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Quinto Orazio Flacco

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Quinto Orazio Flacco

Quinto Orazio Flacco (65 a.C. – 8 a.C.), poeta lirico e scrittore satirico latino.

Citazioni di Orazio

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  • Io sono ferito dalla grave freccia d'amore per Licisco, che afferma di superare in tenerezza qualsiasi donna.[1]

Attribuite

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Beati possidentes.

Satire

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Originale

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Qui fit, Maecenas, ut nemo, quam sibi sortem | Seu ratio dederit, seu fors objecerit, illa | Contentus vivat, laudet diversa sequentes?[3]

Giuseppe Fumagalli

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Come succede, o Mecenate, che nessuno viva contento di quella condizione ch'egli stesso si scelse o che il caso gli dette, e invidii invece coloro che le altre abbracciarono?[3]

Luca Antonio Pagnini

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Mecenate, onde vien, che nessun pago | Sia del mestier, ch'elezione o caso | Gli offerse, e lodi chi professa altr'arti?[4]

Citazioni

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  • Che cosa vieta di dire la verità ridendo? (I, 1, 23-24)
Eppur chi mai ne proibisce il dir ridendo il vero? (Traduzione di Luca Antonio Pagnini)
Quamquam ridentem dicere verum quid vetat?
  • Non basta mai niente – disse – perché sei ciò che possiedi. (I, 1, 61)
Non evvi mai tanto che basti, ognuno tanto vale quant'ha (Traduzione di Luca Antonio Pagnini)
«nil satis est – inquit – quia tanti quantum habeas sis»
  • Il popolo mi fischia, ma io mi applaudo da me, a casa mia, quando contemplo le mie ricchezze in cassaforte. (I, 1, 66-7)
Il popolo mi fischia, ma in casa io mi fo plauso allorch'i'prendo a contemplare i miei danar nell'arca. (Traduzione di Luca Antonio Pagnini)
Populus me sibilat; at mihi plaudo ipse domi, simul ac nummos contemplor in arca.
  • Sotto nome diverso la favola di te parla. (I, 1, 69-70)
Mutato nomine de te | Fabula narratur.
  • C'è una giusta misura nelle cose, ci sono giusti confini | al di qua e al di là dei quali non può sussistere la cosa giusta. (I, 1, 106-107)
Tutto ha le sue misure, oltra le quali né di qua, né di là risiede il retto.[5]
Est modus in rebus, sunt certi denique fines | quos ultra citraque nequit consistere rectum.[6]
  • Così raramente si trova qualcuno che dica di esser vissuto | da uomo felice e, compiuto il tempo concessogli, | esca dalla vita soddisfatto, come commensale sazio. (I, 1, 117-119)[7]
  • Per evitare un difetto, gli stolti cadono nel difetto contrario. (I, 2, 24)
Fuggendo i pazzi un vizio a dar di petto van nel vizio opposto. (Traduzione di Luca Antonio Pagnini)
Dum vitant stulti vitia, in contraria currunt
  • Ecco a tutti i cantor vizio comune: | Pregati, non c'è caso che s'inducano | A cantar tra gli amici: non pregati | Non la finiscon mai. (I, 3, 1-3, traduzione di Tommaso Gargallo; citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 546)
