Sandro Munari
Aspetto
Sandro Munari (1940 – vivente), ex pilota di rally italiano.
Citazioni di Sandro Munari
[modifica]- La Stratos ha rivoluzionato un po' l'ambiente rallistico [...]. La "rivoluzione" portata dalla Stratos è stata innanzitutto tecnica: fino all'inizio degli anni '70, le vetture che venivano adoperate per correre nei rally di solito provenivano dalla produzione di serie. Venivano un po' arrangiate, irrobustite in qualche parte, poi si andava a correre. [...] La Stratos è stata invece concepita per le competizioni [...] e, per la prima volta nei rally, con uno studio di aerodinamica, di cui fino a quel momento non si era mai parlato. Richiedeva una certa assistenza e controlli, ma si adattava benissimo a qualsiasi situazione e condizione stradale. Secondo me, e l'ha dimostrato anche con le sue vittorie, è stata la macchina più polivalente, perché ha corso in tutte le condizioni e ha vinto in tutte le condizioni, tranne il Safari...[1]
- Mi dispiace molto che dei rally si parli soltanto in queste circostanze [gli incidenti mortali]. Si dimentica invece che proprio grazie ai rally tanti elementi della tecnologia sono stati applicati anche sulle macchine che usiamo tutti i giorni, e questo è un aspetto che tutti dovremmo tenere a mente.[2]
A tutto gas – blog
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
2001
[modifica]- Premetto: il Safari Rally era una gara di circa 6000 chilometri dove bisognava guidare notte e giorno in qualsiasi condizione atmosferica. Voglio raccontarvi un episodio che mi è capitato proprio durante un "Safari Rally", quello del 1975. Un episodio che ancora adesso, a distanza di tanti anni, riesce a farmi rabbrividire. Ebbene, dopo svariate miglia percorse sullo sterrato a bordo della mia Stratos, avevamo finalmente imboccato il lungo rettilineo asfaltato che unisce Nairobi a Mombasa. Erano più o meno le 4 del mattino e guidavo sotto una pioggia battente. Una pioggia che oltre a non accennare a diminuire, permetteva una visibilità di 100 metri al massimo. Con il navigatore mi ero accordato che non appena avessimo incontrato un tratto di strada decente, sarebbe stato bene spingere sull'acceleratore per guadagnare un po' di terreno sugli avversari. E così fu. Filavamo senza particolari problemi a una velocità di circa 180 orari. Nessun rischio di aquaplaning, perché avevamo gomme strette da sterrato. Nessuno in vista. Eravamo noi, la pioggia e i rumori dell'Africa. Tutto sembrava tranquillo, quando improvvisamente intravedo una macchia scura in lontananza, una macchia che però non assomigliava a una pozzanghera. Forse un tratto di pioggia più fitto? Un riflesso? Mentre provo a decelerare un po' per capirci qualcosa, a 100 metri da me, con l'auto che viaggiava a 130 chilometri orari, mi trovo davanti una mandria di bufali – dico una mandria – impegnata paciosamente ad attraversare la strada. Ora non so se avete presente che cosa è un bufalo. Quintali e quintali di carne, ossa e muscoli animati da un carattere particolarmente vendicativo. [...] Che fare? Frenare? Impossibile, troppo tardi. Tentare una sterzata? Non se ne parla nemmeno. Ma dovevo decidere, in gioco c'erano al mia vita e quella del mio compagno. Basta, o la va o la spacca: schiaffo la terza e butto giù a tavoletta. [...] incredibilmente riesco a indovinare uno spazio tra un bufalo e un altro e a centrarlo in pieno. Miracolo. Davanti a noi nuovamente la strada libera; dietro, lo sguardo incuriosito dei bufali attraversati da questo strano oggetto metallico veloce come una gazzella. Io e il mio compagno non sapevamo se ridere o se piangere. Ma per molti chilometri non abbiamo fatto nulla. Nemmeno una parola.[3]
- Immaginate la scena: Rally di San Martino di Castrozza, notte, piloti distrutti. Alla fine di una prova speciale buco una ruota ma mancava talmente poco alla fine che decido di andare avanti. Ben presto però la gomma vola via e mi trovo a camminare sul cerchio. Solo che i terreni allora avevano il fondo molto sconnesso e la mia [Lancia] Fulvia HF poco dopo si trova anche con il cerchio spaccato (erano anche i primi cerchi in lega...). Insomma tengo duro, stringo i denti e vado avanti camminando sul disco dei freno. Ma non è finita: dopo un po' si spacca tutto, ma riesco ad arrivare al punto di assistenza. Il meccanico però ha poco tempo: devo ripartire al volo perché c'è subito un'altra prova speciale. Così monta un nuovo cerchione, una nuova gomma ma mi chiude il tubo dei freni: morale, la mia HF frena solo su tre ruote. Roba da brivido. Riparto a tutta birra e nonostante tutto riesco ancora ad andare forte. Solo che è difficile ricordarsi di avere sempre solo tre ruote frenanti. Così in un "buco di concentrazione" mi attacco ai freni come se la mia Fulvia fosse perfetta. L'auto si gira e finisco con due ruote oltre il ciglio della strada. Come in un film. Col mio navigatore controlliamo che nessuno di noi si è fatto male, ma non facciamo neanche in tempo a slacciarci le cinture per uscire delicatamente dal lato della strada che, di colpo, l'auto inizia a precipitare una serie infinita di tonneau. Di notte, vi assicuro, non è una cosa piacevole. Passiamo in mezzo a una foresta, abbattendo decine di alberi. Vedevo i fanaloni della HF sciabolare nel buoi piante, alberi e tanto verde. Finalmente ci fermiamo, usciamo miracolosamente indenni dall'abitacolo e ci arrampichiamo su fino alla strada. Poi, il giorno dopo, la notizia ferale dal soccorso: "Ragazzi, sapete quanti metri di cavo abbiamo dovuto usare per tirare sulla strada la HF? Ottantadue!"[4]
- Siamo nel 1966, e in quell'epoca guidavo la [Lancia] Flavia Zagato, un'auto potente ma pesante. Un giorno viene da me [Cesare] Fiorio e mi dice che vicino Genova si correva una gara in salita e che c'era un concessionario che faceva pressione affinché vi partecipassi. Che problema c'è? – dico io – facciamola. E così fu. La gara si chiamava per l'esattezza Pontedecimo-Giovi, una classicissima gara in salita nella quale già sapevo di dover giocare le mie carte senza troppe speranze di vittoria, anche perché avevo come concorrenti tutte vetture preparate appositamente per quel tipo di competizione. Fatto sta che arriva il giorno prefissato e, per fortuna, pioveva a dirotto. Bene, dico tra me e me, almeno ci si diverte un po'. Durante tutta la gara nulla di particolare, cerco di seguire le traiettorie, di non fare errori e soprattutto di spingere la Zagato al massimo. Ad una curva dal traguardo succede invece tutto ciò che non era successo durante l'intera corsa. Una curva a destra, ancora me la ricordo [...]. Avete presente una pozzanghera? Ecco immaginate la più grande che abbiate mai visto e aggiungeteci qualcosa. Ovviamente finisco in aquaplaning e inizio a ballare il valzer. Il fatto è, però, che dopo appena cento metri c'era il traguardo, e non sapevo più come controllare la macchina. Per farla breve volete sapere come è andata a finire? Con il sottoscritto che taglia il traguardo di coda e poi va a sbattere contro un muretto. Subito accorrono i soccorsi, ambulanze a sirene spiegate solo perché avevo dato una leggera capocciata. Dulcis in fundo, mi portano all'ospedale e mi trattengono per qualche ora. Sto lì, senza sapere che fare, quando vedo arrivare un gruppo di amici accorsi per salutarmi e farmi compagnia. Felicità. "Guarda che siamo qui per darti la Coppa", dice uno di loro. "Sentite – faccio io – d'accordo che ho sfiorato il ridicolo tagliando il traguardo con il posteriore della Zagato, e domani tutti i giornali mi rideranno dietro, ma per favore non infierite, cavolo!". "Ma sei scemo? Hai vinto, hai fatto il miglior tempo, tieni la Coppa, è tua". Avevano ragione. Avevo vinto. E per di più in una gara sulla quale non mi ero preparato, con un'auto non adatta e in una competizione dove veramente non ci avrei scommesso un soldo bucato.[5]
- [Sul Rallye Monte-Carlo 1976] Mancavano cinque o sei minuti alla partenza dell'ennesima prova di velocità, situata nel bel mezzo delle Alpi francesi. Dalla cima del colle che dovevamo scalare e scendere, ci informarono via radio che stava semplicemente piovendo. Via libera quindi al montaggio delle gomme da bagnato. Ma un minuto prima del via, la radio ricominciò a gracchiare: "Attenzione, attenzione: sta nevicando fortissimo!". Era troppo tardi per passare alle gomme coi chiodi [...]. Potevo solo andare, rischiando e sperando. La prova era lunga 38 chilometri; la neve comparve dall'ottavo in avanti. Era la prima volta che correvo con Silvio Malga come navigatore ed eravamo in testa con 4'30" su Guy Frenquélin su Porsche. Salivo mettendo le ruote ai lati della strada per cercare un po' di aderenza sull'erba. In quel momento mi sentivo attanagliato dal panico di non riuscire a raggiungere la vetta. Al di là della quale ci sarebbe stato ancora un filo di speranza di poter tentare una rimonta. Avanzavamo a fatica [...]. Gli altri erano partiti qualche minuto dopo e per questo avevano fatto in tempo a cambiare le gomme da pioggia con quelle da neve. Così molto presto cominciarono a superarci diverse vetture. [...] Alla fine, quei quattro minuti e mezzo si erano volatilizzati e noi retrocedemmo in seconda posizione con un distacco di 1" da Fréquelin. Waldegaard a sua volta era più indietro. [...] La strada del "St.-Jean-en-Royans", così si chiamava quel colle, aveva dato un colpo quasi mortale alla mia speranza di vincere per la terza volta il famoso Rally del mondiale. Ma naturalmente non mi arresi e all'ultima notte mi ritrovai ancora in testa con due minuti. [...] Sembrava fatta. Invece, al terzo passaggio sul colle del Turinì [...] mi si bloccò il cambio in quarta: un inconveniente che a quel tempo non era raro sulla [Lancia] Stratos. Avevo davanti dodici chilometri di salita e altrettanti di discesa. Il problema era quello di riuscire a superare i tornanti e raggiungere il colle. [...] I tornanti erano tutti molto stretti ed io disponevo soltanto della quarta... Ma prima di perdere una corsa come il "Montecarlo" solo perché ti si blocca il cambio, bisogna tentare tutto. Anche le follie. Si stava avvicinando il primo tornante. "Dobbiamo farcela – dissi a Silvio – altrimenti è la fine!". Entrai piano, per effettuare una traiettoria più rotonda possibile, ogni centimetro aveva la sua importanza. Credo di non aver mai curato tanto una curva in vita mia. Diedi solo un filo di gas [...] e un colpetto o due di frizione per alzare il numero dei giri senza correre il rischio di bruciarla. Un tornante era fatto, ne rimanevano ancora undici. A quel punto la speranza di farcela era sensibilmente aumentata. Piano piano, uno dopo l'altro, passarono tutti. [...] Finii la prova a circa un minuto da Waldegaard ma ancora con più di un minuto di vantaggio. Restava però l'incognita di sapere se il guasto fosse riparabile nei pochi minuti che avremmo potuto accumulare prima della partenza dell'ultima prova speciale. [...] decisi di continuare e di raggiungere l'inizio della successiva prova speciale dove sapevo che c'erano dei meccanici in grado di compiere forse un miracolo. Il nostro problema non era semplice: due forcelle del selettore si erano accavallate. Bisognava smontare la protezione della coppa dell'olio, svitare i bulloni della stessa, fare uscire l'olio bollente e recuperarlo in un contenitore di fortuna in quanto non c'era l'olio di scorta, toglierla, sbloccare le due forcelle, rimontare la coppa, rimettere l'olio. Un intervento che, nelle condizioni in cui ci trovavamo, richiedeva doti non comuni: tutto sotto la macchina scottava, c'erano pochi minuti a disposizione, era notte e pioveva. Arrivai un quarto d'ora prima della partenza per l'ultimo tratto cronometrato [...]