Utente:Mariomassone
Dracula - L'amore perduto
| Titolo originale |
Dracula: A Love Tale |
|---|---|
| Lingua originale | inglese |
| Paese | Francia, Regno Unito |
| Anno | 2025 |
| Genere | orrore, romantico |
| Regia | Luc Besson |
| Soggetto | dal romanzo Dracula di Bram Stoker |
| Sceneggiatura | Luc Besson |
| Produttore | Virginie Besson-Silla |
| Interpreti e personaggi | |
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| Doppiatori italiani | |
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Frasi
[modifica]Dialoghi
[modifica]Citazioni su Dracula - L'amore perduto
[modifica]- Dracula diventa reale attraverso l'immaginazione, e si trasforma in un amico o in un nemico a seconda della sensibilità dello spettatore. Quello di Luc Besson però per me non è solo un horror. [...] Non esiterei a definirlo anche un film musicale. Considero Besson un artista delle note nell'alchimia tra immagini e suono. Tra le ispirazioni delle atmosfere di Dracula c'è anche l'ultimo album di Billie Eilish. (Christoph Waltz)
- È interessante che io, come eretico, sono nella posizione di difendere la religione, in questo caso il cattolicesimo. Sì, sono un ex cattolico. Ma non vedo alcuna contraddizione. Sai, ce ne sono molti di scienziati clericali. Sai, sono filosofi, sono avvocati, anche medico. Loro fanno ricerca in quanto tale, ma dal punto di vista storico tutte queste persone sono fondamentalmente scienziati. Devo lottare per loro, lo sai. Un chierico può essere uno scienziato. (Christoph Waltz)
- Ci vuole coraggio! E il coraggio è proprio una delle cose di cui volevo parlare in questo film. Nella nostra società lo abbiamo perso, se hai anche solo un problema molli. Lui non ha paura dell'amore che sente: è romantico, coraggioso ed eroico in un certo senso.
- Dimenticate la parte horror: è la storia di un uomo che aspetta quattrocento anni solo per dire addio, come si deve, alla donna che amava. È una cosa incredibilmente romantica.
- Dracula ha molto tempo. Quindi sarà lento. Ogni volta che si tocca il collo... ho pensato: diamogli qualcosa da toccare. Abbiamo pensato a degli iguana. Non può amare le persone perché moriranno. Non può avere attaccamento con le persone... e dunque si attacca all'arte, che non muore mai. La pittura, la seta, i gioielli, la musica, e diventa un artista. Un dandy. Gli piace la seta, al tatto… scenografi e costumisti hanno lavorato così, scegliendo il color rame, cercando di far corrispondere una cosa con l'altra. Rame e porpora sono fantastici insieme.
- Dracula non mi ha mai affascinato e detesto i film horror, che mi hanno sempre fatto troppa paura. Io avevo voglia di divertirmi col personaggio: il mio Dracula è particolare, in realtà non gli piace il sangue.
- È molto più un film sulla solitudine e sull'amore che sulla fragilità psicologica del mostro. È un mostro, certo, ma lo amiamo. È come ne La bella e la bestia: lui è una bestia, ma perché? Perché era un uomo innamorato. Ed è proprio da lì che nasce la mia attrazione per il personaggio.
- Forse è strano dirlo, ma credo che Dracula sia il mio film più luminoso. Parla di amore, non di tenebre. E anche se ha i canini affilati, in fondo, è un film che morde il cuore.
- La fonte d’ispirazione è stata più la figura del dandy che Nosferatu [...], il mio Dracula è un esteta che ama le cose belle, i tessuti in seta, gli anelli, i profumi e i balli, ed è un buono, ovvero il contrario di ciò che ci si aspetta, perché in questo mondo oscuro c’è bisogno di più amore.
- La religione può farti stare molto bene e se la fede aiuta persone, va bene. Non mi piace quando porta a uccidere. Quest'uomo a Dio chiede solo una cosa: risparmia mia moglie. Ma lei muore. Di chi è la colpa? Di Dio o degli uomini? Lui vuole solo trovare la moglie. Quindi deve trovare un modo per attirare le donne, non può essere ovunque. Per poterlo fare puoi usare un flauto magico, un giornale o un profumo, come nel suo caso. Ho spinto il direttore della fotografia a guardare più dipinti possibile nei musei, per creare la giusta atmosfera. Quelle cose non le trovi su Netflix, si chiamano arte.
- Lo humour di Christoph mi ha permesso di alleggerire la tensione che si respira nelle scene in cui appare Dracula. E ci siamo divertiti insieme a giocare con alcuni cliché dei film di genere, come le croci che prendono fuoco.
- Lui non può morire, anche se ci prova, quindi cosa può fare? Ha il tempo ma non può legarsi alle persone, perché moriranno. E quindi si appassiona all'arte, alla pittura, alla musica, a sete e gioielli. Ecco perché lui diventa un dandy.
- Mi sono chiesto: "Questo uomo vive in un castello da quattro secoli… ma chi si prende cura del castello?" Schiavi? Persone che ha morso? Donne? Nel romanzo, per esempio, ha delle ninfe – tre ninfe che vivono con lui nel castello – ma è una cosa un po' strana: cerca sua moglie e intanto ha tre ragazze a casa. Così ho iniziato a cercare, a guardare Notre-Dame, i gargoyle di Notre-Dame, e mi sono detto: "Forse potrebbero essere loro a occuparsi del castello." Poi mi sono chiesto: "Ma da dove vengono questi gargoyle?" E ho pensato: "Forse sono bambini." Perché lui non vuole uccidere i bambini. Quindi li trasforma in gargoyle, così possono servirlo.
- Non riuscivo a trovare la mia Elisabetta. Ho visto diverse attrici, ma non sentivo quella scintilla. Poi Caleb mi ha mandato una foto — credo tramite Instagram, per via della musica – dicendo: "Dovresti vedere questa ragazza". L'ho guardata, e poi ho capito di conoscerla: era Zoe, la figlia di Rosanna Arquette. L'avevo incontrata quando aveva tre settimane di vita! È cresciuta un po', diciamo. L'ho incontrata di nuovo e ha fatto molti provini, duri, perché un ruolo del genere richiede forza, non puoi interpretarlo se non sei pronta. È minuta, ma molto forte. E alla fine ha ottenuto la parte.
- Non volevo un vampiro con superpoteri, ma un uomo che soffre. Caleb ha trovato un accento rumeno perfetto e una voce bassa, quasi rettiliana. Quando l’ho sentito parlare così, ho capito che avevamo trovato il nostro Dracula.
- Per me non è affatto un film horror. Uso Dracula solo come sfondo. Si potrebbe anche togliere il suo nome dal titolo e chiamarlo semplicemente "Una storia d'amore". Non volevo rifare Dracula come genere, così come non chiedi a qualcuno "perché fai un western?" quando ne sono già stati fatti migliaia. Perché ha una storia da raccontare, tutto qui. So che ci sono persone che amano profondamente il personaggio di Dracula, ma questo film non è per loro. Forse c'è un po' di confusione. Non è per i fan dell'horror classico: loro resteranno delusi. Perché non è una storia di Dracula con sangue e terrore.
- [Su Danny Elfman] Quando gli ho proposto il progetto, mi ha detto che era sempre stato il suo sogno fare un Dracula ma aveva già rifiutato tre film. Dopo aver letto la sceneggiatura mi ha mandato un tema che mi ha fatto piangere. Aveva capito tutto.
- Quando ho girato Dogman e ho conosciuto Caleb Landry Jones mi sono reso conto che non avevo mai lavorato con un attore così bravo: è umile, nonostante il talento sopraffino. E per lavorare ancora insieme ho cercato un personaggio abbastanza complesso per lui: ho pensato a Mao, Gesù, Karl Marx o Fidel Castro, finché la nostra attenzione non è caduta su Dracula. Ho riletto il romanzo di Bram Stoker e sono rimasto sorpreso quando ho capito che raccontava una grande storia d'amore: la vicenda di un uomo che aspetta 400 anni con la speranza di ritrovare la moglie defunta. L'ho trovato così romantico che ho deciso che era la storia che volevo raccontare.
- Sul set Caleb e Christoph si rispettavano come due spadaccini. Nessuno cercava di dominare l’altro. È stata una danza tra due anime.
- Tutti conosciamo Londra e i castelli nebbiosi, ma Parigi mi sembrava più viva. Il 14 luglio tutti celebrano la libertà, nessuno si accorge di un vampiro che cammina tra la folla. Mi piaceva questa contraddizione. E poi amo Parigi, lo sanno tutti.
- Volevo che alla fine del film il pubblico dicesse: "Oh mio Dio, ma perché Dracula deve morire?". Viviamo tempi cinici, in cui conta solo il denaro, e io volevo dire quanto è importante l'amore nella nostra vita. Rispetto al romanzo ci sono differenze: ad esempio mi sono chiesto che cosa avesse fatto Dracula nei 400 anni di attesa e la risposta che mi sono dato è che ha cercato la moglie ovunque. E per incontrare più donne possibile in questa ricerca ha creato un profumo irresistibile. Molti naturalmente penseranno al romanzo di Patrick Süskind.
- Non volevo riferirmi ai Dracula del passato. Il nostro è più tenero e gentile. Non è un mostro e non volevo inquinarlo con la visione di qualcun altro. Ero una giovane donna quando sono arrivata sul set e ora sono molto cambiata. Non ho molta esperienza di cinema ma ho assorbito tutto rapidamente e velocemente. Anche per me un dono bellissimo, tutti molto pazienti e generosi. Amo l'amore, il mondo è oscuro e ce ne vuole tanto, questo film porta un messaggio d'amore. Il solito Dracula è un assassino egoista, sembra che non abbia capacità di amare, mentre il nostro ha un'essenza reimmaginata. La sua figura ha ossessionato tutti: chi pensa alle ombre, all'immortalità. A me piace che il pubblico si aspetti di spaventarsi, e trovi invece leggerezza e amore. Confermo invece le lezioni di danza, l'insegnante voleva che fossimo intimi... come una danza dei cigni. Ero nervosa, ma è stato molto interessante, un approccio nutriente per la dinamica tra me e Caleb.
- Per me era un sogno. Io colleziono abiti dal 1700 fino al 1930, stavo sempre nel reparto costumi, a osservare, imparare. C'erano disegni di vestiti per i 400 anni di vita del personaggio! Mi dovevo ripetere: "Zoe tu sei un'attrice! Ricordatelo: sei qui come attrice! Concentrati!”. Ho adorato tutto.
- Quando ho fatto l'audizione, ho percepito come un tintinnio dello spirito, una sensazione di eccitazione e paura totale. Sentivo che qualcosa nella mia vita si era allineato, al tempo stesso, mi dicevo: "Non mi prenderanno mai, non sono abbastanza brava, bella". Quando mi hanno scelta sono caduta in ginocchio e ho pianto.
- [«A cosa ti sei ispirata per la scena della tua vampira in catene? Cosa ti ha chiesto il regista?»] Quella scena è stata fondamentalmente divisa in due atti, anche per non stancarmi; era impegnativa fisicamente per me e molto verbosa per Christoph (Waltz). Abbiamo fatto le prove per definire i suoi movimenti con me al centro della stanza, legata stretta stretta: l'ho chiesto io, avevo bisogno di quel senso di costrizione. Mi preoccupava parecchio, è la scena di presentazione del mio personaggio, deve catturarti in pochissimo tempo e Besson mi aveva preparato: «ti chiederò tantissimi cambi di umore, di ridere, piangere, di ridere e piangere insieme, di essere aggressiva, sensuale, innocente». Dovevo sembrare un cucciolo in catene e l'attimo successivo una tigre inferocita, attraversare un'altalena emotiva.
- [Dracula] non è un superuomo, non è l'eroe invincibile, anzi, è un reietto della società, un uomo condannato. E Besson parla spesso degli outcast nel suo cinema. È riuscito a trasformare Dracula in una specie di antieroe romantico, con tutte le sue fragilità e contraddizioni: si sente un emarginato da quando ha perso l'unica cosa importante per lui, l'amore.
- Il mio personaggio è parecchio sopra le righe, ha il ruolo di "stordire" la protagonista, per portarla da Dracula, quindi Besson faceva un po' lo stesso con me. Mi chiedeva un livello di energia altissimo: mi stordiva. Passavo otto ore al giorno a ridere: «Devi essere super energica», mi diceva, «la devi trascinare, prendila per mano, devi correre, devi ridere, ridere, ridere». Arrivavo a fine giornata letteralmente sudata dentro i vestiti, come se avessi fatto ore di sport. È un ruolo che mi ha prosciugato fisicamente.
- Il personaggio di Maria è imprevedibile. Come si può interpretare un vampiro? Non esistono, dunque puoi metterci molto del tuo. Prima un gattino sensuale che fa le fusa, un attimo dopo un animale in gabbia che attacca e morde. Grande romanticismo tra Caleb e Zoë ma anche io e Christoph abbiamo giocato con varie suggestioni, in una scena a strati dove ogni volta si poteva aggiungere qualcosa in più, di libero e divertente. Forse il giorno più divertente della mia vita.
- L'uomo devoto, passionale, che si innamora di una donna e si innamora di quella donna per tutta la vita, ormai è un concetto praticamente alieno. Sembra una cosa tipo surreale. Più surreale dell'essere vampiro, è surreale che ami una donna per tutta la vita. Quindi questo ci dovrebbe far riflettere su tante cose.
- Luc Besson ha messo tanto humour e ironia, il nostro Dracula è un antieroe che si prende in giro.
