Putsch di agosto
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Citazioni sul putsch di agosto.
Citazioni
[modifica]- Anche mentre il colpo si stava svolgendo, dalle due parti delle barricate, diversi personaggi raccontavano storie differenti. Quando finì, i vincitori di fatto – quelli che avevano combattuto per la democrazia in Russia – non riuscirono a mettere insieme una storia, una versione dei fatti, che potesse diventare una verità collettiva per la nuova Russia. Ognuno venne lasciato con la sua storia individuale. Alla fine, per qualcuno quei tre giorni dell'agosto 1991 rappresentarono una storia di eroismo e una vittoria della democrazia. Per altri diventarono la storia di un complotto cinico. Quale sia la verità dipende dalla storia alla quale aderisono le persone al potere nel paese. (Maša Gessen)
- Attacco a discorrere con la gente in coda davanti a un negozio. Che cosa è stato per loro il golpe? Una cosa lontana, qualcosa che riguarda Mosca, i potenti, «loro». Non ci si raccapezzano con la malattia del presidente: è stato male, guarisce, mentre altri vanno in prigione. Mah! I carri armati davanti alla Casa Bianca? Purché non siano nazisti!, esclama un reduce. Eltsin? Un bravo ragazzo! Gorbaciov? Così e così. Neppure quest'anno è riuscito a procurare le patate. I generali? Che facciano ordine e assicurino i rifornimenti ai negozi. La libertà? Una signora dice che suo nipote ne ha parlato ieri sera in casa; ma piuttosto se ne stia zitto e pensi a studiare. (Demetrio Volcic)
- È facile stare seduti a Londra e chiedere alla gente disarmata di affrontare i carri armati a Mosca. Non posso dare loro questo consiglio. (Margaret Thatcher)
- Eltsin ha avuto un ruolo decisivo, univoco, chiaro nel periodo estremamente delicato del golpe. Se non fosse stato così veloce e rapido nel capire l'atteggiamento da prendere, Dio solo sa di cosa saremmo testimoni oggi. Se le cose si sono risolte così, il merito va ascritto a Eltsin, che ha avuto l'appoggio decisivo del Parlamento e del popolo russo. (Alexander Dubček)
- I cittadini russi, i moscoviti che rifiutarono il colpo di stato, non erano armati di nulla se non della loro dignità e della loro determinazione a difendere la libertà. Sono scesi in strada a migliaia, poi a decine di migliaia e infine a centinaia di migliaia, e si sono letteralmente piazzati davanti ai carri armati. Poi i carri armati si fermarono e si allontanarono. Questo è stato il mio primo ricordo politico consapevole. Avevo dieci anni all'epoca e questa lezione mi accompagnerà per tutto il tempo in cui vivrò. Quando un numero sufficiente di persone nella società è disposto ad alzarsi in piedi, a porre fine alla repressione, a difendere la propria dignità, i propri diritti, la propria libertà, tutta l'apparente forza delle dittature diventa impotente. (Vladimir Kara-Murza)
- Il 1991 è stato una rivoluzione e una vittoria. E la felicità. Sinceramente, non credevo che ce l'avremmo fatta. Non pensavo che avremmo vinto. All'epoca lavoravo per il Soviet Supremo della Repubblica Federale Russa. Sono andato in ufficio, ho finito la mia relazione, non ho chiuso occhio tutta la notte: la mattina con Tanja e Jan Račinskij saremmo dovuti andare fuori città. A raccogliere funghi e pescare. Di fatto per tutta la durata del putsch mi sono ritrovato o dentro la Casa bianca o vicino, sulle barricate. Ho passato una notte sotto assedio, le ho costruite anche io, le barricate, e ho anche requisito veicoli e camion per la causa. (Oleg Orlov)
- Il fallito golpe in Urss ha aperto la strada a una brutale avanzata delle forze anticomuniste e reazionarie in Urss invece di fermarle. [...] Eltsin ha scatenato un nuovo atto di forza, una ondata di repressione contro lo Stato sovietico; una persecuzione antidemocratica e controrivoluzionaria contro i membri del Partito comunista è in corso in Unione Sovietica. (Álvaro Cunhal)
- Il tentato colpo di Stato del '91 e la rivolta di ottobre a Mosca sono falliti per l'assenza dei miei uomini, ma con loro la vittoria sarebbe assicurata. (Vladimir Žirinovskij)
- In quei giorni, le emittenti televisive e radiofoniche smisero di dare notizie. Tutti i canali trasmettevano solo programmi culturali: in tv mandavano in loop il balletto, in radio si ascoltavano opere e musica classica. «Ha vinto Chaikovskij!» scherzava la gente... (Nicolai Lilin)
- [Sui golpisti] La loro è una coraggiosa azione storica. (Muʿammar Gheddafi)
- Quanto è accaduto a Mosca darà coraggio a diverse forze dittatoriali, quale che sia il loro colore. (Ramiz Alia)
- La solidarietà, l'unità con le persone era straordinaria, e anche la felicità di vedere una folla simile venuta a proteggere la Casa bianca. E poi, il momento in cui la colonna di carri armati guidati dal maggiore Evdokimov passò tra la folla, che si aprì per farli passare. E i carri armati che se ne andavano. Fu vera, autentica felicità. Dopodiché ci siamo preparati e siamo andati per funghi. E fu una felicità vera anche passare per le varie cittadine, i paesi, e vedere su ogni municipio non la bandiera rossa, ma quella bianca, rossa e blu. (Oleg Orlov)