. I meccanici erano stati avvisati via radio di prepararsi. Non scesi nemmeno di macchina. Ferdinando Casarsa e Piero Spriano si buttarono sotto la vettura. Sentii che qualcuno diceva: "Dai che ce la facciamo!". [...] Non montarono nemmeno la protezione della coppa dell'olio per guadagnar tempo. Esattamente quattordici minuti dopo il mio arrivo, il cambio era sbloccato. [...] Fu una sofferenza, ma quel "Montecarlo" non mi sfuggì. Ho vissuto decine e decine di volte i momenti degli arrivi vittoriosi, con la loro esaltazione e il loro stordimento, ma il trionfo di quel gennaio 1976 non l'ho mai dimenticato. Forse perché mi sentivo particolarmente in debito con Casarsa e Spriano: erano stati davvero eccezionali.[6]
- Durante i vari East African Safari che ho corso, poi divenuto Safari Rally, al di là di andare più forte di tutti, come ovviamente succede anche negli altri rally, qui c'erano anche molti altri fattori collaterali che, se ben sfruttati, potevano contribuire in maniera molto significativa ai fini del raggiungimento dell'obbiettivo primario: "la vittoria". [...] i Safari della mia epoca si correvano nella settimana di Pasqua, e cioè nel bel mezzo della stagione delle grandi piogge (come se le difficoltà che già c'erano non fossero abbastanza). Così spesso e malvolentieri c'era da fare i conti con i numerosissimi guadi (ponti, una rarità) o impantanamenti vari. Da queste situazioni era pressoché impossibile togliersi d'impaccio da soli, se non a costo di grandi perdite di tempo. Ma ecco che appena ti fermavi, non aveva importanza il motivo, a qualsiasi ora del giorno e della notte, in pochi secondi venivi attorniato da un nugolo di teste nere, senza sapere esattamente da dove fossero sbucati, visto che un istante prima non si vedeva anima viva nel raggio di 10 chilometri. "Magia nera", chi lo sa. Ovviamente la loro presenza non era solo un fatto curioso; il nostro inconveniente diventava per loro un business interessante. Subito si apriva una trattativa in scellini (moneta locale, che allora equivaleva a circa 130 lire italiane), e la banconota più richiesta era quella da 100 scellini. Si potevano raggiungere anche cifre minori, ma con ulteriore perdita di tempo. Tuttavia, una volta stabilito il compenso, non era detto che tutto funzionasse per il meglio. Infatti i concorrenti meno esperti pagavano la cifra richiesta convinti di essere tolti dai guai in un batter d'occhio, mentre capitava che gli autoctoni si dileguavano nella savana lasciandoli con un palmo di naso. La tecnica usata dai più esperti era invece quella di dare la metà subito e il resto a "salvataggio" concluso. [...] Eppure non è come pensate, perché anche dando loro 50 scellini subito ti lasciavano impantanato. Il sistema più efficace allora era quello di tagliare in due la banconota e dare loro la prima metà subito e la seconda metà a lavoro fatto. Ma la cosa migliore da fare era comunque organizzarsi fin dalla partenza e portarsi appresso una buona quantità di banconote per ogni evenienza.[7]
- La parola rally è inflazionata e fraintesa. Il rally non è una gara di regolarità, né un raduno. È una marcia al limite delle possibilità fisiche e meccaniche su strade tracciate quando l'automobile apparteneva ancora alla fantasia. È un mondo che rilancia indietro [...] ricreando le condizioni ambientali e soprattutto lo spirito del primo automobilismo; è un corpo a corpo della "carrozza senza cavalli" con la natura.[8]
- I rally non sono migliori delle competizioni automobilistiche di altro tipo. Sono diversi. Secondo me, la differenza maggiore consiste nel fatto che nei primi il pilota, l'uomo, conta di più. Un esempio: nelle corse di velocità una sensibile differenza di potenza fra una macchina e l'altra è determinante per il risultato. Nel rally invece questo non accade e più di una volta una macchina meno potente si è potuta affermare proprio grazie all'abilità e all'intelligenza del conduttore. Ancora: in un gran premio ci può essere una curva che un pilota affronta a velocità limite. A questo punto, tutti gli altri devono fare la medesima cosa se non vogliono essere tagliati fuori dalla possibilità della vittoria. In un rally perdere un paio di secondi in una curva non vuol dir niente, perché c'è sempre il tempo e il modo di recuperarli. Mi sembra che questo non sia molto umano. Il pilota da rally non deve essere un fenomeno, né un superman della guida, ma soltanto un uomo nel quale le qualità dell'automobilista sono sviluppate ad altissimo grado.[8]
- [...] mentre il pilota non deve mai abdicare a se stesso, ma anzi esaltare le sue doti in un continuo "a tu per tu" con la strada, il navigatore invece deve trasformarsi in radar e in robot. Disumanizzarsi. [...] Diventare una macchina nella macchina. Il suo primo, fondamentale compito è infatti quello di leggere le note col tempo giusto, per chilometri e chilometri, senza sbagliarsi. Una cosa allucinante. Lo confesso: con loro – con i miei navigatori – sono stato molto allucinante. Dovevano fondersi con me, assimilarmi, trovare l'attimo giusto della "chiamata", senza anticipare e senza ritardare. Se sbagliavano, arrivavo male in curva, mi interrompevano il ritmo e si perdeva tempo. Era un mondo che si instaurava fra due persone. Un mondo che viveva di un linguaggio speciale e che non dava spazio ne ai sentimenti, ne ai commenti, ne ai cedimenti. Poi c'era l'altra faccia del rally che imponeva di interessarsi del percorso, degli orari, dei rifornimenti, dell'assistenza. Tutte cose di cui non mi curavo e che loro però non dovevano sbagliare. Tante volte mi sono sentito domandare quanto merito va al navigatore e quanto al pilota. Dico solo questo: senza note, e quindi senza una persona che me le leggeva, sarei andato più forte. Ma questo, ovviamente, per poca strada. Alla lunga no. Non si può imparare a memoria duemila o tremila chilometri; questo lo so per esperienza. [...] Le note perfezionate consentono infatti quel passo-limite per tutta la durata della corsa che non sarebbe possibile ottenere altrimenti. Il navigatore è quindi importante. Però, mentre un pilota bravo, con un navigatore medio o "scarso", può vincere ugualmente la gara (basta che il compagno non commetta errori banali, come quello, ad esempio, di timbrare fuori orario ad un controllo), un navigatore bravo con un pilota mediocre non potrà mai imporsi.[9]
- Con Mario Mannucci ho stabilito molti records: maggior numero di gare fatte insieme, maggior numero di vittorie riportate e, inevitabilmente, maggior numero di sconfitte. Lui è un ottimista, un vincente su tutta la linea (per esempio, quando gioca a carte è difficile che perda). Mi diede quindi la carica psicologica di cui avevo bisogno. Iniziammo male, con quel gran volo al "San Martino" quasi ripetuto due anni dopo, quando, nella discesa del Ghertele, la nostra [Lancia Fulvia] HF 1600 finì su un fianco. [...] Quella volta non uscimmo nemmeno dall'abitacolo; alcuni tifosi ci ributtarono sulle quattro ruote e ripartimmo. Al "San Martino" del '70, dunque, Mario credeva di aver portato sfortuna, anche perché nella seconda corsa che ci vide in coppia, il Rally di Svezia, fummo pure costretti al ritiro. Un inizio quindi catastrofico, che ci fece archiviare per qualche mese l'esperimento. Era il 1970. Nel '71 ritentammo. E andò subito bene. Ci separammo solo nel '75, ma per forza maggiore. Cinque anni nella vita di un uomo sono qualcosa, ma in quella di un corridore sono molto. Cominciammo col capirci. Ben presto ci trovammo sincronizzati. Finimmo col fonderci. Durante le gare non parlavamo mai di cose estranee all'obiettivo che volevamo raggiungere: il centro focale di tutto, parole gesti pensieri, era la corsa. Anche durante i trasferimenti più facili, eravamo concentrati solo su quello che stavamo facendo. Eravamo come barche disancorate o satelliti senza antenne. Almeno apparentemente, eravamo isole che galleggiavano su un grande mare di silenzio. Mario infatti – benché ottimista – parlava poco. E io meno ancora. Gli sono grato per aver capito tante cose, ma soprattutto il mio bisogno di silenzio.[9]
- [Sulla Lamborghini Diablo] [...] un bolide con il quale in fase di omologazione ho più volte superato i 340 orari. Poi, purtroppo, per un complicato sistema di medie di velocità massime, questa GT fu omologata "solo" per 325 Km/h, comunque un record mondiale per un'auto di serie. [...] Il problema è che in queste auto, nonostante tutto, si guarda alla linea prima di ogni cosa, a scapito di tutto il resto. Insomma, si traccia un design che poi alla fine deve contenere tutta la meccanica. Ovviamente questo aveva sacrificato un po' quella che secondo me invece è e deve essere la parte più importante della vettura, cioè la dinamica di marcia. I tempi della Miura erano ormai lontani, già negli anni Novanta era necessario che una vettura tenesse veramente bene la strada. Così, design o no, dovevamo intervenire. Faccio un esempio: quando vidi i disegni della prima Diablo dissi subito che questa macchina non si sarebbe fermata mai. Le prese d'aria per i freni anteriori erano troppo piccole, soprattutto considerano il notevole peso e la velocità massima di questa Lamborghini. E dopo i primi collaudi il difetto apparve evidente. Così cambiammo praticamente tutto il muso, con un nuovo paraurti anteriore, inedite prese d'aria e tante altre piccole migliorie tipiche di auto da corsa. Risultato? La Diablo, finalmente, stava in strada. Ci stava, però, a modo suo: ossia era molto impegnativa da guidare. Un difetto strutturale visto che qui avevamo a che fare con un'auto da oltre 500 cavalli che pesava per forza di cose oltre due tonnellate [...] Inoltre la Diablo era nata con un telaio tubolare-traliccio in acciaio. Così il motore era alloggiato in una gabbia di tubi che lo piazzavano in posizione troppo alta. E questo peso enorme del gruppo motopropulsore piazzato lassù dava origine a trasferimenti di carico molto violenti, sovrasterzi esagerarti. Insomma per guidare questa Lamborgini era un esercizio da piloti veri, e solo chi aveva esperienza agonistica poteva trovarsi a suo agio. [...] Decidemmo così di puntare sulla trazione integrale che poteva attenuare il fenomeno, senza contare poi i benefici che ne potevano scaturire sul bagnato. Nacque così nel 1993 la 4x4, battezzata VT (ossia Visco Traction): e fu un piccolo capolavoro. Mai, prima di allora, era stato montato un giunto viscoso su una macchina da oltre 500 cavalli. Il trasferimento della potenza alle ruote anteriori avveniva così solo quando ce n'era davvero bisogno e – tuttavia – non arrivava mai oltre il 27 per cento della potenza totale disponibile. Devo dire comunque che con la VT non ci furono grandi problemi di sviluppo. E questo fu una fortuna perché alla Lamborghini (una fabbrica che è sempre stata in difficoltà economiche) si faceva tutto in casa e si cercavano economie in ogni cosa: dalla componentistica ai sistemi costruttivi. In poche parole, cercavamo di arrangiarci come potevamo.[10]