Omnibus hoc vitium est cantoribus, inter amicos | Ut nunquam inducant animum cantare rogati, | Injussi nunquam desistant.
  • Dalle uova fino alle mele. (I, 3, 6-7)
Ab ovo | Usque ad mala.
  • Perché nessuno nasce senza vizi, e ottimo è colui che è travagliato dai più leggeri. (I, 3, 68-69)
Nam vitiis nemo sine nascitur; optimus ille est, | Qui minimis urgetur.
  • Anche prima di Elena la fica fu una terribile causa di guerra.[8] (I, 3, 107)
Nam fuit ante Helenam cunnus taeterrima belli causa.
  • In questo sbagliò: che in una sola ora scriveva, che prodezza!, | 200 versi, così, come si dice, su un piede solo! | Ma scorrevano torbidi e c'era del troppo, che vorresti togliere. | Troppo verboso egli era, pigro alla fatica dello scrivere: | dello scrivere bene, intendo: al molto non do peso. (I, 4, 9-13)[7]
  • Le membra sparse del poeta. (I, 4, 62)
Disjecti membra poetae.
  • Un uomo fatto fino all'unghia.[9] (I, 5, 32)
Ad unguem factus homo.
  • Ci creda l'ebreo Apella, non io; poiché so che gli dèi menano vita tranquilla; e se la natura fa talora qualche portento, non sono gli dêi corrucciati a mandarlo dall'alta volta celeste. (I, 5, 100-103)
Credat Judaeus Apella | Non ego: namque deos didici securum agere aevum; | Nec, si quid miri faciat natura, deos id | Tristes ex alto coeli demittere tecto.
  • [Credo] che sia noto a tutti, cisposi e barbieri.[10] (I, 7, 3)
Omnibus et lippis notum et tonsoribus esse.
  • Mai la vita diede ai mortali qualcosa se non a prezzo di grande fatica. (I, 9, 59-60)
Nil sine magno | vita labore dedit mortalibus.
  • Più a fondo e meglio di un attacco arcigno, | la battuta spiritosa serve a troncare anche le questioni grosse. (I, 10, 14-15)[7]
  • Una visione avuta dopo la mezzanotte quando i sogni sono veri. (I, 10, 33)
Post mediam noctem visus quum somnia vera.
  • Non maggior pazzìa la tua sarebbe recar legna al bosco. (I, 10, 34, Traduzione di Luca Antonio Pagnini)
In silvam non ligna feras insanius.
  • Spesso volgerai lo stilo dall'altra parte, se vorrai scrivere cose degne di essere lette e rilette. (I, X, 72-73)
Saepe stylum vertas, iterum quae digna legi sunt | Scripturus.
  • Quante sono le teste al mondo, altrettanti sono gli interessi. (II, 1, 27)
Quot capitum vivunt, totidem studiorum.
  • Dall'uomo parsimonioso sarà ben distinto lo spilorcio: poiché invano ti guarderai da un vizio, se scivolerai in un altro. (II, 2, 54-54)
  • Su dunque fate cuore, e forti petti | Recate incontro alle vicende avverse. (II, 2, 210-11; 1814, p. 73)
Quocirca vivite fortes, | Fortiaque adversis opponite pectora rebus.
  • Questo era uno dei nostri voti. (II, 6, 1)
Hoc erat in votis.
  • O campi, quando vi rivedrò! quando potrò, ora fra i libri degli antichi, ora nel sonno e nel riposo, obliare dolcemente questa vita affaccendata. (II, 6, 60-62)
O rus, quando ego te adspiciam! quandoque licebit, | Nunc veterum libris, nunc somno et intertibus horis | Ducere sollicitae jucunda oblivia vitae!.
  • A Roma sogni la campagna; quando sei in campagna, | incostante, esalti la città. (II, 7, 28-29)[7]
  • L'uomo o impazzisce o scrive versi (II, 7, 117)
Aut insanit homo, aut versus facit