- Per la prima volta sono andata sul set pensando: interpreto un vampiro, qualcosa che non esiste, quindi posso farlo come voglio. È stato liberatorio. Maria non è più semplicemente una donna, è un essere ultraterreno in preda a pulsioni profonde, animali. L'ho vissuta come un animale femmina, non come un essere umano. È una femminilità ruvida, atavica, una libertà assoluta. Interpretare una femminilità non stereotipata ma antica, fisica, è stato un divertimento massimo.
- Questo è un Dracula romantico: morde per amore. Io, pur essendo un'attrice, non riesco a stare al gioco e ho il terrore degli horror, l'unico che ho visto nella mia vita è Paranormal Activity, ma non riuscivo a vedere la casa infestata e giravo la testa dall'altra parte, la paura di quello che non vedevo era più forte.
- Sono affascinata dal personaggio e anche un po' dalla persona che lo ha ispirato, Vlad "l'impalatore", e il modo in cui lo racconta questo film è, tra tutti, quello che ho sentito più vicino: una storia d'amore perduto e poi ritrovato dopo una ricerca secolare. Lo trovo estremamente romantico, nel senso di Sturm und Drang, quindi capace di cliccare con qualcosa di mio. Mi emoziona l'idea del sentimento che sopravvive al tempo, che attraversa la morte.
- Vi racconto una cosa divertente. I miei canini sono molto sviluppati e il primo giorno Zoe Bleu mi ha detto: te li hanno già messi? Le ho risposto: guarda che sono i miei! Si vede che ero una predestinata.
Citazioni in ordine temporale.
- Contrariamente a quanto si poteva presumere dai trailer, Dracula di Besson non è un remake del Dracula di Coppola. Certo, contiene diversi "omaggi" (o "rapine") che rimandano a Coppola, come l'acconciatura di Dracula al castello, i profili di guerrieri in controluce su un cielo rosso, il vampiro con capelli lunghi e cilindro, oltre ovviamente alla storia d'amore tra il conte e la presunta reincarnata. Ma la sceneggiatura si discosta ampiamente dal film di Coppola e in realtà da tutti i film ispirati al romanzo di Stoker. Besson, infatti, innova tutti i punti chiave e i "luoghi comuni" delle trasposizioni precedenti.
- Gli appassionati più attenti noteranno una serie infinita di citazioni (forse a volte inconsce) dal cinema vampiresco. È il caso delle insopportabili scene con piccoli gargoyle animati che rimandano ai mostriciattoli di Subspecies (1991), il leggendario B movie sui vampiri diretto da Ted Nicolaou per la Full Moon. La scena al convento di suore richiama il televisivo Dracula (2020) della BBC. E alla fine del film, senza spoilerare, c'è qualcosa di molto simile al volo del mantello dopo la distruzione del vampiro nel Dracula (1980) di John Badham.
- Oltre a un Caleb Landry Jones nella parte di Dracula che sembra ammiccare al Klaus Kinski di Nosferatu a Venezia, c'è un Jonathan Harker (Ewens Abid) da parodia che riassume, mettendole in ridicolo, tutte le caratteristiche dei predecessori cinematografici nello stesso ruolo. Il prete vampirologo è interpretato da Christoph Waltz che, per la noncuranza con cui recita, non sembra molto convinto della parte a lui assegnata. Da citare, infine, una inaspettata vampira bolognese, Matilda De Angelis, che riesce bene a fare le smorfie adatte al ruolo.
- Io guardo volentieri Dracula di Argento come divertissement che omaggia (all'italiana) la vecchia Hammer e riguarderò volentieri il delirante Dracula di Besson, capace di unire le più nobili tradizioni vampiriche a volteggi, per usare termini anglofoni, trash e camp.
- Di solito, nelle versioni di Dracula, ti portano via il mostro, te lo nascondono. Qui invece il mostro te lo danno, te lo lasciano addosso per tutto il film. Luc voleva che io vivessi davvero nella sua pelle, che ci stessimo insieme, senza filtri.
- È un film decisamente diverso da Dogman, dove recitavo con pochi scenari e cento cani: non facile, ma a volte è molto meglio dividere il set con gli animali che con certi attori. Nei panni di Dracula mi vedrete muovermi tra castelli e colli da mordere, cavalcare, indossare l'armatura, maneggiare la spada, cosa che non avevo mai fatto prima. Aspettatevi un grande film.
- Io, un vampiro? Non aveva alcun senso per me, ma Luc era così determinato! A poco a poco mi ha convinto con la sua visione romantica: non una vicenda gotico-horror, una love story piuttosto.
- Luc è un mago. Ha fatto costruire tutto da zero, con clown, giocolieri e centinaia di comparse. Quando ho visto la scena finita, sembrava girata davvero nei giardini del Palais Royal. Mi sono commosso.
- Luc mi ha detto: Dracula è un uomo gentile in un corpo maledetto. Non un mostro. È elegante, curioso, ama i profumi, la musica, i tessuti. Ho persino creato un profumo apposta per interpretarlo.
- Zoë arrivava subito sul set insieme a me, lei usava una danza particolare, all’avanguardia. Luc ci ha fatto seguire da un’istruttore, lui mette a disposizione degli attori tutto ciò che serve. Abbiamo fatto un paio di lezioni. Riscaldamento, giochi di ballo... uno è arrivato fino all’inizio del film. E Luc ci guidava costantemente a ogni passo. Tutti guardavamo a lui chiedendoci cosa fare. Si parte con un’atmosfera leggera, poi arriva il dramma...
labyrinth
[modifica]Labyrinth - Dove tutto è possibile
| Titolo originale |
Labyrinth |
|---|---|
| Lingua originale | inglese |
| Paese | Regno Unito, Stati Uniti d'America |
| Anno | 1986 |
| Genere | Fantastico, musicale, avventura |
| Regia | Jim Henson |
| Soggetto | Jim Henson, Dennis Lee |
| Sceneggiatura | Terry Jones |
| Produttore | Eric Rattray |
| Interpreti e personaggi | |
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| Doppiatori originali | |
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| Doppiatori italiani | |
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Incipit
[modifica][Recitando] "Dammi il bambino! Con rischi indicibili e traversie innumerevoli, io ho superato la strada per questo castello oltre la città di Goblin per riprendere il bambino che tu hai rapito. La mia volontà è forte come la tua e il mio regno altrettanto grande... La mia volontà è forte come la tua... è il mio regno altrettanto grande...". Accidenti, non mi ricordo mai quella frase! [Consulta un libretto intitolato The Labyrinth] "Non hai alcun potere su di me!" (Sarah)
Frasi
[modifica]- Mi tratta come la matrigna cattiva delle favole qualunque cosa dica. (Matrigna)
Dialoghi
[modifica]- Matrigna: Tuo padre e io usciamo molto di rado.
Sarah: Ma se uscite tutti i santi sabati!
Matrigna: E io ti chiedo di restare con il bambino solamente se questo non scombina i tuoi programmi.
Sarah: E tu che ne sai? Non conosci i miei programmi, non me li chiedi neanche più.
Matrigna: Penso che me lo diresti se avessi un appuntamento. Sarei ben felice che tu lo avessi. Dovresti averne alla tua età. - Sarah: [Rivolto a Toby, che piange] Che cosa vuoi, una favola, eh?! Okay! Allora, c'era una volta una ragazza tanto carina che la sua matrigna lasciava sempre a casa con il bambino, e il bambino era tanto viziato. Quello voleva tutto per sé e la ragazza era praticamente una schiava. Ma ciò che nessuno sapeva era che il re degli gnomi si era innamorato della ragazza e che le aveva data certi poteri. Così, una notte che il bambino fu oltremodo crudele con lei, lei chiamò in suo aiuto gli gnomi.
Gnomo #1: [Sottovoce] Ascoltate!
Sarah: "Dì le tue parole magiche", dissero gli gnomi, "e porteremo il bambino nella città di Goblin, e tu sarai libera". Però lei sapeva che il re degli gnomi avrebbe tenuto il bambino al castello per tutti i secoli dei secoli, trasformandolo in uno gnomo. E così lei soffriva in silenzio, finché una notte che era stanca di una giornata di faccende, che era ferita dalle dure parole della sua matrigna e sentiva che non ne poteva più... [Toby continua a piangere] Va bene, va bene! [Prende Toby in braccio, ma lui continua a piangere] Piantala, andiamo! Smettila, smettila! O dico le parole, eh! Oh, non sia mai. Non devo dirle. Io desidero... Io desidero...
Gnomo #1: Sentite!
Gnomo #2: Ma le dice?
Gnomo #3: Dice cosa?
Gnomi: Silenzio! Zitto!
Gnomo #3: Ma io...
Gnomo #4: Chiudi il becco!
Gnomo #5: Zitto tu!
Gnomo #1: Ascoltate! Adesso sta per dirle!
Sarah: Io non ne posso più! Re di Goblin, re di Goblin, ovunque ti trovi adesso porta via questo bambino lontanissimo da me!
Gnomo #5: Non è così! Dove ha imparato questa operaccia?! Manco comincia con "re di Goblin"!
Sarah: No, Toby, no! Smettila! Mi piacerebbe davvero sapere cosa dire perché gli gnomi ti portino via.
Gnomo #5: "Io desidero che gli gnomi ti portano via all'istante", non è mica tanto difficile eh?!
Sarah: Comando... e voglio...
Gnomo #3: Lo ha già detto?
Gnomi: Sta zitto!
Sarah: [Mette Toby, ancora piangente, a letto e va verso l'uscita] Desidero proprio che gli gnomi ti portino via all'istante!
- Sarah: Sei lui, vero? Tu sei il re di Goblin. Rivoglio il mio fratello, ti prego. Se fa lo stesso...
Jareth: Ciò che è detto è detto.
Sarah: Ma... non credevo mai...
Jareth: Ah, non credevi?
Sarah: Ti prego, dov'è ora?
Jareth: Sai molto bene dove si trova.
Sarah: Ti prego riportamelo, ti prego!
Jareth: Sarah, torna in camera tua. Va a giocare con i tuoi balocchi e con i tuoi costumi. Dimentica il bambino.
Sarah: Non posso.
Jareth: Io ti ho portato un regalo. [Fa apparire una sfera trasparente]
Sarah: Che cos'è?
Jareth: È un cristallo, niente di più. Ma se lo fai girare così e ci guardi dentro, ti mostrerà i tuoi sogni. Ma questo non è un dono per una ragazza comune che si prende pena per un bambino che sbraita. La vuoi? [Sarah esita] Dimentica il bambino!
Sarah: Non posso. Non è che non apprezzi ciò che vuoi fare per me, ma io rivoglio il mio fratello. Sarà così spaventato...
Jareth: Sarah! [Trasforma il cristallo in un serpente] Non sfidarmi! [Butta il serpente verso Sarah, che lo ribatte per terra] Tu non puoi tenermi testa.
Sarah: Ma io devo avere indietro il mio fratellino!
Jareth: È là, nel mio castello. [Indica una fortezza in mezzo a un gigantesco labirinto] Vuoi ancora cercarlo, Sarah?
Sarah: È quello il castello oltre la città di Goblin?
Jareth: Torna indietro, Sarah! Torna indietro, prima che sia troppo tardi!
Sarah: Non posso. Ma non lo capisci che non posso?
Jareth: Che peccato.
Sarah: Non sembra tanto lontano.
Jareth: È più lontano di quanto credi e hai breve tempo. Hai solo tredici ore per superare il labirinto prima che il fregnante marmocchio diventi uno di noi per sempre. È un tale peccato...