- Nella nostra cittadina nessuno batteva ciglio alla vista dei carri armati. I visitatori amavano essere fotografati accanto al cartello «Attenzione, carri armati» che era un po' il nostro simbolo. Quel giorno, però, sembrava tutto diverso. Anzitutto, percorrevano la strada asfaltata, cosa che abitualmente non facevano perché l'avrebbero distrutta. Poi sembrava che stessero andando in guerra o fossero impegnati in un'operazione speciale di qualche tipo. La scena aveva un che di caotico. Ma l'aspetto più importante era che si stavano dirigendo verso Mosca. Felice di avere una scusa per non andare alla dacia, tornai a casa e accesi il televisore per capire cosa stesse succedendo. Stavano trasmettendo Il lago dei cigni, e per qualsiasi sovietico questo significava che stava accadendo qualcosa di grave. Fin da piccolo avevo imparato che, se invece dei cartoni animati trasmettevano un concerto di musica classica, con ogni probabilità era morto un leader e sarebbe cominciato un diluvio di cordoglio pubblico. Questa volta, però, non era affatto chiaro chi fosse deceduto. (Aleksej Naval'nyj)
- [A Gennadij Ivanovič Janaev] Sosteniamo nel modo più fermo questa sua azione, in quanto è essenziale che l'Urss resti unita, come seconda potenza mondiale, per la causa della pace internazionale, minacciata ovunque a causa del monopolio di una singola barbara potenza nel mondo. (Muʿammar Gheddafi)
- Questo è un colpo di Stato alla vecchia maniera. L'Urss è stata gettata in un tuffo del passato stalinista. La tecnica è brutale: opprimere i popoli con la forza militare, i carri armati e il Kgb. L'Occidente deve stare all'erta. Non possiamo essere deboli. I tagli nelle spese militari vanno sospesi. (Margaret Thatcher)
- Venne letto alla radio un lunghissimo discorso al popolo sovietico. Era incredibilmente prolisso, con frasi che sembravano tratte da un editoriale della «Pravda» (e nel 1991 gli editoriali della «Pravda» erano sinonimo di cliché, idiozia e disonestà). Rammento solo che veniva condannato con forza il fiorire della «speculazione». Il monito non poteva essere più chiaro: la nosra futura vita di agi grazie a capitalismo ed economia di mercato era a rischio. Ricordo anche la frase: «Mai nella storia del paese la propaganda di sesso e violenza ha assunto simili proporzioni, mettendo in pericolo la vita e la salute delle generazioni future». Un attacco vero e proprio alle migliori conquiste della nostra epoca. Le immagini di donne nude non avevano fatto in tempo ad apparire su giornali e periodici, e queste persone le volevano bandire con il pretesto che erano una minaccia per la nostra salute. Per aggiungere il danno alla beffa, era una replica di quegli stessi programmi che anni prima avevano condannato la musica rock perché conteneva «una propaganda sfrenata di sesso e violenza». Era chiaro come gli autori della dichiarazione l'avessero scritta con il sottile intento di toccare le più profonde corde del cuore del popolo sovietico. Nell'ascoltare le parole che vietavano il sesso e il profitto, e parlavano della necessità di rifornire i villaggi di carburante e lubrificanti (altro argomento dei golpisti), i sovietici avrebbero picchiato i pugni sul tavolo dicendo: «Ehi, i compagni del Comitato di emergenza stanno facendo proprio la cosa giusta! Era ora di aiutare i contadini e bandire il sesso!». (Aleksej Naval'nyj)
- Vent'anni dopo i giovani delle città [...] ricordano l'agosto del 1991 come uno dei momenti più intensi della propria vita, un film dell'orrore che fa morire di spavento ma ha un finale di urlo. L'URSS che ritorna: roba da flippare di brutto. L'URSS che sprofonda nel ridicolo: roba da sballo. Perché era anche bello, bello e giusto, che gli eredi di settant'anni di oppressione non uscissero di scena con un finale da crepuscolo degli dèi wagneriano ma tagliassero la corda coperti di ridicolo. Dei pagliacci, che ormai non facevano più paura a nessuno. Che in tutto il mondo avevano ricevuto soltanto il sostegno di Castro, Gheddafi e Saddam Hussein, gli unici superstiti della «setta dei poeti estinti» – ma anche del nostro presidente Mitterand, il quale convinto com'era di saperla più lunga di chiunque altro, aveva spinto il machiavellismo fino alla stupidità, e quando gli rimproverarono l'eccesso di fretta mostrato nel congratularsi con quelli che pensava fossero i nuovi padroni dell'URSS aveva risposto altezzoso che i generali sarebbero stati giudicati sulla base delle loro azioni – come se un golpe non fosse già di per sé un'azione, e pure di un certo peso. (Emmanuel Carrère)
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- Il vero e grande vincitore che emerge da questo golpe abortito è Boris Eltsin, l'uomo che fino a poco tempo fa veniva deriso da tanti giornalisti occidentali, considerato come un avventuriero populista di secondo rango da tante Cancellerie europee, umuliato nelle anticamere dei primi ministri, maltrattato come un intruso anti-gorbacioviano dal Parlamento europeo.
- C'è una sorta di catarsi biblica in questa indecorosa fine del bolscevismo russo rinnegato in pubblico, davanti alle masse e ai carri armati, dagli stessi figli che aveva nutrito nel proprio seno e che oggi rivendicano per i popoli dell'Unione Sovietica democrazia, libertà e soprattutto legalità.