- Era il 1967 e le tecnologie a disposizione nel mondo aerodinamico non erano molte. Così un giorno ci troviamo a Monza per testare, per conto della Colmar, azienda leader nell'abbigliamento invernale, una tuta che sarebbe stata utilizzata da alcuni sciatori, che avrebbero tentato il record di velocità km lanciato. La cosa interessava anche noi, in quanto avevamo in programma di partecipare ad un rally che si correva in Belgio alla fine di novembre. [...] Eravamo in lotta per la conquista del Campionato Europeo, e quello del Belgio era l'ultimo rally valido, in più era un po' anomalo, perché era un misto di prove speciali e gare in circuito. [...] [Cesare] Fiorio, direttore sportivo, decide di farmi correre con un'Abarth 2000 Sport, ovviamente aperta, vettura nata per correre in pista e con un solo pilota. Ecco perché era importante anche per noi utilizzare una tuta speciale, visto il periodo in cui si correva e soprattutto dove si correva. Ma veniamo alla prova in sé che è abbastanza curiosa e divertente e piuttosto inusuale. Fiorio mi convoca a Monza, dove trovo dei nostri meccanici che avevano portato una [Lancia] Fulvia HF che aveva uno strano aggeggio sopra il tetto [...]. Dopo aver conosciuto anche i responsabili della Colmar, Fiorio ci spiega in che cosa consisteva la prova: io dovevo guidare la Fulvia al massimo della velocità sul rettilineo, e per quell'occasione era stato scelto un rapporto per 200 km orari. Sopra il tetto, sull'apposito pianale della gabbia era stati ancorati un paio di sci speciali (per km lanciato) con gli scarponi pronti ad ospitare i piedi dello sciatore, il quale ovviamente avrebbe indossato, una alla volta, le tute preparate per l'occasione. A me sembrava tutto molto semplice e facile (ero seduto in macchina), ma provate ad immaginare come poteva essere lo stato d'animo dello sciatore, il quale, pur se legato, doveva fare uno sforzo enorme, per vincere la forza dell'aria, e quella centrifuga. Infatti per raggiungere la velocità stabilita, ero costretto ad affrontare la lunga curva parabolica che immette sul rettilineo dei box a velocità molto sostenuta, mettendo in grave difficoltà il "malcapitato" che mi stava sopra la testa. Tutto andò per il meglio, lo sciatore era un po' provato, ma contento d'essere ancora intero, e la tuta giusta era stata individuata.[11]
- [Sulla Targa Florio 1973] La gara [...] non era più valida per il Campionato Mondiale Marche, ma [...] non aveva comunque perso il suo fascino ed interesse, infatti, la partecipazione sia di case ufficiali che di piloti importanti era sempre molto nutrita. [...] i giri da percorrere erano 11 e i chilometri per giro 72. In quest'edizione ho partecipato con la Lancia Stratos, in coppia con il francese Jean Claude Andruet che da quell'anno era entrato nella squadra corse Lancia. [...] in quell'occasione era sicuramente tra le più organizzate, anche se non aveva il budget così corposo come l'avevano i grandi squadroni. Basti pensare che era l'unica squadra, e questo derivava dall'esperienza rallistica, che utilizzava un gruppo d'appassionati radioamatori siciliani molto bravi, per le segnalazioni tra box e piloti. Nel caso della Targa Florio avere notizie in tempo reale era una cosa basilare; in quanto la frequenza dei passaggi davanti ai box, non era come quella che avviene in un circuito di cinque chilometri. [...] Dopo il mio primo turno di guida, cedetti il volante ad Andruet; al suo secondo giro entrò ai box (fermata non prevista) perché si era rotta la guida del sedile (cosa che io avevo già notato). I meccanici, non avendo la possibilità di ripararlo, bloccarono il sedile tutto indietro a fine corsa. A quel punto Jean Claude essendo molto più piccolo di me, non poteva più guidare, poiché non arrivava con i piedi alla pedaliera. Così [Cesare] Fiorio mi disse: "Sali tu e 'arrangiati' come puoi". Anch'io ovviamente non ero nella migliore posizione per guidare al massimo, ma tant'è che dovetti adeguarmi in fretta, volevamo recuperare il tempo perso. Fin qui "tutto normale", se non che alla fine della gara mancavano ancora sei giri, ed era sottinteso che avrei dovuto accollarmeli io. Tre li avevo già fatti all'inizio, quindi facendo un rapido calcolo, mentre la Stratos rombava e schizzava da una curva all'altra, in totale avrei dovuto guidare "solo" 648 chilometri. Di solito guidarne la metà era già faticoso, quindi non so se voi abbiate un'idea di cosa voglia dire in termini di stress, concentrazione e fatica guidare sulle strade della Targa Florio per sei ore, e per giunta, seduto in maniera precaria. Ebbene devo dire che arrivando secondo assoluto, pur non avendo vinto, ho avuto una gran soddisfazione per com'erano andate le cose.[12]
- Volete sapere [...] quale è quella che io considero la mia bestia nera? [...] il rally di Sanremo. L'avreste mai immaginato? È vero che l'ho vinto nel 1974 con la [Lancia] Stratos in coppia con Mario Mannucci, ma è anche vero che in 13 partecipazioni sono arrivato al traguardo due sole volte [...]. Se poi andiamo a vedere quali sono state le cause che hanno determinato tanti ritiri; con un particolare da non sottovalutare, nella stragrande maggioranza delle volte quand'ero in testa, non c'è da dubitare che la gara stregata fosse proprio quella di casa nostra. Per questa ragione mi era venuta la psicosi da ritiro "strano" ad ogni edizione; quando mi trovavo sulla pedana di partenza, mi chiedevo: "Quale sarà la 'rottura' che mi fermerà quest'anno?" Due volte sono uscito di strada io, una con la Fulvia HF nel '66, che guidavo per la prima volta e che coincideva anche con la mia prima partecipazione al "Rally dei Fiori", così si chiamava allora il Sanremo. L'altra con la Fiat 131 Abarth nel '78 per un guasto all'impianto frenante. Gli altri motivi: rottura dell'albero secondario del cambio della Stratos, proprio quando ero primo a pochi chilometri dal traguardo, guasto mai successo prima e neanche poi; un altro ritiro nel '69 con la Fulvia [...] quando, per errore, ci sostituirono la batteria con una scarica, anche qui eravamo primi a pochi chilometri dall'arrivo; rottura del braccetto dello sterzo della Fulvia HF in prova speciale. Nella sfortuna è andata bene, perché sono riuscito a fermarmi sull'orlo di un precipizio. Sabotaggio in parco chiuso; qualcuno aveva messo dello zucchero nel serbatoio della Fulvia HF, da allora i tappi del serbatoio erano chiudibili con il lucchetto; ritiro con la Stratos nel '77, quando eravamo ovviamente primi, per una foratura alla ruota posteriore sinistra. Quest'ultima ve la racconto, perché ha dell'incredibile. Dovete sapere che il Sanremo Rally di allora si correva parte su strade asfaltate e parte su sterrato. Le gomme che usavamo, ovviamente erano slik per l'asfalto e M+S per la terra, e fin qui tutto bene. La differenza stava nei cerchi, che erano di canali diversi perché le slik andavano montate su cerchi più larghi e con una campanatura diversa da quelli più stretti usati per le M+S, per tanto era indispensabile avere dietro i distanziali preparati appositamente per poter montare le ruote da sterrato. Anche perché la ruota di scorta doveva essere per forza una da terra perché la ruota slik, essendo molto più larga, non entrava nel vano anteriore. Così, dopo una prova speciale notturna, nel trasferimento verso il controllo orario foriamo la posteriore sinistra, tiriamo un sospiro di sollievo pensando alla "fortuna" che avevamo avuto. Scendiamo con calma per sostituire la ruota, ma [...] ci accorgiamo che mancava il [distanziale] senza il quale la ruota di scorta non poteva essere montata. Mi sono sentito male, la nostra corsa finiva lì.[13]
- All'edizione del Sanremo '76, la Lancia Corse aveva iscritto tre Stratos, per Waldegaard, Pinto ed il sottoscritto. A quell'epoca le superiorità delle Stratos sulla concorrenza era evidente, tanto che fin dalle prime battute avevamo preso il largo, distanziando gli avversari di diversi minuti; nonostante il mio motore non funzionasse al massimo, questo era l'ordine: io, Waldegaard a 28" e Pinto un po' più distaccato. [...] Visto i distacchi importanti che ci separavano dagli avversari, [Cesare] Fiorio decise di mettere in atto un gioco di squadra, per evitare di perdere qualche vettura in uno scontro fratricida. In poche parole voleva che tutte e tre le Stratos arrivassero al traguardo; ma in che ordine? L'avrebbe deciso più avanti. Così ci chiese di azzerare i nostri distacchi, ovviamente il più "contenuto" ero io, e di mantenerli fino a nuovi ordini. Guidare come un tassista non piaceva a nessuno, perché non si riesce a mantenere la concentrazione dovuta, sapendo che alla fine poteva essere il lancio di una monetina a decretare la vittoria. Successe, infatti, che durante questo lungo "trasferimento" mi si ruppe l'ammortizzatore anteriore destro, ma dal momento che non si "gareggiava" più non lo feci neanche riparare... Arrivammo all'alba, prima dell'ultima prova speciale del colle Langan, salita veloce e discesa molto stretta e tortuosa con tantissimi tornanti, dove la vettura doveva essere tendenzialmente sovrasterzante. [...] Intanto Pinto si era fermato per problemi meccanici, così Fiorio chiamò Waldegaard e me per chiederci cosa volevamo fare: il lancio della monetina, oppure giocarci la vittoria in gara. Waldegaard era favorevole alla monetina, anche perché in questa prova aveva preso 12 secondi dal sottoscritto. Io invece, ero più favorevole a giocarcela in gara, non tanto per il risultato "quasi scontato", ma perché vincere o perdere con il lancio di una moneta mi sembrava una cosa molto antisportiva. Così si decise di giocarcela sul campo. Chiesi allora ai meccanici di sostituire l'ammortizzatore danneggiato e di togliere una tacca di barra stabilizzatrice per rendere la vettura più sovrasterzante, in funzione della discesa stretta e tortuosa. Questo fu il grande errore, ingannato soprattutto dal comportamento sottosterzante che la vettura aveva assunto dal momento che si era rotto l'ammortizzatore. [...] Io ero il primo a partire, Waldegaard partiva un minuto dopo, ma doveva attendere ulteriori quattro secondi che gli erano rimasti a suo vantaggio nel calcolo d'azzeramento. Al primo chilometro mi accorgo subito di aver sbagliato a modificare l'assetto, in quanto non riuscivo più ad affrontare le curve veloci alla velocità ideale perché la vettura sbandava troppo. Tant'è vero che lo dissi subito a Silvio Maiga, mio navigatore, che se Waldegaard non avesse commesso degli errori avremmo perso la gara. Così è stato! Anche se Waldegaard ha rischiato di ritirarsi, avendo toccato uno spuntone di roccia con il cerchio posteriore destro, buon per lui che era quasi alla fine della prova. Volete sapere di quanto ho perso? Di quattro secondi.[14]