- Sarah:
Gogol:
Sarah:
Gogol:
Explicit
[modifica]Russia. L'impero che non sa morire
[modifica]Incipit
[modifica]Citazioni
[modifica]- Visto dopo un quarto di secolo dal suo esordio, l'intero progetto del putinismo, come ideologia e sistema politica, potrebbe venire riletto come una operazione di restaurazione sovietica. Negli ultimi anni, l'autocrate russo si sta dedicando a una ricostruzione nostalgica che attinge dalla sua memoria anche i dettagli più minuti, dal remake in Full Hd con effetti speciali disegnati al computer dei film sovietici al ripristino dei programmi di addestramento militare nelle scuole, dalla riesumazione di icone della propaganda come i «28 eroi di Panfilov» (fucilieri il cui sacrificio per fermare i carri armati nazisti era stato in realtà inventato da un inviato di guerra) al travestimento dei bambini in uniformi dell'Armata Rossa, vendute nei centri commerciali accanto ai costumi dei supereroi dei cartoni animati. Rievocazioni autentiche quanto le simulazioni in costume delle battaglie storiche (o quanto il gelato da quarantotto copechi riconfezionato da una multinazionale), che però non possono venire liquidate come nostalgie proustiane di pensionati o manipolazioni di marketing politico-commerciale: rappresentano la sete di passato di un Paese che non vede un futuro. (p. 14)
- È molto difficile, forse impossibile, spiegare a un europeo la vita nel sistema sovietico. Molti credono che fosse fondamentalmente una sorta di Occidente più povero, più arretrato e meno libero, trovando giustamente numerose affinità in quello che alla fine era un Paese formatosi in parte nello stesso ceppo culturale. Quello che sfuggiva totalmente a chi non ci era nato, cresciuto e vissuto dentro era la rigidità e la monotonia della vita quotidiana. (p. 16)
- Nell'ottobre 1993, Eltsin aveva prima sciolto il Parlamento – senza averne facoltà – e poi, quando il Soviet Supremo si era rifiutato di suicidarsi, diventando la roccaforte dell'opposizione comunista e nazionalista, lo aveva preso a cannonate. Fu quello il momento di svolta in cui venne scritto tutto quello che sarebbe successo nei decenni successivi, il peccato originale dell'autoritarismo, il segnale inequivocabile che il potere a Mosca non sarebbe mai stato trasferito con strumenti democratici. Sei mesi dopo, nell'estate 1994, Leonid Kravchuk, primo presidente dell'Ucraina indipendente, perse le elezioni e cedette la poltrona senza esitazione a Leonid Kuchma. [...] Fu quello il momento della biforcazione, la scelta della direzione da seguire, dittatura o democrazia. (pp. 44-45)
- Una delle tristi verità, che perfino gli intellettuali russi più critici fanno spesso fatica ad ammettere, è che i russi hanno reso la loro libertà spontaneamente, come un oggetto di cui non sapevano cosa farsene. Non erano stati vittime degli inganni della propaganda, verso la quale peraltro avevano accumulato parecchi anticorpi. Erano stanchi e stufi di un mondo incerto, vacillante, pieno di cose brutte come la corruzione e la criminalità, nel quale erano stati lasciati a se stessi. (p. 47)
- I populismi e sovranismi di varia matrice hanno svelato che un'enorme quantità di persone sarebbero felici di vivere in un mondo senza chiaroscuri, liscio, lineare, «verticale». L'insofferenza per il «governo del popolo» si è manifestata nella nostalgia per l'«uomo forte», per un governo più paternalista, più assertivo e meno tollerante, facendo venire dei brividi anche ad alcune tra le democrazie più antiche su entrambe le sponde dell'Atlantico. La democrazia ha attecchito molto meno di quello che aveva pensato – e sperato – l'Occidente. Una delusione che attinge in buona parte dalle stesse fonti che l'hanno generata in Russia: crisi economica, globalizzazione, rivoluzione dei valori e dei costumi, cambiamento tecnologico, insomma, il future shock. La Russia però ha almeno due attenuanti rispetto ai sistemi occidentali: l'ha subito in forma più immediata e intensa, senza avere alcuna esperienza precedente alla quale fare riferimento. (p. 48)
- Nel «potere» si entra a vita, a meno di non tradirlo, e venirne buttati fuori è la cosa peggiore che possa capitare (lo stesso Eltsin si era guadagnato la fama di tribuno del popolo dopo essere stato clamorosamente licenziato da Gorbaciov per critiche in pubblico). Le etichette che il potere indossa e le idee che promuove sono totalmente irrilevanti. L'appartenenza o meno al potere si fiuta immediatamente, ed è uno dei motivi per i quali i critici e i dissidenti non sono mai riusciti, nemmeno in momenti in cui le elezioni erano relativamente libere, a racimolare voti: è il pragmatismo dei russi. Non ha senso votare per uno esterno al «potere», tanto non vincerà mai. (p. 50)
- Nei discorsi dei suoi politici, la Russia non è mai una «società», una «opinione pubblica» o una «nazione»: esiste il «popolo», che non ha stratificazioni né contraddizioni interne. Infatti nel linguaggio della propaganda dopo l'invasione dell'Ucraina sono riapparsi i «nemici del popolo» di staliniana memoria: il popolo deve essere unanime. Se la pensi diversamente non fai parte del popolo, e non è un caso che alla Duma riemerga regolarmente le proposta di togliere la cittadinanza ai russi scappati dalla guerra. Chi non è con noi, è contro di noi, un retaggio del comunismo, ma anche del mito dell'unità ortodossa, di un'identità tribale che fa esclamare ai bambini che litigano l'insulto «non ti comporti da russo», di una arretratezza politica e sociale che traballa di fronte alla complessità di una società moderna. (pp. 50-51)
- In diversi passaggi del suo regno, Putin ha semplificato il sistema, soprattutto quando diventava troppo complicato. Con l'emersione di nuovi attori, interessi incrociati, rivendicazioni a condividere e delegare il potere – cioè, semplicemente, della democrazia – eccolo afferrare l'accetta, fa sparire il dissenso, decapitare i suoi leader per ripristinare la «verticale». Lo ha fatto nel 2003, quando invece di negoziare con le nuove élite economiche ha preferito mettere in carcere l'oligarca Mikhail Khodorkovsky e strappargli il suo impero petrolifero Yukos, rinazionalizzato e consegnato a un fedelissimo del presidente (con conseguente crollo di produzione e indebitamento). Lo ha fatto nel 2012, quando si è rifiutato di incontrare i rappresentanti del movimento che scendeva in piazza per chiedere maggiore libertà ed elezioni corrette, e ha schiacciato la protesta con manganelli e arresti. Lo ha fatto nel 2022, quando ha preferito invadere l'Ucraina invece di ricorrere alla diplomazia, e quando ha preferito assistere alla fuga di almeno un milione di russi, terrorizzati e nauseati dalla guerra: ricercatori, informatici, imprenditori, intellettuali, professori, medici, artisti. Probabilmente, la loro partenza si sarebbe potuta misurare in qualche punto percentuale di pil, ma erano persone con cui avrebbe dovuto negoziare, convincerle o addirittura farsi convincere a fare marcia indietro. [...] Nella sua mente si fa sempre più strada l'idea di un «popolo» di obbedienti esecutori strutturati in una «verticale di potere» infinita, semplice e lineare. Nessuna struttura 3D, nessuna forma irregolare, nessun conflitto da sanare. (pp. 52-53)
- Questa overdose putiniana oggi si rivela un boomerang, perché Putin è diventato il perno, il motore e l'unico attore della politica russa, oltre che il suo solo e permanente evento. Non esiste un numero due del regime: formalmente, in caso di incapacità il presidente dovrebbe venire sostituito dal premier, ma probabilmente sono pochi i russi in grado di riconoscere per strada Mikhail Mishustin, l'ex capo del Fisco che da primo ministro gli tiene prudentemente in ombra. (pp. 60-61)
- Putin può essere popolare oppure odiato, può piacere o fare orrore, disgustare o esaltare, ma intanto esiste. Il sistema è lui. Non ci sono contrappesi o ammortizzatori, come si è visto con l'invasione dell'Ucraina, che ha lasciato attoniti e increduli perfino i suoi stessi oligarchi. Che però si rendono perfettamente e lucidamente conto che la sparizione di Putin – per morte naturale, omicidio, golpe o congiura di palazzo – porterebbe con ogni probabilità a un collasso di tutto il suo sistema. Perché «la Russia è lui». (p. 63)
- I dittatori della menzogna non solo operano – in funzione dei pretesti mediatici da creare – questo ormai è un tratto comune anche a molti leader democratici – ma utilizzano la comunicazione per incrementare il proprio potere, in maniera più subdola ed efficace rispetto ai vecchi «dittatori della paura» che governavano con la violenza e il terrore, come Stalin e Hitler. Il controllo dei media – attuato con un misto di intimidazione, corruzione, persuasione e cooptazione nelle strutture del potere – ha permesso per anni a Putin, Recep Tayyip Erdogan o Viktor Orban di rimanere in sella, pur conservando una parvenza di dibattito interno, con media e partiti, e osservatori delle organizzazioni internazionali che certificavano elezioni in cui sempre loro si assicuravano il pacchetto di maggioranza. E a quel punto non è certo un problema lasciare in vita una sparuta opposizione liberale da esibire come prova di una società aperta, che sceglie senza costrizioni di regalare il suo consenso al governo in carica. (pp. 72-73)
- La campagna di Eltsin nell'estate 1996, quando un'azione mediatica senza precedenti, finanziata a colpi di miliardi dagli oligarchi, ha permesso di far rieleggere un presidente ormai palesemente incapace di intendere e di volere – e i cui consensi sei mesi prima non raggiungevano nemmeno numeri a due cifre – è servita a convincere il Cremlino dell'onnipotenza dei media. La potenza di gioco della macchina propagandistica totalitaria è stata rivisitata con raffinati strumenti di modernità: un'informazione scattante, una comunicazione irreverente e dinamica, con contorno di pop star, videoclip e slogan accattivanti. (p. 73)
- Purtoppo per i dittatori mediatici, l'autoritarismo informativo nasconde un paradosso: come la droga, richiede un costante aumento della dose. Se la realtà comincia a discostarsi sempre di più dal quadro proposto dall'informazione ufficiale, bisogna aumentare la componente della propaganda, o ridurre quella delle notizie «vere». L'ipnosi mediatica non è più sufficiente da sola, e la progressione della censura putiniana – dal bando dei riferimenti ai temi Lgbt al divieto di menzionare certi politici in quanto «estremisti», fino all'introduzione dell'etichetta di «agente straniero» che di fatto proibisce a centinaia di intellettuali, attivisti, attori e giornalisti di operare nello spazio pubblico – è andata di pari passo con l'erosione del potere di persuasione della propaganda. (p. 75)
- La colpa dell'invasione dell'Ucraina, e della rottura con l'Occidente, viene attribuita da molti a Yuri Kovalchuk, per mesi compagno di lockdown di Putin. Il miliardario che dalla dacia nella cooperativa Lago è arrivato a possedere la famigerata banca Rossiya di Pietroburgo, la «casa» del regime, avrebbe approfittato dell'accesso privilegiato all'orecchio del suo vecchio amico per convincerlo che fosse arrivato il momento di riportare la Russia alla sua grandezza imperiale. Suo fratello Mikhail è il pluripremiato fisico che per anni ha fatto da principale consulente scientifico del Cremlino, raccontando in Senato dei «virus etnici» che possono sterminare selettivamente soltanto i russi, e della propaganda dei diritti Lgbt come strumento per «limitare la moltiplicazione» del genere umano. Insieme ai loro figli e nipoti i due fratelli rappresentano uno dei clan più potenti intorno al Cremlino, controllando tv e giornali [...], compagnie petrolifere, il principale social network russo VKontakte e la Camera dei conti.
I Kovalchuk (insieme a un'altra coppia di fratelli, i Rotenberg, ex compagni di palestra di judo di Putin nella sua adolescenza leningradese) sono stati i principali beneficiari dell'annessione della Crimea, accaparrandosi tenute e fabbriche strappate ai legittimi proprietari ucraini nel 2014. È probabile che l'avidità sia stato uno dei moventi a spingere gli oligarchi a una nuova conquista di stampo imperiale, ma sicuramente, dopo decenni di frequentazione del leader russo, sapevano come prenderlo, su quali sue paranoie e risentimenti soffiare, quali scintille di vanità e ambizione accendere in un uomo che apparentemente dalla vita e dal potere aveva già avuto tutto. (p. 90) - Divide et impera: una vecchia massima che permette di impedire che i cortigiani si coalizzino in una congiura contro lo zar, come tante volte è successo nella storia russa. Putin lo sa meglio di chiunque altro, essendo a sua volta emerso da una manovra interna di palazzo, come il candidato meno autonomo – e quindi più affidabile – della «famiglia» di Boris Eltsin. Questo è un tratto del leader russo che viene spesso sottovalutato: non è un politico pubblico, non viene da una gavetta di primarie, comizi e congressi, riunioni con gli attivisti e campagne elettorali capillari. Le uniche elezioni alle quali aveva partecipato, prima di farsi eleggere nel marzo 2000 alla presidenza con più del 50 per cento dei voti, erano state quelle del 1996 a sindaco di Pietroburgo, che il suo principale Anatoly Sobchak perse clamorosamente (instillando probabilmente nel suo vice una profonda diffidenza verso la roulette elettorale). (pp. 103-104)
- Putin si trova bene con chi non gioca secondo le regole, ma costruisce un sistema incentrato sulla propria persona, crede nelle intese private e non nei processi, nel potere del ricatto e non nella supremazia delle leggi. Dalle sue origini alla corte di Eltsin, il presidente russo ha imparato due lezioni: la prima, che non si può delegare il potere a nessuno, e la seconda, che il potere non abita nelle piazze e nelle urne, ma nei corridoi del Cremlino e nelle dacie immerse nelle pinete del Rublyovskoe chaussee. Indottrinato da marxista, non crederà però mai nelle masse e conserverà per sempre una profonda diffidenza verso i movimenti popolari, convinto che sia il Maidan di Kyiv sia le piazze della «primavera araba» siano un'operazione della Cia, senza rendersi conto che nessun servizio segreto riesce a portare un milione di persone in piazza sotto la neve. Non imparerà una delle lezioni più difficili della politica, che le elezioni non si vincono con i voti che ha già, bensì con i voti che conquisti ai tuoi avversari. Non si abituerà a essere contestato, e avrà sempre paura della sconfitta, senza riuscire mai ad ammettere di aver sbagliato. (pp. 107-108)
- A fare carriera alla corte del Cremlino sono quelli che aiutano il leader supremo a restare nella realtà che si è costruito, e questo spiega tanti fenomeni soprattutto del putinismo più tardo, dalla proliferazione di icone taumaturgiche decorate con le iniziali del presidente e portate sul fronte ucraino alle consulenze con gli sciamani, dal rifiuto scaramantico di pronunciare il nome di Navalny in pubblico all'ossessione per le bugie, trasformate quasi in formule magiche, ripetute con ossessione ritualizzata («operazione militare speciale» invece di «guerra», «ritorno in patria» invece di «annessione della Crimea»). (p. 108)
- [...] dopo il rientro di The Donald alla Casa Bianca, Mosca appare quasi pronta a perdonare all'America di essere il «nemico esistenziale» della Russia: i propagandisti della tv e perfino il capo della diplomazia Lavrov cominciano all'improvviso a teorizzare che la radice di tutti i mali millenari sia l'Europa, mentre gli Usa in fondo possono diventare dei soci nella spartizione del mondo tra potenze. Un'idea in piena sintonia con la visione di Trump e dei suoi cortigiani. (p. 111)
- La ricerca del riconoscimento, gli inviti nei palazzi del potere europei (ambiti moltissimo anche da Trump), gli onori tributati da Parlamenti e governi: per un presidente uscito da una kommunalka di Leningrado, e per un popolo sepolto sotto i detriti di un sistema fallito, era qualcosa di più di un sussulto di vanità. Era la ricerca di uno specchio, che però restituiva un riflesso sempre più impietoso: più la Russia si dotava di simboli esteriori della occidentalizzazione (dalle Mercedes ai cinema multisala) e più scopriva che per arrivare alla «fine della storia» bisognava percorrere una strada faticosa, e le tasche piene di contanti non avrebbero aiutato a bruciarne le tappe. Le pacche sulle spalle di Bush e degli Chirac non bastavano più a lenire un risentimento e una delusione sempre più brucianti, per quell'Occidente che critica Mosca ogni volta che viola i diritti umani, perseguita minoranze, reprime oppositori e chiude giornali. Nel mondo delle relazioni personali putiniane è uno smacco, quasi un tradimento: sei venuto nella mia dacia a Sochi, siamo andati a caccia insieme, abbiamo fatto la sauna e guidato auto d'epoca, come puoi dirmi ora che devo abbandonare il mio trono dopo soli due mandati, senza nemmeno poter riscrivere la Costituzione? (pp. 111-112)
- Ai tempi di Stalin il «nemico del popolo» era un criminale da eliminare, all'epoca di Brezhnev la propaganda non mancava mai di sottolineare le origini etnicamente diverse dei dissidenti (perfino quelli etnicamente russi, come in quel pettegolezzo messo in giro dalla polizia politica sulle presunte radici ebraiche di Alexander Solzhenitsyn); sotto Putin gli intellettuali e gli attivisti bollati dal ministero della Giustizia come «agenti stranieri» sono obbligati a mettere questo marchio infamante su ogni loro pubblicazione, incluso un post sui social, per mettere in guardia il lettore russo da opinioni che un vero russo non dovrebbe mai esprimere.