Giudizi critici di Orazio sulla satira di Lucilio contenuti nelle Satire

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  • Facetus,
    emunctae naris, durus conponere versus.
    nam fuit hoc vitiosus: in hora saepe ducentos,
    ut magnum, versus dictabat stans pede in uno;
    cum flueret lutulentus, erat quod tollere velles;
    garrulus atque piger scribendi ferre laborem,
    scribendi recte.
Garbato, naso fino, duro però nel mettere assieme i suoi versi. Il suo difetto? Eccolo: in un'ora, come fosse gran cosa, dettava sovente duecento versi, e reggendosi su un piede soltanto. Siccome scorreva fangoso, c'erano cose che avresti voluto levare; era ciarliero e insofferente della fatica di scrivere, di scrivere bene. (da III, 4, 7-13) (Mario Labate)
  • «At magnum fecit, quod verbis graeca latinis
    miscuit». O seri studiorum, quine putetis
    difficile et mirum, Rhodio quod Pitholeonti
    contigit?
«Ha fatto però una cosa non da poco: ha mescolato parole greche alle parole latine». O ritardatari delle belle lettere, ritenete davvero difficile e meravigliosa una cosa che riesce perfino a Pitoleone da Rodi[11]? (da I, 10, 20-23) (Mario Labate)
  • Fuerit Lucilius, inquam,
    comis et urbanus, fuerit limatior idem
    quam rudis et Graecis intacti carminis auctor
    quamque poetarum seniorum turba; sed ille,
    si foret hoc nostrum fato delapsus in aevum,
    detereret sibi multa, recideret omne quod ultra
    perfectum traheretur, et in versu faciendo
    saepe caput scaberet vivos et roderet unguis.
Sia pure, io dico, che Lucilio fosse garbato ed urbano, sia pure ch'egli fosse più limato di quanto non sia in genere l'iniziatore di una poesia nuova[12] e intentata dai Greci e più anche di tutto il gruppo dei poeti più antichi; ma anche lui, se il destino l'avesse fatto scivolar giù fino ai nostri giorni, eliminerebbe molte cose dai suoi versi e tutto il superfluo, che si trascina al di là dell'espressione compiuta, lo taglierebbe via e, nel comporre il verso, si gratterebbe spesso la testa e si roderebbe le unghie fino alla carne viva. (da I, 10, 64-71) (Mario Labate)
  • Me pedibus delectat claudere verba
    Lucili ritu, nostrum melioris utroque.
    Ille velut fidis arcana sodalibus olim
    credebat libris neque, si male cesserat, usquam
    decurrens alio neque, si bene; quo fit ut omnis
    votiva pateat veluti descripta tabella
    vita senis.
Io mi diletto di chiudere le parole nel verso, alla maniera di Lucilio, migliore di me e di te. Come a fedeli compagni, ai libri egli soleva affidare i suoi segreti[13], né altrove ricorreva se le cose gli andavano male, né se gli andavano bene: perciò avviene che tutta la vita di questo vecchio ci sta davanti agli occhi, come fosse dipinta su un quadretto votivo. (da II, 1, 18-24) (Mario Labate)