2002
[modifica]- Appena ti siedi sulla 156 GTA, senti subito che puoi diventare tutt'uno con lei, perché trovi facilmente la posizione ideale di guida, favorita da un sedile comodo, ma avvolgente, strumentazione leggibile con facilità, pedaliera di tipico stampo sportivo, ben posizionata e comoda, così come la distanza delle mani tra il volante e il cambio. [...] Finalmente parto ed il rombo del V6 pieno e rotondo lascia subito intendere che è un motore di "razza". Appena lo sollecito si fa trovare pronto e progressivo a qualsiasi regime, anche nelle curve più strette ed impegnative. [...] dopo poche centinaia di metri mi sento già a mio agio. La vettura è ben equilibrata e facile da capire. È molto precisa nell'inserimento in curva, grazie ad un ottimo assetto e ad uno sterzo molto diretto che consentono di sfruttare al meglio la potenza del motore disegnando delle traiettorie precise e sicure. È un ottimo compromesso tra comfort e sportività.[15]
- La Stratos è stata la prima vettura apparsa sulla scena rallystica, ad essere concepita per questa disciplina. Quando in Lancia ci si accorse che la Fulvia stentava sempre più a contrastare lo strapotere delle avversarie, si decise di costruire una nuova vettura. In sostanza si voleva mettere in cantiere una macchina che potesse essere il massimo su tutti i terreni ed in qualsiasi condizione climatica. Per far questo [Cesare] Fiorio diede il "compito" a tutta la squadra. Ognuno di noi in funzione del ruolo che copriva nell'ambito del reparto corse: ingegneri, tecnici, meccanici, piloti, navigatori ecc... Tutti dovevamo fare una relazione e descrivere come doveva essere, nel proprio ambito, la vettura ideale. Una volta messo insieme il meglio del puzzle, ne uscì la Stratos. Devo dire che la bellezza estetica, opera di Bertone, stupì il mondo intero. Mancava il motore, infatti in Lancia non c'era un motore che avesse le caratteristiche per essere montato in posizione posteriore e centrale. Così si cominciò una trattativa serrata con la Ferrari per ottenere il 2.400 a 6 cilindri che equipaggiava la Dino 246GT. [...] io fui "adoperato" come "merce" di scambio: infatti, tra le clausole dell'accordo era previsto il mio prestito alla Ferrari in cambio del motore per correre la Targa Florio con la 312P. Tutti erano contenti perché finalmente potevamo avere la vettura che desideravamo. Ma quando cominciammo lo sviluppo della Stratos, io ero il pilota di riferimento, quindi tutto il lavoro di "sgrezzatura" lo portai avanti io, compreso il battesimo in gara al Tour de Corse del 1973. Mi resi conto che la vettura non era così "bella", e infatti le cose non andarono bene subito. Tanto affascinante dal punto di vista del design, quantoscorbutica ed imprevedibile da guidare. [...] Passavamo giorni e notti sulle strade per cercare di capire da dove arrivasse il "malessere" che affliggeva la neonata. I problemi maggiori di tenuta di strada emergevano sull'asfalto con le gomme slick. [...] In entrata in curva soffriva di un forte sottosterzo e quindi in uscita era sovrasterzante, ma non sempre era così, quindi era anche difficile capire il perché. Era come se le geometrie fossero sballate, anche se ai controlli statici era tutto ok. Quando si provava sulla terra con gomme ovviamente da sterrato, la vettura era assolutamente magnifica. Da qui nacque il sospetto che ci portò ad individuare il "male oscuro" sui porta mozzi delle ruote posteriori. Infatti alla nascita, la vettura montava dei porta mozzi in lamiera scatolata, ma si rilevarono inadatti perché con il forte attrito che le larghe slick posteriori esercitavano a terra, questi flettevano mandando in tilt le geometriche, ritornando in posizione normale quando la vettura era ferma. Quando furono sostituiti con dei porta mozzi presso-fusi, la Stratos diventò quella che tutti conoscono.[16]
- Le trazioni anteriori come la Fulvia HF erano molto più difficili da guidare e da portare al limite rispetto alle "anteriori" odierne. Il motivo sta nell'alloggiamento del motore, che era posto in maniera longitudinale per motivi d'ingombro. Il motore ed il cambio erano assemblati in linea, gioco forza, doveva essere montato solo in quella maniera. Così il motore veniva a trovarsi davanti all'assale anteriore (a sbalzo), e se da un lato era un vantaggio (più motricità), dall'altro era uno svantaggio perché contribuiva a far sì che la vettura diventasse molto sottosterzante [...] ed anche pericolosa, in quanto le ruote motrici erano anche quelle direzionali. [...] Si può essere fortissimi e veloci, ma se non si capisce come sfruttare al meglio le qualità dell'auto che stai guidando, sarà impossibile portarla al limite. La Fulvia Coupè era un auto che possedeva delle caratteristiche tutte sue e con un'accentuata predisposizione al sottosterzo. Occorreva quindi entrare in curva con grande anticipo, inserendo l'avantreno in maniera decisa, evitando così che il sottosterzo ti portasse all'esterno della curva, con il rischio di uscire. In contemporanea potevi usufruire dell'appoggio sicuro del posteriore, che ti consentiva di percorrere quella determinata curva al massimo della velocità consentita dalle leggi fisiche. Si doveva trovare il giusto equilibrio [...] senza strafare per non "ammazzare" il motore, che inevitabilmente ti costringeva ad un rallentamento, con conseguente perdita di velocità e quindi di tempo. Era necessaria una guida aggressiva e decisa ma "pulita", ed il mio stile di guida si era adattato perfettamente alle caratteristiche della Fulvia. La parte positiva di avere il motore montato così avanti, era la garanzia di avere una buona motricità ovunque, tranne nei tornanti in salita, perché scaricando il peso sul posteriore e non avendo l'autobloccante, la ruota anteriore interna si alleggeriva. In compenso la Fulvia era un castigo di Dio in discesa, perché per effetto del carico longitudinale in avanti, l'inserimento in curva era più "automatico" e quindi potevi "intraversare" la vettura con molto anticipo andando in appoggio contribuendo nel tempo stesso a dare una mano "ai freni". In conclusione la Fulvia era una vettura dalla meccanica semplice, e fino ad un certo punto facile da guidare. Le cose cambiavano e diventavano particolarmente complicate quando ci si avvicinava al "suo" limite, ecco perché un "manico" poteva fare la differenza.[17]
- Un buon pilota doveva essere anche un bravo collaudatore. Allora tutti tecnici di una squadra corse, qualsiasi fosse il loro settore di appartenenza, "dipendevano" esclusivamente dalle informazioni che venivano fornite dal pilota, in base alle proprie impressioni ed esperienza. Non esistevano sofisticati strumenti elettronici, o altro, che potessero aiutare il tecnico ad individuare la strada da percorrere. Nei rally, dal momento che il campo d'azione era così vasto, non era facile fornire delle informazioni precise ed utili. Le prove avvenivano su strada e, per questo, le condizioni non erano mai omogenee: piste strette, larghe, tortuose, veloci, salita, discesa; asfalti: abrasivi, lisci, sporchi; superficie d'aderenza: asciutto, bagnato, sterrato, fango, neve e ghiaccio. Quando arrivai nel 1966 a far parte della Squadra Corse Lancia, alle prove tecniche partecipavano tutti i piloti in quel momento a sua disposizione. Ma durò poco, perché troppe informazioni e soprattutto diverse tra loro, finivano per disorientare gli ingegneri. Dopo un po' di tempo, sulla base della sensibilità e capacità dimostrata nel comunicare, e trasmettere al tecnici informazioni credibili, in casa Lancia individuarono nel sottoscritto il "collaudatore" unico al quale affidare questo delicato compito. A me piaceva molto dedicarmi alla messa a punto della vettura, ma ero consapevole anche che accettando quest'incarico mi assumevo una grande responsabilità. Anche perché tutte le modifiche o cambiamenti che facevo fare, venivano trasferiti su tutte le vetture della squadra; in più era un lavoro molto faticoso sul piano fisico e mentale. Quanti giorni e soprattutto quante notti (era più facile chiudere dei tratti di strada) ho trascorso sulle strade di mezzo mondo![18]