- Dopo decenni di continua altalena fra liberalizzazioni omeopatiche e repressioni feroci, il circolo vizioso di Lenin, che oggi dava con la mano destra quello che domani toglieva con la mano sinistra, si è spezzato per sempre. Alla timida e ambigua «nep» di Gorbaciov, che si muoveva ancora nella logica del ricatto leninista di cui il golpe o autogolpe è stato l'ultima testimonianza, potrà seguire ora la «nep» strategica a lunga gittata di Eltsin. Il gioco alla libertà non sarà più temporaneo ma permanente.
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- Ho emanato un decreto 20 minuti dopo la dichiarazione dello stato d'emergenza. Non riconosciamo il Comitato, dichiariamo illegali sul territorio della Russia tutte le misure che esso ha adottato e adotterà. Ci rivolgiamo a tutti i popoli del mondo perché ci siano vicini nella nostra resistenza.
- Soldati, mi rivolgo a voi, pensate ai vostri cari, alla vostra gente. Non dimenticate che avete giurato fedeltà al popolo, a quel popolo contro cui loro vogliono puntare le armi. Le nuvole del terrore e della dittatura si addensano sulla Russia, in quest'ora tragica fate la scelta giusta. Non macchiate del sangue del popolo l'onore e la gloria delle armi russe.
- Gli avvenimenti degli ultimi quattro giorni devono essere una lezione anche per Gorbaciov. [...] Gorbaciov, non dimenticare che ti abbiamo liberato noi.
- I nomi di questi ragazzi diventeranno sacri per tutta la Russia. [...] Quando abbiamo saputo del golpe, i nostri cuori hanno avuto un sussulto per i nostri figli perchè proprio loro, i nostri ragazzi, sono venuti qui a difendere la Russia, la democrazia, la libertà e il parlamento e i dirigenti russi che erano il principale obiettivo dei golpisti.
- Vorrei che voi sappiate che è stata ritrovata la lista delle dodici persone che dovevano essere fucilate per prime. I nostri nemici sono stati feroci, erano assetati di sangue. I nostri nemici sapevano che se avessero perso sarebbero stati soggetti a una severa punizione.
- Io desidero esprimere la mia più profonda partecipazione al dolore dei genitori di queste vittime, Dmitri, Vladimir e Ilja, e desidero esprimere di nuovo la mia più profonda partecipazione al dolore delle altre vittime e ai loro genitori. [...] Voglio chiedere loro di perdonare il presidente per non essere riuscito a proteggerli e a salvarli.
- È stato il primo atto di coraggio civile commesso dal nostro popolo in molti anni. I golpisti volevano spaventare il popolo e questo ha offeso i russi nel profondo dell'anima.
- Quelli sono stati giorni decisivi per la democrazia russa, ma anche per la dignità di milioni di persone. In quell'occasione numerose persone, forse per la prima volta, hanno superato la loro paura, si sono sentiti cittadini.
- Per salvare l'Urss la giunta avrebbe dovuto iniziare una guerra: per il Baltico, per il Caucaso e per altre Repubbliche. Questa strategia è stata applicata nell'ex Jugoslavia. Abbiamo visto tutti a cosa ha portato: un colossale scoppio di energia mortale. Quanto dolore ha portato e quanto ne porterà ancora. E se qualcuno avesse tentato di tenere unita la vecchia Urss con gli stessi metodi? Grazie a Dio ciò non è avvenuto. Le conseguenze sarebbero state mostruose e il Paese non si sarebbe salvato lo stesso.
- Penso che il Ventesimo secolo sia finito il 19 – 21 agosto del 1991. E se le prime elezioni libere del presidente della Russia furono un evento di importanza nazionale, il fallimento del golpe di agosto è stato un avvenimento di portata globale, planetaria.
Il nostro secolo è stato soprattutto il secolo della paura. Orrori come il totalitarismo e il fascismo, il comunismo, i campi di concentramento, il genocidio, la peste atomica non erano stati mai visti prima dall'umanità.
Ed ecco arrivare i tre fatidici giorni, un secolo è finito, ne comincia un altro. Forse a qualcuno questa affermazione potrà sembrare troppo ottimista, ma io ci credo fermamente.
Ci credo perché in quei giorni è crollato l'ultimo impero, mentre sono state proprio la politica e la logica imperiali che hanno giocato all'inizio del secolo questo brutto scherzo all'umanità, fungendo da detonatore di tutti i processi di cui abbiamo parlato prima. - Come spesso succede nei giorni fatidici, il tempo era splendido. L'odore dell'asfalto caldo trasmetteva un certo strano sentimento di familiare conforto. Quel mattino mi aveva svegliato mia figlia Tanja. Entrò correndo nella mia stanza: «Papà, alzati, c'è il golpe!» Ancora assonnato dissi: «Ma questo è illegale!» Lei mi cominciò a raccontare del GKCP, di Krjučkov, di Janaev, ma a me sembrava tutto troppo assurdo. Dissi: «Mi state prendendo in giro?»
- Vedo la tragedia dei cospiratori come la tragedia di un intero strato di funzionari statali che il sistema aveva trasformato in rotelle di un ingranaggio privandoli di ogni qualità umana. Davanti alla nuova realtà dove un politico, per operare, doveva assumere punti di vista personali, espressioni proprie, elaborare regole interne, un modo di parlare individuale e un comportamento autonomo, la gente del tipo che ho appena descritto finiva frantumata.