Epodi

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  • Beato colui che, lontano dalle cure cittadine, | come gli uomini dell'età più antica, | ara i campi paterni con buoi che gli appartengono. (II, 1-3)
Beatus ille, qui procul negotiis, | ut prisca gens mortalium, | paterna rura bubus exercet suis.
  • Era notte e la luna splendeva nel cielo sereno. (XV, 1)
Nox erat et coelo fulgebat luna sereno.
  • O Mecenate, che discendi da antichi re, | mio presidio, mio dolce orgoglio... (I, 1, 1-2)[7]
  • La guerra è detestata dalle madri.[14] (I, 1, 24-25)
[...] bellaque matribus
Detestata
  • Che la dea signora di Cipro
    e i Dioscuri fulgide stelle,
    e il padre dei venti
    con l'unico soffio di Iàpige
    ti proteggano, o nave
    che trasporti Virgilio: incolume
    sbarcalo sulle rive dell'Attica
    e salva la metà dell'anima mia (I, 3)[15]
Sic te diva potens Cypri,
sic fratres Helenae, lucida sidera
ventorumque regat pater
obstrictis aliis praeter Iapyga,
navis, quae tibi creditum
debes Vergilium: finibus Atticis
et serves animae dimidium meae
  • Robusto e col petto coperto di triplice corazza era colui che primo affidò al crudele oceano una fragile nave. (I, 3, 9-12)
Illi robur et aes triplex | Circa pectus erat, qui fragilem truci | Commisit pelago ratem | Primus.
  • Non vi è nulla di difficile per i mortali. (I, 3, 37)
Nihil mortalibus ardui est.
  • La pallida morte batte ugualmente al tugurio del povero come al castello dei re. (I, 4, 13-14)
Pallida mors aequo pulsat pede pauperum tabernas | Regumque turres.
  • La brevità della vita ci vieta di concepire speranze a lungo termine. (I, 4, 15)
Vitae summa brevis spem nos vetat incohare longam.
  • Domani torneremo a navigare l'immenso mare (I, 7, 32)
Cras ingens iterabimus aequor
  • Lascia il resto agli dei. (A Taliarco, I, 9)
Permitte divis cetera.
  • Ciò che verrà domani | non chiedere, e ogni giorno | che ancora ti darà la sorte, prendilo | come un guadagno. (A Taliarco, I, 9[16])
Quid sit futurum cras, fuge quaerere et | quem fors dierum cumque dabit, lucro | appone.
  • Mentre stiamo parlando il tempo invidioso sarà già fuggito. Cogli il giorno presente confidando il meno possibile nel futuro. (I, 11, 7-8)
Dum loquimur, fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.
  • Con la pazienza si rende più tollerabile ciò che non si riesce a correggere. (I, 24, 19)
Levius fit patientia quidquid corrigere est nefas.[17]
  • Dammi, o Apollo, che io in buona salue | goda di quello che ho; dammi, ti prego, | una mente sana e una vecchiaia non turpe | e non priva del conforto del canto. (I, 31, 17-20)[7]
  • Ragazzo, odio il lusso persiano. (I, 38)
Persicos odi, puer, apparatus.
  • Cammini sui carboni accesi nascosti dalla cenere ingannatrice. (II, I, 7-8)
Incedis per ignes | Suppositos cineri doloso.
  • Nei momenti difficili ricordati di conservare l'imperturbabilità, e in quelli favorevoli un cuore assennato che domini la gioia eccessiva. (II, 3)
Aequam memento rebus in arduis
Servare mentem, non secus in bonis
Ab insolenti temperatam
Laetitia.
  • Tutti siamo spinti in uno stesso luogo. (II, 3, 25)
Omnes eodem cogimur.
  • Quell'angolo di terra mi sorride più di qualunque altro. (II, 6, 13-14)
Ille terrarum mihi praeter omnes | Angulus ridet.
  • Chiunque ama l'aurea via di mezzo, evita, sicuro, sia lo squallore del vile tugurio sia, frugale, lo splendore della reggia invidiata. (II, 10, 5-8)[18]