- Era l'anno 1977 e fu l'ultimo Safari che corsi con la [Lancia] Stratos. A condividere con me quell'avventura c'era Piero Sodano, anche lui contagiato dal mal d'Africa. Fu il Safari più bagnato e fangoso delle 10 edizioni alle quali ho partecipato. La pioggia incessante durò quasi tutti i cinque giorni interi di corsa, mettendo a dura prova sia piloti che vetture, trasformando strade e terreni molto insidiosi e pericolosi. [...] eravamo costantemente bagnati fradici ed impantanati fino ai capelli. In queste condizioni diventava anche più faticoso guidare, perché le scarpe infangate scivolavano facilmente sulla pedaliera. Ovviamente non avevamo la possibilità di cambiarci gli indumenti. In questo modo la fatica era doppia, o tripla di quella che si sarebbe fatta in condizioni più umane. Infatti mi ricordo che alla fine della gara, avevo tutta la schiena piagata, causa lo sfregamento della tuta costantemente bagnata sullo schienale del sedile. Ma l'episodio più "divertente", se però lo chiedete a Piero non credo che sia dello stesso parere, ci era capitato, quando nel bel mezzo della notte, eravamo rimasti dentro ad un guado. Per fortuna c'erano i soliti africani che non vedevano l'ora di rendersi utili, non tanto per farci un favore, ma per raggranellare qualche scellino. Così, mentre Piero scendeva per organizzare al meglio la squadra di "volontari", io ovviamente ero rimasto al volante pronto a sfruttare le spinte. [...] Passavano i minuti ma di Piero neanche l'ombra. Impaziente continuavo a guardare lo specchietto retrovisore, ma tra il buio, la pioggia e la scarsa visibilità posteriore che la Stratos offriva, non riuscivo a vedere niente. Così decisi di aprire la portiera urlando: "Piero...ooo, Piero...ooo", ma niente. [...] Finalmente sentii aprire la portiera destra e vidi Piero catapultarsi dentro ansimando come un mantice, mi disse di partire alla svelta. [...] un po' per la mancanza di fiato, un po' perché era ancora scioccato, non riusciva a parlare. [...] Da lì a poco, Piero si riprese e cominciò a raccontarmi: "...è successo che quando ho preso gli scellini dalla tasca per pagare, uno di loro, un tipo alto e grosso, si avvicina e mi appoggia la punta di un lungo coltello sulla pancia, chiedendomi, oltre ai soldi, di dargli il cronometro che avevo al polso! Rimasi pietrificato dalla brutta sorpresa e dalla paura, ma comunque ho reagito cercando di spiegargli che il cronometro era uno strumento indispensabile per il mio lavoro e che avrei avuto dei problemi a finire la gara. Questi parlava solo swailli e non capiva. [...] Così continuava a premere sempre di più la punta del coltello sulla mia pancia. [...] mentre cercavo di pensare a cosa fare, lui con un rapido movimento mi prese il braccio destro dove avevo il cronometro ed, infilata la lama del coltello sotto il cinturino, con un colpo secco lo tagliò. Fulmineo prese il cronometro e si dileguò nel buio della notte". [...] Anche senza il cronometro ce l'eravamo cavata benissimo, anche perché in una gara così dura, i ritardi si calcolavano a ore e non a secondi. Al traguardo arrivarono solo 7 vetture su una settantina partite e noi finimmo terzi assoluti; niente male. La storia del cronometro però non finì lì. Durante la premiazione raccontammo cosa ci era successo; tra le persone che ci ascoltavano c'era anche un pezzo grosso dell'organizzazione, il quale ha voluto sapere esattamente il luogo dove era successo lo spiacevole inconveniente. [...] dopo qualche settimana mi chiamò [Cesare] Florio, dicendomi che un dirigente della Fiat di Nairobi lo aveva informato che, la polizia keniota aveva recuperato il cronometro e che ce l'avrebbe spedito al più presto. La cosa mi aveva alquanto incuriosito, così telefonai a Nairobi per sapere come la polizia fosse riuscita a scovare il ladruncolo in una zona così impervia ed ampia. "È stato molto facile... – mi disse il mio interlocutore... – come puoi immaginare non c'erano tante persone in quel villaggio che indossassero un cronometro sdoppiante Heuer ultima generazione". E siccome la polizia keniota non è per niente tenera, soprattutto con i propri connazionali, lo presero e lo sbatterono dentro.[19]
- Avete presente il gigantesco Motorshow? Nacque con pochi mezzi e tanta passione: era il novembre del 1975 quando fui invitato da Clay Regazzoni a visitare la sua esposizione di vetture da corsa allestita a Lugano. [...] L'esposizione che Clay era riuscito ad allestire era stata molto interessante perché c'erano vetture sia del passato che attuali veramente importanti. L'ambiente invece lasciava un po' a desiderare. Così, tornando a casa, pensai che se una manifestazione di questo tipo fosse stata organizzata in un centro adeguato ed arricchito con altre attrazioni... La scelta cadde su Bologna, un po' per la sua posizione geografica, un po' perché lì c'era già un quartiere fieristico di prim'ordine. Però le incognite erano molte. Fortunatamente l'idea era piaciuta molto sia ai responsabili dell'ente Fiera, che mi concessero di affittare una buona parte del complesso, sia ai responsabili dei reparti marketing delle grandi aziende come Pirelli e Goodyear che si impegnarono subito acquistando grandi spazi e portando alla mostra diverse macchine da corsa. Questa fu la spinta che mi convinse a proseguire. Così costituii una società con Giacomo Agostini e un'altra persona che già lavorava con me. Il capitale versato per questa operazione fu di 3 milioni di lire. Sissignore il primo Motorshow organizzato nel 1976 partì con questo capitale.[20]
- Oggi agli atleti professionisti si richiedono prestazioni e risultati sempre migliori e non hanno possibilità di "nascondersi", perché con gli attuali mezzi d'informazione è impossibile sfuggire al controllo. Anche per questo il loro equilibrio psicologico è sempre sotto pressione, e basta la minima incomprensione per alterarlo, a scapito del rendimento. Da questa legge non si sottraggono neanche i piloti, anche se il loro può essere considerato uno sport individuale. Ma non è così. Un pilota professionista, a differenza di altri atleti, è sottoposto ad uno stress psicologico molto più forte rispetto agli altri atleti, perché ci sono in gioco altri fattori importanti, primo fra tutti il rischio, molto più elevato che in altri sport. Inoltre i piloti hanno uno "scontro" diretto con i loro compagni di squadra, perché guidano la "stessa" vettura, e quindi i confronti sono più immediati. [...] Se un pilota è più lento di qualche decimo di secondo, perché ha una giornata storta, o ancora peggio perché quello è il suo limite, il tutto viene evidenziato in maniera inconfutabile dalla telemetria, e subito s'incomincia a fare illazioni sulle sue reali capacità. A quel punto la mente del pilota entra in confusione ed il suo rendimento futuro può solo peggiorare, a meno che non sia "capito e assistito" in maniera sottile e delicata da un team manager capace di fargli ritrovare la serenità e la concentrazione necessarie per continuare; altrimenti deve essere così sicuro delle proprie potenzialità, da riuscire a trovare la forza e la determinazione per dimostrare che la défaillance patita era solo un episodio. Per recuperare un pilota con questo stato d'animo, a volte è sufficiente fargli capire che la squadra ha fiducia e si sacrifica per lui. Quindi i risultati di un pilota non sono legati solo alle sue capacità tecniche, ma dipendono molto anche dall'umiltà e dall’intelligenza che si possiedono. Solo così si può instaurare un buon rapporto umano con i componenti del proprio team. L'errore più grave che un pilota possa commettere, è quello di sentirsi un infallibile superman ed avere perciò una scarsa considerazione per il resto del mondo, pensando di riuscire a fare tutto da solo. Un pilota così non diventerà mai un campione del mondo, ricordatevelo.[21]
- Nei rally mondiali dei miei tempi era importante pensare anche alla tattica da adottare, visto la lunghezza e la durezza delle prove, se si voleva ottenere dei risultati. Non era sufficiente solo andare più forte ovunque, anche perché bisognava fare i conti con l'affidabilità della vettura. Non dimentichiamo che si correva con vetture derivate dalla grande produzione, adattate e rinforzate per affrontare prove veramente durissime in qualsiasi angolo della terra ed in tutte le condizioni climatiche. [...] era necessario preparare una tattica che consentisse di "misurare" la propria forza, ma anche quella degli avversari. A questo proposito, quando iniziai a correre, mi adeguai a quello che dettava il buon senso e a quello che facevano tutti; ossia risparmiare la vettura all'inizio per conservarla in buona "salute" per le fasi finali. Dopo alcune gare però, mi accorsi che non era la soluzione ideale. Era vero che si risparmiava la vettura e quindi si poteva spingere di più, poi, ma era altrettanto vero che io non ero così fresco per sfruttarla al meglio. Così pensai ad altre alternative e cambiai decisamente atteggiamento, contrariamente a quello che continuavano a fare gli altri. Rivoluzionando così quello che in teoria sembrava essere l'unica maniera per affrontare gare così impegnative. Da allora misi in atto la "Tattica del Drago" che consisteva nell'anticipare le ostilità. Mi preparavo molto bene nelle prime prove speciali, così potevo attaccare subito al massimo, sorprendendo tutti. In questo modo sfruttavo al meglio le ancora intatte potenzialità della vettura e la mia freschezza e lucidità. Quando raggiungevo un margine di vantaggio che mi garantisse una certa tranquillità, mi limitavo a controllare gli avversari. Ovviamente esistevano sempre gli imprevisti [...]. In quei casi lì devi mandare a monte tutte le strategie, rimboccarti le maniche, tirare fuori la grinta ed attaccare di nuovo come se fossi stato all'inizio. Questa tattica inizialmente diede i suoi frutti, poi anche gli altri si "convertirono", ma nel frattempo arrivò la Stratos ed allora...[22]
- La Fulvia Coupé? È nata nel 1965 con un motore 4 cilindri di 1.200 centimetri cubici ed il cambio a 4 marce, ma solo due anni dopo arriva la famosa versione HF con motore maggiorato fino a 1.300 cc, cambio a 4 marce e la carrozzeria costruita con parti in alluminio. Più vetri delle porte e del lunotto posteriore in plexiglas. Sempre nel '67 poi vennero anche preparati cinque motori 1.400 cc, ed allestiti altrettanti prototipi, che parteciparono al Tour de Corse. Una di queste vetture per l'occasione fu affidata al sottoscritto, che in coppia con il compianto Luciano Lombardini portai alla vittoria. [...] Quella del Tour de Corse comunque fu la prima grande vittoria della Fulvia HF ed anche l'ultima partecipazione ai rally del motore 1.400 cc. Nel 1969 il motore della Fulvia HF subì l'ultimo aumento di cilindrata che venne portata a 1.600 cc. Anche il cambio finalmente venne allestito con 5 rapporti. E questa rimase l'ultima versione della Fulvia HF che prima di uscire di produzione, ha voluto lasciare un altro segno indelebile nel mondo rallystico conquistando con il sottoscritto e Mario Mannucci, l’edizione del Rally di Montecarlo nel 1972. Come mai ci volle così tanto tempo per arrivare ad avere una vettura più performante? Il problema più grosso da superare fu quello di convincere il progettista della Fulvia Coupé, l'ing. Fessia, che la vettura così come l'aveva concepita non era abbastanza veloce per un uso sportivo. Lui, non solo non collaborò, ma osteggiò qualsiasi tentativo di miglioramento, perché secondo lui, era il massimo così, tanto che si dovettero costruire i pezzi necessari per piccoli miglioramenti a sua insaputa, e quindi, fuori dal reparto corse. Solo dopo la sua morte, si poterono costruire il cambio a cinque rapporti ed il motore 1.600 cc...[23]