- Balzai sul carro e mi misi in piedi. È forse stato lì che ho nettamente percepito che avremmo vinto e che non potevamo perdere? La sensazione era di completa lucidità, di unione totale con la gente che stava intorno a me. Sono in molti, volano i fischi, le urla. Ci sono molti giornalisti, operatori televisivi, fotoreporter. Prendo in mano il foglio con l'appello. Le grida si interrompono, io leggo con forza, quasi mi si rompe la voce... Alla fine saluto il comandante del carro armato e scambio qualche parola con i soldati. Dai loro visi e dai loro occhi capisco che non ci avrebbero sparato. Salto giù dal carro e dopo pochi minuti sono di nuovo al mio ufficio, ma sono già un'altra persona.
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- "Bentornato in Unione Sovietica, compagno giornalista", dice l'uomo in divisa che controlla i passaporti all'aeroporto. Il "benvenuto", ringhioso e beffardo come una minaccia, arriva dopo un esame interminabile dei documenti, piu lungo e burocratico del solito: il primo segnale, per chi torna, che l'Urss di ieri, 19 agosto 1991, è un paese profondamente diverso da quello di un giorno, di una settimana, di un mese prima.
- Agli occhi del cronista che vi fa ritorno, Mosca si presenta così come la storia di due città, diverse e parallele, una golpista e ferita, l'altra pacifica e sonnolenta: e la sovrapposizione di violenza e apatia o indifferenza la rende ancora più inquietante.
- In questa Mosca repressa e prigioniera, con le informazioni ridotte a zero, la censura reinstituita, anche ogni singola testimonianza torna ad essere preziosa, come ai tempi prima della glasnost, come ai tempi di Breznev. Tornare ad attraversare le vie di Mosca, dopo una breve assenza, fa perciò l'effetto di compiere un viaggio a ritroso nel tempo, in un fantascientifico, allucinante "ritorno al passato", denso di immagini che avevamo già visto alla televisione e sui giornali in altre città, la Santiago del Cile di Allende, Praga e Budapest invase dai carri armati sovietici.
- L'incubo di un violento ritorno all'Urss del passato svanisce. L'uomo della perestrojka torna a Mosca, al Cremlino, al potere. Ma è una Mosca assai diversa, quella in cui Gorbaciov fa ritorno. In tre giorni incredibili, terribili e persino grotteschi, la "Casa Bianca sulla Moscova", sede del Parlamento della Russia, la maggiore Repubblica sovietica, si è trasformata da una fortezza assediata nel nuovo centro di potere del paese. Boris Eltsin, che tanti dubbi aveva suscitato nei sei anni e mezzo della perestrojka, per il suo carattere irruento, per le sue feroci polemiche contro Gorbaciov, appare oggi il salvatore del paese, il leader con cui tutti, i comunisti, i capi di Stato stranieri, lo stesso Gorbaciov, debbono adesso fare i conti.
- L'immensa folla radunata attorno al Parlamento russo lo acclama. "Eltsin, Eltsin", gridano i ragazzi che per tre giorni si sono accampati sulle rive della Moscova in difesa della democrazia. "Eltsin, Eltsin", grida la gente ai soldati sulle torrette dei carri armati che abbandonano la piazza davanti al Cremlino. E i soldati rispondono alzando le dita nel segno di vittoria, come a dire che quel grido va bene anche a loro. Per un giorno, in effetti, Eltsin è il loro comandante in capo.
- Per Eltsin, il fallimento del golpe è la prova della debolezza, della disperazione, delle forze reazionarie che si oppongono alla democrazia. Un colpo di Stato organizzato male, precipitosamente, con la consapevolezza di avere sempre meno sostegno dalle Forze Armate. I tre giorni che hanno fatto tremare l'Urss sembrano così finiti bene per la democrazia. Come nei "dieci giorni" del '17, una nuova rivoluzione, questa volta democratica, ha vinto senza tremendi spargimenti di sangue, dopo anni di progressivo, inesorabile rifiuto del vecchio sistema totalitario.
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- C'è stato un vero e proprio tentativo di golpe militare, organizzato da forze reazionarie, dal nucleo dell'autorità statale, persone che io avevo nominato, in cui avevo fiducia, non solo hanno partecipato, ma hanno organizzato il colpo di Stato.
- Mi trovavo nel mio studio, stavo lavorando. Ho preso il telefono per parlare con Mosca e mi sono reso conto che era isolato. Allora ho capito. Sono andato in un'altra stanza, ho cercato di telefonare con la linea interna agli adulti della mia famiglia, a mia moglie, a mia figlia e a mio genero, e ho detto loro che cosa stava accadendo. Acoltavano con molta serietà. Mi ero reso conto che si poteva trattare di tutto, di qualsiasi cosa, insomma. Ho detto a mia moglie e a mia figlia che se fosse stata una questione politica avrei continuato a mantenere la mia posizione, non avrei ceduto a nessun ricatto. Ho pensato che fosse utile dire questo ai miei cari, era necessario che lo sapessero. Mia moglie e mia figlia hanno risposto che questa decisione spettava solo a me e che loro l'avrebbero rispettata. Così è finito il consiglio di famiglia.