Auream quisquis mediocritatem | diligit, tutus caret obsoleti | sordidus tecti, caret invidenda | sobrius aula.
  • Le folgori colpiscono i monti più alti. (II, 10, 11-12)
Feriuntque summos | Fulmina montes.
  • Perché affatichi con propositi immortali l'animo, che è tanto da meno? (II, 11, 11-12)
Quid aeternis minorem
Consiliis animum fatigas?
  • Ohimé, Postumo, Postumo, fuggono veloci gli anni! (II, 14, 1-2)
Eheu fugaces, Postume, Postume | Labuntur anni.
  • Non c'è vita lieta del tutto. (II, 16, 27-28)
Nihil est ab omni | parte beatum.
  • Disprezzo il volgo dei profani, e lo scaccio. Tacete. (III, I, 1-2)
Odi profanum vulgus, et arceo. | Favete linguis.
  • È bello e dolce morire per la patria. (III, 2, 13)
Dulce et decorum est pro patria mori.
  • Persegue anche chi l'evita | la Morte [...]. (III, 2, 14-15; 1938, p. 111)
  • La virtù sprezza e a volo abbandona la compagnia della plebe e le paludi della terra. (III, 2, 23)
  • L'uomo giusto e tenace di propositi non riusciranno a smuovere dal suo fermo pensiero né il malo furore di prepotenti cittadini né il fiero viso di minaccioso tiranno. (III, 3, 1-4)
Justum et tenacem propositi virum, | Non civium ardor prava jubentium, | Non vultus instantis tyranni | Mente quatit solida.
  • Mi spezzo, ma non mi piego. (III, 3)
Frangar, non flectar
  • La forza bruta non governata dalla ragione rovina sotto il suo stesso peso. (III, 4, 65)[7]
Vis consili expers mole ruit sua.
  • Abbiamo creduto al regno di Giove quando lo sentimmo tonante in cielo. (III, 5, 1-2)
Caelo tonantem credidimus Jovem | Regnare.
  • I nostri padri, peggiori dei nostri avi, ci generarono ancora più cattivi, e noi daremo vita ad una prole ancora peggiore. (III, 6, 46-48)
Aetas parentum peior avis, tulit nos nequiores, mox daturos progeniem vitiosiorem.
  • Cogli felice i doni di questo momento. (III, 8, 27)
Dona praesentis cape laetus horae
  • Con la ricchezza crescono le preoccupazioni (III, 16, 17)
Crescentem sequitur cura pecuniam
  • Povero tra grandi ricchezze. (III, 16, 28)[7]
  • Prudentemente Iddio nascose fra tenebre caliginose gli eventi del tempo futuro. (III, 29, 29-30)
Prudens futuri temporis exitum | Caliginosa nocte premit Deus.
  • Ho eretto un monumento più duraturo del bronzo. (III, 30)
Exegi monumentum aere perennius
  • Non morirò del tutto. (III, 30)
Non omnis moriar
  • Non è concesso di sapere tutto. (IV, 4, 22)
Nec scire fas est omnia.
  • A non nutrire speranze immortali ti ammonisce l'anno e l'ora che trascina via il giorno dator di vita.... Tuttavia nel cielo le rapide lune ripristinano ciò che hanno perso; noi invece, una volta caduti dove il padre Enea, dove Tullo potente e Anco, siamo polvere e ombra. (IV, 7, 7)
... pulvis et umbra sumus.
  • Non chiamar felice chi possiede | molte ricchezze; si addice | di più quel termine a chi sa curare | da saggio i doni degl dèi, || e sa sopportare la dura povertà; | a chi teme di più il disonore che la morte, | e non esita a perder la vita | per i cari amici o per la patria. (IV, 9, 45-52)[7]>
  • È cosa dolce ammattire a tempo opportuno. (IV, 12, 28)
Dulce est desipere in loco.
  • L'amore è cieco.
Amor caecus.
  • [Archita] Misuratore del mare e della terra e delle innumerevoli arene; uomo che sulle celesti sfere ardito avea di sollevarsi ed aggirarsi. (1, 28)
  • Ora è tempo di bere, ora è tempo di battere la terra con piede libero da vincoli.
Nunc est bibendum, nunc pede libero | pulsanda tellus.