- [Sul Safari Rally] [...] una gara unica nel suo genere, imprevedibile e quindi sfuggente, ma affascinante e ricca di storie incredibili che hanno caratterizzato buona parte della mia vita di pilota e non. Quando sentivo parlare da amici che mi raccontavano di soffrire di mal d'Africa, non capivo cosa volesse dire; lo capii nel 1969 quando ci andai per la prima volta. Allora il rally si chiamava ancora East Africa Safari. [...] Fui subito colpito dalla bellezza di quella parte dell'Africa (per me tra le più belle) con paesaggi stupendi, dove gli spazi immensi ti facevano sentire come l'unico essere vivente a godere di quelle bellezze. Per non parlare del contatto "ravvicinato", a volte fin troppo, che potevi avere con la numerosissima fauna selvatica. Migliaia di animali di specie diverse brulicavano attorno a te, senza che nessuno li controllasse o li obbligasse a stare rinchiusi in un recinto. Tutto questo mi procurava un piacevole senso di libertà che provavo solo in quella terra in parte brulla e arida, ma anche ricca di vegetazione rigogliosa e generosa per gli squisiti frutti tropicali che offriva e che potevi raccogliere senza chiedere niente a nessuno. La stessa sensazione la provavo quando avevo la possibilità di stare a contatto con la gente, soprattutto con coloro che vivevano fuori dai grandi insediamenti, quindi liberi di muoversi e di vivere le loro giornate come meglio credevano. Anche se la vita di queste persone era una continua lotta per la sopravvivenza, vedevi e sentivi in loro l'altera fierezza che può dare solo la libertà.[24]
- Tra le tante qualità che un navigatore deve avere, la più importante è quella di trovare il massimo dell'affiatamento e il sincronismo perfetto nella lettura delle note. Inoltre deve essere anche un psicologo. Deve interpretare al meglio le esigenze del pilota, per cui deve conoscerlo profondamente per assecondarlo in tutte le situazioni e necessità. Solo così il pilota acquisirà fiducia e tranquillità, elementi indispensabili per andar forte e ottenere dei grandi risultati.[25]
2003
[modifica]- Vi siete mai chiesti per quale ragione un pilota vada più forte di un altro a parità di mezzo? Di solito si pensa che il motivo sia un fattore legato al maggior coraggio, o all'incoscienza del soggetto. Nient'affatto! Questa differenza la fa proprio la sensibilità, perché è lei che determina il limite di percorrenza in curva. Quindi chi avrà una sensibilità più sviluppata avrà la possibilità di spostare il suo limite più in alto e portare la sua vettura al limite massimo. Ovviamente a favore di una maggior velocità, con conseguente diminuzione del tempo sul giro o su una prova speciale. Ma vediamo quello che mi è successo al Tour de Corse del '76. Dopo una lunga e tormentata prova speciale, non solo per le curve ma anche per il fondo stradale sconnesso, dove ovviamente certe "finezze" era impossibile avvertirle, raggiungo la statale che congiunge Bastia ad Ajaccio. Nelle poche centinaia di metri che mi separavano dall'assistenza, avverto un comportamento anomalo, quasi impercettibile sul posteriore. La prima cosa che dissi all'Ing. Mike Parkes, responsabile tecnico della squadra Lancia, fu quella di far controllare il braccetto del triangolo posteriore destro. Subito un meccanico s'infilò sotto la vettura e dopo aver controllato disse a Mike che tutto era a posto. A quel punto sentii Mike, che mi conosceva bene, ribattere al meccanico con tono perentorio di riguardare meglio: "Se Sandro dice che qualcosa non va, deve esserci assolutamente qualcosa". Alcuni istanti dopo lo stesso meccanico disse che aveva stretto un contro dado del triangolo inferiore della sospensione posteriore destra che era leggermente svitato. Ecco, in questo caso se non avessi avvertito niente sarei partito per la successiva prova speciale che tra l’altro era lunga 94 chilometri e quasi sicuramente non ne sarei mai uscito. Il merito di aver scongiurato un guaio certo è da attribuire soltanto alla sensibilità che mi ha permesso di percepire quell'impercettibile movimento.[26]
- Da ex pilota ho sempre dato una grande importanza alla pole position, più che alla vittoria del GP. Questo perché il risultato delle prove ufficiali dimostra chi è realmente il binomio più forte. La vittoria finale del GP non sancisce la stessa superiorità, in una buona parte dei casi. Abbiamo visto spesso vincere un GP piloti che addirittura lo apprendevano a corsa conclusa.[27]
- Nell'agosto 1973 gli organizzatori del rally delle Azzorre mi invitarono a partecipare alla loro gara. L'invito in forma gratuita, era valido per l'equipaggio, per una vettura ed anche per le consorti dei piloti. Per gli organizzatori questo scambio "culturale" doveva risultare un'operazione di marketing atta a promuovere le loro isole a scopo turistico. Così chiesi a Cesare Fiorio D.S. Lancia se mi poteva prestare una Fulvia HF 1600 per "correre" il Rally di Sào Miguel de Acores, in forma privata. Cesare mi disse che avrebbe potuto prestarmi solo un muletto, perché le vetture "buone" dovevano essere disponibili per i prossimi impegni mondiali. Con Mario Mannucci e le nostre mogli partimmo per le Azzorre. [...] Il viaggio aereo non fu tra i più lineari, perché dopo essere atterrati all'aeroporto dell'isola di Santa Maria dovemmo aspettare la partenza del volo, che era previsto purtroppo per il mattino successivo. In attesa della coincidenza fummo "alloggiati" all'interno di un campo base militare americano. Come potete immaginare non era il massimo del comfort e delle nostre aspettative. D'accordo che eravamo in "vacanza premio", ma un trattamento del genere non ce lo saremmo mai aspettato. Dopo una notte insonne, finalmente atterrammo all'aeroporto di Ponta Delgado sull'Isola di Sào Miguel dove era prevista la nostra base operativa. Per fortuna l'accoglienza "principesca" che i nostri ospiti ci avevano riservato all'arrivo ci fece dimenticare quanto di spiacevole era successo nelle ore precedenti. Ad attenderci in prossimità della scaletta dell'aereo, oltre agli ai rappresentanti politici, c'erano gli organizzatori della manifestazione che avevano predisposto anche delle lussuose vetture con relativi Chauffeur. Questa bellissima e festosa accoglienza, mi riportò inevitabilmente a fare un parallelismo con un'altra situazione già vissuta in passato. Era il 1968, eravamo atterrati all’aeroporto di Beirut. Bellissima e fastosa accoglienza all'arrivo, mentre alla partenza dovemmo scappare a piedi per non essere coinvolti nei primi tafferugli che davano inizio ad una lunga guerra interna. Fu solo un pensiero veloce e subito fugato, anche perché non potevo certo pensare di dover rivivere un'altra situazione simile a quella libanese. Sarebbe stata una coincidenza troppo forte da accettare. [...] Il percorso di gara non era molto lungo, viste le ridotte dimensioni dell'isola. Fare le ricognizioni fu uno scherzo, perché le prove speciali, tutte su fondo sterrato (lavico) molto abrasivo per i pneumatici, si ripetevano tre volte e la distanza tra loro era molto limitata. [...] Purtroppo per noi le cose non si misero subito bene. Infatti nel breve tragitto che separava la zone delle le verifiche e il parco chiuso, si ruppe un giunto omocenetico della nostra Fulvia. Sapendo di non disporre di quel particolare pezzo di ricambio, il mio umore precipitò nel più profondo dei baratri. Anche perché se non fossimo riusciti nemmeno a prendere la partenza, avremmo fatto una figura veramente da cani. Per fortuna, almeno per quel frangente, trovammo un artigiano del luogo che con un intervento proverbiale, lavorando al tornio tutta la notte, riuscì a ricavare un semiasse nuovo da uno vecchio, di un autocarro Peugeot. [...] Dopo aver percorso un centinaio di chilometri di trasferimento, affrontiamo la prima prova speciale, che vinciamo abbastanza agevolmente. [...] a parte il primo exploit, non è che le cose andassero troppo bene. Il motore della nostra Fulvia HF cominciava a perdere dei colpi e a metà della successiva prova speciale si ruppe il giunto "rifatto" e fummo costretti a ritirarci anche noi. Ovviamente questo doppio ritiro dei due equipaggi favoriti non fu molto gradito agli organizzatori e neanche dai tantissimi appassionati. Per loro questa nostra partecipazione rappresentava un'occasione per vedere all'opera degli equipaggi "ufficiali" conosciuti in tutto il mondo. Anch'io ero ovviamente amareggiato: prima per la figura che avevo rimediato, secondo non mi aspettavo che Fiorio mi prestasse una vettura che in quell'occasione si dimostrò un vero catorcio.[28]
- [...] per la vera consacrazione, Ferruccio Lamborghini dovette attendere la nascita della vettura che per audacia stilistica e per i contenuti tecnologici rivoluzionari, sconvolse infatti ogni regola costruttiva tradizionale. Era nata la Miura: motore posteriore centrale 12 cilindri e 4 litri, montato su telaio di lamiera piegata e saldata e fu presentata al salone di Ginevra nel 1965. Il successo fu così enorme da essere eletta subito la reginetta del salone. Ferruccio, ma non si è mai saputo perché, la chiamò Miura, nome di un'importante razza di tori spagnoli da combattimento. Probabilmente perché lui era nato, come dicevo all'inizio, sotto il segno del toro e da qui aveva ricavato l'altero stemma ed usato in tutte le sue attività industriali.[29]
- [Sul Gran Premio motociclistico di Catalogna 2003] [...] la vittoria della Ducati sul circuito di Montmelò in Spagna, con il tenace e coriaceo Loris Capirossi in sella alla Desmosedici, ha un sapore di uno storico doppio trionfo. Primo perché la casa di Borgo Panigale si è presentata sul palcoscenico mondiale della MotoGP da pochi mesi. Ciò nonostante, alla sesta gara è riuscita a salire sul gradino più alto del podio, ossia nell'olimpo della classe regina. Inoltre, con questa vittoria tutta italiana, ha destituito un record che resisteva da 29 anni. Era infatti il 1976, quando un altro binomio, composto da Giacomo Agostini in sella alla mitica MV Agusta, vinse in Germania sul temibile anello di 22 km del circuito del Nurburgring. Vittorie come quella spagnola, devono essere un vanto per tutti noi sia che siamo patiti delle due ruote, sportivi in genere, o semplicemente italiani.[30]
- [Sulla Terra dei Motori] Potrebbe sembrare una coincidenza che tutte le grandi realtà motoristiche che hanno fatto scrivere pagine di storia indelebili per più di un secolo, abbiano tutte origini emiliane. Ma non è così. Non è per caso che nell'asse Bologna – Modena e dintorni, siano cresciuti uomini capaci ed ostinati che abbiano dato vita ad industrie meccaniche che tutto il mondo ci invidia da sempre. Sembra invece, sia stato individuato, che tutto sia nato alla fine dell'ottocento con l'attuazione di un programma scolastico basato sull'istruzione tecnica-professionale. Questo ha contribuito a far crescere imprenditori, tecnici ed operai qualificati, subito assorbiti dalle industrie meccaniche della regione. Questa è la forza della tecnologia motociclistica italiana, che si contrappone allo strapotere economico, in particolare quello nipponico, con singole realtà, identificabili in giovani tecnici altamente preparati. "Armati", oltre che da una preparazione tecnica invidiabile, anche da doti determinanti, come ingegno, intuizione e fantasia. Qualità quasi sconosciute dai loro rivali.[30]