Quali siano le opinioni reali degli abitanti della Federazione Russa non è dato sapere. (pp. 122-123)
Explicit
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Citazioni in ordine temporale.
- Ho cambiato nomi, riferimenti ai battaglioni e ai luoghi, ma in quelle pagine c'è solo ciò che ho vissuto. Ho scritto quello che più mi ha colpito, concentrandolo nel racconto. E mi hanno colpito cose molto brutte. (23 aprile 2010)
- Volevo raccontare come ci si sente a vivere una guerra, a fare la guerra, a subirla, a studiarla, a goderla, insomma a provare tutte le emozioni che ogni essere umano prova stando nel bel mezzo di un conflitto armato. Ero molto deluso da come nel nostro mondo viene presentata e raccontata la guerra; a volte attraverso il velo di ideologie, interessi, strumentalizzazioni, e alla fine viene vista dalla gente sempre come qualcosa di grottesco, al di fuori della società umana, un evento che molti credono essere creato e mandato avanti da qualche forza estranea a noi, lontana dalla visione abitudinaria dell’etica e della morale. Invece bisogna capire che la guerra è necessariamente organizzata e fatta da uomini in carne e ossa, umani come tutti gli altri. (20 settembre 2010)
- Questa non è la mia storia. Questa è la storia di un mio compagno che ha combattuto con me [...]. Ho scritto la storia di un compagno che purtroppo è stato ucciso in guerra. Mi ha detto che è andata così e la cosa mi ha interessato. Veniva da una famiglia povera, era un ragazzo di villaggio, e la sua storia mi piaceva molto. (12 agosto 2011)
- Quando ho scritto il libro non volevo che fosse considerato storico. Primo perché non potrei scrivere un libro di memorie, perché non sono importante o qualcosa del genere. Se fossi Mozart o la Regina Elisabetta, potrebbero scrivere un libro di memorie, ma non sono nessuno [...] Non so come chiamarlo. Non è un libro di memorie. È un romanzo basato su eventi realmente accaduti. (12 agosto 2011)
- Tutti gli eventi nelle città, beh, personalmente ho combattuto molto poco nelle città, a dire il vero. Per esperienza personale, sono stato molto poco in città. Ero a Groznyj quando è stato ripreso ma ci hanno rimandati via molto presto. (12 agosto 2011)
- Ho usato molte storie per creare alcuni fatti nel mio libro, alcuni racconti di guerra in città. Forse in alcune di queste storie che ho scritto le ho colorate un po', forse ho esagerato, ma questo era appositamente per mostrare l'orrore della guerra urbana. Onestamente per quanto riguarda il fatto dei 13 colonnelli [caduti in una battaglia urbana], non ricordo. (12 agosto 2011)
- [«Quindi quanto del libro è effettivamente vero?»] È difficile da dire. Le storie più importanti, in particolare quando scrivo di come si sente una persona in guerra, questa è la mia esperienza. Poi ci sono un sacco di storie di soldati che potrebbero essere, non so, vere o meno perché in guerra non controlli quello che ti dice il tuo compagno. (12 agosto 2011)
- Il mio libro sulla Cecenia è molto più romanzato rispetto agli altri per il semplice motivo che non volevo che si potessero scoprire i nomi dei reparti, dei soldati con cui combattevo: alcuni dei miei commilitoni sono ancora oggi in servizio. In Russia su queste cose non si scherza e io non vorrei far loro qualche torto: abbiamo firmato tutti le dichiarazioni di non divulgazione dei particolari delle azioni in cui ci siamo trovati. Non è che abbia paura di essere avvelenato col plutonio, non sono così importante e non ho grandi segreti da rivelare, voglio però essere coerente. (13 febbraio 2018)
Episodio 7, La furia del lupo blu
[modifica]Episodio 8, Lacrime nel buio
[modifica]Episodio 9, La battaglia delle donne
[modifica]Episodio 10, Sfida sulla sabbia ardente!
[modifica]Episodio 11, La comparsa del Sacro Imperatore
[modifica]Episodio 12, La caduta del regno
[modifica]Episodio 13, In cammino verso il cielo
[modifica]Gale
[modifica]- Lo so che hai quasi venti chili di troppo, ma quando ti dico «presto», significa esattamente «muovi quel culone di piombo che ti ritrovi, subito»!
- Se è vero quello che penso, potrei salvare la vita di un uomo. Lo sai cosa significherebbe per il mio libro?
- Lo sa, un sondaggio ha dimostrato che sono molto popolare tra i maschi dagli undici ai ventiquattro anni.
- Una giornalista scandalistica ha mai vinto il premio Pulitzer?
- Cazzo, Kenny, puoi toglierti dal parabrezza?!
- Le sue frasi lusinghiere sono penose e anche ovvie.
- I tuoi scrupoli di coscienza tienili per te, tesoro. Non siamo qui per farci amare.
- [«Come stai?»] Non tanto bene. Mi ha sparato.
- Come futuri giornalisti d'America, c'è una cosa che dovete tenere bene a mente: essere i migliori vuol dire essere disposti a fare quello che altri non farebbero, infrangere le regole, non fermarsi davanti a niente, essere disposti a farsi odiare da tutti, perché è l'unico modo in cui potrete conquistare una storia, i fatti e la fama.
- [«Mi sento come se fossi nella tua mente».] Questo spiega le mie continue emicranie.
- Mi dispiace che non abbia funzionato con Brad Pitt, ma essere single, quello sì è un buon ripiego.
Alberto Pollera (1873 – 1939), militare e antropologo italiano.
Lo Stato etiopico e la sua Chiesa
[modifica]Incipit
[modifica]Questo libro vede la luce assai tempo dopo che fu compilato: debbo perciò pregare il benevolo lettore di tener presente trattarsi dell'esame di ordinamenti e costumi di un popolo che si avvia rapidamente ad una importante evoluzione civile, la quale, cominciata tardi, si affretta a raggiungere con ritmo sempre più accelerato, miglioramenti e sviluppi che, fino a pochi anni fa, sembrava assurdo sperare.
Citazioni
[modifica]- Gli Abissini identificarono più tardi la regina Macheddà con Azieb, regina di Saba, dando con ciò un seguito apparentemente logico a questa tradizione. [...] la leggenda della regina di Saba non deve in Abissinia aver acquistato valore che in epoca molto posteriore, e verosimilmente quando, con S. Frumenzio e coi santi predicatori e gli Abuna suoi successori, provenienti da Bisanzio, da Alessandria e da Roma, la religione cristiana si diffuse in Etiopia, e ciò perché [...] questi apostoli della fede, avevano ben ragione di credere che l'accennata tradizione potesse giovare, come giovò, ai loro intenti. (pp. 8-9)
- A noi può sembrare che il concetto etiopico della parentela dinastica colla Vergine sia un po' troppo esagerato ed estensivo, a motivo della enorme distanza di tempo e del gran numero di generazioni trascorse; ma la mentalità etiopica non valuta le cose al modo nostro, perché già nelle piccole questioni interne di stirpe, è abituata a riconoscere legami di consanguineità molto arretrati nel tempo, sul quale non ferma affatto la sua attenzione. (p. 15)
- Per evitare l'obiezione che nella Bibbia non si fa affatto cenno del trafugamento delle Tavole, che anzi si dice andassero distrutte in Babilonia, i manoscritti etiopici, narrando con assai maggior copia di particolari la leggenda [...], aggiungono che, appena il gran sacerdote Sadok ed il re Salomone si accorsero della scomparsa di quelle, decisero di tener celata la immane sciagura al popolo, per modo che questo non seppe mai niente di ciò, e continuò a venerare quell'Arca, la quale non era, pur troppo, che un semplice simulacro della prima. (p. 23)
- Il popolo etiopico, orgoglioso delle tradizioni [...] e convinto di esser divenuto per volontà di Dio il vero popolo eletto sulla terra, a cagione della discendenza salomonica di Menelik I, in sostituzione del popolo ebreo, resosene indegno, è andato a ricercare nella Bibbia tutte le promesse fatte da Dio ad Abramo e a David, e ritiene che esse siano ancora in pieno vigore per il proprio paese. (p. 24)
- Direi quasi che l'orgoglio in Abissinia è una malattia contagiosa, cronica, permanente, che non risparmia nemmeno i più miseri. Non deve quindi stupire se questo orgoglio si trova elevato a potenza molto elevata nei legittimi regnanti di quel paese, che fanno seguire il loro nome da iperbolici titoli. (pp. 25-26)
- Ora, i regnanti di Etiopia, nelle ingenua ma ferma convinzione di occupare di diritto e di fatto il primo posto fra i regnanti di tutto il mondo, ogni volta che hanno avuto occasione di indirizzare messaggi a regnanti europei, lo hanno fatto appunto nel modo da essi usato verso i loro inferiori, ossia iniziando la lettera col proprio nome, anche quando facevano ciò per invocare importanti servigi da loro. (p. 26)
- Si dice [...] che il Negus Teodoro, ritenendo l'Inghilterra il paese più ragguardevole dopo il suo, rivolgesse alla regina Vittoria domanda di matrimonio, e che la mancata risposta fosse il movente che lo indusse a imprigionare, per atto di rappresaglia e di sfida, tutti gli europei che tovavansi presso di lui [...].
In quella tragica vigilia, ma troppo tardi, Teodoro comprese che la superiorità etiopica era ormai una leggenda fantastica; il che non ha tuttavia impedito alla massa di continuare a credervi. Umili e grandi ne sono ugualmente convinti, e se ciò costituisce una ingenuità, non si può negare che costituisca anche una forza per lo stato che tali credenze coltiva, con pieno consenso, fra i suoi sudditi. (p. 27) - [...] degli Abissini si può dire quello che è stato detto degli Ebrei, e cioè che, credendosi di una stirpe privilegiata, hanno sempre voluto isolarsi, e mantenersi distinti da tutte le altre nazioni.
Questa credenza ispirò ad essi il concetto della autoglorificazione, perché ritennero di essere veramente i solo veri figli di Dio, discendenti diretti della linea primogenita di Adamo, senza riflettere che la funzione del popolo eletto venne necessariamente a cessare colla venuta di Gesù Cristo, immolatosi per la intera umanità, e non per la fortuna di un popolo. (p. 31) - [...] in Etiopia è pacificamente ammesso e riconosciuto, che la madre ha diritto di attribuire con giuramento la paternità del figlio a chi essa ritiene ne sia l'autore, senza bisogno di altra indagine o prova concomitante.
L'unione poi, sia pure effimera, con una schiava, decisamente biasimata e derisa quando si tratta di altri, è invece susata trattandosi di signori e di principi, i quali pur non tenendo un harem, come i mussulmani, ne seguono la pratica poligama. L'importante è che la discendenza dei salomonidi e la loro tradizione continui. (pp. 37-38)
Explicit
[modifica]Bibliografia
[modifica]- Alberto Pollera, Lo Stato etiopico e la sua Chiesa, Roma, SEAI, 1926.
