come altri teorici interessati all'ammaestramento morale del pubblico, Minturno mise in grande rilevo la la verosimiglianza. Il poeta deve mostrare soltanto ciò che è vero e imitarlo in modo tale che il suo pubblico lo accetti come vero. In questo modo il Minturno assegna un ruolo centrale alla convenienza e al decoro. (p. 67)
- L'opera dello Scaligero [la Poetica] era addirittura più ponderosa e ampia del massiccio De Poeta del Minturno, un compendio talmente enorme ed erudito che, alla sua morte, lo Scaligero era generalmente considerato l'uomo più dotto d'Europa. Ancora più impressionante della mole e della cultura di questo saggio, era la sua organizzazione. Lo Scaligero non si accontentò, come il Minturno, di raccogliere un corpo di pensieri critici non sempre in armonia tra loro; egli lavorò costantemente per scoprire interrelazioni e sviluppare un sistema ordinato e coerente. (p. 67)
- Il Castelvetro ritiene che l'interesse specifico della critica drammatica sia l'analisi del dramma, ma alla luce delle esigenze e delle richieste del pubblico. Il teatro e il dramma, egli ripete diverse volte [nella Poetica d'Aristotele vulgarizzata e sposta del 1570], furono inventati per il «diletto della rozza moltitudine» e così devono essere considerati. (p. 70)
- Nell'ambito della discussione teatrale, quest'opera ambiziosa [la Philosophía antigua poética] eguaglia o supera la maggior parte delle più celebri opere italiane del secolo. Strutturata in forma di discussione tra Pinciano stesso e due amici – Ugo e Fadrique – l'opera si articola in un dispositivo di tesi-antitesi-sintesi. [...].
Pinciano definisce la tragedia come «rappresentazione di un'azione infelice compiuta da personaggi illustri»[1], «imitazione di un'azione grave, il cui protagonista ci è presentato come importante ma né interamente buono né interamente cattivo nelle sue caratteristiche»[2]. La commedia è «un'imitazione di gente inferiore, in cui non entrano tutti i tipi di vizio, ma solo quelli che suscitano ilarità e ridicolo»[3]. (pp. 80-81)
- L'ispirazione oraziana si manifesta chiaramente nel discorso di Pinciano sui caratteri. I caratteri devono essere coerenti e fedeli al tipo: quelli della tragedia dovrebbero «istruire con il loro parlare decente e serio e con le loro azioni oneste e rette»; e tutto deve giungere ad una conclusione appropriata: «Al carattere onesto, virtuoso e lodevole... deve essere dato un premio adeguato, e quello malvagio deve essere punito»[4]. (p. 81)
- La scelta della pietà come emozione centrale della tragedia deriva, naturalmente, non da Aristotele ma da Lessing, che suggerì a Schiller anche il concetto di equilibrio emotivo. La compassione non deve essere né troppo debole (perché in quel caso noi rimarremmo impassibili) né troppo forte (poiché in quel caso proveremmo anche dolore). Le situazioni più efficaci sono quelle in cui sia l'oppressore che l'oppresso ottengono la nostra simpatia, il che può accadere quando l'oppressore agisce contro la propria inclinazione. (p. 201)
- Le idee di Kant sono evidenti in Schiller, che grazie ad esse si allontanò dalla teodicea di Lessing, tipica del diciottesimo secolo, e intraprese la strada che lo avrebbe portato alle teorie romantiche del teatro. (p. 201)
- Il patetico, afferma Schiller, nasce da due condizioni: in primo luogo dalla sofferenza, che impegna la parte naturale e sensibile dell'uomo; in secondo luogo dalla libertà morale, in forza della quale l'uomo si dichiara indifferente alla sofferenza. (p. 202)
- Disprezzato sia dai classicisti che dai romantici, il melodramma indusse pochi teorici dell'epoca a riflettere su quali avrebbero potuto essere le sue «leggi particolari», o anche solo a sostenerlo in quanto meritevole di una seria considerazione. Charles Nodier [...], propose la più dettagliata difesa del genere. Nodier sottolinea la funzione morale del melodramma, il suo accento sulla giustizia e sull'umanità, il suo appello alla virtù, la sua ricerca di una consolante e generosa adesione emotiva, e soprattutto, la sua identificazione con la «morale della Rivoluzione», la quale dimostra che «anche quaggiù la virtù è sempre ricompensata e il crimine non resta mai impunito». (pp. 242-243)
- Nodier prende in qualche considerazione una sola critica al melodramma, quella riguardante lo stile. Riconosce che il linguaggio del melodramma è spesso esagerato e affettato, pur sostenendone la funzionalità al suo scopo: quello di dilettare e impressionare la folla, colpire la sua immaginazione e imprimersi nella sua memoria. (p. 243)