- Mi hanno proposto un ultimatum: avrei dovuto passare i poteri al vicepresidente. Prima di rispondere ho chiesto: ma chi ti ha mandato? Risposta: «Il comitato». Quale comitato? «Il comitato speciale». Chi ha creato questo comitato? Io non l'ho creato, il Soviet supremo neanche. Dunque? Queste persone non possono riunirsi e decidere senza un decreto del presidente. "Allora o voi fate questo decreto e rimanete qui oppure dovete cedere i poteri al vicepresidente". [...] Ho risposto che conosco meglio di tutti loro la situazione nel Paese. Ho aggiunto: voi e chi vi ha mandato, siete degli avventurieri, volete distruggervi, andate pure al diavolo, questi sono affari vostri.
- Volevano distruggere me e la mia famiglia e anche chi era con me. Invece il risultato è stato che mi sono reso conto di tutta la loro vigliaccheria. È stata veramente una vigliaccheria ed una perfidia.
- Se mi domando che cosa ha motivato queste persone posso dire che si tratta di uomini che probabilmente sul piano psicologico sono deboli, esposti alle tentazioni o non vogliono i cambiamenti o hanno paura dei cambiamenti.
- Ero prigioniero nella dacia in Crimea, durante il golpe d'agosto. Mi minacciarono di farmi sparire se non firmavo i loro decreti. Ma io capivo che in quelle 72 ore si giocava il destino del mio Paese, e preferivo una bella morte alla vergogna di un cedimento.
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- Le prove per noi sono cominciate non dall'ultimatum, ma prima, il 18 agosto, verso le 5 di sera, quando nella mia stanza è entrato Mikhail Sergheevich, agitato. Ha detto: «È successo qualcosa di grave. Medvedev ha riferito che è arrivato un gruppo di persone da Mosca. Ma io non ho invitato nessuno. Ho alzato una cornetta, un'altra, un'altra ancora... tutti i telefoni sono staccati. Anche quello rosso... [...] Sono staccati anche i collegmenti interni - ha proseguito Mikhail Sergheevich -. Ci isolano, forse ci arrestano. Vuol dire che c'è un complotto...». Infatti, era stato staccato tutto, comprese televisione e radio. Abbiamo capito subito la situazione. Dopo un minuto di silenzio Mikhail Sergheevich mi ha detto: «Non accetto nessuna avventura, nessuna proposta d'affare. Non cedo al ricatto. Ma ci può costare caro, a tutti noi, a tutta la famiglia. Dobbiamo essere pronti a tutto...»
- Abbiamo deciso insieme, tutti abbiamo appoggiato Mikhail Sergheevich: «Restiamo con te». Era una decisione seria. Conosciamo bene la storia del nostro Paese, le sue terribili pagine. Sapevamo che potevamo finire come i Romanov, gli ultimi zar. Sotto l'aspetto psicologico quei 20 o 30 minuti sono stati i più difficili. Ma quando abbiamo preso la decisione abbiamo sentito un certo sollievo.
- Nella dacia non poteva entrare o uscire nessuno. Le auto erano sigillate. L'aereo portato via. In alto mare non vedevamo più le navi civili che di solito passano in questa zona. Erano apparse le navi da guerra.
- Ogni tanto uscivamo per passeggiare vicino a casa, sulla spiagga, per farci vedere dal maggior numero possibile di persone, perché vedessero che il Presidente era vivo e stava bene... Ci osservavano continuamente dalle rocce, dal mare, dai battelli. Più persone ci vedevano, più difficile sarebbe stato nascondere la verità... Cercavamo di comportarci come al solito, di restare calmi per appoggiare moralmente tutte le persone che erano rimaste bloccate assieme a noi, praticamente internate.
- Il 19 agosto 1991 andava in scena, in diretta sulla Cnn, il tentato colpo di Stato contro il presidente sovietico Michail Gorbaciov. Alleatisi con il Kgb, alcuni falchi del regime comunista ormai in disfacimento avevano fatto sequestrare Gorbaciov nella sua dacia in Crimea e dichiarato lo stato di emergenza. La stampa internazionale ospitava i commenti di decine di esperti e di esponenti politici, preoccupati che il golpe segnasse d'un colpo la fine della Perestroika o addirittura l'inizio di una guerra civile, mentre intanto i carri armati sfilavano nel centro di Mosca.
- Non solo il golpe fallì ma anzi accellerò il crollo dell'Urss, poiché mise il popolo sovietico dinanzi a una scelta: la dissoluzione e l'indipendenza facevano paura, naturalmente, ma quel futuro non poteva essere certo peggiore del presente totalitario. Come pedine di un domino, una dopo l'altra le repubbliche sovietiche dichiararono l'indipendenza nei mesi successivi.
- Ufficialmente, durante il colpo di Stato, Gorbaciov fu rinchiuso nella sua dacia in Crimea, ma è mia convinzione che il golpe fosse una sua idea, o quantomeno che egli ne fosse un autore consapevole. In questo modo Gorbaciov non avrebbe dovuto assistere impotente al declino della sua autorità, ma avrebbe potuto sperare di tornare in una posizione di forza dopo aver "negoziato" con i falchi, che nel frattempo avrebbero fatto il lavoro sporco sbaragliando gli oppositori politici come Eltsin.
- Come essere umano, mi dispiace che delle vite siano andate perdute. Possano trovare la strada per il Paradiso e che le loro anime riposino in pace. Ma il fatto che essi siano diventati gli ultimi eroi dell'Unione Sovietica, gli ultimi nella storia di quel paese, a ricevere il titolo postumo dalle mani di coloro che si preparavano a liquidare l'Unione Sovietica, suona sempre più blasfemo con ogni giorno e mese che passa.
