Sandro De Feo

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Sandro De Feo (1905 – 1968), giornalista, sceneggiatore e scrittore italiano.

Citazioni di Sandro De Feo[modifica]

  • Dai timidi e semplici amori di Liebelei, a quelli inconfessabili e grevi della Signora di tutti il passo non è lieve e c'era pericolo che la vena così delicata del direttore austriaco [sic] non reggesse all'impeto di passioni così rovinose [...]. Questo pericolo si è fatto sentire specialmente nelle presentazioni iniziali dei personaggi, la cui violenza appare ingiustificata ed un tantino arbitraria. [Inoltre] la prima parte [del film] è una rievocazione troppo frammentaria e gratuita [...]. Anche la tecnica di Ophüls, quell'ondoso e perenne procedere dell'obiettivo in tutti i sensi e in tutte le direzioni [trova] una sua ragione drammatica [soltanto] nella seconda parte, così unitaria, movimentata e febbrile. [...]. La rivelazione del film è Isa Miranda. [...] La sua espressione, la sua figura, piena di terribile, miserevole e stanca stupefazione, hanno molto contribuito a spiegare la natura del carattere della protagonista, che ne aveva veramente bisogno.[1]
  • Camerini è tornato alla più cameriniana delle formule: ironia e sentimento in quella dosatura così sua e riconoscibile. [...] Nessuno possiede come lui l'arte così difficile del mezzo tono, del detto e del non detto, e l'arte ancor più difficile di prendere in giro i propri personaggi senza renderli odiosi o almeno antipatici. Vero umorista dunque, anzi l'unico umorista del nostro cinematografo, se per umorismo deve intendersi ciò che si è sempre inteso, e cioè la descrizione delle debolezze umane, ma senza acrimonia, anzi con comprensione e simpatia cordiale. Il signor Max ha le sue debolezze, e il mondo nel quale capita [quello degli aristocratici e degli snob] come un pesce fuor d'acqua ha le sue, e tutti hanno le loro; ma Camerini ci passa sopra un obbiettivo sorridente e, in limiti del possibile, tollerante, e il risultato è un film amabile e di tinta giusta, anzi di mezza tinta, la classica mezza tinta di Camerini.[2]
  • [Su La principessa del sogno] Il film [...] è profondamente compromesso da un potente squilibrio tra gli elementi fiabeschi e quelli realistici. E innegabilmente la parte più persuasiva è quella che fa pensare a un romanzo d'appendice piuttosto che a una poetica favola. Irasema Dilian, che pare non sappia staccarsi da vicende legate a collegi e orfanotrofi, rende la parte con convenzionale candore e manierata ingenuità.[3]
  • [Su Tragica notte] Il film, lo si vede subito, è pieno di ambizioni ma questa volta Soldati le ha inspiegabilmente mal servite con una serie quasi ininterrotta di contrattempi e stonature di logica, di psicologia, di colore, per quanto egli sia da elogiare per la scelta e il drammatico sfruttamento dell'acido cretoso paesaggio, un paesaggio che avrebbe dovuto ispirare un dramma ben più emozionante e serrato. Doris Duranti ha realmente e intensamente sofferto la sua parte. Andrea Checchi ha anch'egli approfondito il suo personaggio conferendogli una certa coerenza. Ninchi ha variato con sfumature acute il gioco discreto della sua recitazione. Rimoldi un po' troppo leggero per le circostanze.[4]
  • [Su L'ha fatto una signora] L'omonima commedia di Maria Ermolli era nel repertorio teatrale di Musco. [...] Venuto a mancare il grande mattatore dialettale, la riduzione non ha fatto più centro nel carattere dell'autista [...] Non più dunque una farsa per mattatore, ma un vivace e polidialettale [...] "studio" di quartiere.[5]
  • La censura italiana è stupida, ma non potremmo giurare che sia più stupida di altre censure in paesi non meno civili del nostro. Ma ci consoleremo solo per il fatto che la stupidità è universale?[6]

Da Brecht a Milano

L'Espresso, 19 febbraio 1956.

  • La rappresentazione al giorno d'oggi dell'Opera da tre soldi dinnanzi a un pubblico impreparato o troppo preparato al radicalismo politico e teatrale di Bertolt Brecht, è impossibile che non dia luogo a qualche malinteso.
  • Ci ostiniamo a gustare l'arte, la poesia, la maestria letteraria di Brecht lì dove la troviamo; e nell'Opera da tre soldi le troviamo ad ogni pie' sospinto.
  • Arte narcotico? Arte oppio del popolo? Può darsi. Ma la contraddizione in cui si dibatte Brecht colle sue fisime dell'alienazione, cioè del distacco critico dello spettatore, è, a dir poco, insolubile, e l'Opera da tre soldi lo prova in modo luminoso.

Note[modifica]

  1. Da Il Messaggero, 17 agosto 1934; citato in Savio, p. 325.
  2. Da Il Messaggero, 2 settembre 1937; citato in Savio, p. 329.
  3. Da Il Messaggero, 8 settembre 1942; citato in La principessa del sogno, cinematografo.it.
  4. Da Il Messaggero, 24 aprile 1942; citato in Tragica notte, cinematografo.it.
  5. Da Il Messaggero, 23 ottobre 1938; citato in L'ha fatto una signora, cinematografo.it.
  6. Da Il nostro critico teatrale spiega perché il nostro teatro è moribondo Non è più lo specchio dei tempi, L'Espresso, 6 gennaio 1957.

Bibliografia[modifica]

  • Francesco Savio, Ma l'amore no: realismo, formalismo, propaganda e telefoni bianchi nel cinema italiano di regime (1930-1943), Sonzogno, Milano, 1975.

Filmografia[modifica]

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