Epistole

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  • Giurare sulle parole del maestro. (I, 1, 14)
Jurare in verba magistri.
  • Fate soldi, se potete in maniera onesta, se no comunque. (I, 1, 65-66)
Rem facias, rem | si possis, recte, si non, quocumque modo rem.
  • Demolisce, edifica, muta qual che è quadro in rotondo. (I, I, 100)
Diruit, aedificat, mutat quadrata rotundis.
  • Per tutte le pazzie dei re, sono puniti gli Achivi. (I, 2, 14)
Quidquid delirant reges, plectuntur Achivi.
  • Cominciare è già metà dell'opera. (I, 2, 40)
Dimidium facti qui coepit habet.
  • Il contadino aspetta che il fiume passi. (I, 2, 42)
Rusticus expectat dum defluat amnis.
  • Pensa che ogni giorno può essere il tuo ultimo. (A Tibullo, I, 4)
  • Non meravigliarsi di nulla. (I, 6, 1)
Nil admirari.
  • Tutto ciò che è sotto terra, tornerà alla luce col tempo. (I, 6, 24)
Quidquid sub terra est, in apricum proferet aetas.
  • Non viviamo là in questo modo in cui tu pensi. (I, 9, 47)
Non isto vivimus illic, | quo tu rere, modo.
  • Scaccia pure con un forcale la tua indole, tornerà ugualmente. (I, 10, 24)
Naturam expellas furca, tamen usque recurret.
  • Chi va oltre il mare muta cielo, non animo. (A Bullazio, I, 11)
Caelum, non animum, mutant qui trans mare currunt.
  • Un'inquietudine impotente ci tormenta, e andiamo per acque e terre inseguendo la felicità. Ma ciò che insegui è qui, se non ti manca la ragione. (A Bullazio, I, 11)
  • Una concordia discorde, che nasce da un contrasto (I, 12, 19)
Concordia discors.
  • L'estremo limite di tutto, | la morte. (I, 16, 79; 2012)
  • Se l'incanto della quiete e il dormire in pace sino al mattino
    ti piacciono, e se la polvere, lo strepito dei carri
    e l'osteria ti infastidiscono, ti consiglio di andare a Ferentino. (I, 17, 7-8)
Si te grata quies et primam somnus in horam | delectat, si te puluis strepitusque rotarum, | si laedit caupona, Ferentinum ire iubebo.
  • Piacere ai prìncipi non è per gli uomini piccola lode. (I, 17, 35)
  • Non a tutti è dato di andare a Corinto. (I, 17, 36)
Non cuivis homini contingit adire Corinthum.
  • Che cosa dici, di chi e con chi, considera di frequente. (I, 18, 68)
Quid, de quoque viro et cui dicas, saepe videto.
  • Diventa affar tuo, quando la parete del vicino va a fuoco. (I, 18, 84)
Nam tua res agitur, paries quum proximus ardet.
  • Una volta detta, una parola vola via irrevocabile. (I, 18, 71)
Semel emissum, volat irrevocabile verbum.
O imitatores, servum pecus.
  • Gli artefici trattano delle cose dell'arte loro. (II, I, 116)
Tractant fabrilia fabri.
  • La Grecia conquistata il barbaro vincitore conquistò, e le arti portò nell'agreste Lazio. (II, 1, 156)
Graecia capta ferum victorem cepit, et artes intulit agresti Latio.
  • Si pecca tanto fra le mura d'Ilio quanto fuori. (II, 2, 16)
Iliacos intra muros peccatur et extra.
  • La razza irritabile dei poeti. (II, 2, 102)
Genus irritabile vatum.