- E cosa è successo alla comunità di persone ripetutamente lodata chiamata "popolo sovietico"? Dove guardavano quando il loro amato paese veniva fatto a pezzi proprio davanti a loro? Non posso rispondere per tutti, ma non è difficile indovinarlo. Quando la tensione intorno alle mura della Casa Bianca era al culmine, non c'erano più di centomila persone, ovvero solo l'1% della popolazione della città eroica di Mosca. Cosa stava facendo il restante 99%? Compravano febbrilmente maccheroni e facevano finta di nulla. C'era un'altra folla in piedi sotto gli stendardi rossi da qualche parte lì vicino, impaziente di unirsi allo scontro? Al momento della conclusione dello spettacolo, non era rimasta altro che una folla enorme, non unita da alcuna idea che si elevasse al di sopra delle preoccupazioni etniche con nulla in comune, la maggior parte della quale pensava "come posso sopravvivere", mentre gli altri cercavano un modo per trarre profitto dal caos.
- Ero tormentato dalla sensazione che qualcosa di grande e importante mi fosse appena passato accanto, di non averlo visto, di non averlo capito, e ora era troppo tardi per capirlo. Ciò mi ha fatto invidiare quelli che capivano, e mi sono sentito terribilmente irritato anche con loro.
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- C'è stata in Occidente un'incertezza nelle prime ore. Si sono manifestate due posizioni. Una sostanzialmente dettata da una sorta di precoce real-politik che dava per scontato l'esito del colpo di Stato e s'è mossa prevalentemente, è il caso tedesco, con l'idea di porre delle condizioni ai nuovi gruppi dirigenti, di intavolare una trattativa. L'altra posizione, che è anche la nostra, critica proprio questo punto di fondo: rifiuta di considerare legittima e rappresentante dell'Urss ogni altra autorità se non quella del suo presidente Gorbaciov.
- La dinamica degli avvenimenti dimostra [...] che l'Urss come l'abbiamo sempre vista e considerata non esiste più. L'Urss di oggi è già un Paese profondamente diverso. Il processo di democratizzazione è stato avviato. Oggi lo scontro politico non si condensa nel chiuso di un partito unico depositario della direzione dello Stato, ma tra una pluralità di soggetti. Perciò io non convido l'atteggiamento di alcuni giornali e di alcuni opinionisti che recitano una sorta di «de profundis» per Gorbaciov. Quasia dire: è un riformista che ha perso. Ventitré anni fa ci fu l'invasione di Praga e si disse che Dubcek aveva perso. Oggi sappiamo che è vero l'opposto. Io credo che Gorbaciov non sia un perdente come non lo è stato Dubcek. Spero e voglio che questa volta non si perdano non dico vent'anni, ma nemmeno venti giorni.
- Se questo colpo di Stato può fallire è esattamente per questa ragione: perché la perestrojka ha inciso nel profilo politico, istituzionale, morale di un Paese e di popoli a lungo immersi in un regime totalitario. Certo, il rischio di un passo indietro è enorme. Ma la scommessa è ancora aperta, le forze sono tutte in campo a battersi.
- Quando ho saputo dalla tv che il colpo di Stato era sconfitto, battuto, ho provato un'enorme soddisfazione: per i popoli dell'Urss, per tutte le forze democratiche. [...] Sono stato tra i primi ad averci creduto, ad aver creduto che era possibile fermarli, togliere la parola ai carri armati e ridarla alla democrazia, che si doveva non subire la logica del fatto compiuto e si poteva incidere sul corso degli eventi.
- La perestrojka ha fatto la sua prova del fuoco. E l'ha superata. Ha saputo vincere la prova che in sostanza aleggiava da sempre come una componente necessaria di questo grande dramma: il momento del colpo di coda conservatore. Una specie di morte preannunciata. E invece no. Ci hanno provato, ma la nuova Urss è sopravvissuta a un cimento tanto duro, a un passaggio così infido e potenzialmente tragico.
- La vittoria della democrazia sul golpe dimostra innanzi tutto che le posizioni conservatrici legate a una vecchia ideologia, non solo non avevano capito la perestrojka, ma non avevano capito che il mondo era cambiato. Ritenevano, con una sorta di tragica e perfino farsesca «coazione a ripetere», che la loro tradizionale visione e il loro senso del potere, il valore magico di un certo richiamo all'ordine, pur efficaci in altri momenti, potessero ripetersi oggi.
- Mi ha particolarmente commosso sentire la folla di Mosca acclamare il nome di Eltsin assieme al nome di Gorbaciov. Sono quegli spettacoli che, come dire, hanno il valore di un'aurora: eventi che cambiano improvvisamente le aspettative, perché hanno in sé la grandezza dei fatti storicamente maturati ed esprimono perciò una forza impressionante.
- Appena cominciato il golpe decisi immediatamente da quale parte schierarmi. Ero determinato a non ubbidire agli ordini dei golpisti, non avrei mai scelto il loro campo. Ero perfettamente consapevole che questo comportamento avrebbe potuto essere considerato un crimine dai miei superiori. È il motivo per cui il 20 agosto scrissi una seconda lettera dando le dimissioni dal KGB.
- Era chiaro che stavano distruggendo il paese. In teoria il loro obiettivo – salvare l'Unione Sovietica dal tracollo – era nobile e probabilmente loro agivano in buona fede. Ma i mezzi e i metodi che scelsero accellerarono solamente il crollo del paese. Quando vidi i volti dei responsabili del complotto in televisione capii chiaramente che tutto era finito.