- [...] l'opera [sulla recitazione] più famosa, o famigerata, dell'epoca è sicuramente quella di François Delsarte (1811-1871), che iniziò il suo Cours d'esthétique appliqué nel 1839. L'opera incompiuta, tramandata in forme talvolta contraddittorie dai suoi discepoli, ebbe una risonanza del tutto contraria agli intendimenti del suo creatore. Delsarte, reagendo contro la formazione meccanica e formalizzata degli attori del suo tempo, tentò di tornare alla natura, attraverso l'osservazione e la registrazione attenta di quelle espressioni e di quei gesti prodotti non dall'arte ma dall'istinto e dal sentimento. Ma quando questi vennero codificati per i suoi studenti, il risultato fu, di nuovo, un altro sistema meccanico. I suoi dettagli formali furono insegnati in modo così rigoroso dai discepoli di Delsarte, per il resto del secolo, che ancora oggi il suo sistema è quasi un sinonimo di espressioni e gesti meccanici e arbitrari: proprio ciò che il sistema si proponeva di combattere. (p. 246)
- Come Puskin e Wagner, Grigor'ev credeva che il teatro più grande dovesse nascere dal popolo, dalle masse; esso doveva dare espressione a qualcosa di simile a ciò che Wagner chiamava il «bisogno collettivo». È fuorviante, dunque, definire Grior'ev un critico estetico, nella misura in cui il termine implica una tendenza all'«arte per l'arte». È vero che egli disprezzò il rigido materialismo di Černyševskij, ma ritenne, tuttavia, che la poesia fosse coinvolta nella vita ad un livello più profondo e più filosofico: essa non dovrebbe fornire ammaestramenti sulle questioni sociali del tempo, ma dovrebbe gettare uno sguardo in profondità nella coscienza popolare e nel processo generale della storia da cui emergono le questioni sociali. (p. 274)
- Nessun'altro scrittore del Novecento ha influenzato tanto profondamente il teatro, sia come drammaturgo che come teorico, quanto Bertolt Brecht (1898-1956), il cui interesse fondamentale fu la dimensione sociale e politica del teatro. (p. 415)
- Il teatro di Brecht non è progettato per una futura società socialista, ma per la società borghese del presente. Il suo obiettivo è educativo: rilevare le contraddizioni nascoste all'interno di questa società. Una volta che il testo, la musica e la messinscena siano liberi di assumere «un comportamento»; una volta che «rinunciando all'illusione si è creata la possibilità di discutere»; una volta che lo spettatore sia «stato messo in grado di dover per così dire dare il proprio voto» a quel punto si sarà dato il via ad un mutamento che è il primo passo verso la realizzazione della «funzione vera e propria del teatro, la sua funzione sociale»[5]. (p. 417)
- Rifacendosi alle osservazioni di Marx ed Engels, Lukács propone una letteratura di «realismo», ovvero di accurata rappresentazione della complessiva situazione storico-sociale di una data società. I relativi personaggi non dovrebbero essere né tanto particolari da non poter essere visti in chiave generale, né tanto astratti da essere di fatto intercambiabili: dovrebbero unire, invece, il generale e il particolare, formando dei «tipi» esemplificativi delle leggi universali della società. (p. 420)
- Lukács, essenzialmente, aderì all'interpretazione ortodossa del realismo socialista, per quanto fosse meno disposto di Ždanov alla tendenziosità e più tollerante rispetto agli autori dei periodi precedenti che, a suo parere, potevano creare un'arte realista significativa, a dispetto della loro stessa classe di appartenenza. (p. 422)
- Il termine «crudeltà» fu scelto da Artaud per definire il nuovo teatro nel 1932, dopo aver preso in considerazione e scartato termini come «assoluto», «alchimistico» e «metafisico». (p. 428)
- [...] il teatro di Artaud non offre allo spettatore, intrappolato nell'essere, la liberazione mistica proposta da Schopenhauer, né Artaud presuppone una contro-forza apollinea derivante dall'arte. L'unico vero compito del teatro è di rilevare il cuore di tenebra che è nella vita stessa.
Tutti gli orpelli della società moderna, specialmente di quella occidentale – la sua morale, i suoi tabù, le sue istituzioni sociali – sono, agli occhi di Artaud funesti tentativi di negare o reprimere questa crudeltà cosmica: e come, le repressioni freudiane, essi insidiano costantemente la salute spirituale dell'uomo occidentale. (pp. 428-429)
Note
[modifica]Bibliografia
[modifica]- Marvin Carlson, Teorie del teatro. Panorama storico e critico (Theories of the Theatre. A Historical and Critical Survey from the Greeks to the Present), traduzione di Leonardo Gandini, Il Mulino, Bologna, 1988. ISBN 88-15-01557-4
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