Ars Poetica

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  • Termina in pesce (3-4)
Desinit in piscem.
  • Se foste ammessi a vedere (un tal mostro), tratterreste le risa, o amici?. (5)
Spectatum admissi risum teneatis amici?.
  • Pittori e poeti hanno sempre goduto di un'eguale libertà di tutto osare. (9-10)
Ai pittori ed ai poeti sempre fu concesso di osare qualche cosa nel limite dovuto.
  • Questo perdono ci chiediamo e ci concediamo a vicenda. (11)
Hanc veniam petimusque damusque vicissim.
  • Non era questo il luogo. (19)
Non erat hic locus.
  • Mi sforzo di essere conciso e divento oscuro. (25-26)
Brevis esse laboro, | obscurus fio
  • Se volete scrivere, scegliete un argomento pari alle vostre forze. (38-39)
Sumite materiam vestris qui scribitis aequam | Viribus.
  • Materia scelta secondo le proprie forze. (40)
Lecta potenter... res.
  • Molte parole che già caddero d'uso, rinasceranno, e molte che oggi sono in onore, cadranno. (70-71)
Multa renascentur quae jam cecidere, cadentque | Quae nunc sunt in honore vocabula.
  • L'uso in balia del quale sono l'arbitrio e la legge e la norma del parlare. (71-72)
Usus | Quem penes arbitrium est et jus et norma loquendi.
  • Le montagne partoriranno e nascerà un ridicolo topolino. (139)
Parturiunt montes, nascetur ridiculus mus.
  • Lodatore del tempo passato, quando egli era fanciullo.[19] (173)
Laudator temporis acti se puero.
  • Sfogliate di notte e di giorno gli esemplari greci. (268-269)
Vos exemplaria graeca | Nocturna versate manu, versate diurna.
  • Il buon senso è il principio e la fonte dello scrivere. (309)
  • La Musa concesse ai Greci di parlare con bocca rotonda.[20] (323-24)
Grais dedit ore rotundo Musa loqui.
  • I poeti vogliono o giovare o divertire. (333)
Aut prodesse volunt aut delectare poetae
  • Ottiene la generale approvazione chi unisce l'utile al dolce, dilettando e istruendo al tempo stesso il lettore.[21] (343-4)
Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci, Lectorem delectando, pariterque monendo.
  • Qualche volta s'addormenta anche il buon Omero. (359)
Indignor quandoque bonus dormitat Homerus.
Tu nihil invita dices faciesve Minerva, cortile del Collegio Gallio a Como
  • La poesia è come la pittura. (361)
Ut pictura poesis.
  • Ai poeti non concedono di essere mediocri | né gli uomini, né gli dèi, né le botteghe dei librai. (372-3)[7]
  • Nulla dirai o farai a dispetto di Minerva. (385)
Tu nihil invita dices faciesve Minerva.
  • La parola detta non sa tornare indietro. (390)
Nescit vox missa reverti.
  • Molto sofferse e fece da fanciullo, sudù e s'intirizzì. (413)
Multa tulit, fecitque puer, sudavit et alsit.
  • Da bravo, bene, benissimo. (428)
Pulchre, bene, recte.
  • Sole fecondo, che col carro ardente porti e nascondi il giorno, e nuovo e antico rinasci, nulla piú grande di Roma possa mai tu vedere![22] (vv. 9-12)
Alme Sol, curru nitido diem qui promis et celas aliusque et idem nasceris, possis nihil urbe Roma visere maius.
  • Vosque, veraces cecinisse Parcae, quod semel dictum est stabilisque rerum terminus servet, bona iam peractis iungite fata. (vv. 25-28)
Parche, che la sorte fissata rivelate, senza che niente possa mutarla, aggiungete a quelli compiuti altri buoni destini.[22]
Voi che veraci annunziaste, o Parche, una volta per sempre ciò che il fato disse, e ciò che i sicuri eventi confermeranno, aggiungete fati ai fatti antichi buoni già compiuti![23]
  • Di, probos mores docili iuventae, di, senectuti placidae quietem, Romulae genti date remque prolemque et decus omne. (vv. 45-48)
O dei, date virtú ai nostri giovani, date dolce riposo alla vecchiaia e alla gente di Romolo potenza, figli e tutta la gloria.[22]
Dei, date buon costume ai giovani sottomessi e ai vegliardi placida quiete, e date alla gente di Romolo la potenza, la discendenza ed ogni gloria.[23]
Donate, o Dei, probi costumi a’ pronti | Giovani, a’ vecchi placidi quiete, | Dovizia e prole alla romulea gente | E gloria intera.[24]
  • Fede, pace, onore e il pudore antico, la virtú smarrita osano ora tornare.[22] (vv. 57-59)
Iam Fides et Pax et Honos Pudorque priscus et neglecta redire Virtus audet.
  • Diana, che sull'Aventino e l'Àlgido regna, esaudisce i sacerdoti chini in preghiera e porge orecchio benigno ai voti dei ragazzi.[22] (vv. 69-72)
Quaeque Aventinum tenet Algidumque, quindecim Diana preces virorum curat et votis puerorum amicas adplicat auris.

Citazioni su Quinto Orazio Flacco

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  • D'un sì vivace | Splendido colorir, d'un sì fecondo, | Sublime immaginar, d'una sì ardita | Felicità sicura | Altro mortal non arricchì natura. (Pietro Metastasio)
  • Ha delle sentenze profittevoli per un uomo di mondo, le quali, chiuse in energici versi, si imprimono più facilmente nella memoria, ma non m'importa niente del suo viaggio a Brindisi, né che mi descriva d'aver pranzato male, o quella lite di facchini con non so qual Pupilus, dal parlare pieno di marcia, e con quell'altro, dal parlare, dice lui, d'aceto. Non potei leggere senza nausea i suoi versi triviali contro le vecchie e le streghe, e non vedo che merito sia dire all'amico Mecenate che se verrà posto da lui fra i poeti lirici, toccherà con sublime fronte le stelle. (Voltaire)
  • Invano ha scritto Orazio che il popolo romano aveva una naturale inclinazione e disposizione felice alla tragedia; esso che seppe fare tante tragedie, che fu, come fu scritto, il genio tragico dell'universo, non conobbe l'arte avventurosa di eccitare coll'arte drammatica le grandi passioni. (Egidio Gorra)
  • Non è mostruoso, dal punto di vista semplicemente culturale, che la Bibbia non occupi un posto nella nostra educazione universitaria, quando consumiamo i nostri ragazzi sulle insulsaggini di Orazio Flacco? (Paul Claudel)
  • «Otiosa Neapolis»
    Sì, così la chiama Orazio che se ne deve intendere, se c'era un uomo pigro e ozioso era lui; tanto pigro da non sapere nemmeno inventare un'ode tutta sua, e traduceva quanto poteva dagli alessandrini. (Paolo Monelli)
  • Sono mirevoli in lui l'erudizione e la libertà di spirito, e anche la mordacità, la notevole arguzia. (Quintiliano)