- Quando ero tornato in patria dalla Germania orientale mi pareva chiaro che stava succedendo qualcosa, ma nei giorni del golpe tutti gli ideali, tutti gli scopi che mi ero prefisso andando a lavorare al KGB crollarono.
- Di Varennikov penso quel che pensavo prima: non è una persona seria, e il golpe lo ha confermato. Gromov, secondo me, è capitato per caso in quella situazione. Nessun soldato del ministero degli Interni è uscito di caserma in quei giorni. La sua colpa è avere firmato l'appello della destra contro Gorbaciov e le riforme democratiche, pubblicato prima del golpe. Si figuri che mi telefonò, voleva che lo firmassi anch'io: ma quando l'ho letto per poco non mi è venuto un infarto.
- Durante il golpe dell'agosto '91 ero alla Casa Bianca, con Eltsin e i deputati. Il mio scopo era impedire che ci fossero delle vittime. E ho fatto tutto il possibile per evitare un attacco frontale. Ma già dal dicembre '91 ho cominciato a dire che i cosiddetti "democratici" si stavano screditando. Ero d'accordo anch'io che non si poteva continuare a vivere come vivevamo prima. Bisognava cambiare. Ma non nel modo in cui sta cambiando l'attuale leadership.
- [«Come mai i golpisti non hanno arrestato Eltsin, quella mattina?»] È difficile rispondere, ma in sostanza il motivo è questo: quella gente ha organizzato il golpe nello stesso modo in cui governava il paese. Cioè disastrosamente. La mattina del 19 agosto ho telefonato subito a Janaev. Gli dico, cosa stai facendo, sei impazzito? E lui mi ha dato una risposta da asilo infantile, un bisbiglio sconnesso per convincere me a passare dalla loro parte.
- Il 19 agosto ho scoperto che qui dentro era pieno di generali, ma nessuno aveva organizzato un vero comando operativo di difesa. Il 20 agosto, alle cinque del mattino, il comando era stato organizzato. Una volta tanto, è capitato che un colonnello, come me, desse ordini ai generali...
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- Le vittime della notte delle barricate devono essere sepolte nel muro del Cremlino, sulla piazza Rossa, e se non ci fosse posto, si possono togliere altre tombe.
- Con la sua indecisione, la sua indifferenza rispetto ai veri compagni, la sfiducia rispetto alle forze democratiche, Mikhail Gorbaciov ha nutrito il golpe di Mosca.
- Ogni cosa che avevo temuto e che avevo denunciato, stava accadendo. Nella mia vita non ho mai avuto una esperienza analoga. Ho vissuto come uomo e come suo ex compagno di battaglia quelle settantadue ore di incubo, mentre Gorbaciov era segregato nel comodo carcere-palazzo di Foros. Era prigioniero della giunta. Ma quando ritornò e parlò alla conferenza stampa, mi accorsi che era ancora prigioniero: prigioniero della sua stessa natura, delle sue idee, del suo modo di pensare e di agire. Speravo che Mikhail Gorbaciov fosse diventato una persona diversa: aveva subito un duro processo, in bilico tra la vita e la morte, tradito dai suoi colleghi e miracolosamente salvato.
- Le persone che apparentemente il sistema era riuscito a schiacciare divennero eroi. Il coraggio e il dovere di dire la verità divennero la norma. Anche le telecomunicazioni erano al servizio della verità. I golpisti avevano avuto troppa fretta e non avevano pensato a interrompere i nostri collegamenti con il mondo esterno.
- Come uomo, padre e marito, e infine come suo ex compagno di lotta, ho potuto condividere con lui l'incubo di quelle 72 ore di prigionia nel comodo carcere di Foros. Era prigioniero della giunta. Ma quando tornò e arrivò alla conferenza stampa vidi subito che restava un prigioniero: prigioniero del suo carattere, della sua immagine, del suo modo di pensare e di agire. Adesso posso affermarlo con assoluta certezza: lui solo, e nessun altro, ha allevato con molte cure quella giunta, con la sua negligenza, la sua indecisione e la sua inclinazione a barcamenarsi, con la sua scarsa conoscenza degli uomini, la sua indifferenza nei confronti dei suoi veri compagni di lotta, la sua sfiducia nelle forze democratiche e in quella fortezza che si chiama popolo. Quel popolo che si è trasformato grazie alla perestrojka inaugurata da lui.
E qui c'è la grande tragedia personale di Michail Gorbačev, e purtroppo dobbiamo dire - anche se la nostra compassione per lui è ancora grande - che questa tragedia avrebbe potuto condurre alla catastrofe nazionale. - I golpisti hanno tenuto conto di molte cose, ma si sono dimenticati del fattore più importante. Gli anni della perestrojka ci hanno liberati dalla paura. Siamo diventati diversi. E mentre noi siamo cambiati, loro sono rimasti gli stessi, e non sono riusciti a vincerci.
Citazioni in ordine temporale.
- Molti, sovietici e occidentali, s'erano illusi. S'erano convinti che il trapasso dell'Urss dal comunismo alla democrazia fosse ormai cosa fatta, che i russi fossero ormai approdati, in questi sei anni di gorbaciovismo, alla libertà. Ma secoli di storia e sette decenni di comunismo non potevano essere ribaltati in poco più d'un lustro. Il decorso della transizione sovietica non poteva essere, cioè, rapido e lineare. Incruento. Non poteva concludersi senza che il dinosauro, il Comunismo Sovietico, sferrasse prima di morire i suoi colpi di coda. Ecosì, è stato. D'un tratto e proprio nel momento in cui il paese sembrava avvicinarsi ad un minimo di stabilità politica, ecco il colpo di Stato.