Irridentismo russo
[modifica]- Gli Stati baltici chiaramente si sentono minacciati. Perché come Putin sottolinea, la dottrina militare russa include la "protezione", tra di altri, di cittadini lettoni di lingua russa. È una dottrina pericolosa: significa che un’instabilità come quella ucraina può nascere in ogni altro paese vicino della Russia. (Radosław Sikorski)
- L'idea secondo cui la Russia sarebbe a casa propria ovunque si parla russo [...] basterebbe, se fosse convalidata, a mettere l'Europa e il mondo a ferro e fuoco. Che succederebbe, se si ragionasse così, con i transilvani in Romania? Con i catalani in Francia? Con le tre comunità linguistiche di cui è composta la Svizzera? Con quella «minoranza vallona» di cui certi ideologi, a Mosca, già sostengono che sarebbe minacciata di «genocidio»? Con quella parte della California dove si parla spagnolo? Con la Gran Bretagna, che ha la lingua in comune con l'America? Il nazionalismo linguistico, sotto Putin non meno che all'epoca, nel 1938, dell'annessione dei tedeschi dei Sudeti al Terzo Reich, è un vaso di Pandora. [...] allora come si potrebbe impedire alla Lituania di rivendicare Smolensk? Alla Polonia di avanzare i suoi diritti su Leopoli? Alla Slovacchia di invadere l'oblast della Transcarpazia? Alla Moldavia di reclamare un pezzo di Transnistria? E perché la Russia, un Paese che, lo ripetiamo, non è mai stato uno Stato-nazione prima del 1991, avrebbe più titoli di altri da far valere sulle terre liberate dell'ex Unione Sovietica? (Bernard-Henri Lévy)
- La possibilità di mobilitare una minoranza russa che chieda l’intervento dell’armata russa fu creata con lungimiranza personalmente da Josep Stalin, un despota molto accorto nel decidere, sulla via indicata da Lenin di negare la libertà ai paesi non russi che componevano l’impero zarista e – con astuzia raffinata dalla consuetudine di spostare o eliminare interi popoli – fece emigrare in ogni Repubblica non russofona un nutrito nucleo di abitanti di madrelingua russa, pronti a ribellarsi al governo locale dichiarandosi vittime di pulizie etniche. (Paolo Guzzanti)
- Nessuno si aspetta che Londra un giorno rivendichi territori abitati da persone che parlano inglese, come Putin ha fatto in nome della difesa dei diritti delle comunità russe. Nessuno si aspetta che gli inglesi invadano la Scozia in caso che al suo referendum vinca il sì all'indipendenza. (Radosław Sikorski)
- Per quanto gli abitanti del posto (a Cherson, a Mariupol, a Bucha) urlino la propria indisponibilità a farsi liberare, per quanto si oppongano agli invasori anche con le armi in pugno, essi continuano, sparando, violentando e uccidendo, a insistere: "Voi parlate russo, fate parte dell'universo russo, dovete essere liberati". E forzano con i mitra puntati la gente di Luhansk e del Donbass a prendere passaporti russi.
Se questa logica fose applicata al "mondo italiano", la brigata Folgore avrebbe dovuto polverizzare con l'artiglieria il Cantone Ticino, dove si parla italiano e che faceva parte del Ducato di Milano! (Elena Aleksandrovna Kostjukovič)
Per Stepan Bandera
[modifica]Articolo pubblicato in Vizvolna Politika, novembre-dicembre 1946; Перспективи Української Революції [Prospettive della rivoluzione ucraina], Дрогобич, Видавнича фірма "ВІДРОДЖЕННЯ", 1998, ISBN 966-538-059-1.
Citazioni su Stepan Bandera
[modifica]- L'estrema destra in Ucraina vede certamente Bandera come uno dei loro padri politici, ma l'estrema destra nel paese è molto debole, e la popolarità della figura di Bandera va molto al di là della destra. La ragione è che, sebbene Bandera fosse di estrema destra e – almeno per un periodo della sua vita – un fascista, in Ucraina oggi non è visto principalmente come tale. È considerato un combattente per l'indipendenza dell'Ucraina che morì per questo. Fu ucciso a Monaco di Baviera nel 1959 dal KGB – la stessa organizzazione nella quale si è formato Putin. Nel discorso pubblico la sua figura è quella di un liberatore, anche se naturalmente non avrebbe instaurato un regime liberale se fosse andato al potere. Del resto, i suoi rapporti con l'occupante tedesco durante la Seconda guerra mondiale erano stati conflittuali. Due dei suoi fratelli furono uccisi ad Auschwitz (apparentemente da compagni di prigionia). Un altro fratello morì durante l'occupazione tedesca in circostanze non chiare. Lo stesso Stepan Bandera è stato a lungo rinchiuso nel campo di concentramento di Sachsenhausen vicino a Berlino. Queste sono le cose che sono enfatizzate dalla memoria pubblica in Ucraina: una memoria selettiva, non una visione storica oggettiva. È un fenomeno che vediamo in molti Paesi, dove le pagine buie delle biografie degli eroi nazionali sono dimenticate o taciute. (Andreas Umland)
- La Russia usa allegramente il culto ucraino di Bandera come prova che l'Ucraina è uno Stato nazista. Gli ucraini rispondono per lo più sbianchettando l'eredità di Bandera. È sempre più difficile per le persone concepire l'idea che qualcuno possa essere stato il nemico del tuo nemico e tuttavia non una forza benevola. Una vittima e anche un carnefice. O viceversa. (Maša Gessen)
Bibliografia
[modifica]- Степан Бандера, Перспективи Української Революції [Prospettive della rivoluzione ucraina], Дрогобич, Видавнича фірма "ВІДРОДЖЕННЯ", 1998, ISBN 966-538-059-1.
Vera Aleksandrovna Politkovskaja (1980 – vivente), giornalista russa.
Intervista di Fiammetta Cucurnia, Video.repubblica.it, 4 ottobre 2007.
- Lei riceveva sempre minacce. Noi vivevamo con questa continua pena, paura. Però lei proprio non ne voleva neanche parlare. Lei diceva: «Questo è il mio paese. Io sono nata qui, voglio vivere qui, voglio lavorare qui. Quale sarà il mio valore se io prendo, lascio tutto e me ne vado?».
- Era mia madre. Io penso che, durante la sua vita, lei ha fatto molto bene per le persone e ha lasciato sicuramente la sua traccia. E quindi col suo contributo qualcosa di meglio c'è nel nostro paese. Però contemporaneamente devo dire sarebbe stato molto meglio che lei non se ne fosse occupato, che non avesse fatto nulla e che fosse viva. Per me, al diavolo tutto. Io avrei voluto mia madre.
Intervista di Giorgio Comai, Balcanicaucaso.org, 3 dicembre 2010.
- Non augurerei a nessuno di leggere sulla propria madre il tipo di frasi ed opinioni riguardanti Anna Politkovskaja che mi è capitato di trovare.
- Alla procura si sono occupati di indagini per due anni prima di dare inizio al processo e hanno arrestato delle persone, che tra l'altro poi hanno liberato. E non sono neppure riusciti a contare correttamente la tempistica dell'omicidio. Quando hanno indicato i secondi che sono trascorsi tra il momento in cui mia madre è entrata nel nostro condominio a quando l'assassino è uscito, non corrispondevano con le ore che avevano fornito. Ce l'ha fatto notare una nostra amica giornalista proprio mentre eravamo in aula di fronte al giudice. È un piccolo errore, forse, ma dimostra con quanta poca serietà abbia lavorato chi si è occupato delle indagini.
- Abbiamo ricevuto molte dimostrazioni di sostegno da rappresentanze diplomatiche estere. Ricordo che ad esempio il console francese è venuto di persona al funerale e ci ha passato una lettera di condoglianze firmata personalmente dal capo dello Stato del suo Paese. Ma i diplomatici non vengono certo a dire a noi di cosa parlano nei loro incontri ufficiali con i vertici russi.
Intervista di Valentina Barbieri, Lsdi.it, 17 maggio 2011.
- Nel nostro paese la libertà di stampa è un problema grave. Ogni giornalista si trova di fronte ad un bivio: può scegliere la carriera e scrivere quello che gli dicono oppure può fare una scelta diversa, scrivere quello che trova giusto e occuparsi di quello che gli interessa. Le conseguenze sono diverse: nel primo caso guadagnerà un posto di prestigio (ovvero statale), nel secondo caso potrebbe finire male.
- Per quanto riguarda il mio vissuto di giornalista, cerco di evitare qualsiasi confronto tra l’esperienza di mia mamma e la mia. Non ho la sua ricchezza professionale, trent’anni di attività, la sua grande esperienza. Lei lavorava a modo suo, in una maniera personale, io lavoro in un altro modo, il mio.
- Quando ti riferisci a qualcuno, inizi inevitabilmente a copiare, mentre nel giornalismo è più importante lavorare sul proprio stile.
Intervista di Aleksej Tekhnenko, Repubblica.it, 3 marzo 2015.
- Quello di Nemtsov è un omicidio politico, dimostrativo, arrogante. Come quello che ha distrutto la nostra famiglia. [...] Riconosco uno stile che mi preoccupa. Vaghezza, contraddizioni e troppe ipotesi che fanno solo confusione. Come allora.
- A me basta la certezza che sia un omicidio politico. Chiunque abbia ucciso lo ha fatto per mettere a tacere una voce scomoda. È sempre la stessa storia.
- Bisogna restare all'erta. Contrastare ogni voce falsa, chiedere giustizia sempre, instancabilmente. E mi auguro che gli amici e i compagni di movimento di Nemtsov riescano a tenere alta l'attenzione sui media. Lo so per esperienza, non è facile. Tutto si dimentica.
Intervista di Sara Giudice, La7.it, 5 maggio 2022.
Tg24.sky.it, 14 ottobre 2022.
Intervista di Rosalba Castelletti, Repubblica.it, 18 febbraio 2023.
- Dopo aver partorito, la cultura non mi bastava più. E mi sono buttata nel giornalismo politico e sociale. Cos'altro ho preso da mia madre? Tante, troppe cose. La più importante è l'attitudine verso il lavoro: qualsiasi mestiere tu faccia, devi farlo bene. Non sono ammessi errori, tantomeno fallimenti.
- Ho saputo che sono in corso le riprese di un film cosiddetto "biografico" intitolato Anna. Madre Russia che sarà pieno di inesattezze sul suo conto. Anch'io, mio fratello e il direttore di Novaja Gazeta, Dmitrij Muratov veniamo rappresentati in modo deformato. Non mi piace.
- Vedevo come si difendeva ogni volta che qualcuno ci provava. Dava sempre la stessa risposta: "Chi se non io?". La domanda restava sospesa e bisognava fermarsi lì. In quei momenti mi mettevo nei suoi panni e capivo che quei tentativi non erano solo inutili, ma sbagliati. Fatta la propria scelta di vita, ciascuno deve poter continuare per la propria strada. Capivo i rischi che correva, ma li accettavo.
- Non saremmo qui se i Paesi occidentali fossero stati più duri con la Russia quantomeno a partire dal 2014, anno dell'annessione della Crimea. Ma la Storia non conosce il condizionale. Parlarne non ha senso. Viviamo nel presente e dobbiamo farci i conti. Bisogna pensare a cosa fare ora.
- [«Le sanzioni adottate le sembrano efficaci?»] L'obiettivo qual era? Fermare l'aggressione contro l'Ucraina? Beh, non è stato raggiunto. La maggior parte delle sanzioni finora non ha fatto che colpire i russi come me, fuggiti per scampare al clima d'odio e alla repressione. Non possiamo ottenere visti né permessi di lavoro. Non possiamo usare le nostre carte bancarie e accedere ai nostri soldi. In che modo tutto ciò possa influenzare l'andamento delle ostilità, non lo capisco. Se la speranza era istigarci a rovesciare il potere, privandoci di beni e merci, è chiaro che era mal riposta. Anzi trovo bestiale l'idea di volerci convincere a farci manganellare, torturare e imprigionare. L'Occidente ha iniziato a trattarci come gente di serie B. Il nostro passaporto è diventato un marchio d'infamia. Come si può vivere così?
- Putin prima o poi se ne andrà, ma non credo che la Russia diventerà un Paese libero e democratico. Ce lo insegna la Storia. Il pericolo che dopo arrivi qualcuno di peggiore è concreto. Verranno tempi torbidi.
Intervista di Massimo Giannini, Lastampa.it, 21 febbraio 2023.
Rainews.it, 22 febbraio 2023.
Iodonna.it, 20 maggio 2023.
- Se parliamo di questo momento storico, noto molti cambiamenti, ma in negativo. Non vedo segnali di miglioramento della situazione o di un prossimo futuro in cui la Russia sarà finalmente “un Paese felice”. La Russia precipita sempre di più in una realtà oscura e imprevedibile. Per uscirne impiegherà diversi decenni.
- Oggi i diritti dell’uomo, così come sono intesi in Occidente, non esistono. Non solo, ma negli ultimi tempi politici e personaggi pubblici insistono nel criticare l’introduzione di queste concezioni in Russia, o a distorcerne il significato. Adesso ai diritti della persona vengono contrapposti i non del tutto chiari “valori tradizionali”. Risultato: l’attività di alcune persone sui social porta a procedimenti penali, il movimento Lgbt è di fatto vietato, tutti i media dell’opposizione sono stati bloccati in rete o chiusi. La Russia si è ritirata dalla convenzione per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Se si scava, poi, un po’ più a fondo, si scopre che non c’è più nemmeno lo spazio per tentare di difendere i diritti umani.