- Ipotizziamo che un bel giorno, una casa automobilistica importante, si rivolga a voi per affidarvi l'incarico di progettare una vettura dalle caratteristiche esclusive e particolari. Partendo da uno schema tradizionale: motore anteriore e trazione posteriore. Da quale elemento fondamentale iniziereste a dar vita al vostro "capolavoro"? La risposta esatta è, dal motore! Infatti, solo la conoscenza delle dimensioni e delle caratteristiche del propulsore: ingombri, pesi, prestazioni, ci aiuterà a gettare le basi per disegnare telaio, sospensioni e carrozzeria più idonee. Se poi aggiungiamo una scocca che offra un ottima rigidità flessionale e torsionale, otteniamo una vettura con una tenuta di strada ideale. Questo a vantaggio del puro piacere di guidare tutti i giorni una vera vettura sportiva e come tale in grado di offrire al guidatore sensazioni ed emozioni molto forti, garantendogli soprattutto tanta sicurezza in più, con minore impegno di guida. È il caso della Mazda RX-8. I suoi progettisti disponendo di un motore rotativo, leggero e dalle dimensioni molto ridotte, hanno potuto posizionarlo vicino al baricentro della vettura. Questo gli ha consentito, non solo di ottenere una distribuzione omogenea dei pesi su entrambi gli assi, ma anche di realizzare una silhouette armoniosa e accattivante.[31]
- [...] nel 1981 l'Ing. Giulio Alfieri, su richiesta dei nuovi proprietari [Lamborghini], i fratelli francesi Mimran, ripesca un progetto che era stato messo in disparte. La vettura in questione si chiamava "Cheetah", ossia ghepardo; era stata presentata al salone di Ginevra nel 1977. La ragione dell'accantonamento era legata a controversie legali, impugnate da una casa automobilistica americana, che rivendicava la paternità del progetto. Superati anche questi problemi, l'Ing. Alfieri si mette al lavoro. Il nuovo progetto differisce dal precedente in tutto. Ne esce una vettura incredibile, per stazza, 2.800 kg, per potenza; il suo 12 cilindri di 5.200 cc. sviluppa 450 CV e una coppia di 500 Nm, per velocità, oltre 210 km orari. La "LM 002", questa è la sigla che la contraddistinguerà, sarà ricordata anche per essere la capostipite di una categoria di veicoli [...], i "SUV" (Sport Utility Vehicle). Purtroppo questo eccezionale veicolo, non ebbe grande fortuna. Un po' per il prezzo, 250 milioni di lire; un po' perché non offriva un grande comfort, in quanto nasceva come un veicolo militare. Per cercare di renderlo più "umano", sono state apportate delle sostanziali modifiche. Purtroppo anche queste migliorie non sono servite a soddisfare i clienti, sportivi sì, ma esigenti. [...] Questa vettura, la conosco molto bene. Nel 1987 sono approdato come consulente tecnico, p.r. ed ufficio stampa, in casa Lamborghini e ho avuto modo di seguire le varie fasi dello sviluppo. Addirittura ne ho trasformate e preparate due in versione Parigi – Dakar. Era arrivata infatti una richiesta da parte di un gruppo francese, d'acquistare due vetture preparate di tutto punto, per farle partecipare alla massacrante, maratona africana. [...] A lavori finiti la "LM002" era "dimagrita" di 400 kg [...]. Dopo aver fatto i tantissimi, ma necessari collaudi, su tutti i tipi di terreno; sabbia, pietraie, buche, dossi ecc... ero veramente soddisfatto. Per un ulteriore verifica, partecipai al Rally di Grecia con Mario Mannucci. Anche qui si dimostrò velocissima e molto affidabile. Così provvedemmo a preparare anche la seconda vettura. Tutto era pronto nei tempi stabiliti. Purtroppo i commissionari del programma declinarono l'impegno. La scusa era l'impossibilità di reperire la cifra necessaria per l'acquisto. A quel punto le vetture rimasero a Sant'Agata e successivamente vendute a dei collezionisti. Ancora ora, quando ci penso, provo un grande rammarico per non averle mai viste "volare" sui terribili sterrati africani. Sono sempre convinto che con una buona organizzazione, avrebbero avuto il potenziale per vincere la Dakar.[32]
- [Sulla Lancia Fulvia Coupé HF] [...] era appena nata, ma dimostrava già carattere vivace e temperamento altero, lasciando intendere di avere un potenziale enorme per emergere e per farsi distinguere da tutte le altre. [...] quando il destino ci fece incontrare, l'innamoramento fu totale. La prima volta che mi sedetti al suo interno e le feci muovere i primi passi, capii subito che avevo tra le mani una puledra di razza e che insieme avremmo potuto fare delle cose importanti. Entrai subito in simbiosi con questo prezioso "pezzo" di ferro, riuscendo a farle fare quello che desideravo. Lei non si tirava mai indietro, caparbia, tenace e generosa com'era. Più le difficoltà aumentavano – sterrati, neve, fango, ghiaccio – e più si esaltava assecondandomi al massimo. Quanti dolci ricordi ho vissuto all'interno di quell'essenziale abitacolo. Abbiamo trascorso tanti giorni e notti insieme, tanto da diventare la mia casa viaggiante. Ma lo spettacolo più bello fu quando andammo a vincere, contro ogni pronostico, il terribile Tour De Corse (c'eravamo da poco messi insieme, era il 1967), vittoria che tra tutte ritengo la più prestigiosa ed esaltante delle nostre rispettive carriere. Eravamo entrambi novellini e in più il terreno era tutto asfalto e tortuoso, non l'ideale per le caratteristiche della Fulvia HF. Meno male che essendo novembre ogni tanto c'erano dei tratti di strada coperti da castagne e foglie, che rendevano l'asfalto più scivoloso. Comunque riuscimmo a sbaragliare la foltissima concorrenza, in particolare, la favoritissima "Armata Bleu", composta da otto berlinette Alpine Renault, guidate dai più forti specialisti del momento. Ancora oggi provo un grande piacere ricordarlo.[33]
- Per quanto riguarda il mondo dei rally, devo dire che lo stravolgimento dei concetti tecnici e regolamentari non sono stati così evidenti come in F1. Ciò nonostante il solo impiego delle quattro ruote motrici avvenuto negli anni '80, per merito o colpa dell'Audi, ha contribuito non poco a livellare i valori umani. [...] Il primo esempio che faccio a supporto di quanto sto dicendo, riguarda un pilota donna, certa Michelle Mouton. Anche qui, vi prego, non taciatemi di maschilismo, anche perché lei era la donna più forte che sia apparsa nella scena rallistica mondiale. Tuttavia, fino a quel momento, non era riuscita ad andare oltre a dei pur significativi ed importanti piazzamenti, sopravanzando spesso ottimi piloti maschi. Quando invece è salita sull'Audi quattro, addirittura ha vinto un rally mondiale, quindi...[34]
- Il GP degli Stati Uniti [2003] che si è corso nel catino della celebre pista di Indianapolis, tracciato rivisto per l'occasione, ci ha fornito diversi spunti interessanti; non tutti positivi [...]. Prima di vedere come andassero le cose ad Indianapolis, voi avreste scelto una pista così assurda per far disputare una gara decisiva per l'assegnazione del titolo mondiale? Quella è una pista da kermesse amatoriale, dove di difficoltà tecniche non ce ne sono. Non esiste una curva veloce. Non parlatemi di quella lunga a destra che immette sul rettilineo, che si fa in pieno e tutta in accelerazione. Di frenate importanti forse una, il resto può essere scambiata per una pista da go-kart. Ma siccome l'America è un mercato interessante per i produttori di automobili, allora il Dio denaro ha detto che bisogna correre lì, e tutti in coro, signorsì Generale![35]
- Eravamo nel 1970, quando al reparto Corse Lancia, ci siamo resi conto che con la Fulvia HF diventava sempre più difficile contrastare l'agguerrita concorrenza. Così si è incominciato a pensare a come sostituirla. Ovviamente la nuova nata doveva avere caratteristiche molto più "bellicose". Il compito era ancora più arduo, perché le risorse aziendali da destinare ad un progetto così importante erano molto limitate. Era necessario raggruppare quante più informazioni possibili, per intraprendere un percorso che ci portasse direttamente all'obiettivo finale, tenendo sotto controllo i costi. Per questo si era puntato il nostro interesse sulla Dino Ferrari 246. Questo per vari motivi; il primo perché in quel periodo la Lancia era stata assorbita dal gruppo Fiat. Questo ovviamente ci avrebbe facilitato ad avere dei contatti diretti con la Ferrari. L'obiettivo era il motore che la casa del cavallino montava sul Dino 246. Però dal momento che non avevamo una conoscenza approfondita di questo propulsore, [Cesare] Fiorio decise di effettuare una prova. Previa disponibilità della Ferrari, l'idea era di partecipare al Tour de France con la Dino di serie. Idea al quanto impegnativa. Ma lo scopo era di ottenere delle informazioni, relative alle effettive prestazioni che una vettura con caratteristiche simili a quelle che si avrebbe voluto realizzare, (motore posteriore centrale) potesse fornire. Una volta ottenuta la vettura dalla Ferrari; Fiorio mi chiama per dirmi che avrei dovuto occuparmi io dei test. Neanche farlo a posta, tutto ciò accadeva in Agosto, era l'unico periodo, per me di riposo, perché non c'erano corse. Risultato, le "vacanze" le feci sulle strade delle montagne francesi e sui tracciati incandescenti delle piste transalpine. Il rapporto che feci al mio rientro non fu molto positivo in quanto una vettura di "serie" per quanto sportiva fosse, non ha mai quel "carattere" corsaiolo, elemento indispensabile per diventare interessante sotto il profilo prestazionale. [...] In conclusione non partecipammo al Tour de France, ma il test fu comunque valido perché ci aveva dato informazioni sufficienti per capire meglio come avrebbe dovuto essere la nuova Lancia: motore Dino 246 montato posteriormente in posizione centrale, rivisto e potenziato; carrozzeria due posti disegnata da Bertone, ingombri limitati, peso al limite della fiche d'omologazione. Era nata la Stratos![36]
- Tornando alla F1 ed ai gommisti in particolare [...] c'è da notare che in questo momento sono loro i "depositari" delle performance delle monoposto odierne. Mi spiego meglio! I pneumatici sono sempre stati importanti, ma a mio avviso, mai come oggi. Questo elemento che era considerato un accessorio fino a qualche tempo fa, ora è diventato così determinante da tenere in mano le sorti delle squadre che al contrario si affannano a migliorare questo o quell'altro particolare, per guadagnare, in termini di tempo, solo qualche spicciolo di centesimo di secondo. Una volta c'erano il bravo motorista e il bravo telaista che facevano fare il salto di qualità alle loro monoposto. Oggi i "gommisti" sono diventati i maggiori artefici dei successi dei loro assistiti. Dispongono di un margine di miglioramento enorme. A loro basta "azzeccare" una mescola appropriata al tipo di asfalto nel momento giusto per "regalare" ai propri partner parecchi decimi di secondo. Pertanto sono loro che rappresentano la componente tecnica più importante dell'intero apparato della F1 di oggi. Per fortuna dei team, i costruttori di pneumatici non si sono ancora resi conto quanto sia grande la loro forza contrattuale. Infatti, continuano a pagare ai team fior di milioni, per avere il privilegio di fornirgli le "armi" vincenti. Quando realizzeranno realmente quanto sono potenti... Allora ne vedremo delle belle.[37]