Note

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  1. Citato in Jim Bishop, Il giorno in cui Cristo morì, traduzione di Maria Satta, Garzanti, 1958.
  2. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 435-436.
  3. a b Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, Milano, 1921, p. 74.
  4. Quinto Orazio Flacco, Le satire e l'epistole, traduzione di Luca Antonio Pagnini, Ranieri Prosperi, Pisa, 1814.
  5. Traduzione di Luca Antonio Pagnini.
  6. Si veda anche la voce di Wikipedia sull'Aurea mediocritas.
  7. a b c d e f g h i j Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  8. Citato in AA. VV., Dizionario delle sentenze latine e greche, Rizzoli, Milano, 2007, § 1865. ISBN 9788858690208.
  9. Cioè «alla perfezione», dall'uso degli scultori di provare con l'unghia la rifinitura del proprio lavoro. Citato in Ad unguem, in Vocabolario online, Treccani.it.
  10. In quanto ben informati; gli uni perché, costretti a casa dal vederci poco, erano avidi di notizie, gli altri per l'andirivieni di clienti nella loro bottega. Citato in Lippis et tonsoribus, in Vocabolario online, Treccani.it.
  11. Stando all'ipotesi dello scoliaste Richard Bentley, Pitoleone è una storpiatura scherzosa del nome di Otacilio Pitolao.
  12. Allude al genere letterario satirico: Orazio riconosce pur sempre a Lucilio il merito d'esserne il padre.
  13. Orazio rileva nella satira luciliana una natura diaristica.
  14. Marco Costa, Psicologia militare: Elementi di psicologia per gli appartenenti alle forze armate, Angeli, Milano, 2006, p. 644. ISBN 9788846479662
  15. Traduzione di Ugo Dotti.
  16. In Le liriche, traduzione di Ivano Donatello, Lampi di stampa, Milano, p. 47.
  17. Si veda la voce in Wikipedia: Levius fit patientia quidquid corrigere est nefas.
  18. Citato in "Dizionario delle citazioni", Rizzoli, 1992.
  19. In riferimento al vizio degli anziani di parlare sempre delle cose passate. Citato in Laudator temporis acti, in Vocabolario online, Treccani.it.
  20. Cioè «con ornata eloquenza». Citato in Ore rotundo, in Vocabolario online, Treccani.it.
  21. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli.
  22. a b c d e Da Carme Secolare, Progetto Ovidio, 2002. (Link)
  23. a b Da Carmen Saeculare, Latinum Vertere, 1996. (Link)
  24. Da Il carme secolare in Odi, traduzione di Mario Rapisardi, 1883. (Disponibile su Wikisource)

Bibliografia

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  • Quinto Orazio Flacco, Epistole, introduzione, traduzione e note di Mario Ramous, Garzanti, Milano, 2012. ISBN 978-88-11-13413-8
  • Quinto Orazio Flacco, Le satire e l'epistole, traduzione di Luca Antonio Pagnini, Ranieri Prosperi, Pisa, 1814.
  • Quinto Orazio Flacco, Orazio lirico: Odi, Epodi, Carme secolare, traduzione poetica di Umberto Moricca, Sandron, Palermo, 1938.
  • Quinto Orazio Flacco, Satire, traduzione di Mario Labate, Rizzoli, Milano, 2006. ISBN 8817123021

Voci correlate

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Opere

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