- [...] in Russia la misoginia è un sentimento abbastanza diffuso e per qualche russo è addirittura parte di quei valori tradizionali cui accennavo prima. Però, a essere sinceri, in molti Paesi questo sentimento è comune almeno quanto in Russia, e in alcuni anche di più. Se poi contestualizziamo il tutto da un punto di vista storico, non è passato molto tempo da quando le donne hanno ottenuto almeno il diritto di voto. E ora, come allora, la parte femminile del mondo deve ancora lottare per ottenere le stesse possibilità degli uomini. Per questo continuare a conquistare i propri diritti è il compito più importante per tutte le donne del pianeta.
Repubblica.it, 23 ottobre 2023.
- Riconosco senza problemi che una parte della responsabilità per quello che accade è mia, in quanto cittadina proveniente dalla Russia, e i cittadini dell’Ucraina, finché la guerra non finirà, hanno tutto il diritto di accusare i cittadini della Federazione russa per quanto si sta verificando. Ma questo diritto è solo loro.
- Come è possibile che l’odio verso i russi in tanti Paesi del mondo, specie in Europa, faccia ormai parte della normalità? La prima cosa che colpisce è la reazione serafica della comunità europea che vede in questo odio un dato di fatto, un normale stato delle cose. Va detto che anche l’invasione dell’Ucraina è un dato di fatto, ormai scontato, per molti russi. Qual è dunque la differenza tra comunità europea così civile e quella russa, che negli ultimi diciotto mesi è stata costantemente tacciata di non ribellarsi a sufficienza contro le autorità? Dove sono finiti tutti quelli a cui stridono i denti a forza di intestarsi la causa animalista, quella della comunità LGBTQIA+ o quella degli afroamericani? Siete tutti concordi nel dire che siamo tutti uguali ma prendersela con una persona solo perché possiede il passaporto russo vi sta bene?
- La maggioranza degli stati che non accoglie più i russi e ha anche interrotto l’emissione di visti di transito è rappresentata da Paesi al confine con la Russia. Ovvero proprio quei Paesi in cui si sono rifugiati i miei concittadini in fuga dagli orrori del regime di Putin. L’hanno fatto in pena per il futuro e l’incolumità delle proprie famiglie, temendo di essere esposti a azioni persecutorie politiche, che oggi in Russia equivalgono a quelle penali.
- Tra i Paesi che non concedono visti ai russi figurano la Polonia, la Finlandia, la Repubblica ceca, la Lettonia e tanti altri. Oltre a questo divieto, di recente i politici di tutti i Paesi europei che spartiscono la frontiera con la Russia hanno bloccato l’ingresso nei paesi membri dell’Unione Europea alle automobili immatricolate nel mio Paese. L’argomentazione utilizzata per giustificare la misura rimanda a una delle regole del regime sanzionatorio introdotto dopo lo scoppio della guerra: ora le automobili russe sono considerate merce d’importazione e quindi vietata.
- «Russi, dovete soffrire! Ovunque siate, alla fine siete voi che avete invaso! Se non vi va bene ritornatevene a casa vostra e rovesciate Putin! Non avrete diritti finché ci sarà la guerra!». Ogni qual volta sento pronunciare queste frasi da parte degli ucraini, la mia mente va col pensiero alle loro città dove tutti i giorni cadono i missili russi. Mi sento capace di capirli e perdonarli ogni volta, perché mi mostrano un odio viscerale, ma per «una giusta causa». Tuttavia non posso non notare i parallelismi con la retorica del Cremlino: potete “invitare” i russi a tornare casa per rovesciare Putin quanto volete, ma rimane il fatto che ora tutti i critici del regime in vigore a Mosca si trovano o sotto terra, o in prigione o all’estero. Non dimentichiamo che è da diciotto mesi che lo stesso esercito ucraino non riesce a sconfiggere il regime putiniano, al netto di tutti gli aiuti provenienti dal mondo civile.
- La guerra in Ucraina è il frutto di una politica pluriennale del Cremlino, smascherata sovente da chi ora non c’è più, è dietro le sbarre oppure se n’è andato. Al contempo è anche il fallimento totale della diplomazia non solo di Kiev e Mosca, ma anche di quella europea e americana. A pensarci bene, i responsabili delle ostilità in Ucraina al massimo sono i vertici del potere russo e i politici occidentali. Ora Putin potrà troneggiare legalmente fino al 2036. Il presidente di un paese immenso ha sistematicamente violato le leggi, anche quelle internazionali, ma in tutto il mondo civile hanno continuato a stringergli la mano.
Da Putin temeva Navalny più di ogni altro e si è sbarazzato di lui come di mia madre Anna Politkovksaja
Repubblica.it, 19 febbraio 2024.
- Per i politici europei e americani, l’omicidio di Navalny è solo l’ennesimo pretesto per prendere la parola e ancora una volta “dare uno schiaffo” alla Russia di Putin.
- L’oppositore russo è stato in qualche modo il prigioniero personale di Vladimir Putin che lo temeva talmente da non osare pronunciare il suo nome ad alta voce, offrendo così il fianco ai giornalisti che glielo hanno fatto notare a più riprese. Navalny, dal canto suo, trovandosi già dietro le sbarre, non ha mai avuto paura a definire il capo di stato russo un omicida, un farabutto e un ladro. Con il sorriso sarcastico sul suo volto, in più di un’occasione ha schernito il presidente russo e tutto il sistema da lui costruito. Le numerose cause penali intentate ai suoi danni non facevano altro che dargli il pretesto per farsi una risata.
- [...] le persone che si sono occupate di eliminare Navalny sono ufficialmente “a servizio dello stato” nei tribunali, nelle procure, nelle carceri e nelle case circondariali. Si tratta di persone che non per forza occupano posizioni di rilievo. Ma tutte loro, in un modo o nell’altro, sono complici e, qualora il caso relativo all’omicidio di Navalny dovesse arrivare in tribunale, sul banco degli imputati ci sarebbero decine di persone.
- [...] le cose si svolgeranno come si erano svolte fino all’esecuzione di Navalny. Con l’aiuto delle forze dell’ordine, degli arresti e dei processi, metteranno il bavaglio a tutti quelli che oseranno pronunciare la verità sulla fine dell’oppositore. I politici occidentali si indigneranno ancora un po’, esprimeranno il loro orrore rispetto a quanto accade in Russia, salvo poi tornare subito a occuparsi delle loro vicende quotidiane. Succederà così perché non possono fare nulla, non hanno mai avuto e non hanno neanche ora delle reali possibilità per fare leva sulla situazione in modo da cambiarla.
Repubblica.it, 8 marzo 2024.
- Mentre in tutto il mondo civilizzato il ruolo della donna nella società cresce, in Russia si susseguono prese di posizione che non fanno che danneggiarla. Non mi riferisco solo al divieto di abortire, già in vigore nelle strutture sanitarie private del Paese, ma anche agli appelli dei politici che chiedono di limitare l’accesso delle donne all’istruzione secondaria, in modo che non vengano distolte da quella che secondo lo Stato (e secondo una parte dei russi) è la loro funzione principale: fare figli.
- In generale l’impressione è che – sempre nella visione statale – le donne russe, ancor più dopo l’inizio della guerra con l’Ucraina, siano destinate a ricoprire esclusivamente il ruolo di macchine per la riproduzione della popolazione.
- Ad abbandonare la Russia sono state proprio quelle persone che avrebbero potuto influire sul futuro in maniera positiva. Neanche dall’estero riescono a far sentire la loro voce: la macchina della propaganda ha fatto presto a bollare come "traditore della patria” chi è andato via. Con il risultato che chiunque dall’estero osi criticare pubblicamente la situazione in Russia viene sommerso da una montagna di fango e screditato in tutti i modi possibili, compreso ritrovarsi oggetto di azioni civili e penali. Lo scopo è anche quello di rendere difficile il rientro in patria di queste persone.
- [Su Julija Naval'naja] La denigrazione del nemico con ogni mezzo è pratica diffusa in Russia: se poi il nemico è una donna che ha osato mostrare al mondo un’immagine che non è solo quella della vedova inconsolabile e in preda al dolore, i denigratori sono capaci di tutto. La misoginia trova terreno fertile nella nostra società.
- Nell’immaginario collettivo russo il campo d’azione legittimo della donna continua a essere quello della cucina e delle stanze da letto dei figli. Anche per quelle che riescono a uscire da questo schema la vita non è semplice: il divario salariale a parità di professione e di ore di lavoro, nel migliore dei casi, è del 30 per cento. Gli uomini non hanno nessun problema a cercare di ostacolare la carriera delle loro colleghe.
- [...] nel Caucaso, e in particolare in Cecenia, la situazione per le donne è orribile. Qui, come all’epoca dei barbari, sono soggette a mutilazioni genitali e rischiano di venire uccise in nome dell’onore della famiglia.
- Il 40 per cento circa dei russi è convinto che se un uomo mantiene una donna può vietarle di uscire di casa, incontrare gli amici e i parenti, lavorare o utilizzare le carte di credito senza il suo consenso. Certo, non tutti gli uomini russi la pensano così. Ma se ci riferiamo al cosiddetto “Paese profondo”, allora diciamo che questa visione della donna è molto diffusa.
- Mi piace pensare che sia possibile, ma servirebbero sforzi giganteschi e un leader, o una leader, capace di unire moltissime persone che la pensano in maniera diversa sulla guerra e sull’operato di Putin. Yulia Navalnaya ha tutte le carte in regola per diventarla. Ha tutto quello che le serve, salvo il marito.
- Credo che Yulia sia assolutamente in grado di unire tutte le forze di opposizione russe al di fuori del Paese. Ma l’apparato repressivo all’interno del Paese è talmente potente che riuscire a coinvolgere chi vive in Russia sarebbe ben altra impresa. Questo è un dato di fatto, e non può essere ignorato.
- Le donne russe sono forti per natura e temprate dalle circostanze. Di “principesse sul pisello” io ne conosco poche. La mia speranza è che sulla scena politica emergano donne che sappiano guardare la realtà come la vede Yulia Navalnaya. Penso che solo loro potrebbero diventare la forza motrice che potrà far uscire la Russia dalle tenebre in cui si è impantanata.
Una madre
[modifica]Incipit
[modifica]Mia madre è sempre stata una persona scomoda, non solo per le autorità russe, ma anche per la gente comune che sfoglia un giornale e ne legge gli articoli. Purtroppo la maggioranza della popolazione russa crede a quello che le viene detto dagli schermi dei canali di Stato: un mondo virtuale creato dalla propaganda, dove, nel complesso, tutto va bene. E i problemi, che periodicamente vengono segnalati all’opinione pubblica, hanno origine nei Paesi occidentali o, come si dice in Russia con un sorrisetto, «nell’Occidente in decomposizione».