- Preso com'era [Michail Gorbačëv] dal suo attivismo senza posa, dalla teatralità delle sue iniziative (e tradito da un'enorme, spropositata fiducia in se stesso), l'uomo che ha cercato in questi anni di cambiare la storia russa non s'era accorto della gravità delle minacce che incombevano sul suo cammino. E i suoi avversari non hanno neppure dovuto inventare, per defenestrarlo, un piano particolarmente sofisticato. Hanno messo mano ai vecchi copioni della tradizione bolscevica, l'arresto, l'interruzione delle trasmissioni radio-televisive, l'appello al popolo. E in poche ore la partita era giocata. Neanche questa, tuttavia, neanche il colpo di Stato, sembra la partita decisiva, finale, della vicenda cominciata in Urss sei anni e tre mesi fa con l'avvento di Gorbaciov. C'è qualcosa d'affannoso, infatti, di confuso, come di disperato, nell'uscita allo scoperto degli avversari del cambiamento. Nel loro tentativo di non cedere il potere. Essi mancano d'un leader, il loro isolamento internazionale è completo. Veri progetti per il futuro non ne hanno.
- Che cosa ha sconsigliato i sediziosi dal ricorrere agli arresti in massa? Difficile dire. Ma anche senza volerne esagerare l'importanza, questa esitazione nel mettere fuori gioco i loro naturali avversari si presenta come un segno di debolezza, di non sufficiente determinazione, del piano messo in atto dai golpisti. Arrestare Gorbaciov in Crimea può essere stato facile, ma non sarà tanto facile neutralizzare tutti i partigiani del cambiamento. La Russia, cioè, che voleva voltare le spalle al passato.
- Guerra civile? Le somiglianze col 1917 non sono poche, anche se di segno rovesciato. I golpisti di oggi non sono infatti avvicinabili ai bolscevichi d'allora: gli Yazov, i Krjuckov, i Pugo vanno semmai paragonati - in quanto difensori dell'"ancien régime", del vecchio ordine - alla prima Armata Bianca del generale Kornilov. In ogni caso, l'eventualità d'uno spargimento di sangue lungo una serie di focolai di guerra civile sembra oggi del tutto concreta. È vero, la memoria storica dei russi-sovietici, i ricordi del Terrore staliniano, giocano a favore dei defenestratori di Gorbaciov: di questa pattuglia acefala, lo sguardo annebbiato, priva di qualsiasi idea sul come uscire dal disastro economico del paese, che si oppone ad ogni cambiamento.
- Troppi russi - se non, forse, la maggioranza - sanno infatti che dalla restaurazione [del comunismo] non potranno avere altro che nuove miserie. Insomma, in queste prime ore del dramma è difficile credere che la giunta politico-militare insediatasi ieri al Cremlino riuscirà a mantenere il potere a lungo. Così come ad alcuni osservatori era ormai divenuto evidente, nell' ultimo anno, che Mikhail Gorbaciov non aveva più un futuro politico, allo stesso modo non si può credere che il futuro appartenga agli autori di questo spasmodico tentativo di fermare la storia. Chi gestirà infatti il disastro dell' economia sovietica? Chi andrà in giro per l' Occidente a chiedere finanziamenti, aiuti, comprensione? Come verranno risolti i conflitti nazionali: con l' aviazione, con l' arma nucleare? Resta la difficoltà di capire come e perché Mikhail Gorbaciov non sia riuscito a sventare il complotto che veniva ordito contro di lui.
- La verità è che Gorbaciov stava accumulando errori da almeno tre anni. La sua ambiguità ideologica (quel ripetere sino all'altro giorno d'essere un "comunista convinto"), l'eccesso di tatticismo, l'abitudine a improvvisare, lo avevano isolato all'interno del campo che chiedeva il cambiamento. Sino alla primavera di quest'anno, i suoi soli sostenitori erano proprio i golpisti di oggi. E l'errore ultimo - in tanti ondeggiamenti, in quel confuso cercare una posizione "centrista" tra i due campi avversi - è stato, probabilmente proprio questo: l'aver fatto durare troppo, non aver spezzato prima, il rapporto con quel che restava del vecchio potere comunista. Era ciò che gli rimproveravano i suoi vecchi amici. Di aver evitato le scelte più dolorose, d'aver fidato troppo nelle sue capacità di equilibrista. La scarsa conoscenza degli uomini.
- Privo di sostegno elettorale, sempre più in calo nei favori del pubblico, Mikhail Sergeevic è rimasto abbagliato dal suo ruolo internazionale, dal fatto che l'Occidente fingesse per suo interesse di considerarlo ancora il pilastro della residua potenza sovietica. I "summit", i discorsi al mondo, la vanità, lo avevano forse illuso d'essere invulnerabile. Così, una notte, in una villa in Crimea, non lontano dalla piana di Balaklava, il suo destino politico si è concluso.
- Tutti avevamo pensato infatti ad una lunga e terribile agonia, mentre il trapasso è risultato brevissimo: meno d'una settimana tra il colpo di palazzo e lo scioglimento del Pcus. La Bestia ha scalciato un po', ha digrignato i denti nell'ultimo tentativo d'incutere paura, poi è morta. Segno che era ormai da tempo - senza che ce ne fossimo accorti - più morta che viva.
Voci correlate
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