- [Sulla Targa Florio] L'alone di gloria e fascino sportivo che ancora oggi circondano questa mitica competizione, è così forte da aver attirato sul tracciato delle Madonie, tantissimi appassionati e soprattutto i grandi "manici" dell'automobilismo. [...] Nessuno avrebbe potuto resistere alla "Sirena" delle Madonie; per la bellezza e le difficoltà del tracciato, ma anche per il calore e l'entusiasmo che gli oltre 600.000 appassionati, assiepati lungo i 72 chilometri del percorso, attribuivano a tutti i concorrenti. (nessuna manifestazione sportiva al mondo ha mai registrato un affluenza di pubblico così numeroso).[38]
- [...] il "Preside Volante", così è ricordato con grande affetto ancora oggi Ninni Vaccarella, il fortissimo pilota siciliano. Questo appellativo, per chi non lo sapesse, gli è stato dato in quanto era preside di una grande scuola di Palermo e nei ritagli di tempo si vestiva da pilota e andava a correre... veloce come il vento. Ninni ha corso in tutto il mondo, sia con i Prototipi che in Formula Uno, con le più prestigiose vetture dell'epoca; Ferrari, Maserati ecc., vincendo ovunque. Ma Ninni resta per tutti il "Mago" della Targa Florio, per aver iscritto nell'albo d'oro il proprio nome per ben 3 volte.[38]
- [Sulla Lancia Fulvia Concept] [...] mi ha colpito favorevolmente, per la sua linea armoniosa ma decisa, dove traspaiono nitide somiglianze con la sua antenata. [...] La sensazione che ho avuto appena mossi i primi passi con la nuova Fulvia, è stato di sentirmi tutt'uno con lei. Poche volte ho provato questa sensazione, pur avendo guidato centinaia di vetture diverse. Questo significa che la vettura ha delle caratteristiche innate, che opportunamente riviste, potrebbero diventare interessanti anche sotto il profilo "corsaiolo". L'impressione di guida che ho avuto è in sostanza molto buona, se pensiamo che si tratta di un prototipo e soprattutto che è alle prime armi. [...] questa Fulvia ha tutte le carte in regola per diventare una vettura dal grande futuro commerciale ed anche sportivo; in questo ultimo caso la trazione integrale è d'obbligo. Si sente però dire che ai vertici Lancia non abbiano ancora deciso se produrla o meno. A questo punto mi sbilancio del tutto, perché francamente non ne capisco i motivi, anche se fossero di natura economica. Da anni in Lancia non nasceva una vettura con questo potenziale. Non voglio polemizzare o criticare nessuno. Ma se la Lancia non investe in questo modello, che è valido sotto tutti i profili, tecnici, estetici, e con passato storico invidiabile, con che cosa pensa di recuperare il terreno perduto? Clin-Clon... Ultimo avviso! Il treno Torino - Montecarlo passa una sola volta. Affrettatevi a costruirla e a farla correre! Il successo è assicurato, parola del Drago.[39]
- La prima volta che vidi una Mini Cooper S in "diretta" fu nel lontano 1966, stavo effettuando le ricognizioni del mio primo Rally di Montecarlo. Il "giocattolo" mi incuriosì per le sue ridotte dimensioni e per la sua leggerezza, armi che si rivelarono subito vincenti. Doti che la vetturetta inglese aveva già messo in evidenza, imponendosi in competizioni importanti come il Rally di Montecarlo già nelle due precedenti edizioni. Ebbi l'occasione di guidarla, anche se per pochi chilometri, sui tornanti del Turinì. Mi impressionò per la sua maneggevolezza e la facilità d'inserimento in curva e la velocità in uscita. Mi resi subito conto che in gara con la "mia" imponente Flavia Coupé non avrei avuto nessuna possibilità di sopravanzarla. Così fu! [...] Il merito di questi risultati conseguiti sul campo, dall'"inglesina" tutto pepe, è da attribuire sicuramente al talentuoso tecnico albionico John Cooper. Infatti lui capì subito che il punto di forza della vetturetta inglese, era rappresentata dall'eccezionale tenuta di strada, e nel motore il punto debole. Così si concentrò nel potenziamento del piccolo propulsore, trasformando il brutto "anatroccolo" in un bellissimo "cigno" vincente.[40]
- Un tempo le discipline sportive erano regolamentate da norme ben precise atte a tutelare gli interessi di tutti gli atleti appartenenti a qualsiasi sport. Quindi esisteva un potere sportivo che sovrintendeva in maniera assoluta su tutto e su tutti. Oggi non è più così, i poteri sportivi hanno abdicato nel nome del solo unico ed assoluto potere, impersonato dal dio televisione. Fenomeno che si sta allargando sempre di più e che condiziona qualsiasi atleta di qualunque disciplina di appartenenza. A questa regola ovviamente non sfuggono nemmeno i rally. [...] Spero mi sia consentito fare una netta distinzione, tra ora ed il passato. [...] Spero di non essere tacciato di retorica; ma solo chi ha effettivamente corso e anche chi semplicemente ha assistito e vissuto appassionatamente nella nostra epoca, può capire cosa fossero i Rally veri. Dove piloti e navigatori tenaci, sprezzanti del pericolo e della fatica restavano seduti nell'abitacolo (non da fermi) per giorni e notti senza soste, sfidando il fango, o la polvere nel torrido caldo africano, o la neve della Svezia a temperature di 42 gradi sotto zero, con prove lunghe centinaia di chilometri e anche migliaia. Questi erano i Rally.[41]
Citazioni su Sandro Munari
[modifica]- All'alba degli Anni Settanta, quando transitavo dalle elementari alle medie, Munari era un idolo generazionale. Lui nei rally, al volante della Lancia (HF, credo) sulle curve del Col de Turini, era come i gol di Gigi Riva, gli slalom di Gustavo Thoeni, le pedalate di Felice Gimondi. Un riferimento assoluto. Quando Enzo Ferrari chiamò Munari a vincere la Targa Florio del 1972, insieme ad Arturo Merzario, passai una domenica pomeriggio ascoltando le notizie su Radio Rai, che poi all'epoca era l'unica radio, a onde medie. E la Stratos? E le delusioni del Safari? A volte penso che chi è nato molto dopo di me abbia sì la gioia dei troll su Internet, povere infelici teste di cazzo protette dal nickname, e via delirando. Ma che cosa si sono persi?!? Mi si obietterà: sei un barbogio nostalgico. Infatti lo sono e non me ne frega una beata mazza. (Leo Turrini)
- Per noi di Bassano del Grappa, il Rally era un momento sacro. Andavamo con largo anticipo per assicurarci i posti migliori e aspettavamo le auto per ore. Poi, ad un certo punto, da lontano arrivava il rombo potente dei motori. Adrenalina, attrazione, vocazione: è difficile spiegare cosa provassi in quel momento, ma quando vidi il grande Sandro Munari condurre la sua Fulvia con una maestria unica al mondo, rimasi incantato. Capii allora qual era la mia strada. (Miki Biasion)
Note
[modifica]- ↑ Da una conferenza al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica di Milano, 11 marzo 2000; citato in Marco Cariati, La Lancia Stratos e i ricordi di Sandro Munari, storiedirally.it.
- ↑ Dall'intervista Tragedia a Frosinone, Munari: la fatalità è sempre possibile. Il buio la causa? Non credo, ilsussidiario.net, 9 agosto 2012.
- ↑ Da Io, la Stratos e i bufali, kwmotori.kataweb.it, 9 febbraio 2001.
- ↑ Da Un volo di Ottantadue metri, kwmotori.kataweb.it, 16 febbraio 2001.
- ↑ Da Quella volta che tagliai il traguardo in testacoda, kwmotori.kataweb.it, 18 maggio 2001.
- ↑ Da Quel 'Montecarlo' del 1976, kwmotori.kataweb.it, 9 luglio 2001.
- ↑ Da Trattative nella savana, kwmotori.kataweb.it, 31 luglio 2001.
- ↑ a b Da Il fascino del rally, kwmotori.kataweb.it, 10 agosto 2001.
- ↑ a b Da Gli "uomini HF" (prima parte), kwmotori.kataweb.it, 17 agosto 2001.
- ↑ Da 'Lamborghini Diablo, che fatica domarla!', kwmotori.kataweb.it, 31 agosto 2001.
- ↑ Da Prove aerodinamiche a Monza?, kwmotori.kataweb.it, 24 settembre 2001.
- ↑ Da Targa Florio 1973 con la Stratos: indimenticabile!, kwmotori.kataweb.it, 14 novembre 2001.
- ↑ Da Il rally stregato, kwmotori.kataweb.it, 19 dicembre 2001.
- ↑ Da Maledetto Sanremo!, kwmotori.kataweb.it, 27 dicembre 2001.
- ↑ Da La Targa Florio e la nuova Alfa 156 GTA, kwmotori.kataweb.it, 31 gennaio 2002.
- ↑ Da La nascita della Stratos, kwmotori.kataweb.it, 13 febbraio 2002.
- ↑ Da Come si guidava la Fulvia HF, kwmotori.kataweb.it, 20 febbraio 2002.
- ↑ Da Fare il collaudatore, che mestiere!, kwmotori.kataweb.it, 4 aprile 2002.
- ↑ Da Al Safari rally senza cronometro, kwmotori.kataweb.it, 17 aprile 2002.
- ↑ Da Il MotorShow? Nacque così, kwmotori.kataweb.it, 24 aprile 2002.
- ↑ Da L'importanza dei rapporti fra team e pilota, kwmotori.kataweb.it, 2 maggio 2002.
- ↑ Da Vi svelo un segreto: la 'Tattica del Drago', kwmotori.kataweb.it, 29 maggio 2002.
- ↑ Da Fulvia Coupé Story, kwmotori.kataweb.it, 5 giugno 2002.
- ↑ Da Safari, addio!, kwmotori.kataweb.it, 10 ottobre 2002.
- ↑ Da Navigatori, che gente! (prima parte), kwmotori.kataweb.it, 6 novembre 2002.
- ↑ Da Tour de Corse 1976, una questione di sensibilità, kwmotori.kataweb.it, 27 febbraio 2003.
- ↑ Da F1: cambiate le regole!, kwmotori.kataweb.it, 27 marzo 2003.
- ↑ Da Azzorre 1973: il rally-vacanza, kwmotori.kataweb.it, 30 aprile 2003.
- ↑ Da Lamborghini e i suoi primi 40 anni, kwmotori.kataweb.it, 14 maggio 2003.
- ↑ a b Da Capirossi-Ducati: vittoria storica, kwmotori.kataweb.it, 19 giugno 2003.
- ↑ Da Su strada (e in pista) con la Mazda RX-8, kwmotori.kataweb.it, 4 luglio 2003.
- ↑ Da Tutta la storia della 'Jeep' Lamborghini, kwmotori.kataweb.it, 10 settembre 2003.
- ↑ Da Fulvia coupé: "Perché non l’avete fatta prima!", kwmotori.kataweb.it, 16 settembre 2003.
- ↑ Da L'evoluzione delle macchine da rally, kwmotori.kataweb.it, 24 settembre 2003.
- ↑ Da Formula 1 al bivio: o si cambia, o..., kwmotori.kataweb.it, 1º ottobre 2003.
- ↑ Da Al Tour de France con la Dino Ferrari 246, kwmotori.kataweb.it, 8 ottobre 2003.
- ↑ Da La Formula 1? È schiava delle gomme, kwmotori.kataweb.it, 29 ottobre 2003.
- ↑ a b Da La mia targa Florio, kwmotori.kataweb.it, 7 novembre 2003.
- ↑ Da In pista con il prototipo della nuova Fulvia, kwmotori.kataweb.it, 20 novembre 2003.
- ↑ Da Io e la Cooper S da 200 Cavalli, kwmotori.kataweb.it, 27 novembre 2003.
- ↑ Da Rally addio?, kwmotori.kataweb.it, 4 dicembre 2003.
Altri progetti
[modifica]- Wikipedia contiene una voce riguardante Sandro Munari
- Commons contiene immagini o altri file su Sandro Munari