Citazioni
[modifica]- I dittatori hanno bisogno di offrire sacrifici umani per consolidare il loro potere. (p. 10)
- In Russia tutti si sono dimenticati in fretta di Anna Politkovskaja, soprattutto la gente che conta, perché mantenere la memoria di persone come mia madre è pericoloso. È molto più comodo perderne le tracce e dimenticare la sua verità. (p. 10)
- In Occidente il nome Politkovskaja è fonte di orgoglio. A mia madre intitolano piazze e vie, la sua attività giornalistica viene studiata nelle università, i suoi libri si vendono in tutto il mondo. In Russia quel nome è avvolto dal silenzio. (p. 10)
- Dopo il 24 febbraio 2022 il nostro cognome è tornato ad avere un peso, a essere oggetto di minacce, ancora di morte, questa volta contro mia figlia, che è solo un’adolescente. Da quando a scuola hanno iniziato a parlare del conflitto in Ucraina, i compagni si sono scagliati contro di lei. Pesantemente. Così abbiamo scelto l’esilio volontario, la fuga in un altro Paese. (p. 10)
- Anna Politkovskaja si formò come giornalista proprio nel periodo della perestrojka. Ne ha incarnato perfettamente lo spirito, il desiderio di cambiamento: sognava una democrazia compiuta, e sognava di fare il suo mestiere in un Paese libero, come dovrebbe essere, come non è quasi mai, nel mondo. (p. 16)
- Nella vita di tutti i giorni mia madre era una persona difficile. La gestione familiare, il desiderio di avere il meglio per noi, oltre alla sua acuta percezione di tutto ciò che accadeva intorno, prosciugavano le sue forze. A ripensarci ora, credo che la responsabilità di una famiglia le sia caduta addosso troppo presto. (p. 25)
- [Sul putsch di agosto] Di quei momenti, dopo il ritorno a Mosca, ricordo questa scena in particolare: mia madre che piange seduta su una panchina nel cortile di casa. Ignara del motivo, pensavo fosse preoccupata per papà, che non era ancora tornato dalla Casa Bianca. Invece poi ho scoperto che quel giorno tre giovani manifestanti che si opponevano ai golpisti erano morti, schiacciati dalle ruote di un veicolo da combattimento della fanteria proprio nel centro di Mosca. Alla notizia, mamma non era riuscita a trattenere le lacrime. L'episodio fu per lei un chiaro esempio di come troppo spesso siano le persone comuni a subire le conseguenze di avvenimenti storici di portata epocale, anche pagando con la vita: un tema che percorre come una linea rossa tuta la sua carriera professionale. (p. 32)
- In cabina di regia scherzavamo sul fatto che, per qualche motivo a noi sconosciuto, gli opinionisti filogovernativi risultavano sempre un po' retrogradi, dei sempliciotti, con il loro eloquio clericale, noioso e poco interessante, mentre gli avversari dimostravano grande acume, profonda conoscenza dell'argomento oggetto della discussione, e avevano un atteggiamento propositivo e idee concrete per trovare una soluzione al problema. Gli oppositori non pensavano solo a farsi belli di fronte alle telecamere, e lo spettatore era in grado di capire benissimo come stavano le cose. (p. 46)
- Molti in Occidente non capiscono perché i russi accettino così docilmente tutto ciò che fanno le autorità. I cittadini non protestano, non scendono in piazza. Oltre al fatto che la maggior parte della popolazione è impegnata a sopravvivere in condizioni di povertà, le sanzioni per la partecipazione a picchetti o manifestazioni sono diventate così elevate che pochi osano esporsi. Se in Europa, al termine di una «protesta» pacifica, ciascuno può rientrare tranquillo a casa propria, in Russia la maggioranza dei manifestanti finisce in una stazione di polizia. E non è scontato che se la cavi con una «semplice» (comunque alta) sanzione amministrativa, anziché con quindici giorni di cella. Anzi, spesso rischia un processo penale. (p. 53)
- Chi può, in Russia, evita il servizio militare come la peste, perché sa che nelle caserme potrebbe accadere di tutto, ammesso di sopravvivere al nonnismo incontrollato. È risaputo, inoltre, che in tempo di pace i soldati vengono spediti in zone impervie affinché diventino «veri uomini», imparando a cavarsela con misere razioni alimentari e attrezzature poco idonee. Il podersoso ammodernamento delle forze armate, per il quale è stato speso l'equivalente di milardi di euro, è in buona parte avvenuto solo formalmente e non si capisce dove siano finiti quei soldi. (p. 63)
- [Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022] Secondo le stime dell'intelligence ucraina, in migliaia si sarebbero dati alla fuga dalla prima linea e in alcune unità si è arrivati al 60-70 per cento di disertori. I dissidenti russi si mantengono più cauti, calcolando gli abbandoni in circa un miglaio. Il Cremlino, proprio come sul numero dei morti, tace. (p. 66)
- I familiari dei caduti raccontano che spesso apprendono della scomparsa dei congiunti dai commilitoni o dai canali Telegram ucraini. Oppure capiscono che è successo qualcosa di irreparabile quando il loro congiunto smette di chiamare a casa. I russi, al contrario, tendono a lasciare sul campo i corpi dei comilitoni russi. (p. 66)
- Un'intera generazione di giovani pagherà un prezzo altissimo, come è già avvenuto ai tempi della Seconda guerra mondiale, del conflitto in Afghanistan e della Cecenia. E il prezzo non è solo la morte. Tra i fortunati che torneranno da questa guerra, le conseguenze psicologiche saranno incalcolabili, per non parlare dell'enorme quantità di invalidi che non sapranno di cosa vivere. (p. 69)
- Io sono una cittadina russa, ma sono disgustata dal cieco nazionalismo e dallo pseudopatriottismo che stanno montando nel mio Paese. Quando un Paese aggredisce, chi subisce e soffre deve difendersi. Credo sia giusto che l'Occidente stia aiutando attivamente l'Ucraina a difendersi. Se così non fosse stato, la guerra sarebbe già finita. E penso che lo stesso Cremlino avesse scommesso sulla mancanza di sosteno da parte occidentale, quando ha cominciato l'aggressione. Quello che dico può apparire una contraddizione, per me che sono una pacifista convinta. Odio la guerra e le conseguenze che porta con sé. Ma si tratta di una contraddizione inevitabile. Voglio vedere la Russia come un Paese prospero, libero e sviluppato, non incosciente, povero e militarizzato. (p. 70)
- La diffusione di informazioni da canali non ufficiali inizialmente comportava una multa, quindi la sospensione dell'attività, infine il ritiro della licenza per trasmettere, radio o televisione che fosse, o per stampare e vendere il giornale. Nel corso del primo mese di guerra, in Russia sono state varate alcune leggi che introducevano la responsabilità amministrativa e penale per la diffusione di «fake news» riguardanti le azioni dell'esercito russo, con una pena prevista fino a quindici anni di carcere. Ciò ha permesso di arrestare diverse persone che avevano criticato l'operato dei militari russi in Ucraina sui social o sui propri blog. (p. 76)
- A tutte le difficoltà oggettive connesse con l'inizio della guerra se n'è aggiunta una ulteriore, che riguarda solo mia figlia: inconsapevolmente si è ritrovata anche lei sulla linea del fuoco. Lei si chiama come la nonna, Anna Politkovskaja, e per questo a scuola è stata subito oggetto di atti di violenza e di bullismo. A dire la verità, era già accaduto in passato. Quando Anna visitava una nuova palestra per un corso di ginnastica, le veniva spesso ricordato dai suoi coetanei, ovviamente in forma offensiva, da quale famiglia provenisse. Dopo il 24 febbraio 2022, però, la mancanza di rispetto si è trasformata in minaccia. (pp. 77-78)
- Quando mamma era via, in pratica non avevamo alcun contatto con lei, perché non esistevano linee telefoniche adeguate. Eppure non sono mai rimasta a casa ad aspettare che tornasse. Del resto, lei non l'avrebbe mai voluto. Mia madre era una donna estremamente indipendente e con questo spirito ha cresciuto anche noi. Ancora adesso, quando ripenso a lei, la vedo seduta alla scrivania con la testa china sul computer a scrivere una «nota». Così le piaceva chiamare i suoi testi: non notizie, articoli, materiali, ma note. E mentre ci si dedicava era assente, anche quando era presente fisicamente. (pp. 89-90)
- Mia madre non accettava mai compensi da parte delle persone che aiutava: era una questione di principio. (p. 95)
- Lei cercava comprensione, ma riceveva sostegno solo dai colleghi della redazione del suo giornale e da pochissime altre redazioni di mezzi di informazione alternativi. E, ovviamente, dalle tante persone che aiutava. Perché solo questo contava per lei: fare il proprio lavoro, raccontare quello che vedeva, dare asilo a quanti non sapevano dove altro andare. Le loro storie non coincidevano con la versione ufficiale dei vari uffici competenti legati al Cremlino. (p. 105)
- Questo era il suo modello di giornalismo. Raccontare i fatti, scrivere senza tener conto delle gerarchie. Un concetto forse banale per chi vive in una democrazia, ma in Russia era pura follia: significava dare per sontata la libertà e sfidare il sistema irritando tutti, compresi i colleghi che avrebbero dovuto farsi carico della stessa responsabilità, raccontando a loro volta la verità. Invece mia madre era sola, profondamente sola. (p. 106)
- Scrivere la verità serve, anche se nessuno la vuole ascoltare. E serve anche fare il proprio lavoro bene, sempre. Mettere in discussione questo significherebbe riconoscere che il suo sacrificio è stato inutile. (p. 107)
- Lei era profondamente convinta che, nel momento in cui si assiste a un'ingiustizia, si è costreti a intervenire. Se invece non la riconosci, o non ci credi, allora non ti senti coinvolto, anche se in fondo sospetti che un'ingiustizia esista. (p. 108)
- [Sulla crisi del teatro Dubrovka] I terroristi avevano già ucciso diverse persone. Doveva avanzare con cautela, seguendo un certo percorso all'interno dell'edificio, e un passo sbagliato a sinistra o a destra poteva portare all'irreparabile. «Lì dentro ricordo di aver calpestato vetri rotti mescolati a qualcosa che sembrava sangue», c'erano vetri ovunque mi disse. «Una sensazione impossibile da dimenticare». (p. 117)
- [Sulla crisi del teatro Dubrovka] Dopo alcuni articoli si cominciò a dire che mia madre stava speculando sui morti, che «ballava sulle loro ossa» per fare carriera. Come spesso accade in Russia, parlare o scrivere di questa vile operazione, a seguito della quale morirono centotrenta persone, invece di essere liberate, significa mettere in discussione il lavoro delle forze speciali e le decisioni della leadership. Per questo, proprio perché la cosa era andata male ed erano morte molte persone, le dicevano di lasciar perdere. (p. 120)
- [Sulla crisi del teatro Dubrovka] Mi sarei potuta trovare anche io in quel teatro. Tra gli ostaggi, le vittime o tra quanti, a causa di quella storia, portano cicatrici che non si rimarginano. Ma non avevo sentito la sveglia e l'audizione, quel famoso giorno, era saltata. (p. 122)
- [Sulla strage di Beslan] Se fosse arrivata a Beslan, mia madre avrebbe provato a parlare con i terroristi, ma evidentemente troppe persone non volevano che accadesse. Non tolleravano come lavorava, il fatto che raccogliesse le testimonianze delle famiglie degli ostaggi. Su quell'aereo non hanno solo cercato di ucciderla. Le hanno impedito di fare il suo lavoro. (p. 139)
- Nessuna autorità russa presenziò al funerale. Solo tanta gente comune in lacrime. Quel giorno mi resi davvero conto di quanto lei fosse tenuta in considerazione, di quanto le volessero bene e di quanto profondamente il suo assassinio avesse scosso l'opinione pubblica. In molti, da quel momento, non avrebbero avuto più voce, né una spalla su cui piangere. Per tante di quelle persone si era spenta l'ultima possibilità di avere giustizia, di vedere scritta la propria storia. (p. 165)
- In Russia, i membri delle forze dell'ordine rappresentano una casta a sé. Per me è sempre stato un mistero dove e da chi imparino a comportarsi e a comunicare con la gente. Spesso il loro stile «da cavernicoli» sembra fatto apposta per innervosire gli interlocutori, farli sentire inferiori, poca cosa rispetto alla «macchina statale» e all'uniforme che hanno di fronte. La maggior parte delle persone normali, a cui non è mai capitato di avere a che fare con loro, la prima volta non sa come affrontarli. (p. 170)
- La seconda guerra cecena è stata una delle meno raccontate della storia, spacciata per giunta come lotta al terrorismo islamico, uno dei pilastri su cui Putin costruì una parte consistente della retorica sulla sua nuova Russia. Un secondo, forte pilastro propagandistico fu individuato nella «grande guerra patriottica», la resistenza al nazismo e la vittoria del 1945. Se il nazismo era stato il nemico e la sua sconfitta un atto fondativo della nuova Russia, chi ne sottovalutava la valenza politica e storia si poneva automaticamente al di fuori del pensiero dominante in Russia. Bisognava eliminare le scorie del decennio eltsiniano e degli anni della perestrojka, quando la ricerca storica aveva vissuto un periodo di grande libertà erano venute alla luce verità sgradevoli per i russi, legate ai crimini del regime staliniano. La storia e la democrazia dovevano diventare sovrane, mentre la libera ricerca storica era vista come una minaccia, perché capace di «leggere» in maniera critica la narrazione dominante del passato. [...] Il terzo pilastro su cui poggia la nuova dottrina nazionale è quella del vittimismo. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica, la Russia è stata umiliata. Da chi, se non dall'Occidente, con i suoi valori così lontani da quelli della tradizione russa? (pp. 181-183)
- Putin e i suoi, [...] oltre alla sbandierata denazificazione, non hanno mai dichiarato i veri scopi della guerra. In Russia è stato ripetuto che si trattava di proteggere la popolazione del Donbass dopo otto anni di continue aggressioni e che in Ucraina esisteva un regime nemico, pronto, secondo Mosca, a invadere il Paese su mandato dell'Occidente. La realtà è che il Cremlino non può tollerare un'Ucraina democratica, che cerca di porre le basi per il suo ingresso nell'Europa politica. Una guerra prolungata, comunque vada a finire, rallenterà il processo di democratizzazione ed europeizzazione dell'Ucraina. La dirigenza russa parla anche dell'esistenza di una minoranza nazionale russa in Ucraina che non può essere esclusa dal godimento dei pieni diritti tra cui, per esempio, l'uso del russo a scuola e negli uffici pubblici. Nel primo mese di guerra, tuttavia, i bombardamenti si sono concentrati proprio sui territori in cui è preponderante la popolazione russofona, così come russofona è la maggioranza dei profughi costretti a lasciare le proprie abitazioni. Dopo l'aggressione, addirittura, molti di loro stanno progressivamente privilegiando l'ucraino. (pp. 183-184)
Explicit
[modifica]Bibliografia
[modifica]- Vera Politkovskaja, Una madre. La vita e la passione per la verità di Anna Politkovskaja, traduzione di Marco Clementi, Rizzoli, ISBN 978-88-17-17882-2
Intervista di Paul Rowlands, money-into-light.com, giugno 2021.
- Girare i film dell'orrore è stressante, perché la paura deve sempre stare (deve sempre esserci la paura) su un piano psicologico. Devi continuare a lavorare con quella paura costantemente. Devi sentirla nelle tue emozioni.
- Making horror films is stressful, because the fear always has to be on a psychological plane. You have to keep working with that fear continuously. You have to feel it in your emotions.
- Dario era un grande ammiratore di Edgar Allan Poe, e per lui i corvi erano un elemento molto importante del film. Quando stavamo girando un scena particolare del film, mi gettava addosso dei corvi vivi. Io gridavo "Basta! Basta!" e lui diceva "Devo farlo perché devi provare questa paura e questa sensazione". Litigavamo, ma era un periodo divertente per me. Stressante ma divertente.
- Dario was a big fan of Edgar Allan Poe, and ravens were a very important element of the film for him. When we were shooting a particular scene in the film, he threw actual live ravens at me. I shouted "Stop! Stop!" and he said "I have to do this because you need to experience this fear and sensation." We would fight with each other, but it was a fun time for me. Stressful, but fun.
- Litigavamo tanto, ma c'era rispetto reciproco tra di noi. Lui mi rispettava come attrice ed io lui come regista. Era molto concentrato su elementi tecnici (questioni tecniche, dettagli tecnici), mentre io volevo fargli tante domande sugli aspetti psicologici del mio personaggio e della storia. Ma lui non diceva altro che "No, no, no, va tutto bene" e poi parlava di cosa stava per fare tecnicamente (sul piano tecnico).
- We fought a lot, but there was mutual respect between us. He respected me as an actress and I respected him as a director. He was very focused on technical things, whereas I wanted to ask him a lot of questions about the psychological aspects of my character and the story. But he would just say "No, no, no that's all fine" and then just talk about what he was going to do technically.
David W. Macdonald (...), zoologo britannico.
Running with the fox
[modifica]- I lupi cacciano prede grandi; infatti, un alce può pesare 600 chili, dieci volte il peso del lupo più grande. Da solo, il lupo non sarebbe altro che pula per i palchi dell'alce. Un branco, però, può radunare la forza collettiva dei suoi membri. Infatti, lavorando in gruppo si trasformano in una nuova creatura, un super predatore la cui capacità collettiva oltrepassa l'abilità venatoria degli individui coinvolti. La volpe, al contrario, è circa 300 volte più pesante di un topo. La caccia volpina non comporta alcuna maratona affannante, nessuno squartamento, nessun duello contro gli zoccoli. Piuttosto, astuzia, agilità, un balzo aggraziato e un morsetto preciso segnano il destino del topo.
- Wolves hunt large prey; indeed, a moose may weigh 600 kg, ten-fold the weight of the largest wolf. Alone, the wolf would be little more than chaff to the moose's antlers. A pack, however, can muster the collective might of its members. Indeed, by working as a team they are transformed into a new creature, a super-predator whose summed capability exceeds the hunting prowess of the individuals involved. A fox, in contrast, is some 300 times heavier than a mouse. The vulpine hunt involves no lung-bursting marathon, no rip and rend, no sparring against hoofs. Rather, stealth, agility, a graceful leap and a precision nip seal the mouse's fate. (p. 10)
- Le persone mi chiedono spesso perché ho scelto di lavorare con le volpi. Solitamente rispondo che questa specie offre il migliore di molti mondi: il brivido di osservare comportamenti raramente segnalati, la soddisfazione della lotta intellettuale per spiegare perché l'evoluzione ha lavorato ogni sfumatura strutturale in queste incredibili creature, e la convinzione che questa nuova conoscenza sarà utile, contribuendo alle soluzioni di problemi grandi quanto la rabbia e piccoli (ma irritanti) quanto la decapitazione di un pollo di cortile. Questa risposta è onesta, e le motivazioni alla base sono solide. Per dare un'altra risposta, però, non meno importante: io studio le volpi perché sono ancora impressionato dalla loro straordinaria bellezza, perché mi superano in astuzia, perché mantengono il vento e la pioggia sul mio volto, e perché mi conducono alla solitudine soddisfacente della campagna; tutto sommato – perché è divertente.
- People often ask why I chose to work with foxes. Generally I reply that this species offers the best of many worlds: the thrill of observing behaviour rarely seen before, the satisfaction of the intellectual wrestle to explain why evolution has worked each nuance of design into these remarkable creatures, and the conviction that this new knowledge will be useful, contributing to the solutions of problems as grand as rabies and as small (but annoying) as the beheading of a barnyard fowl. This reply is honest, and the arguments underlying it are robust. However, to give another answer, no less important: I study foxes because I am still awed by their extraordinary beauty, because they outwit me, because they keep the wind and rain on my face, and because they lead me to the satisfying solitude of the countryside; all of which is to say – because it's fun. (p. 15)
- Sconfiggere le volpi in astuzia ha messo alla prova l'ingegno dell'uomo per almeno 2.000 anni. [...] Forse, allora, migliaia di generazioni di persecuzione (specialmente quando l'avversario ricorre a trucchi sporchi come marinare i gatti nell'orina) ha plasmato le volpi con le loro quasi sconcertanti abilità di evitare l'uomo e i suoi stratagemmi.
- Outwitting foxes has stretched man's ingenuity for at least 2,000 years. [...] Perhaps then, thousands of generations of persecution (especially when the opposition resorts to dirty tricks like marinading cats in urine) have fashioned foxes with their almost uncanny abilities to avoid man and his devices. (p. 16)
- Rainardo è una volpe che ha avuto un impatto più grande sulla cultura e la sensibilità europea di qualsiasi altro animale selvatico. Adorna i rinfianchi delle chiese medievali, da Birmingham a Bucarest, ghignando dalle pagine dei salteri, e ha trionfato come genio malefico in più di un milione di poemi epici e di bestiari. Prospera nelle storie per bambini contemporanee e ha infiltrato le nostre lingue e perciò le nostre percezioni dei suoi cugini selvatici: poche sono le lingue in Europa in cui la parola "volpino" non è sinonimo di furbizia e inganno.
- Reynard is a fox who has had a greater influence upon European culture and perceptions than any other wild creature. He adorns the spandrels of mediaeval churches from Birmingham to Bucharest, leers from the pages of psalters, and has triumphed as an evil genius in more than a millennium of epic poems and bestiaries. He thrives in contemporary children's stories and has infiltrated our languages and thus our perception of his wild cousins: there is hardly a language in Europe in which the word "foxy" is not synonymous with trickery and deceit. (p. 32)
- Tentare di catalogare l'umore e il risultato delle interazioni delle volpi non è sempre semplice. In particolare, l'osservatore si interroga molto sulla dalla somiglianza esteriore tra l'aggressione e il gioco. Il problema è che la lotta nel gioco ha gli stessi ingredienti della lotta sul serio, tranne per il paradosso che nessuno si ferisce.
- Attempting to categorize the mood and outcome of fox interactions is not always straightforward. In particular, the observer is bedevilled by the superficial similarity of aggression and play. The problem is that fighting in play has the same ingredients as fighting in earnest, except for the paradox that nobody gets injured. (p. 45)
- Se c'è una cosa nella società delle volpi che "non si fa", è di avvicinarsi a qualcuno che sta mangiando. Sotto questo aspetto, il vecchio contrasto con i lupi suona veritiero: i lupi talvolta mangiano una preda fianco a fianco in relativa armonia; le volpi solitamente fanno di tutto per evitare anche di essere viste con del cibo e, nel peggiore dei casi, volteranno almeno le spalle l'una all'altra mentre mangiano. Questo contrasto è particolarmente marcato tra i giovani: i cuccioli di volpe invariabilmente lottano con ferocia sorprendente per il cibo e possono infliggere ferite gravi, i cuccioli di lupo sono più tolleranti. Ovviamente, come qualsiasi altra generalizzazione sulle volpi, ci sono eccezioni alla regola: le volpi maschio nutrono le loro compagne e gli adulti nutrono i cuccioli.
- If there is one thing in fox society that is "not done'", it is to approach somebody who is eating. In this respect, the old contrast with wolves holds true: wolves sometimes feed from a kill side by side in relative harmony; foxes generally do everything possible to avoid even being seen with food and, if the worst comes to the worst, will at least turn their backs to each other while eating. This contrast is especially marked among youngsters: fox cubs invariably fight with astonishing savagery over food and can inflict serious injury, wolf pups are much more tolerant. Of course, as with every other generalization about foxes, there are exceptions to the rule: dog foxes feed their vixens and adults feed cubs. (p. 45)
- Ci sono poche cose affascinanti quanto un cucciolo di volpe, quindi la tentazione di allevarne uno come animale da compagnia è grande. Tuttavia, la gran maggioranza dei "salvataggi" finisce male per tutti i coinvolti. La maggior parte delle persone non ha idea del tempo, strutture, abilità, e soprattutto, tolleranza necessari per allevare una volpe. Da poppanti hanno bisogno di latte ogni quattro ore, giorno e notte, ma questo è un gioco da ragazzi in confronto al loro comportamento una volta svezzati: ogni cucciolo di volpe che ho conosciuto ha avuto una passione sia per il cuoio che per i cavi elettrici. La prima finisce con la distruzione dei portafogli, borsette, scarpe, giacche di camoscio e di montone, mentre la seconda devasta i cavi elettrici. Mi è sempre piaciuto l'odore persistente dell'orina di volpe, ma vale la pena notare che una proprietaria non poté trovare un altro inquilino per diversi mesi dopo che io e la mia volpe lasciammo la proprietà.
- There are few things as enchanting as a fox cub, so the temptation to rear one as a pet is great. Nonetheless, the great majority of "rescues" come to a sad end for all concerned. Most people have no idea of the time, dedication, facilities, skill and, above all, tolerance required to rear a fox. As sucklings they require milk at four hour intervals day and night, but this is a trifling difficulty compared with their behaviour once weaned: every fox cub I have known has had a passion for both leather and electric cables. The former results in destruction of wallets, handbags, shoes, suede or sheepskin coats, the latter wreaks havoc with household wiring. I have always rather liked the lingering smell of fox urine, but it is noteworthy that one landlady was unable to find another tenant for several months after my fox and I vacated the property. (p. 56)
- I costumi della società delle volpi dettano che non c'è amicizia così profonda da poter anche solo tollerare il pensare al cibo di un altro.
- The mores of fox society dictate that there is no friendship so deep as to countenance even thinking about somebody else's food. (p. 58)
- Penso che molto della vita di una volpe passa sul filo del rasoio, sommersa dall'acutezza dei suoi sensi. Nella volpe, l'evoluzione ha modellato una creatura per cui ogni stimolo viene elevato alla massima sensibilità: per la volpe c'è l'immagine fulminea della palpebra che si chiude di un coniglio, lo squittio chiassoso di un topo distante venti metri, il tanfo spaventoso dell'orma vecchia di un giorno di un cane.
- I think much of a fox's life is spent on a knife-edge, deluged by the acuteness of its senses. In the fox, evolution has fashioned a creature for which every input is turned to maximum sensitivity: for the fox there is the jolting image of a rabbit's blinking eyelid, the clamorous squeak of a mouse 20 metres off, the dreadful reek of a dog's day-old pawprint. (p. 61)
- L'industria della selvaggina è probabilmente in gran parte responsabile per la morte spesso sgradevole nell'ordine di 100.000 volpi all'anno in Gran Bretagna, ma contro di questi bisogna valutare il fatto che questa industria fornisce il maggior incentivo per la conservazione dell'habitat su terre agricole.
- The game shooting industry is probably largely responsible for the frequently unpleasant deaths in the order of 100,000 foxes annually in Britain, but against these must be weighed the fact that this industry provides the major incentive for habitat conservation on farmland. (p. 173)
- Le volpi urbane e i gatti si incontrano molto spesso ed è comune vederli insieme, spesso mangiando fianco a fianco. Se c'è una rissa per il cibo, il gatto di solito scaccia la volpe. Casi autentici di volpi che uccidono i gatti tendono a coinvolgere i gattini. Quindi, sebbene sia chiaro che la maggior parte delle volpi non uccidono i gatti, certe lo fanno. Il rischio però è molto meno significativo del rischio che corre il gatto di venire investito sulla strada dal traffico.
- Urban foxes and cats meet very frequently and it is commonplace to see them in a close company, often feeding side by side. If there is a squabble over food, the cat generally displaces the fox. Authenticated cases of foxes killing cats generally involve kittens. So, although it is clear that most foxes do not kill cats, some do so. However, this risk must rank very low amongst the worries besetting the urban cat-owner, and certainly is much less significant than the risk of the cat being killed on the road by traffic. (p. 181)
- Scorte di cibo più ricche conducono a territori più piccoli e scorte di cibo più irregolari (eterogene) permettono gruppi più grandi. Un elevatissimo tasso di mortalità conduce a gruppi più piccoli e una proporzione più piccola di femmine sterili, probabilmente insieme a territori più grandi. Un tasso di mortalità intermedio può risultare insufficiente per diminuire sostanzialmente la grandezza d'un gruppo, me tuttavia può disturbare la stabilità sociale fino al punto di diminuire la proporzione di femmine sterili e perciò aumentare la produttività generale di cuccioli per ogni femmina, e probabilmente territori più piccoli.
- Richer food supplies lead to smaller territories and more patchy (heterogeneous) food supplies permit larger groups. A very high death rate leads to smaller groups and a smaller proportion of barren vixens, probably together with larger territories. An intermediate death rate may be insufficient to reduce group size substantially, but nonetheless may disrupt social stability sufficiently to diminish the proportion of barren vixens and thereby increase the overall productivity of cubs per female, and probably smaller territories. (p. 210)
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Mangascià Giovanni (1868 – 1907), militare etiope.
Citazioni su Mangascià Giovanni
[modifica]- Era bello Mangascià, di una eleganza un po' femminile che non lo abbandonava neppure quando indossava lo sciamma di guerra, la criniera di leone e in battaglia impugnava la Remington finemente damascato. Anche se si comportava con l'aspra maestà di re, si intuiva subito che quell'energia era finta, mancava di una vera forza interiore. Il ras recitava il ruolo di principe battagliero e irriducibile, ma dentro era fiacco e floscio. (Domenico Quirico)
- Era figlio di negus e non avrebbe mai dimenticato che il trono doveva toccare a lui. Sapeva che nella sua corte c'era un partito di irriducibili che lo istigava a battersi fino alla morte per riottenere il trono, che mormorava contro la vergognosa servitù nei confronti degli scioani, popolo debole, imbelle, che si era sempre prosternato quando passavano i tigrini. (Domenico Quirico)